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Francesco - sul finire della sua vita terrena - sebbene già fosse arricchito di ogni grazia davanti a Dio e risplendesse per le sue sante opere davanti agli uomini, pensava di intraprendere un cammino di più alta perfezione, e suscitare nuove guerre affrontando direttamente da valorosissimo soldato il nemico… Perciò allontanava da sé tutte le cure e lo strepito delle considerazioni umane che gli potevano essere di ostacolo, e pur dovendo, a causa della malattia, temperare necessariamente l’antico rigore, diceva: «Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto!». Non lo sfiorava neppure il pensiero di aver conquistato il traguardo e, perseverando instancabile nel proposito di un santo rinnovamento, sperava sempre di poter ricominciare daccapo. Voleva rimettersi al servizio dei lebbrosi ed essere vilipeso, come un tempo; si proponeva di evitare la compagnia degli uomini e rifugiarsi negli eremi più lontani, affinché, spogliato di ogni cura e deposta ogni sollecitudine per gli altri, non ci fosse tra lui e Dio che il solo schermo della carne (FF 500).

 Queste parole di S. Francesco, ci danno la misura della grandezza del nostro serafico Padre, che risiedeva nella consapevolezza di non essere mai arrivato nel suo cammino di risposta alla chiamata del Signore, scoprendo uno scarto tra quello che era e quello che doveva diventare, uno scarto di fronte al quale non si è mai arreso, neppure in punto di morte!

La famiglia francescana di Calabria, lieta di iniziare un percorso con voi lettori sulle orme di san Francesco d’Assisi, accoglie oggi queste parole dell’assisiate come feconda provocazione estendendola a voi lettori e per ripeterci scambievolmente: «Cominciamo fratelli!». Sì! Cominciamo nuovamente, non perché quanto fatto fin ora sia stato poco o non fatto bene, ma perché il nostro punto di riferimento deve essere costantemente quell’Amore di Dio che sempre ci supera e che va sempre oltre quello che noi possiamo fare o non fare per Lui.

Questo “cominciare” è prima di tutto per i membri del Primo Ordine. Ognuno di noi si trova in una fraternità che cambia spesso il suo volto grazie alla partenza o all’arrivo di nuovi fratelli. Altri hanno assunto un nuovo incarico, lasciando ad altri il lavoro svolto finora. Questa nuova situazione esistenziale diventa così uno sprone a rispondere alla voce di Dio, che continua a chiamarci in ogni nuova situazione e in persona che incontriamo sul nostro cammino.

La eco di questo “cominciamo” risuona anche - seppur in modo diverso - per le nostre sorelle del Secondo Ordine, che nei loro monasteri scoprono quotidianamente la novità di Dio che si fa presente nelle pieghe della storia della nostra terra calabra.

Ancora, questo “cominciamo”, è anche per i membri del Terzo Ordine, tanti dei quali avranno al loro fianco nuovi padri assistenti per continuare il cammino intrapreso, per crescere nella sequela di Cristo sulle orme di Francesco.

Questo “cominciamo”, è anche per voi, lettori del Corriere del Sud, ognuno con la propria storia, fatta di gioie e di fatiche, storia della quale la Grazia di Dio si serve per concederci di passare dal bene al meglio e vivere ogni avvenimento del quotidiano, anche quello più gravoso, come un’occasione per comprendere il valore della vita e della fede.

Buon nuovo inizio a tutti!

