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I Servizi Italiani in una loro relazione: Ancora allarme terrorismo in Italia e in Europa

Ancora allarme terrorismo in Italia e in Europa. A sottolinearlo sono stati gli stessi Servizi in una Relazione al Parlamento: "L’esposizione dell’Europa alla minaccia terroristica è testimoniata non solo dalla serie di attentati messi a segno nell’ultimo anno, ma anche dalle numerose pianificazioni sventate o fallite, con arresti anche di donne e adolescenti, dall’aumento delle segnalazioni concernenti progettualità offensive da perpetrare in territorio europeo, nonchè da valutazioni di intelligence che fanno ipotizzare ulteriori, cruente campagne terroristiche in corrispondenza con gli arretramenti militari del Califfato".

E' "sempre più concreto" il rischio che alcuni soggetti "radicalizzati in casa" decidano di non partire verso Siria ed Iraq determinandosi "a compiere il jihad direttamente in territorio italiano". Lo segnala la relazione annuale dell'intelligence inviata oggi in Parlamento, che parla di "pronunciata esposizione dell'Italia alle sfide rappresentate dal terrorismo jihadista".

"L'Italia deve difendersi e difendere la propria sovranità. Non è nessuna concessione a strane idee di voler riportare in Ue dinamiche conflittuali nei singoli paesi, noi crediamo nell'Europa ma difendiamo tuttavia i nostri interessi tecnologici e strategici", ha detto ancora il premier alla presentazione, a Palazzo Chigi, della Relazione annuale sulla politica dell'informazione per la sicurezza, a cura del Dis.

Alle minacce alla sicurezza "non si risponde chiudendosi ma accettando la sfida. Più sicurezza non vuol dire meno libertà", dice il premier Paolo Gentiloni, presentando con il direttore del Dis Pansa la relazione annuale sull'intelligence. "I cittadini italiani possono essere certi, non della mancanza di minacce perché sarebbe un'illusione ma della la qualità molto alta di chi lavora per contrastarle".

La relazione annuale sulla politica dell'informazione per la sicurezza "racconta pur tra mille contraddizioni la capacità che c'è stata di conoscere, prevenire e contrastare sfide e minacce di vario tipo anche relativamente nuove per noi. E' motivo di soddisfazione", ha detto Gentiloni.

Intanto "ha continuato a destare attenzione il fenomeno della radicalizzazione all’interno degli istituti carcerari italiani, testimoniato anche dall’esultanza manifestata da diversi detenuti dopo gli attentati di Bruxelles e Nizza, indice di un risentimento potenzialmente in grado di tradursi in propositi ostili alla fine del periodo di reclusione. Nel contempo, è parsa da non sottovalutare l’influenza negativa esercitata in alcuni centri di aggregazione da predicatori radicali o da altri personaggi dotati di una certa autorevolezza all’interno della comunità, soprattutto nei confronti di giovani privi di adeguata formazione religiosa che potrebbero essere indotti a una visione conflittuale nei confronti dell’Occidente, foriera di derive violente". 

Tra gli aspetti emergenti della pubblicistica jihadista si evidenzia "una certa evoluzione nelle strategie mediatiche. La fase espansiva dell’organizzazione di al Baghdadi si era accompagnata alla moltiplicazione e alla diversificazione di canali, prodotti e strumenti mediatici, anche con il decentramento verso strutture locali, sia realizzando pubblicazioni in più lingue, sia dedicando intere linee di produzione ad un modulo linguistico specifico, con insistiti riferimenti al Califfato quale terra ideale per vivere e costruire il proprio nucleo familiare. Alle prime, importanti sconfitte sul campo siro-iracheno è parso corrispondere un ridimensionamento quali-quantitativo dell’apparato mediatico". 

Poi il mirino si sposta sul nostro Paese e sul Vaticano: "Nei confronti dell’Italia, è proseguita nel corso dell’anno la pressante campagna intimidatoria della pubblicistica jihadista caratterizzata da immagini allusive che ritraggono importanti monumenti nazionali e figure di grande rilievo, tra cui il Pontefice". Per gli analisti, "i principali profili di criticità appaiono ancora riconducibili alla possibile attivazione di elementi ’radicalizzati in casa, dediti ad attività di auto-indottrinamento e addestramento su manuali on-line, impegnati in attività di proselitismo a favore di Daesh e dichiaratamente intenzionati a raggiungere i territori del Califfato". Al riguardo, "sempre più concreto si configura il rischio che alcuni di questi soggetti decidano di non partire - a causa delle crescenti difficoltà a raggiungere il teatro siro-iracheno ovvero spinti in tal senso da ’motivatorì con i quali sono in contatto sul web o tramite altri canali di comunicazione - determinandosi in alternativa a compiere il jihad direttamente in territorio italiano".

Maria Giulia 'Fatima' Sergio, la prima foreign fighter italiana andata in Siria nel 2014, era "fortemente determinata a dare il proprio contributo all' attuazione delle azioni terroristiche, ed anzi era desiderosa di compierle in prima persona" e il suo "scopo" era "contribuire alla crescita ed al rafforzamento" dell'Isis "anche attraverso l' arruolamento" dei familiari che, se non fossero riusciti a raggiungerla, avrebbero dovuto fare "il jihad in Italia". Lo si legge nelle motivazioni della condanna a 9 anni.

Lo scopo di Maria Giulia Sergio era quello di contribuire alla crescita dello Stato islamico", dice il tribunale, secondo cui la ragazza era disposta a raggiungere il suo obiettivo anche attraverso "l'arruolamento dei propri conoscenti" e "il coinvolgimento dei propri familiari nell'organizzazione del viaggio" per raggiungere il Califfato o in alternativa a "fare il jihad in Italia".

Dal quadro descritto nelle motivazione della sentenza, emergono la determinazione di Maria Giulia Sergio, "figura chiave della vicenda processuale" per aver "svolto una funzione di collegamento tra tutti gli altri", nel convincere i parenti con "insistenza spesso connotata da toni aggressivi e perentori". I giudici sottolineano anche il suo fastidio per il fatto "che i genitori e la sorella fossero distratti da questioni terrene", mentre la loro preoccupazione doveva essere solo "quella di sostenere la crescita dello Stato islamico come lei stava facendo". Al padre di Fatima, Sergio Sergio, la Corte d'Assise di Milano ha concesso quindi le attenuanti generiche perché "la decisione di organizzare il viaggio per raggiungere la Siria con la propria famiglia" sarebbe maturata "in un contesto di continue pressioni poste in essere dalle figlie".

Decisivo sarebbe invece l'influsso del marito di Fatima, Aldo Kobuzi, che "ha rivestito un ruolo essenziale per la vita e l'espansione dell'organizzazione terroristica" ed è, secondo i giudici, "l'imputato che maggiormente ha tradotto in concretezza la sua 'vocazionè al jihad".

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