Un’ascetica per essere liberi nell’ambiente digitale
Uno dei padri fondatori dell’informatica, conosciuto come lo scienziato che per primo si è occupato delle intelligenze artificiali, quasi un secolo fa ci ha messo in guardia rispetto agli inganni ed i pericoli delle macchine. Parlo del matematico, logico e filosofo britannico Alan Turing (1912-1954), i cui risultati teorici hanno profondamente influenzato lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale (IA) così come la conosciamo adesso.
Dalla rivisitazione del pensiero di questo grande uomo di scienza, nonché dalla riflessione sull’esperienza che dal 2009 al 2013 ho avuto come direttore del trimestrale Nuova civiltà delle macchine nel cui comitato scientifico sono stati, fra gli altri, filosofi, sociologi e politologi di grande rilievo come Norberto Bobbio (1909-2004), Nicola Matteucci (1926-2006), Luciano Pellicani (1939-2020), Vittorio Mathieu (1923-2020), Dario Antiseri e Marcello Pera, ho elaborato una prospettiva che potrà risultare originale ma che, comunque, credo sensato proporre per l’età che stiamo attraversando. Credo, infatti, che in un periodo storico come l’attuale di esplorazione dell’Intelligenza Artificiale in molti settori e ambiti relazionali sia necessario praticare una vera e propria ascetica per essere - o per rimanere - liberi nell’ambiente digitale che stiamo costruendo con il progressivo e pervasivo utilizzo dell’IA. Non sembri insolito proporre una “ascetica”, ovvero una specie di educazione spirituale dell’uomo, per far fronte all’Intelligenza Artificiale, anzitutto perché solo nell’ambito interiore è possibile ricavarsi e difendere quello spazio di autonomia e di distacco intellettuale rispetto ai meccanismi del digitale e in genere della tecnica e del moderno che mi pare essenziale per non perdersi nell’indistinto e nei tecnicismi.
Diciamo così: a) il mondo della comunicazione non è solo un insieme di strumenti a disposizione. È un ambiente. Un ambiente che ci osserva e raccoglie su di noi dati e poi ci invia messaggi. Pensiamo all’internet degli oggetti (The Internet of Things-IoT): il frigorifero di casa o l’aspirapolvere raccolgono su di noi dati che vengono poi processati e che portano magari a dei messaggi sul nostro IPhone. È un mondo che ci condiziona in molti modi. E che tende a imporci un modello di razionalità che è la sua: binaria, probabilistica, puramente quantitativa. Tutto ciò diviene molto più potente con l’Intelligenza Artificiale che è a tutti gli effetti un soggetto che interagisce con noi. La sua “saggezza” non è legata all’esperienza di vita e al sentimento ma ai risultati dell’elaborazione quantitativa dei nostri stessi dati attraverso gli algoritmi. Ebbene l’IA vuole che anche noi ragioniamo così. In modo standardizzato. Guardiamo come escono i film prodotti con gli algoritmi: sempre più superficiali, uniformi, trame sempre uguali le une alle altre. Noi finiamo così per appiattirci. O in alternativa dobbiamo tornare a far riferimento all’interiorità, alla dimensione spirituale. Il filosofo francese Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) diceva che di fronte alla corruzione della civilizzazione che rende sempre più artificiali occorre far appello al sentimento, all’essere contro l’apparire. Il teologo italiano naturalizzato tedesco Romano Guardini (1885-1968) parlava appunto di ascetica per non essere sudditi della tecnologia. Dobbiamo essere realisti ma proteggere quanto vi è di unico nell’essere umano.
Lo dico a ragion veduta se penso solo a come funziona il “congegno” dell’Intelligenza Artificiale rispetto all’uomo, ai suoi pensieri, alla sua vita. Questo congegno funziona catturando e immagazzinando informazioni sui suoi interlocutori umani (sembra un film di fantascienza ma non è così), processandole e creando i Big data. Questi ultimi, che sono insiemi di dati digitali che possono essere rapidamente processati da banche dati centralizzate, producono a loro volta nuove informazioni da utilizzare in mille modi: dal marketing alla profilazione o semplicemente alla gestione delle notifiche o nuovi contatti sui vari Social Network. Questo nelle società liberali. In regimi non liberali, come ad esempio in Cina, l’uso che si fa dei dati raccolti è assai più schedatorio e potenzialmente repressivo. Ma chi sa se anche da noi prima o poi... Naturalmente il “congegno” è indifferente a criteri di bene o male, di verità o non verità. Se una falsa notizia (Fake news) ha successo, la stessa gira in rete più e meglio di notizie vere ma che impressionano o colpiscono di meno sull’immaginario collettivo. Per lo stesso motivo non i filosofi ma gli influencer sono sempre più i maître a penser della Rete. Un’altra cosa importante: il “congegno” è stato studiato per osservare e PREVEDERE, l’obiettivo in definitiva è rendere tutto PREVEDIBILE. Il sogno di chi ha progettato il nuovo mondo - non a caso molti tra loro erano psicologi comportamentisti - è rendere le comunità umane soprattutto prevedibili. Ma anche uniformate, sedate. Il sogno è quello che ci muoviamo tutti come facciamo noi in strada: fermi al rosso e poi tutti in movimento al verde. Ma questo non solo nel traffico ma in ogni ambito. Questo sempre venendo incontro alle nostre inclinazioni precedentemente raccolte e indirizzandole.
La psicologa sociale statunitense Shoshana Zuboff ha detto che, come i capitalisti dell’Ottocento costruirono le loro fortune adoperando la natura e la forza fisica dell’uomo lavoratore come materie prime, così gli attuali “capitalisti della sorveglianza” digitale usano la natura interna dell’uomo, emozioni, pulsioni, desideri come materia prima per sfruttarlo. Forse questa può sembrare una visione troppo pessimistica ma, in sintesi, il ragionamento funziona così. L’analogia della Zuboff mi sembra in fondo calzante. Si cavavano materie prime nel vecchio capitalismo (minerali, combustibili etc.) si cavano materie prime dagli uomini oggi (gusti, emozioni, interessi etc. La natura la si può utilizzare bene o male. Questo vale anche per la natura dell’uomo. Può esser stimolata per produrre frutto o essere manipolata o anche iperstimolata. Pensiamo ai giovani! E comunque i rischi sono subito evidenti: il rischio di vedere l’uomo come prodotto – nel digitale così come nelle biotecnologie – è evidente. Ma c’è un altro rischio: l’economico tende a incorporare e sottomettere l’uomo al suo meccanismo. È quella che si chiama alienazione. Pensiamo a quanto ci trasmise fin dal 1936 il grande comico e regista Charlie Chaplin (1889-1977) nel film Tempi moderni (Modern Times)…
Che fare dunque?
Anzitutto occorre individuare la linea rossa. Essenziale sarebbe l’educazione e la formazione per scoprire sé stessi invece di adattarci ai modelli del “congegno”. La nostra civiltà è nata nei deserti o nelle celle dei monaci attraverso il dialogo tra uomo e Dio nel quale si è costituita la nostra interiorità. Oggi l’uomo sarà in dialogo sempre più con l’intelligenza artificiale. Non è la stessa cosa. Questa sostituirà la interiorità o sapremo preservarla innanzitutto attraverso educazione, cultura, tradizione e spiritualità? Dipende solo da noi…