Puntualmente ogni anno da quando vivo a Torino, il 31 gennaio partecipo alla Messa solenne in onore di San Giovanni Bosco nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Valdocco, ormai è un appuntamento fisso. Il santo, così come tanti altri della città torinese mi ha da sempre attratto per tutto quello che ha fatto durante la sua intensa attività apostolica. E ribadisco ancora una volta il mio stupore si ferma sulle attività “sociali” di questi santi come il Cottolengo, il Murialdo. l'Allamano, il beato Faa di Bruno e potrei continuare nella lunga lista di uomini e donne di Chiesa che hanno caratterizzato l'Ottocento torinese. Anche don Bosco si può rubricare come un grande santo che ha operato incessantemente nel sociale. Il cardinale Robert Sarah nel suo ultimo libro lo definisce un inventore dell'istruzione professionale, verissimo, ma fu anche un promotore della buona stampa come viene sottolineato in questo documentatissimo intervento su Lanuovabussola di Antonio Tarallo. (La missione del santo. Don Bosco e la buona stampa, mezzo per salvare le anime, 31.1.25, Lanuovabq.it) Il giornalista, evidenzia di San Giovanni Bosco la sua insistenza a diffondere buoni libri «per la gloria di Dio e la salute delle anime». Lui stesso, con enorme sacrificio, si dedicò a quest’opera – in mezzo a tante altre – scrivendo circa 150 tra libri e opuscoli.

“Si sente ancora odore d’inchiostro nella vecchia tipografia salesiana a Torino, in via Maria Ausiliatrice, al numero 32”. Forse, se si fa silenzio, “ancora è possibile ascoltare (o almeno immaginare) il rimbombo delle macchine da stampa”. L’approvazione per la tipografia, san Giovanni Bosco (16 agosto 1815 – 31 gennaio 1888), la ebbe nel 1861. L’anno seguente, cominciò l’attività con piccoli macchinari per stampare i primi volumi di una proficua attività editoriale. Nel giro di pochi anni quel luogo divenne un tesoro dell’arte tipografica torinese.

Don Bosco fu un profeta e visionario, un uomo che camminava con i tempi, superandoli. A partire dal 1877, diede vita anche a un laboratorio chimico-fotografico, addirittura arrivò a ordinare persino una delle più innovative macchine dell’epoca per realizzare ampi fogli di carta, e poi si fece inviare da Zurigo, dalla ditta Escher-Wyss, una “macchina continua” che fu addirittura esposta all’Esposizione Generale di Torino nel 1884.

Pertanto, don Bosco una figura certamente poliedrica può essere legato anche alla stampa, “rappresenta davvero una santità “variopinta”: uomo e sacerdote vicino agli ultimi, a chi non poteva permettersi l’istruzione; fine intelletto; sacerdote di preghiera e di studio; instancabile pedagogo; uomo divenuto sacerdote grazie all’ausilio della Vergine Maria”. Il sacerdote piemontese ha dato una grande importanza alla comunicazione. Il santo auspica che i salesiani si impegnino «a diffondere buoni libri nel popolo usando tutti quei mezzi che la carità cristiana ispira». Il 19 marzo 1885, festa di san Giuseppe, in una lettera circolare inviata ai suoi confratelli scrive: “Fra questi (mezzi di apostolato) che io intendo caldamente raccomandarvi, per la gloria di Dio e la salute delle anime, vi è la diffusione dei buoni libri. Io non esito a chiamare Divino questo mezzo, poiché Dio stesso se ne giovò a rigenerazione dell’uomo”. Era convinto che in questa attività si imitava “l’opera del Celeste Padre”. Scrivere e pubblicare opere cattoliche era per lui una missione da vivere alla stessa stregua di quella di sacerdote.

“Una missione - scrive Tarallo - che ha visto una proliferazione di testi davvero impressionante. Sfogliando il catalogo delle pubblicazioni che sono state redatte per suo volere, si comprende bene la variegata tipologia della stampa prodotta”. Il giornalista cerca di catalogare gli scritti del santo. Ci sono gli Scritti dello stesso don Bosco: memorie; storie; compendi e profili anche sociologici dell’epoca. Poi gli articoli della sua attività “giornalistica”, gli articoli redatti per il Bollettino Salesiano. Poi, ci sono libri di vario genere (diverse le tematiche affrontate: dottrina e storia della Chiesa, soprattutto) e opuscoli religiosi. A questi, si aggiungono le varie circolari all’interno della congregazione, i programmi, gli appelli.

