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Il Parlamento europeo ha recentemente approvato una risoluzione cruciale per il sostegno all’Ucraina, segnando un momento significativo nella politica internazionale. La risoluzione, che ha ottenuto 425 voti favorevoli, 131 contrari e 63 astenuti, pone l’accento sulla necessità di rimuovere le restrizioni all’uso delle armi inviate dall’Unione Europea. Questa mossa permetterebbe all’Ucraina di utilizzare tali armamenti per colpire obiettivi legittimi in territorio russo, rafforzando così la sua capacità di autodifesa in conformità con il diritto internazionale.

La questione ha suscitato reazioni contrastanti tra i partiti italiani presenti al Parlamento europeo. Mentre alcuni membri hanno espresso un voto contrario al paragrafo 8 della risoluzione, che tratta specificamente dell’utilizzo delle armi occidentali in Russia, altri hanno mostrato supporto o si sono astenuti. Tra gli astenuti figurano Lucia Annunziata (Pd) e Herbert Dorfmann (Svp-Fi), mentre sorprendentemente Lara Magoni e Ruggero Razza di Fratelli d’Italia hanno votato a favore, sebbene ciò possa essere stato un errore.

Il divieto attualmente vigente è visto come un ostacolo alla piena esercitazione del diritto all’autodifesa da parte dell’Ucraina: questa posizione è stata criticata da tutto il centrodestra italiano che non ha sostenuto questo punto della risoluzione. Anche Forza Italia si è largamente opposta alla linea della sua famiglia politica europea, insieme a M5s e Verdi. Il Pd invece ha mostrato posizioni divergenti riguardo alla questione.

Il divieto attualmente in vigore è considerato da alcuni come un ostacolo alla piena autodifesa dell'Ucraina, una posizione criticata dall’intero centrodestra italiano, che non ha appoggiato il punto chiave della risoluzione. Forza Italia, insieme al Movimento 5 Stelle e ai Verdi, si è ampiamente opposta alla linea della sua famiglia politica europea, mentre il Partito Democratico ha mostrato posizioni divergenti.

Un colpo di scena è arrivato con il sostegno alla risoluzione da parte di Carola Rackete, capitana tedesca nota per le sue azioni umanitarie nel Mediterraneo. Rackete ha appoggiato l'uso degli armamenti occidentali sul territorio russo, una presa di posizione sorprendente e lontana dalle aspettative di molti, specialmente tra coloro che sostengono una posizione di pace senza compromessi. Questa scelta ha rappresentato una svolta per la sinistra europea, che in gran parte si è opposta al paragrafo 8.

Oltre a Rackete, anche deputati finlandesi, svedesi e danesi hanno sostenuto la mozione, evidenziando le profonde divisioni all'interno del Parlamento Europeo riguardo al sostegno militare all'Ucraina. La votazione riflette le complesse dinamiche politiche e la varietà di opinioni su come affrontare il conflitto in corso con la Russia, un conflitto che dura ormai da più di due anni senza una soluzione all'orizzonte.

Il presidente della Duma russa, Viaceslav Volodin, ha reagito duramente all’approvazione della risoluzione, dichiarando che essa "conduce verso una guerra mondiale con armi nucleari". Volodin ha criticato in particolare il paragrafo 8, che invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni sull'uso delle armi occidentali contro obiettivi militari in Russia.

Alcuni Paesi, tra cui l'Italia, hanno mantenuto una posizione ferma contro l'uso di armi in territorio russo. Il Belgio ha pubblicamente posto un veto sull'impiego offensivo degli F-16, mentre la Spagna ha mostrato una certa riluttanza a fornire armi per attaccare la Russia. Tuttavia, la situazione rimane complessa, con restrizioni parziali e totali che rendono difficile tracciare un quadro completo delle posizioni dei vari Stati membri.

La risoluzione non è giuridicamente vincolante per gli Stati membri, ma rappresenta un chiaro messaggio politico. L'assemblea di Strasburgo chiede inoltre di accelerare la consegna di armi e munizioni a Kyiv, in particolare sistemi di difesa aerea e missili a lungo raggio come i Taurus tedeschi, più volte richiesti dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky ma finora negati da Berlino. 

