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Sabato, 17 Maggio 2025

Nella città eterna, un palcoscenico intriso di storia ha fatto da sfondo a una commemorazione che ha saputo trascendere il lutto, elevandosi a celebrazione della resilienza attraverso il linguaggio universale dell'arte.
Lo scorso 9 maggio - in occasione del centodecimo anniversario del Genocidio Armeno - l'Aula Magna della Facoltà Teologica Valdese ha ospitato un evento di profonda risonanza emotiva e culturale, orchestrato con sensibilità da Assoarmeni RomaLazio, sotto l'egida dell'Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia.
Lungi dall'essere una mera ricorrenza formale, la serata si è configurata come un itinerario toccante tra memoria e speranza, dolore sedimentato e vibrante vitalità, tessuto attraverso le trame dell'espressione artistica in molteplici forme.
Ad aprire il sipario, una mostra collettiva di artisti armeni, un audace tentativo di sublimare la sofferenza in creazioni di intensa bellezza. Le opere di maestri come Gerard Orakian e Nwarth Zarian, con la loro potente sintesi formale, hanno evocato le schegge di un passato traumatico. Il poliedrico Grigor Machanents ha offerto un linguaggio visivo in cui l'eco dell'iconografia sacra si fonde con un simbolismo squisitamente moderno.
La delicatezza luminosa di Teresa Sargsyan e Laura Pogosyan ha suggerito spiragli di guarigione interiore, mentre la matericità vibrante delle ceramiche di Elisabetta Mokhtariants e delle sculture di Anastasia Chaikovskaia ha offerto una connessione quasi primordiale con la materia.
Un capitolo a parte ha meritato l'esposizione delle opere di Endza (Gevorg Babakhanyan), intrise di una profonda autobiograficità e di una ricerca di autenticità emotiva che trascende la mera estetica.
Attraverso un viaggio di ritratti intensi e cromie evocative, l'esposizione ha restituito il ritratto di un'identità collettiva ferita, ma indomita, dove ogni tratto di pennello si fa testimonianza silenziosa contro l'oblio.
Il filo conduttore della memoria si è poi snodato attraverso la toccante rievocazione della vicenda di Aurora Mardiganian, sopravvissuta all'orrore del genocidio.
Anush Torunyan, presidente di Assoarmeni RomaLazio, ha sottolineato con forza il ruolo cruciale della cultura come baluardo di testimonianza e strumento di resistenza. Il saluto istituzionale di Marietta Stepanyan - in rappresentanza dell'Ambasciatore della Repubblica d'Armenia in Italia S.E. Vladimir Karapetyan - ha idealmente unito Roma a Yerevan e alle comunità armene disseminate nel mondo.
La storica Zara Pogossian - docente presso l'Università di Firenze - ha introdotto con la sua profonda erudizione in storia armena la giornalista e traduttrice Letizia Leonardi, curatrice dell'edizione italiana dell'opera "Armenia Violata", il racconto crudo e potente della Mardiganian, scampata al genocidio e divenuta simbolo universale di denuncia civile grazie alla sua autobiografia e ai film Ravished Armenia di Oscar Apfel (1919) e Aurora's Sunrise di Inna Sahakyan (2022).
Con un intervento appassionato, arricchito da immagini d'archivio e brevi sequenze filmiche, Leonardi ha restituito la portata sconvolgente di una testimonianza diretta, che squarcia le interpretazioni asettiche della storia del Metz Yeghern, ossia il Grande Male, l'espressione che gli armeni utilizzano in riferimento al genocidio. "Leggere la storia su un manuale è un conto - ha spiegato - sentirla raccontare per voce di chi l'ha vissuta è un pugno nello stomaco". Il suo ricordo di Ruben Vardanyan, prigioniero politico a Baku, ha rappresentato un monito vibrante contro le persistenti violazioni dei diritti umani.
A sigillare la serata, un concerto di musica classica armena ha elevato lo spirito attraverso le magistrali interpretazioni della pianista Natalia Pogosyan e del violinista Alexei Doulov.
Le note di Komitas, Khachaturian, Baghdasaryan, Babadjanian e Terteryan hanno intessuto un viaggio sonoro attraverso l'anima armena, alternando la malinconia struggente a un'esplosiva vitalità popolare.
L'omaggio a Komitas, padre della musica armena, ha risuonato con la purezza di melodie ancestrali. L'entusiasmo ha accolto anche le straordinarie esibizioni dei giovanissimi pianisti Artashes Mosikyan e Hayk Giulhakyan, talenti inattesi che hanno confermato la vivacità e la promessa della cultura armena nelle nuove generazioni.
Sotto la luce filtrata dalle vetrate policrome di Paolo Paschetto, l'Aula Magna si è trasfigurata in una cattedrale laica della memoria, un luogo dove arte, musica e parola si sono congiunte per restituire dignità a un popolo che ha saputo convertire l'indicibile sofferenza in una tenace forza di resistenza e quest'ultima in un'espressione di sublime bellezza.
Un evento destinato a lasciare un segno indelebile, un eloquente monito in un'epoca in cui la memoria storica è costantemente insidiata dall'oblio e dalla manipolazione. Serate come questa si ergono, dunque, non solo come atti di doveroso ricordo, ma come imprescindibili manifestazioni di civiltà.

