110 anni dal Genocidio Armeno: a Roma un evento tra arte, memoria e impegno civile
Nella città eterna, un palcoscenico intriso di storia ha fatto da sfondo a una commemorazione che ha saputo trascendere il lutto, elevandosi a celebrazione della resilienza attraverso il linguaggio universale dell'arte.
Lo scorso 9 maggio - in occasione del centodecimo anniversario del Genocidio Armeno - l'Aula Magna della Facoltà Teologica Valdese ha ospitato un evento di profonda risonanza emotiva e culturale, orchestrato con sensibilità da Assoarmeni RomaLazio, sotto l'egida dell'Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia.
Lungi dall'essere una mera ricorrenza formale, la serata si è configurata come un itinerario toccante tra memoria e speranza, dolore sedimentato e vibrante vitalità, tessuto attraverso le trame dell'espressione artistica in molteplici forme.
Ad aprire il sipario, una mostra collettiva di artisti armeni, un audace tentativo di sublimare la sofferenza in creazioni di intensa bellezza. Le opere di maestri come Gerard Orakian e Nwarth Zarian, con la loro potente sintesi formale, hanno evocato le schegge di un passato traumatico. Il poliedrico Grigor Machanents ha offerto un linguaggio visivo in cui l'eco dell'iconografia sacra si fonde con un simbolismo squisitamente moderno.
La delicatezza luminosa di Teresa Sargsyan e Laura Pogosyan ha suggerito spiragli di guarigione interiore, mentre la matericità vibrante delle ceramiche di Elisabetta Mokhtariants e delle sculture di Anastasia Chaikovskaia ha offerto una connessione quasi primordiale con la materia.
Un capitolo a parte ha meritato l'esposizione delle opere di Endza (Gevorg Babakhanyan), intrise di una profonda autobiograficità e di una ricerca di autenticità emotiva che trascende la mera estetica.
Attraverso un viaggio di ritratti intensi e cromie evocative, l'esposizione ha restituito il ritratto di un'identità collettiva ferita, ma indomita, dove ogni tratto di pennello si fa testimonianza silenziosa contro l'oblio.
Il filo conduttore della memoria si è poi snodato attraverso la toccante rievocazione della vicenda di Aurora Mardiganian, sopravvissuta all'orrore del genocidio.
Anush Torunyan, presidente di Assoarmeni RomaLazio, ha sottolineato con forza il ruolo cruciale della cultura come baluardo di testimonianza e strumento di resistenza. Il saluto istituzionale di Marietta Stepanyan - in rappresentanza dell'Ambasciatore della Repubblica d'Armenia in Italia S.E. Vladimir Karapetyan - ha idealmente unito Roma a Yerevan e alle comunità armene disseminate nel mondo.
La storica Zara Pogossian - docente presso l'Università di Firenze - ha introdotto con la sua profonda erudizione in storia armena la giornalista e traduttrice Letizia Leonardi, curatrice dell'edizione italiana dell'opera "Armenia Violata", il racconto crudo e potente della Mardiganian, scampata al genocidio e divenuta simbolo universale di denuncia civile grazie alla sua autobiografia e ai film Ravished Armenia di Oscar Apfel (1919) e Aurora's Sunrise di Inna Sahakyan (2022).
Con un intervento appassionato, arricchito da immagini d'archivio e brevi sequenze filmiche, Leonardi ha restituito la portata sconvolgente di una testimonianza diretta, che squarcia le interpretazioni asettiche della storia del Metz Yeghern, ossia il Grande Male, l'espressione che gli armeni utilizzano in riferimento al genocidio. "Leggere la storia su un manuale è un conto - ha spiegato - sentirla raccontare per voce di chi l'ha vissuta è un pugno nello stomaco". Il suo ricordo di Ruben Vardanyan, prigioniero politico a Baku, ha rappresentato un monito vibrante contro le persistenti violazioni dei diritti umani.
A sigillare la serata, un concerto di musica classica armena ha elevato lo spirito attraverso le magistrali interpretazioni della pianista Natalia Pogosyan e del violinista Alexei Doulov.
Le note di Komitas, Khachaturian, Baghdasaryan, Babadjanian e Terteryan hanno intessuto un viaggio sonoro attraverso l'anima armena, alternando la malinconia struggente a un'esplosiva vitalità popolare.
L'omaggio a Komitas, padre della musica armena, ha risuonato con la purezza di melodie ancestrali. L'entusiasmo ha accolto anche le straordinarie esibizioni dei giovanissimi pianisti Artashes Mosikyan e Hayk Giulhakyan, talenti inattesi che hanno confermato la vivacità e la promessa della cultura armena nelle nuove generazioni.
Sotto la luce filtrata dalle vetrate policrome di Paolo Paschetto, l'Aula Magna si è trasfigurata in una cattedrale laica della memoria, un luogo dove arte, musica e parola si sono congiunte per restituire dignità a un popolo che ha saputo convertire l'indicibile sofferenza in una tenace forza di resistenza e quest'ultima in un'espressione di sublime bellezza.
Un evento destinato a lasciare un segno indelebile, un eloquente monito in un'epoca in cui la memoria storica è costantemente insidiata dall'oblio e dalla manipolazione. Serate come questa si ergono, dunque, non solo come atti di doveroso ricordo, ma come imprescindibili manifestazioni di civiltà.