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Domenica, 09 Febbraio 2025

E’ sempre un momento di grande interesse e un’opportunità da non perdere quando le ricerche accademiche escono dall’ambito precipuo degli studiosi e delle Università per essere anche divulgate al pubblico, offrendo spunti e nuove conoscenze non solo agli specialisti.

E’ il caso del prossimo incontro al Teatrino di Palazzo Maffei a Verona che, se pure attrarrà gli storici dell’arte e gli esperti per la qualità e l’importanza delle indagini, saprà nel contempo illuminare aspetti importanti della cultura veronese del Settecento, di grande interesse.

Se è vero, come dichiarava Giovanni Battista Carlo Giuliari, che il Settecento rappresenta «il secolo d’oro della letteratura veronese», ciò è merito non solo di un’evidente – e quantificabile – urgenza letteraria, sospinta in larga parte da Scipione Maffei, ma anche di una vera e propria rinascita tipografica accompagnata dal profilarsi di nuove botteghe e dal naturale avvicendamento dei loro proprietari.

E’ questo clima di fervore che viene finalmente messo in luce dal volume di studi di Elena Bao Invenit, delineavit et sculpsit. L’editoria illustrata a Verona nel XVIII secolo (Zel Edizioni), che sarà presentato giovedì 23 gennaio alle ore 17.00 nel Teatrino di Palazzo Maffei a Verona (ingresso libero fino ad esaurimento posti) in un incontro d’arte al quale parteciperanno oltre all’autrice anche gli studiosi Mario Allegri, Enrico Maria Dal Pozzolo, Giovanni Maria Fara e Federica Formiga.

Frutto delle indagini svolte dalla Bao  durante il dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Culture e Civiltà dell’Università degli Studi di Verona sotto la supervisione del professore Enrico Maria Dal Pozzolo, l’opera ricostruisce il panorama editoriale veronese nel Settecento, focalizzando però l’attenzione sui volumi corredati di immagini calcografiche, interessanti punti di innesto di professionalità anche molto diverse tra loro, nonché autentiche ‘fotografie’ dell’identità culturale e artistica della città e del territorio nel periodo in esame.

Molti dei testi congedati in riva all’Adige sono infatti corredati da antiporte, frontespizi, iniziali, testate, finalini, tavole fuori testo, talvolta firmate da artisti di prim’ordine, talvolta affidate a personalità poco note, ma non per questo meno interessanti.

Un intricato fenomeno, in un’area – quella veronese – generalmente poco considerata perché ingiustamente “schiacciata” dalla fama e tradizione veneziana, e in un periodo – il XVIII secolo – segnato dall’utilizzo pressoché esclusivo di matrici in incavo a opera di incisori o peintre-graveur.

La ricerca poggia sul vaglio di circa 3000 testi di cui quasi 600 illustati, fungendo per questi da discorsivo catalogo finale, articolato diacronicamente per macro-sezioni tematiche.

Vengono di volta in volta messi in luce i protagonisti della stampa – tipografi, autori, editori, dedicatari … – con l’obiettivo di ripercorrere, ed esplicitare in molti casi, le dinamiche di finanziamento, e  un posto d’onore spetta a Scipione Maffei, instancabile studioso che tenne le fila delle principali iniziative scaligere di metà secolo, non solo librarie.

Prioritaria appare l’analisi del rapporto tra i pittori e gli intagliatori incaricati all’illustrazione dei testi e, oltre al prezioso confronto con i rari disegni preparatori (alcuni dei quali inediti), non mancano richiami all’arte maggiore, collegamenti con analoghe testimonianze calcografiche, nonché letture iconografiche.

Oggetto infine di particolare attenzione sono soprattutto gli incisori, spesso ingiustamente adombrati dai colleghi pittori di cui sono chiamati a trasporre su rame le invenzioni; a loro è dedicata infatti un’accurata appendice biografica, utile strumento per eventuali futuri approfondimenti.