Ma perché scrive così tanto san Giovanni Bosco? Tarallo ricorda che per don bosco, la scrittura è un elemento tra i più importanti per formare soprattutto i giovani alla vita cattolica e sociale del Paese. “Certamente impressiona la mole di questi scritti, pensando anche al poco tempo a disposizione tra viaggi, missioni, la sfida educativa di Valdocco e tanti altri impegni che possiamo solo immaginare”.Inoltre, il giornalista evidenzia anche la chiarezza degli scritti di S. Giovanni Bosco, che “non pretese di essere un dotto o un letterato ma divenne uno scrittore apprezzato vincendo le difficoltà dell'italiano, limando la lingua in modo da renderla sempre più chiara, semplice e corretta”. Infine Tarallo cerca di fare un sintetico elenco della vastissima produzione letteraria di S. Giovanni Bosco, lui ne ha contate 150.

 

 

Dal 28 febbraio al 1° marzo, il Santuario di Pompei propone, per l’ottavo anno consecutivo, gli “Esercizi Spirituali per tutti”, per approfondire la Parola di Dio. Gli Esercizi proposti avranno come filo conduttore “Solo la carità è credibile”. Ad ogni incontro, dunque, il relatore si soffermerà sul tema della carità, intesa come amore del prossimo, in prospettiva biblica, spirituale ed etica.

Il primo appuntamento, in programma mercoledì 28 febbraio, alle 19.45, sarà affidato al biblista don Leonardo Lepore che proporrà una riflessione, dal titolo “Come te stesso”, sulla legislazione che regola l’amore del prossimo, secondo il testo di Lv 19,17-18. Giovedì 29 febbraio, invece, sempre alle 19.45, l’appuntamento è con il biblista don Antonio Landi, la cui riflessione sarà dedicata alla comprensione del gesto che Gesù compie durante l’ultima cena, riportato solo dal Vangelo di Giovanni, ovvero la lavanda dei piedi dei suoi discepoli (Gv 13, 10-17). Infine, la teologa moralista Filomena Sacco, che guiderà l’ultimo dei tre incontri, venerdì 1° marzo, offrirà una rilettura della parabola lucana del “buon Samaritano” (Lc 10,25-37), sottolineando che la compassione non è solo la spinta emotiva che induce il Samaritano ad accostarsi all’uomo derubato e ridotto in fin di vita dai briganti, ma diviene il criterio a cui ispirarsi per ottenere la vita eterna.

La carità, dunque, intesa come la più sublime ed elevata espressione dell’amore, sarà al centro della riflessione di ciascuno dei tre appuntamenti. Per offrire un testo di supporto ai partecipanti del corso di esercizi spirituali, organizzato dal Santuario, è stato dato alle stampe un sussidio con le riflessioni degli autori per sostenere al meglio il proprio cammino di configurazione a Cristo, modello di carità. Il sussidio è disponibile all’Ufficio Rettorato della Basilica mariana, aperto tutti i giorni, dal lunedì alla domenica, dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 19 (inviare una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., oppure, telefonare ai numeri 0818577379 / 0818507000).

Il ciclo di incontri “Esercizi Spirituali per tutti” rientra, quest’anno, nell’ambito degli eventi e delle celebrazioni dell’Anno della Preghiera, voluto da Papa Francesco in preparazione al Giubileo del 2025. «In questo tempo di preparazione – ha detto il Santo Padre - fin da ora mi rallegra pensare che si potrà dedicare l’anno precedente l’evento giubilare ad una grande ‘sinfonia’ di preghiera». In sintonia con Papa Francesco, il Santuario di Pompei, oltre a questi tre appuntamenti, propone incontri di preghiera, aperti a tutti, il venerdì sera, alle 19.45.