In Italia, la maggior parte degli europarlamentari ha votato contro il paragrafo che rimuove i limiti all'uso delle armi in Russia. Contrari Lega, Fratelli d'Italia, Forza Italia (con alcune eccezioni), Movimento 5 Stelle e Verdi. Spaccatura nel Pd: solo Elisabetta Gualmini e Pina Picierno hanno votato a favore, mentre la maggioranza si è espressa contro o si è astenuta. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato che "voteremo no all'emendamento che prevede l'utilizzo delle armi al di fuori del territorio ucraino, in sintonia con quello che ha sempre deciso il governo". Una posizione in linea con quella tenuta finora dall'Italia, contraria ad allargare il conflitto oltre i confini dell'Ucraina.

La recente risoluzione approvata dal Parlamento Europeo a Strasburgo non si limita al controverso tema delle armi, ma affronta anche una serie di questioni cruciali per il sostegno all'Ucraina e il contrasto alla Russia. Tra i punti salienti, vi è la critica alla riduzione degli aiuti militari bilaterali da parte di alcuni Stati membri, con l’invito a rispettare l’impegno, assunto nel marzo 2023, di fornire un milione di munizioni a Kyiv. L'Europarlamento sottolinea la necessità di un maggiore impegno da parte dei Paesi dell'UE e degli alleati della NATO, chiedendo che il sostegno militare all'Ucraina raggiunga almeno lo 0,25% del loro PIL annuo.

Inoltre, la risoluzione rafforza la posizione europea sulle sanzioni contro la Russia, chiedendo non solo di mantenere le attuali misure restrittive, ma anche di ampliarle. Viene richiesto un inasprimento delle sanzioni nei confronti dell'Iran e della Corea del Nord per il loro supporto militare a Mosca, così come l'inclusione di nuove entità e individui cinesi nella lista nera dell'UE. La risoluzione propone anche un embargo totale sul gas naturale liquefatto russo e sanzioni dirette contro Gazprom, il gigante dell'energia russo, evidenziando come la dipendenza europea dalle risorse energetiche russe debba essere drasticamente ridotta.

Un tema altrettanto delicato riguarda i beni russi congelati. L’Europarlamento accoglie con favore la decisione del G7 di garantire all’Ucraina un prestito di 50 miliardi di dollari, garantito dagli asset statali russi immobilizzati, e chiede di accelerare l’attuazione di questo piano. Viene anche sollecitata la creazione di un quadro giuridico solido per la confisca di tali beni, che dovrebbero essere utilizzati per la ricostruzione dell’Ucraina. Questo punto, se attuato, rappresenterebbe un importante strumento economico per aiutare Kyiv nella fase post-bellica, sebbene rimanga complesso dal punto di vista legale.

La risoluzione affronta anche la drammatica situazione umanitaria in Ucraina. Condanna fermamente l'uso della violenza sessuale come arma di guerra e richiede un'assistenza più robusta per le vittime di questi crimini. Un altro aspetto che suscita grande preoccupazione è la deportazione forzata di civili ucraini in Russia, con particolare attenzione alla situazione dei minori. L'Europarlamento chiede che vengano imposte sanzioni severe contro i responsabili di queste deportazioni, segnalando come tali azioni rappresentano una grave violazione dei diritti umani e del diritto internazionale.

Questa risoluzione evidenzia l’intenzione del Parlamento Europeo di mantenere una linea ferma contro la Russia, non solo sul fronte militare, ma anche economico e umanitario. Tuttavia, le proposte avanzate pongono sfide considerevoli in termini di coordinamento internazionale e di equilibri politici interni all'Unione.

 

Fonte varie Agenzie 

 

 

Una stretta di mano a favore di fotografi e un colloquio di poco più di un’ora tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e Mario Draghi. Il giorno dopo l’investitura di Raffaele Fitto come vicepresidente esecutivo della Commissione, la premier ha ricevuto il suo predecessore in un incontro – che lei stessa aveva sollecitato – che è anche un messaggio a Bruxelles. Sul tavolo un confronto “approfondito” sul Rapporto sul futuro della competitività europea redatto dall’ex numero uno della Bce su incarico di Ursula von der Leyen.

Nel report, sottolinea Palazzo Chigi in una nota, ci sono “diversi importanti spunti” per il governo, tra cui “la necessità di un maggiore impulso all’innovazione, la questione demografica, l’approvvigionamento di materie prime critiche e il controllo delle catene del valore e, più in generale, la necessità che l’Europa preveda strumenti adatti a realizzare le sue ambiziose strategie – dal rafforzamento dell’industria della difesa fino alle doppie transizioni – senza escludere aprioristicamente nulla, compresa la possibilità di un nuovo debito comune”. 

