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A causa dello stress e della vita frenetica ricca di impegni, la testa si fa pesante, le palpebre si chiudono e la vista si annebbia. Sono i sintomi della sonnolenza ben noti a tutti. Un team di ricercatori della NASA ha smentito precedenti studi che sostenevano che il pisolino pomeridiano, la classica pennichella, non era salutare. Ora l'Ente Spaziale smentendo tutto ha riabilitato il ruolo della dormitina dopo il pranzo.Alcuni test svolti sui piloti della NASA hanno svelato che coloro che eseguivano un pisolino di almeno 20 minuti nel pomeriggio, vedevano la loro capacità di reazione aumentare di circa il 35%. Insomma, la pennichella aumenta la capacità mentale. E se ciò avviene con dei piloti, è facile immaginarsi come possa influire positivamente su chi svolge lavori di altro genere. Soprattutto in ufficio, in caso di sonno, meglio farsi una sana dormitina piuttosto che bersi un caffé cercando di tenere gli occhi aperti a tutti i costi. Se ne ricaveranno più benefici a livello di concentrazione. E quindi di produttività.Le stime sosterrebbero che con 10-20 minuti di pisolino, si rimane più concentrati. Se si allunga la dormitina a un'oretta, il cervello andrà meno a rilento. Con 90 minuti si esegue un ciclo completo di sonno, che porta a diminuire un possibile debito di sonno accumulato nella notte.Inoltre sempre secondo gli esperti dell'Ente Spaziale, andrebbe fatta dopo 6 o 7 ore dal risveglio mattutino.Per Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, non a caso la qualità del sonno è uno degli indicatori più importanti del nostro benessere ed equilibrio psicofisico. E’ importante che non trascuriamo la nostra salute e consideriamo la possibilità di trovare degli spazi per favorire ed incrementare il riposo. Jennifer Ackerman, autrice del libro "Sex Sleep Eat Drink Dream: A Day in the Life of Your Body" sottolinea l’importanza della  pennichella pomeridiana ricordando che questa non è solo parte della nostra “programmazione fisiologica”, ma è anche importante per la promozione della salute fisica e mentale complessiva. Ackerman afferma che un pennichella di 60 minuti migliora l'attenzione fino ad un massimo di 10 ore. Una ricerca ha rilevato che una pennichella di 26 minuti in volo (mentre l'aereo veniva pilotato da un copilota), ha migliorato le prestazioni del pilota e la sua vigilanza complessiva rispettivamente del 34% e 54%. Anche brevi pennichelle di 6 minuti sembrano innescare processi che possono migliorare il funzionamento della memoria al risveglio.La durata della pennichella e la scelta del momento più opportuno per effetturala dipendono comunque da alcune nostre caratteristiche personali.

Da oggi, prevenzione cardiovascolare efficace a misura di spending review con il farmaco a base di Omega-3 equivalente di Ibsa. I preziosi oli estratti dal pesce, forse più conosciuti come integratori, sono da tempo al centro dell’interesse del mondo scientifico per i loro effetti documentati da una serie di osservazioni epidemiologiche e cliniche.

Che le azioni protettive degli acidi grassi polinsaturi siano valide e ben riconosciute lo dimostra il fatto che l’AIFA - Agenzia Italiana del Farmaco, attraverso le note 13 e 94, ha disposto la somministrazione gratuita, da parte del SSN, dei farmaci a base di Omega-3 in caso di ipertrigliceridemia familiare, iperlipemia familiare combinata, ipertrigliceridemia con insufficienza renale moderata e grave e in prevenzione secondaria entro un anno dall’infarto del miocardio. In tali casi, il rapporto costo/beneficio dei farmaci a base di Omega-3 risulta ampiamente positivo.

“Va sottolineata, prosegue Roberto Volpe, lipidologo e ricercatore del CNR di Roma, l’importanza di intervenire sul controllo del quadro lipidico: l’aumento dei trigliceridi rappresenta, infatti, una problematica molto comune nella pratica clinica, essendo l’alterazione del metabolismo lipidico tipica non solo dell’ipertrigliceridemia pura e dell’iperlipemia combinata (quest’ultima caratterizzata anche da elevati livelli ematici di colesterolo), ma anche della sindrome metabolica, del diabete mellito di tipo 2 e dell’obesità, tutte patologie molto frequenti e gravate da un’alta incidenza di eventi cardiovascolari. I dati clinici hanno evidenziato un ruolo protettivo nei confronti delle malattie cardiovascolari da parte degli acidi grassi Omega-3, sostanze di estrazione naturale definite essenziali, in quanto il nostro organismo non è in grado di produrle e che, pertanto, devono essere assunte con la dieta o attraverso una specifica integrazione. Gli omega-3 esplicano i loro benefici clinici attraverso molteplici meccanismi protettivi: riducono i trigliceridi, prevengono/riducono l’ostruzione delle arterie (azioni cosiddette antiaterogene e antitrombotiche) e prevengono le aritmie cardiache.”