 

 

Il 6 giugno prossimo presso la Basilica del Corpus Domini, a Torino, si fa memoria del Miracolo Eucaristico del 1453. Sotto il pontificato di Niccolò V, il ducato del Piemonte e il Regno di Francia erano in guerra. Durante lo scontro armato delle truppe del Duca francese Renè d'Anjou con l'esercito piemontese nella valle d'Oulx, in mezzo al grande disordine alcuni ladri riuscirono a penetrare in una chiesa e si sono impadroniti di alcuni oggetti sacri, tra cui un Ostensorio contenente un'Ostia consacrata. Il bottino fu caricato dai malfattori sul dorso di un mulo e si diressero verso Torino. Il 6 giugno 1453 i ladri entrati in città, arrivati nella “piazza del grano”, davanti alla Chiesa di S. Silvestro, il mulo si arrestò bruscamente e si accasciò per terra. Il contenuto che i ladri avevano rubato si rovesciò per terra e fuoruscì l'Ostensorio con l'Ostia consacrata, che si sollevò in aria fino all'altezza dei tetti delle case. L'Ostesorio restò immobile, come se venisse sorretto in aria da una mano invisibile, mentre dall'Ostia si sprigionò un raggio di luce abbagliante. Naturalmente la notizia del Miracolo si diffuse in tutta la città. Il vescovo, mons. Lodovico dei Marchesi di Romagnano giunse subito presso la piazza per verificare di persona e fu lui stesso protagonista di un altro Miracolo. Si inginocchiò e con il calice in mano, lo levò verso il cielo e cominciò a pregare il Signore per far discendere l'Ostensorio a terra. Subito si aprì e l'Ostia, lasciando una scia luminosa, si posò dentro il calice del vescovo, che ordinò subito una solenne processione di ringraziamento. La sintesi del miracolo l'ho tratta daI Miracoli Eucaristici e le radici cristiane dell'Europa”, pubblicato da Edizioni Studio Domenicano (2007) a cura di Sergio Meloni e Istituto San Clemente I Papa e Martire. Con una copertina cartonata, il testo è ben documentato, riporta delle schede di tutti i Miracoli Eucaristici accaduti non solo in Italia ma in tutto il mondo, con un capitolo in riguardo alla Madonna, ai Santi e ai Mistici, alle comunioni prodigiose. Il testo è arricchito di numerose fotografie e disegni in particolare per i più piccoli. Continuo sempre dal ponderoso volume edito dai Domenicani di Bologna.

L'Ostia del Miracolo venne poi deposta nella Cattedrale della città e nel punto dove si compì il Miracolo, venne edificata la chiesa del Corpus Domini. Molti sono i documenti che testimoniano il Prodigio. I più antichi sono tre Atti Capitolari del 1454, 1455 e 1456. Inoltre vi sono alcuni scritti coevi del Comune di Torino. Nel 1853 Papa Pio IX celebrò solennemente per il quarto centenario del Miracolo, una cerimonia a cui parteciparono anche San Giovanni Bosco e Don Rua. In quell'occasione Pio IX approvò per la l'Arcidiocesi di Torino, l'Ufficio e la Messa propri del Miracolo.

Per chi è interessato la rivista Cristianità (n. 95/1983) ha pubblicato un approfondito studio di Mario Giaccone, “Torino città del Santissimo Sacramento”. Lo studio di Giaccone fa riferimento anche all'altro Miracolo che ha coinvolto la città di Torino, quello del Monte dei Cappuccini del 1640. Per entrambi i miracoli lo studioso sottolinea la grande importanza che siano avvenuti in una città che da tempo viene rappresentata lontana dalla fede, nonostante nell'Ottocento abbia avuto una meravigliosa fioritura di santità e di istituzioni volte ad alleviare, sul terreno sociale, il diluvio di mali che la politica anticristiana provocava – fu il centro del movimento risorgimentale e liberale, che portò alla creazione dello Stato centralizzato e oppressore delle libertà storiche e concrete della nazione italiana. Una città che per tutto il Novecento ha avuto, almeno nella sua classe dirigente, una parte preponderante nel processo rivoluzionario di estrazione liberale e poi marxista.