Una necessità, quella di strumenti di finanziamenti comuni, sempre affermata da Meloni e che potrebbe rilanciare con maggior forza proprio facendo leva sul report (non a caso criticato da alcuni Paesi ‘frugali’). Infatti, nella nota si sottolinea che le priorità indicate da Draghi sono “condivise” e “rispecchiano anche il lavoro portato avanti dal Governo in Italia e nelle Istituzioni europee”. Meloni e Draghi continueranno a tenersi “in contatto” per “continuare ad approfondire queste materie”.

L'aumento degli investimenti in innovazione, l'enfasi sulla decarbonizzazione senza sacrificare la competitività e la riduzione della dipendenza dell'Europa da potenze esterne per questioni chiave come la sicurezza, l'energia e la tecnologia sono gli ingredienti che compongono la "medicina" di Mario Draghi per salvare l'Unione Europea.

Durante la sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, l'ex Presidente del Consiglio italiano ha presentato il suo discusso rapporto intitolato "Il futuro della competitività europea" in un "momento critico per l'Europa", come è stato sottolineato.

Il rapporto è stato presentato la scorsa settimana anche alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

"L'Europa si trova di fronte a un mondo di cambiamenti drammatici. Questo è il punto di partenza della relazione. Un mondo in cui decenni di modelli di business sono messi in discussione e le dipendenze diventano debolezze geopolitiche. L'Europa è la più esposta a questi cambiamenti", ha detto Mario Draghi dal podio.

"Il commercio supera il 50% del PIL, ma ci affidiamo ai fornitori per le materie prime critiche. Allo stesso tempo, siamo in ritardo nelle nuove tecnologie. Solo quattro delle prime 50 aziende tecnologiche sono europee", ha aggiunto, aggiungendo che anche in termini di difesa, pochissimi Stati membri della NATO spendono ciò che hanno promesso all'alleanza.

Presentando il suo rapporto, Mario Draghi, ex primo ministro italiano, ha dichiarato di averlo redatto come esperto, sottolineando che fornisce una diagnosi della situazione attuale dell'Unione Europea e offre raccomandazioni su come l'Europa possa progredire. Draghi ha espresso la sua preoccupazione non tanto per un immediato impoverimento, ma per il rischio che l'UE, a lungo termine, perda prosperità, sicurezza e quindi libertà di scelta sul proprio destino.

Il rapporto non si limita alla competitività economica dell'UE, ma affronta il futuro stesso dell'Unione, sottolineando che la sua esistenza è legata alla capacità di mantenere vive le promesse sui valori europei. Se l'UE non sarà più in grado di farlo, secondo Draghi, rischia di perdere la propria ragion d'essere.

Obiettivo del rapporto

L'obiettivo del rapporto è creare una strategia per cambiare il corso dell'Europa, trovando soluzioni pragmatiche alle sfide complesse che l'UE si trova ad affrontare. Il rapporto si concentra su tre aree principali: colmare il divario di innovazione con Stati Uniti e Cina, sviluppare un piano che unisca decarbonizzazione e competitività, e rafforzare la sicurezza europea riducendo la dipendenza dalle potenze straniere.

Innovazione

Draghi ha evidenziato che il principale problema dell'Europa è la mancanza di dinamismo nel trasformare nuove idee in successi commerciali. Le startup europee faticano a trovare finanziamenti in Europa, spesso cercandoli negli Stati Uniti, e molte aziende innovative trasferiscono le loro sedi fuori dall'UE. Per affrontare questo problema, il rapporto propone una revisione dell'ecosistema dell'innovazione, rafforzando i centri di eccellenza tecnologica e creando un "nuovo statuto europeo" per le startup, che garantirebbe loro una legislazione armonizzata e un'identità digitale.

Draghi ha anche sottolineato l'importanza di integrare l'intelligenza artificiale nel settore industriale, non limitandone l'uso, ma comprendendo il potenziale per accelerare lo sviluppo delle imprese. Gli investimenti in tecnologia e nelle persone devono procedere di pari passo per garantire una crescita sostenibile.

Decarbonizzazione

Per quanto riguarda la decarbonizzazione, Draghi ha affermato che ridurre i prezzi dell'energia passa attraverso l'adozione di fonti energetiche sicure e pulite. Il gas, nonostante rappresenti solo il 20% del mix energetico dell'UE, ha determinato il 63% dei prezzi nel 2022. Accelerare la transizione energetica permetterà di rendere i prezzi dell'energia meno volatili e più sostenibili.