“Gli Omega-3, chiarisce Alessandro Mugelli, Ordinario di Farmacologia, Direttore Dipartimento NEUROFARBA di Firenze, si trovano in commercio a diverse concentrazioni: gli integratori hanno una concentrazione di acidi grassi polinsaturi inferiore a quella garantita dai farmaci, dove la concentrazione di Omega-3 è superiore all’85%. È importante utilizzare i farmaci a base di Omega-3 perché i positivi risultati degli studi clinici condotti sono stati ottenuti con concentrazioni superiori all’85%. Inoltre, i farmaci rispondono alle buone regole di fabbricazione e ai controlli qualità della materia prima. Nel nuovo farmaco, grazie ad un innovativo processo di produzione, non sono presenti conservanti e il principio attivo proviene da pesce azzurro di specie non a rischio di estinzione e poco soggette all’accumulo di sostanze nocive come il mercurio. Per estrarre e purificare l’olio di pesce non vengono usati solventi organici ed è garantita un’efficace rimozione dei potenziali contaminanti. Per dimostrare la bioequivalenza è stato necessario condurre studi di farmacocinetica che sono molto complessi per molecole come queste che si legano alle membrane cellulari di vari tipi cellulari. Il fatto che le concentrazioni ematiche dipendano dalla quantità di acidi grassi poliinsaturi che si assumono con la dieta rende gli studi di bioequivalenza estremamente complessi ed è quindi un grande merito averli eseguiti.”

Un altro elemento rilevante, a parità di qualità e bioequivalenza, sono i costi: infatti gli Omega-3 di marca hanno un prezzo superiore di oltre il 30% rispetto al generico IBSA, aspetto importante per un’ampia azione di prevenzione cardiovascolare, sia se a carico del SSN sia se sostenuta dai singoli cittadini.

“Lo studio GISSI Prevenzione, aggiunge Luigi Tavazzi, Direttore Scientifico di GVM Care & Research e membro del comitato scientifico del GISSI, Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell'Infarto Miocardico, ha valutato la prevenzione dell’infarto cardiaco testando l’efficacia degli Omega-3. I risultati sono positivi e convincenti. La mortalità veniva ridotta in modo significativo soprattutto la morte improvvisa  (ridotta di circa 50%), che rappresenta un rischio connaturato nei pazienti con malattia coronarica. Un’evidenza forte, perché fondata su una casistica molto numerosa, 11.324 pazienti, e un lungo periodo di osservazione che portò all’inclusione del farmaco tra i rimedi raccomandati dalle linee guida della Società Europea di Cardiologia. Inoltre, gli Omega-3 sono stati valutati attraverso uno studio, il più vasto mai condotto a livello internazionale, per la terapia dello scompenso cardiaco. Questa sindrome è in crescita costante negli ultimi decenni, in parallelo con l’aumento dell’età media e il cumularsi di comorbidità negli anziani e costituisce una delle spese più cospicue che la sanità pubblica debba affrontare. Il GISSI-HF (HF sta per heart failure, scompenso cardiaco) ha arruolando 6.975 pazienti e anche in questo caso i risultati sono stati incoraggianti: l’uso degli Omega-3 ha ridotto l’incidenza degli eventi cardiovascolari mortali e le ospedalizzazioni portando all’inclusione del farmaco nelle linee guida della Società europea di cardiologia”, conclude Tavazzi.