Tuttavia è ritornata la fede almeno negli strati sociali della citta, con “l’attenzione a quella preziosa ed eloquente testimonianza della Passione di Gesù che è la Santa Sindone (5). Ma, se doveroso è l’interesse per questo singolare segno della Crocifissione, la città di Torino dovrebbe fregiarsi anche dell’onore di due prodigi, che richiamano alla vera memoria della Passione, il SS. Sacramento eucaristico, in cui il Signore rinnova per noi incessantemente il Sacrificio della Croce e, sacramentalmente ma realmente, resta presente per ricordarci e per donarci il suo amore”. E qui Giaccone comincia a descrivere i due miracoli, quello del 1453, con relativo miracolo e quello del 1640 nella chiesa del Monte dei Cappuccini (17), che sorge sulle colline che circondano Torino, a oriente, oltre il Po. Anche qui c'è un fatto di guerra, Il giorno 12 maggio i francesi danno l’assalto al Monte e irrompono anche nella chiesa, dove soldati e civili si erano rifugiati, e fanno strage di uomini e donne, vecchi e bambini, senza pietà per le suppliche degli uomini né riguardo per la santità del luogo (23). La violenza e la empietà scatenate non si arrestano neppure dinanzi alle cose più sante, e un soldato mette mano al SS. Sacramento, ma d’improvviso è colpito da un fuoco che si sprigiona dal tabernacolo (24).

Tornando al miracolo del 1453, Giaccone fa riferimento ad una commissione di studio del 1975 dedita ad indagare sulla veridicità della narrazione e critica i risultati di questi “esperti”. Tuttavia, non mancano certo le testimonianze di valore e i documenti autentici attendibili. Tra l'altro esistono quattro atti della Città di Torino, dei primi anni del 1500, facenti riferimento al miracolo (41). Non mi soffermo sulle numerose testimonianze e documenti,dettagliatamente riportate dallo studio di Giaccone che potete consultare. Sulla autenticità del Miracolo di Torino Giaccone ha insistito nella polemica contro chi non crede,“si vorrebbe ridurre tutto a un fortuito ritrovamento di un’ostia, mentre la fuoruscita miracolosa, l’innalzamento e la prodigiosa discesa nelle mani del vescovo sarebbero una invenzione posteriore [...]”.

Comunque, scrive Giaccone,Si può quindi concludere che l’autenticità del miracolo si fonda sulla tradizione ininterrotta, sull’antichità e autorità delle fonti, sulla concordanza sostanziale delle medesime, e sulla molteplicità dei testimoni”. Pertanto,

“chi si ostina a negare il miracolo non ha altri argomenti che la convinzione che i miracoli non possono esistere; che Iddio, seppure c’è, non può intervenire nella nostra vita e nella storia; che i segni della presenza dello spirituale possono essere soltanto o impostura o allucinazione. Oltre che distante dalla dottrina della Chiesa, questa posizione è una negazione della onnipotenza di Dio e anche della sua presenza sacramentale: che cos’è, infatti, il ritrovamento pure così prodigioso di un’ostia consacrata, rispetto al miracolo ineffabile che ogni giorno si rinnova in ogni angolo della terra, quando, alle parole del sacerdote, il pane si trasforma in vero Corpo del Signore Nostro Gesù Cristo?”

Allora potremmo chiederci, con questo miracolo il Signore  quale significato e quale messaggio ci ha voluto trasmettere. Dal punto di vista storico, “il miracolo del 1453 acquista soprattutto il significato di richiamo alla dottrina cattolica della presenza reale di Nostro Signore nelle specie eucaristiche, di fronte all’affermarsi e all’estendersi dell’eresia valdese”. In quell’epoca, le valli piemontesi, erano abitate in gran numero da valdesi (53).

Questo miracolo di tanti anni fa che cosa ci vuol dire a noi oggi? Indubbiamente può essere un “richiamo a restare saldi nella dottrina cattolica e fedeli al culto tradizionale verso il sacramento eucaristico. Quanti oggi negano la presenza reale! E non soltanto fra i protestanti o gli increduli, bensì anche fra coloro che dicono di fare parte della santa Chiesa cattolica. Proprio da ciò deriva la gravità della situazione di oggi”. Nella storia della Chiesa, ci sono sempre stati momenti di sbandamenti, di confusione e di cadute negli errori. Occorre rilanciare il culto eucaristico, credere nella presenza reale di Nostro Signore Gesù Cristo nel Tabernacolo. Attenzione a non relegare il SS. Sacramento in un luogo trascurato della Chiesa.

 

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