La decarbonizzazione, secondo Draghi, rappresenta anche un'opportunità per l'industria europea, che è già leader nell'energia pulita e nell'innovazione verde. Tuttavia, ha messo in guardia contro la crescente concorrenza cinese, la cui produzione di fotovoltaico entro il 2030 raddoppierà la domanda globale. Il rapporto propone soluzioni specifiche per sostenere l'industria europea in questo settore cruciale.

Sicurezza e indipendenza
Infine, Draghi ha evidenziato l'importanza di aumentare la sicurezza e ridurre la dipendenza dell'Europa dalle potenze straniere. La pace, sia interna che esterna, è l'obiettivo primario dell'UE, ma le minacce alla sicurezza stanno crescendo, e l'Europa deve essere pronta e indipendente per mantenere la propria libertà.

Per garantire l'approvvigionamento di materie prime critiche, Draghi propone di diversificare i fornitori e aumentare la capacità di difesa europea. Sebbene i costi per rafforzare la sicurezza saranno elevati, una strategia ben pianificata renderà tali investimenti più sostenibili e garantirà una maggiore indipendenza per il futuro dell'Unione.

Secondo la relazione presentata da Mario Draghi, per sviluppare un'agenda realistica in grado di rafforzare la competitività dell'UE, saranno necessari tra i 750 e gli 800 miliardi di euro all'anno, destinati a finanziare progetti già concordati a livello europeo. Draghi ha precisato che circa l'80% di questi fondi potrebbe essere ottenuto dal settore privato, mentre il restante 20% dovrebbe provenire da investimenti pubblici, compresa l'emissione di nuovo debito comune europeo per sostenere progetti chiave.

Draghi ha sottolineato che l'UE ha fissato obiettivi ambiziosi, tra cui diventare neutrale dal punto di vista climatico, modernizzare l'infrastruttura digitale e promuovere l'innovazione. Ha aggiunto che, secondo l'analisi contenuta nel rapporto, saranno necessari investimenti pari a 800 miliardi di euro all'anno per raggiungere questi traguardi, considerati essenziali per mantenere la competitività dell'Europa.

Se si contesta la necessità di tali investimenti, ha affermato Draghi, si mette in discussione anche il perseguimento degli obiettivi dell'UE stessa. L'Europa, ha concluso, si trova di fronte a una scelta tra la paralisi, l'uscita o una maggiore integrazione, e solo quest'ultima rappresenta la vera speranza per il futuro dell'Unione.

 

 

 

 

A Roma nella stupenda cornice del Palazzo Ferrajoli, sede della Regione Friuli Venezia Giulia è stata la conferenza stampa di presentazione di EUREKA, la Fiera Nazionale della Cultura e della Creatività in programma il 29 e 30 ottobre 2024 alla Fiera di Pordenone. "Eureka 2024 rappresenta una vetrina unica per la valorizzazione della cultura e dei prodotti creativi come settore economico fondamentale per il sistema Paese. La Regione Friuli Venezia Giulia ha puntato con decisione sulla cultura, creando nuove opportunità di lavoro, sinergia e innovazione. Con Eureka intendiamo dare concretezza a questa visione, offrendo un palcoscenico di rilievo a tutte le imprese italiane che operano nel settore e favorendo la nascita di nuove collaborazioni anche a livello nazionale e internazionale".
È quanto ha dichiarato il vice presidente del Friuli Venezia Giulia, con delega a cultura e sport, Mario Anzil.
L'iniziativa, giunta alla seconda edizione, è promossa dalla direzione Cultura e sport della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, ha il patrocinio della Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome ed è realizzata grazie alla collaborazione di Pordenone Fiere, partner organizzativo. Alla presentazione ha preso parte anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, oltre al presidente di Pordenone Fiere Renato Pujatti, Antonio Scuderi esperto nell’ambito culturale-creativo ed Elena Mengotti della Direzione Cultura regionale. In Italia, secondo i dati Unioncamere, il settore cultura ha prodotto 302mila contratti di lavoro nel 2023, con una crescita dell’8% sul 2022. A questi si aggiunge il Turismo culturale con ulteriori 445mila contrattualizzati.
Sono 60mila le imprese culturali nel Paese, con 700mila addetti impiegati nel reparto culturale creativo, che esprime forti competenze nel digitale e nell’innovazione.
In questo contesto il Friuli Venezia Giulia ottiene il terzo posto per rapporto tra totale del numero di imprese e imprese creative e Trieste è la quarta città italiana in questa classifica.
In regione operano 5mila imprese culturali-creative nei settori della musica, dell’audiovisivo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, che producono 2 miliardi di euro.
 