“Gli acidi grassi Omega-3, aggiunge Aldo Pietro Maggioni, Centro Studi ANMCO e membro del comitato scientifico del GISSI, presentano molteplici meccanismi protettivi per il rischio cardiovascolare; il pesce e capsule di olio di pesce rappresentano le fonti principali di Omega-3: modificare in misura limitata le nostre abitudini alimentari introducendo almeno un secondo piatto settimanale a base di pesce e/o la somministrazione di capsule di olio di pesce può influire positivamente sul metabolismo lipidico, riducendo la trigliceridemia, e proteggendo dalla morte improvvisa nei mesi che seguono un infarto miocardico. Nel frattempo la disponibilità di farmaci specifici, tra i quali gli Omega 3, possono essere impiegati con sicurezza per le indicazioni previste dalla nostra agenzia del farmaco”, conclude lo specialista.

“Negli ultimi 10 anni, afferma Michele Gulizia, Presidente ANMCO, Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, il rischio cardiovascolare globale si è ridotto del 6% negli uomini e del 15% nelle donne, ma sono circa 30 milioni gli italiani che presentano molti fattori di rischio cardiovascolare associati, rappresentati principalmente da: cattiva alimentazione, ipercolesterolemia e/o ipertrigliceridemia, ipertensione arteriosa, diabete mellito, abitudine tabagica, sedentarietà, sovrappeso o franca obesità. Se alcuni fattori di rischio come la familiarità o il genere non sono modificabili, tutti quelli in precedenza menzionati lo sono. In questi ultimi 50 anni i cardiologi italiani dell’ANMCO hanno aggredito tenacemente questi fattori di rischio modificabili riuscendo, grazie anche all’innovazione tecnologica e alla progressiva introduzione di farmaci ad alta protezione cardiovascolare (tra cui gli omega-3), a ridurre l’impatto della mortalità sulla cardiopatia ischemica acuta, salvando la vita ad oltre 750 mila pazienti. L’impegno di tutti noi cardiologi nei prossimi anni sarà di convincere ulteriormente i medici di famiglia e i pazienti sulla validità della prevenzione fatta attraverso il rispetto delle Carte del Rischio Cardiovascolare, realizzate in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, nella consapevolezza che il nostro comune e maggiore impegno permetterà un efficace cambiamento dello stile di vita sia tra gli individui a elevato rischio che nella popolazione generale”.

In vista della Giornata Mondiale della Sclerosi Multipla (SM), che si celebrerà il prossimo 28 maggio, la Società Italiana di Neurologia (SIN) sottolinea gli importanti progressi terapeutici raggiunti negli ultimi anni dalla ricerca scientifica, che permettono oggi trattamenti personalizzati per i pazienti affetti da SM.

La Sclerosi multipla, malattia infiammatoria del sistema nervoso centrale, colpisce circa 2,5 milioni di persone al mondo, di cui 600.000 in Europa e circa 70.000 in Italia, insorge abitualmente tra i 20 e 40 anni con una frequenza due volte superiore nelle donne. Si tratta di una malattia cronica spesso progressiva che determina lesioni a carico del sistema nervoso centrale; sebbene le cause esatte siano ancora sconosciute, gli esperti concordano sul fatto che sia una patologia di carattere autoimmune i cui fattori di rischio sono legati a fattori genetici, ambientali e al sesso.

“Grazie alle scoperte della neurologia sperimentale che indaga sui meccanismi molecolari che sottendono le malattie - afferma Giancarlo Comi, Past President SIN e Direttore Dipartimento Neurologico e Istituto di Neurologia Sperimentale Università Vita-Salute, Ospedale San Raffaele di Milano - oggi è possibile personalizzare l’intervento terapeutico in pazienti con sclerosi multipla, massimizzando i benefici e minimizzando i rischi; inoltre, questo approccio favorisce un risparmio di risorse economiche, perché evita l’impiego improduttivo di farmaci spesso molto costosi.”

I sintomi più comuni della sclerosi multipla sono perdita di equilibrio, cattiva coordinazione, tremori, disturbi del linguaggio, vista sfocata; si può arrivare alla paralisi e alla cecità. Con le ricadute si ha un peggioramento improvviso di uno o più sintomi o la comparsa di sintomi nuovi. Non esiste ancora una cura definitiva per questa terribile patologia cronica, ma oggi sono disponibili terapie che permettono di rallentare la progressione della malattia e limitare la gravità e la durata delle ricadute nonché l’impatto dei sintomi, migliorando significativamente la qualità di vita dei pazienti.

Allarme dei dermatologi: aumento dell’incidenza del melanoma nei bambini nati durante i mesi primaverili, tra Marzo e Maggio. I primi mesi di vita sembrano, infatti, rappresentare un periodo critico di suscettibilità all’esposizione solare per lo sviluppo del melanoma.