In queste ore sembra che il problema fondamentale di certi giornalisti sia se il Papa Leone XIV è in continuità con il pontificato di Papa Francesco. Il motivo? Per dire che è un Papa progressista o addirittura di sinistra? Come se Papa Francesco era da catalogare come un Papa progressista o, peggio, vicino alla sinistra. Nulla di tutto questo Francesco è stato un Papa con le sue particolari caratteristiche, con qualche iniziativa discutibile sul piano sociopolitico, ma che non si è discostato, per quanto riguarda la Dottrina, di un centimetro dagli altri pontefici. Invito a leggere attentamente il suo Magistero. Un’altra ossessione giornalistica è quella di far apparire il Papa Leone XIV un nemico di Trump, perlomeno, “il meno americano tra i cardinali americani”. Infatti, appena Leone XIV è stato eletto Papa e si è presentato al mondo, in tanti hanno fatto le pulci al suo profilo social per trovare qualcosa, dei post in disaccordo con alcune scelte politiche di Donald Trump. E così, il successore di Pietro è stato bollato come l'anti-Trump e soprattutto nel solco di Jorge Mario Bergoglio. C’era una narrazione che prevedeva – anche a partire dal dato oggettivo che la grande maggioranza di esso era costituito da cardinali nominati proprio da papa Bergoglio – “che il nuovo papa dovesse essere "naturalmente" non tanto il successore di Pietro, ma il successore di Francesco, e proseguire il "rinnovamento" rimanendo fedele alla sua ispirazione”. Per il professore Eugenio Capozzi, “è innegabile che l'elemento più "disturbante" per i tanti osservatori "ultrabergogliani" sia stato innanzitutto il fatto in sé che il nuovo pontefice provenga dagli Stati Uniti”. Un fastidio eminentemente politico, attendevano, forse, un papa appartenente ad altri continenti; invece, è arrivato per la prima volta un papa nordamericano. E pertanto il mainstream progressista ha attivato subito “l'allarme di un possibile collegamento tra questa novità e il fatto che oggi negli Stati Uniti al governo vi sia quello che per esso è pressappoco il diavolo incarnato, ossia Donald Trump. La nazionalità del nuovo pontefice si andava a connettere immediatamente, in modo subliminale, nelle menti di quegli osservatori, al famigerato meme che ritraeva il presidente statunitense con in testa la mitra papale, suscitando sensazioni disagevoli e angosciose”. (Eugenio Capozzi, Non sarà trumpiano, ma l'elezione di Prevost è una sconfitta del "partito cinese", 12.5.25, lanuovabq.it)Invece la realtà è più complessa, ha spiegato Federico Rampini, ospite a “In altre parole”, su La7. "La prima buona notizia di questo Papa, che a me piace tantissimo, è che finalmente non si parlerà dell'America soltanto a proposito di Donald Trump. L'America è importante anche per altre ragioni", ha detto per esordire l'esperto di geopolitica. Il suggerimento che ne consegue, quindi, è di evitare "di classificare" Robert Francis Prevost "in base alla politica interna americana, pro o contro Trump, perché sarebbe un insulto alla storia della Chiesa. Non serve una caricatura della Chiesa trumpiana". Per Rampini uno dei fattori che emerge senza il bisogno di tante ricerche "è lo spostamento a destra dei cattolici", evidente soprattutto alle ultime elezioni di Trump. Il presidente Usa ha vinto anche a causa di "un certo dogmatismo delle frange più radicali della comunità LGBTQ, dell'educazione sessuale nelle scuole sul tema del gender, del diritto di cambiare sesso anche in età prepuberale". Queste battaglie "hanno spaventato le famiglie, hanno spaventato i genitori, hanno spaventato le minoranze etniche e tutti si sono spostati su Trump", ha concluso Rampini. E sulla questione del cattolicesimo americano è intervenuto Antonio Socci (Alla scoperta dell’America [Cattolica] di Leone XIV. ‘rendere ancora grande la Chiesa, 10.5.25, Libero) Qualcuno ha la sensazione che il nuovo papa al papa polacco Karol Wojtyla. L'elezione di Giovanni Paolo II, nel 1978, fece conoscere a tutto il mondo la fede cattolica del popolo polacco, da cui poi venne la scintilla che fece crollare (in modo incruento) il mostro comunista dell'Est europeo”, scrive Socci. Mentre oggi “l'elezione di Leone XIV fa scoprire a tutti la fioritura e la vivacità del cattolicesimo americano. Perché gli Stati Uniti, negli anni di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI e il loro impulso, hanno vissuto una grande rinascita della fede cattolica che sembrava smarrita e che è diventata socialmente molto rilevante”. È un caso sorprendente e “provocatorio” perché rovescia il paradigma della sociologia secondo cui la modernità è sinonimo di laicizzazione e scristianizzazione. Pertanto, se gli Stati Uniti sono il cuore della modernità, la sua avanguardia: “che il cattolicesimo rinasca con forza proprio lì è la smentita più clamorosa di quell'errata idea della modernità”, peraltro era una tesi questa del sociologo delle religioni Rodney Stark. Con 72 milioni di cattolici negli Usa, il cattolicesimo è diventata la religione più organizzata del Paese. I cattolici hanno contribuito in maniera determinante alla vittoria di Donald Trump, che ha l’amministrazione piena di cattolici, a cominciare dal suo vice J.D. Vance. Siamo di fronte a una primavera del cattolicesimo americano? Per Socci sembra di sì, a questo proposito, racconta una serie di episodi a sostegno di questa tesi. A cominciare da Marco Rubio, il giovane Segretario di Stato di Trump, che è stato irriso dai media, perché il Mercoledì delle Ceneri si è presentato a un'intervista televisiva con una vistosa croce tracciata sulla fronte (aveva appena partecipato al rito cattolico delle ceneri da cui inizia la Quaresima). Sembrava una cosa ridicola in un uomo politico così importante. Poi sono uscite foto di altri politici cattolici, anche Dem, che portavano lo stesso segno. Così si è scoperto che negli Stati Uniti è una cosa normale. Maurizio Molinari, già direttore di Repubblica, commentando giovedì sera l'elezione di Prevost, spiegava che oltreoceano i cattolici hanno una fede solida, “riempiono le chiese e sono orgogliosi di essere cattolici”. Secondo Socci, “si è verificata una spaccatura storica fra elettorato cattolico e Partito Democratico, ormai lontano da Kennedy e sprofondato nell'ideologia wake. Mentre, con la crisi del mondo fondamentalista protestante, i cattolici sono diventati la nuova base culturale e politica dei repubblicani. Infine, il giornalista di Libero è convinto che il nuovo Papa americano, “costruito” dall'Arcivescovo di New York, card. Timoty Dolan, potrà essere la figura ideale per unire tutto l'episcopato statunitense e poi quello sudamericano (a cui anche Prevost apparteneva), infine la Curia da cui proviene. Infine, Socci ricorda che la Chiesa americana adesso sarà una risorsa anche economica fondamentale per il Vaticano con i conti in rosso. Sulla pace può esserci una grande alleanza fra Santa Sede e Casa Bianca. La diversità di vedute con Trump sull’immigrazione, molto accentuata dai nostri media, in realtà riguarda assai più i modi di gestione che il problema in sé. Il Papato americano può svolgere un ruolo di moderazione prezioso per un'amministrazione Trump a volte sopra le righe.