Appuntamento a Pordenone il 29-30 ottobre!


La strage in Libano ad opera dei miliziani di Hezbollah ha scosso il mondo, non solo per il timore di un allargamento del conflitto, ma anche per la sofisticata modalità dell'attacco, che si sospetta sia stato orchestrato dai Servizi segreti del Mossad, nonostante Israele non abbia ancora rivendicato l'azione. Migliaia di cercapersone, dispositivi usati dai militanti di Hezbollah, sono esplosi simultaneamente, in un'azione coordinata che ha avuto conseguenze devastanti: almeno 11 morti e circa 4.000 feriti. L'operazione ha inferto un colpo durissimo all’organizzazione sciita.

Le informazioni che circolano indicano il possibile coinvolgimento del Mossad, che avrebbe utilizzato esplosivi ad alta potenza, come la pentrite, nascosti all'interno dei cercapersone. Le esplosioni sarebbero state innescate dall’aumento delle temperature delle batterie, una tecnica hi-tech che ha permesso di colpire con precisione i bersagli. Hezbollah utilizza i cercapersone al posto dei telefoni cellulari, ritenuti vulnerabili agli attacchi dei servizi segreti nemici. Tuttavia, sembra che l'intelligence israeliana sia riuscita a penetrare nel sistema, provocando detonazioni simultanee in Libano e in Siria, dove Hezbollah combatte a fianco del regime di Bashar al-Assad. Anche l'ambasciata iraniana a Beirut è stata colpita, con il rappresentante diplomatico iraniano che è rimasto lievemente ferito.

Questi cercapersone, sebbene antiquati e meno sofisticati dei moderni cellulari, erano ampiamente utilizzati dai miliziani, con ordini diretti dal leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che aveva vietato l'uso di telefoni per comunicazioni sensibili. Nasrallah aveva preso questa decisione dopo l'assassinio di Fuad Shukr, un alto comandante di Hezbollah, ucciso da un missile mentre si trovava in un appartamento segreto. Ora, l'attacco ai cercapersone rappresenta una nuova, grave breccia nella sicurezza del movimento sciita, che ha subito promesso vendetta contro Israele, minacciando che «riceverà la giusta punizione».

Le esplosioni hanno causato il caos, colpendo non solo i miliziani, ma anche civili, con numerose testimonianze che raccontano di feriti portati d'urgenza negli ospedali, già sovraccarichi a causa della crisi politica ed economica che affligge il Libano. Almeno 11 persone sono morte in Libano, tra cui i figli di due parlamentari di Hezbollah, e altre 7 vittime sono state registrate in Siria. La gravità dell'attacco ha portato alla chiusura delle scuole e delle università, mentre gli ospedali di Beirut lanciavano appelli urgenti per le donazioni di sangue.

In risposta all’attacco, il consiglio di sicurezza israeliano è stato convocato d'urgenza, mentre l'esercito israeliano si prepara a una possibile rappresaglia da parte di Hezbollah, che da quasi un anno lancia attacchi contro i villaggi e le città israeliane, a cui risponde l’artiglieria e l’aviazione di Tsahal. L’intensificazione degli scontri nelle ultime settimane ha avvicinato sempre più i contendenti a una guerra totale. Gli Stati Uniti, con inviati come Amos Hochstein e il segretario di Stato Antony Blinken, sono impegnati a cercare di prevenire un'escalation e favorire un cessate il fuoco.

Secondo fonti locali, i cercapersone erano stati venduti a Hezbollah da un'azienda iraniana, e l’intelligence israeliana, attraverso le sue unità di cyber-guerra, avrebbe manomesso i dispositivi prima di consegnarli ai miliziani. Questo attacco ha sollevato preoccupazioni non solo per Hezbollah, ma anche per Teheran, che teme l'infiltrazione delle proprie strutture tecnologiche da parte del nemico.

 

Fonti varie agenzie e giornali

 

 

Il confronto televisivo tra Kamala Harris e Donald Trump ha messo in luce due visioni opposte dell'America e del mondo, non solo per quanto riguarda le politiche, ma anche per stile e strategia. 