È quanto emerge da uno studio scientifico (Crump et al. Int J Epidemiol 2014) diffuso in occasione dell’Euromelanoma Day 2014, la campagna europea di informazione sul melanoma e sui tumori della pelle, dedicata interamente alla prevenzione e alla consulenza di specialisti dermatologi, promossa e realizzata nel nostro Paese dalla SIDeMaST - Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse.

In considerazione del successo ottenuto lo scorso anno, anche questa edizione si svolgerà con l’iniziativa “l’esperto risponde”: lunedì 26 maggio dalle ore 9 alle ore 18, si potrà chiamare da tutta Italia il numero verde 800591309 al quale uno specialista del centro dermatologico più vicino fornirà le informazioni necessarie per una corretta prevenzione e una diagnosi precoce del melanoma e degli altri tumori della pelle non melanoma.

“Proteggere i più piccoli risulta quanto mai importante - afferma Ketty Peris, Direttore della Clinica Dermatologica Università Cattolica del Sacro Cuore Policlinico A. Gemelli di Roma – perché chi si è ustionato al sole da bambino ha un maggior rischio di sviluppare un tumore della pelle da adulto; inoltre, lo studio scientifico appena pubblicato esorta ad una maggiore protezione dai raggi solari per i bambini nati durante il periodo primaverile; questi bambini, infatti, vengono esposti al sole precocemente e più a lungo rispetto a quelli nati nei mesi invernali”.

I tumori della pelle purtroppo possono interessare tutti pur in assenza di un fattore di rischio come l’esposizione al sole per lunghi periodi, i capelli rossi o la carnagione molto chiara, l’utilizzo di lampade solari o la presenza di più di 50 nevi. Risulta, quindi, fondamentale controllare costantemente la propria pelle e rivolgersi ad un dermatologo qualora si osservi la comparsa di nuovi nei o il cambiamento di quelli già presenti.

Il melanoma è un tumore maligno, quello più aggressivo tra tutti i tumori della pelle in termini di mortalità, e colpisce principalmente la popolazione caucasica  tra i 40 e i 60 anni: in Italia ogni anno si registrano circa 14 nuovi casi di melanoma ogni 100.000 uomini,  oltre 13 casi ogni 100.000 donne (Fonte: Rapporto AIRTUM 2009 (Registro Italiano Tumori).

Il tasso di sopravvivenza a 5 anni è pari all’81% (Fonte: Rapporto AIRTUM 2011) ed è fortemente influenzato dallo stadio di avanzamento del melanoma; per questa ragione è fondamentale la diagnosi precoce che prevede, per le persone a rischio, una visita di controllo dal dermatologo almeno una volta l’anno e ogni qualvolta si noti nel nevo un cambiamento di colore, forma, dimensione oppure ne compaia uno nuovo.

E possibile prevenire i tumori della pelle attraverso il rispetto di poche regole: l’utilizzo regolare di schermi solari ad alta protezione (30-50 SBF), l’applicazione della crema ogni 2 ore, la protezione di pelle e occhi con cappelli, magliette e occhiali da sole; mai esporsi al sole durante le ore più calde (11.00-14.00). Bisogna, inoltre, evitare lampade e lettini solari.

L’aspirina ridurrebbe del 50% il rischio di cancro del colon-retto alle persone portatrici di un gene che produce un livello elevato dell'enzima 15-PDGH. È quanto emerso da uno studio pubblicato sulla rivista statunitense “Science Translational Medicine”.

Altre ricerche avevano già messo in evidenza il legame fra l’antidolorifico e la riduzione del rischio di cancro e di malattie cardiovascolari; il nuovo studio ha però permesso di individuare le persone che possono effettivamente beneficiare dell’aspirina per prevenire il tumore al colon-retto.

I ricercatori hanno constatato che le persone con un profilo genetico che non permette loro di produrre un alto tasso di enzima 15-PGDH non beneficiano delle virtù dell’aspirina contro il cancro.

Sono le conclusioni a cui è giunto il dr. Sanford Markowitz, professore di genetica del cancro alla facoltà di medicina dell’Università Case Western Reserve a Cleveland (Ohio).

Tra possibili benefici ed effetti collaterali, l'aspirina continua a far porre ai profani sempre alcuni interrogativi che solo studi più compiuti e approfonditi potrebbero risolvere, sottolinea Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”.

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