 

In un’epoca segnata da conflitti e instabilità, che minacciano gravemente l’eredità culturale dei popoli, Italia e Grecia si uniscono per affrontare una sfida comune: la tutela del patrimonio culturale in tempi di crisi. È questo il cuore della conferenza “Tutela del Patrimonio Culturale in Tempo di Crisi: Cooperazione Internazionale e Buone Pratiche”, che si terrà giovedì 15 maggio 2025 alle ore 9:15 presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Roma Tre, in via Ostiense 234-236.

L’iniziativa è promossa dall’Istituto Ellenico della Diplomazia Culturale – Sede di Roma, con il patrocinio dell’Ambasciata di Grecia in Italia e del Comune di Roma, e nasce dalla consapevolezza dell'urgenza di proteggere i beni culturali, spesso vittime silenziose di guerre e instabilità geopolitiche.

Un confronto tra esperti e forze specializzate

Protagonisti dell’incontro saranno alcuni tra i più autorevoli rappresentanti delle forze impegnate nella salvaguardia dei beni culturali. Interverranno, infatti:

  • Ekaterini Markidis, Capo del Dipartimento per i Beni Culturali e le Antichità della Polizia ellenica
  • Sottotenente Aggeliki Tsoukala, Polizia ellenica
  • Paolo Befera, Comandante del Reparto Operativo del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (TPC)
  • ssa Giuliana Calcani, Direttrice del Laboratorio sul Falso – Università Roma Tre
  • Emanuele Bellini, Università Roma Tre
  • Carlo Citter, Università di Siena, che modererà l’incontro

A introdurre i lavori saranno i saluti istituzionali del Prof. Alberto D’Anna, Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici di Roma Tre, e di S.E. Eleni Sourani, Ambasciatore di Grecia in Italia. È prevista anche la partecipazione di un rappresentante del Comando Carabinieri TPC.

Sinergie tra Grecia e Italia per la protezione dell’eredità comune

Il dialogo tra le forze di tutela greche e italiane si fonda su una collaborazione consolidata, che ha prodotto negli ultimi anni interventi congiunti, scambi di competenze e operazioni efficaci contro il traffico illecito di opere d’arte. La conferenza si propone non solo come un momento di riflessione, ma anche come un’occasione concreta per condividere buone pratiche, esperienze operative e modelli di cooperazione applicabili anche in altri contesti internazionali.

Un appuntamento imperdibile per studiosi, operatori culturali, forze dell’ordine e per tutti coloro che credono nel valore universale della cultura e della memoria collettiva.

 

 

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