Uno dei temi più caldi è stato l'aborto. Trump ha accusato i Democratici di permettere l'uccisione di bambini dopo la nascita, una dichiarazione che ha provocato una forte reazione e la smentita del moderatore. Harris ha risposto con fermezza, accusando l'ex presidente di diffondere disinformazione, ribadendo come la sua posizione sia lontana dalla realtà legale e sociale degli Stati Uniti.

Sull'immigrazione, Trump ha rilanciato una vecchia accusa: gli immigrati clandestini ruberebbero animali domestici per mangiarli. Anche in questo caso, il moderatore ha dovuto precisare l'assenza di prove a supporto di tali affermazioni, evidenziando come Trump sia rimasto ancorato a retoriche populiste, senza fornire dati concreti.

Quando si è trattato di politica estera, lo scontro si è acceso ulteriormente. Trump ha accusato Harris di odiare Israele e ha ipotizzato che, se diventasse presidente, Israele potrebbe scomparire in due anni. 

Trump ha cercato di fare leva sulla guerra in Ucraina, promettendo di risolvere il conflitto con una semplice telefonata ai leader di Russia e Ucraina. Questa semplificazione di un problema complesso ha fatto apparire la sua strategia poco realistica, ma è stata comunque efficace per il suo pubblico, che cerca soluzioni immediate.

Il dibattito ha toccato anche l’economia, con Harris che ha sottolineato il suo impegno per la classe media, presentando numeri e dati a supporto. Trump, invece, ha criticato il lavoro dei Democratici, accusandoli di non aver fatto nulla di significativo durante il loro mandato.

Uno degli aspetti più interessanti del confronto è stato l'assenza di menzioni all'11 settembre, un evento che solitamente unisce i candidati nel ricordo. Questo silenzio ha rappresentato una rottura con il passato, evidenziando come la campagna elettorale abbia oscurato persino un evento così simbolico.

In conclusione il dibattito televisivo tra Kamala Harris e Donald Trump ha messo in evidenza due visioni politiche profondamente divergenti, riflettendo stili e strategie completamente opposti. Da una parte, Harris ha adottato un approccio aggressivo fin dall'inizio, puntando a destabilizzare Trump con un attacco diretto nella prima mezz'ora, il momento cruciale in cui si forma l'opinione degli spettatori. Ha attraversato il palco per stringergli la mano, gesto che ha preso Trump alla sprovvista, seguito da un attacco frontale: "Questo governo è stato un disastro". Harris ha mirato a ridicolizzare il suo avversario, accusandolo di "aver svenduto l'America a Putin", concludendo che i leader mondiali lo deridono e lo considerano un "disastro".

Trump, fedele al suo stile provocatorio e populista, ha cercato di difendersi citando come ammiratore il premier ungherese Viktor Orban, ma questa scelta ha suscitato critiche, considerando la figura controversa di Orban in Europa. Quando è stato attaccato sul controverso Project 2025, il piano della destra per una transizione autoritaria, Trump ha cercato di prendere le distanze, affermando di "non avere nulla a che fare" con esso, replicando una tattica simile per l'insurrezione del 6 gennaio 2021, che ha definito "pacifica e patriottica".

Sul fronte della politica estera, Trump ha adottato un tono più aggressivo, accusando Harris di "odiare Israele" e sostenendo che se diventasse presidente, Israele "scomparirebbe in due anni". Ha cercato di guadagnare punti promettendo che, da presidente, telefonerebbe direttamente a Putin e Zelensky per risolvere la guerra in Ucraina, semplificando eccessivamente una questione complessa. Ha anche fatto dichiarazioni imprecise sul numero di vittime in Ucraina, confondendo i dati reali.

Nel finale, i messaggi dei due candidati hanno ripreso i temi abituali: Harris ha sottolineato il suo impegno per la classe media, mentre Trump l'ha accusata di non aver ottenuto risultati concreti durante il suo mandato. Sorprendentemente, entrambi hanno evitato di menzionare l'11 settembre, una ricorrenza che in passato ha sempre rappresentato un momento di unità nazionale.

Il dibattito si è concluso senza la tradizionale stretta di mano, con i due candidati che hanno voltato le spalle l'uno all'altro, simbolo di un confronto non solo politico, ma anche profondamente personale e divisivo.

 

Fonte varie agenzie

 

 

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