Fonte Villaggio Globale International Antonella Lacchin

 

 

 

 

Dal 31 gennaio al 1 marzo 2025, Roma si prepara ad accogliere l’arte visionaria di Jan Fabre, uno dei più grandi innovatori della scena contemporanea, con una mostra che, per la prima volta in Italia, raccoglie i due più recenti capitoli della sua produzione artistica: Songs of the Canaries (A Tribute to Emiel Fabre and Robert Stroud) e Songs of the Gypsies (A Tribute to Django Reinhardt and Django Gennaro Fabre).

Artista visivo, creatore teatrale e autore, capace di fondere tradizione artistica, filosofia, scienza e spiritualità in un unico personale universo creativo, Fabre porta alla Galleria Mucciaccia di Roma un corpus di opere che attraversano l’essenza del pensiero umano, la fragilità della vita e il potere trasformativo dell’arte, “giocando” con la performatività dei materiali, per esplorare temi esistenziali, spirituali e scientifici attraverso un dialogo costante tra corpo, mente e materia.

Occasione per immergersi in un viaggio tra simbolismo, innovazione e intimità personale, in un percorso espositivo attraverso il quale Fabre continua a spingere i confini dell’arte reinventando antiche metafore per affrontare questioni contemporanee, la mostra è un’esplorazione del rapporto tra materia e spirito, forte di un uso innovativo di materiali come il marmo di Carrara, il Vantablack (la più nera versione esistente del nero) e i colori a matita e tempera.

Il primo capitolo Songs of the Canaries (A Tribute to Emiel Fabre and Robert Stroud) è un tributo poetico alla fragilità della vita, all'inseguimento dei sogni e alla continua ricerca dell'umanità di comprendere il cielo. Fabre esplora queste tematiche attraverso un’installazione composta da opere meticolosamente scolpite in marmo di Carrara e intimi, sorprendenti disegni a matite colorate su Vantablack. Una serie di sculture raffigura canarini appollaiati in cima a cervelli umani, apparentemente in contemplazione dei meccanismi interni della mente. Dettagli come le piume di un canarino - metafora della libertà e della fragilità - o le vene di un cervello si trasformano in una poesia scultorea che armonizza i suoni del cielo con l’eco dei pensieri umani, attraverso titoli evocativi come Thinking Outside the Cage (2024), Sharing Secrets About the Neurons (2024) e Measuring the Neurons (2024).

È al centro di questa prima sezione espositiva che si trova la scultura monumentale The Man Who Measures His Own Planet (2024): una figura si erge su una scala, con le braccia tese come a voler misurare l’immensità del cielo. Il cranio aperto rivela una “terra incognita”, quel territorio in gran parte inesplorato che è il cervello, simbolo dell’incessante ricerca dell’artista e dell’uomo per capire l’incomprensibile; il corpo è modellato su quello di Fabre stesso, mentre il volto rimanda al fratello scomparso prematuramente, Emiel, a cui è dedicata la mostra.

Questo primo capitolo Songs of the Canaries è anche un omaggio a Robert Stroud, detto “Birdman of Alcatraz”, un prigioniero che divenne un rinomato ornitologo, specializzato in canarini. Per poterli studiare, Stroud riuscì a farsi portare in cella centinaia di questi uccelli, creature che anche in cattività trovavano la forza di cantare e ispirare la mente. Quando fu rilasciato, alla domanda dei giornalisti su cosa avesse intenzione di fare per il resto della sua vita, Stroud rispose: “Misurerò le nuvole”.

Il secondo capitolo, Songs of the Gypsies (A Tribute to Django Reinhardt and Django Gennaro Fabre), mescola il jazz e l’arte con la vita personale dell’artista, per esplorare la relazione tra fragilità e creazione in opere sorprendenti che uniscono tradizione iconografica e innovazione contemporanea. Il cuore dell’installazione è costituito da tre grandi sculture di marmo di Carrara in cui Fabre raffigura un neonato fuori scala, suo figlio all'età di 5 mesi e mezzo, ma alto come il padre.

Questa seconda sezione della mostra inizia infatti con una nota personale: Fabre ha chiamato il suo primogenito Django Gennaro, dove Django si riferisce a Django Reinhardt, virtuoso chitarrista gypsy jazz belga, acclamato da musicisti di tutti i generi come geniale e innovativo. Reinhardt era riuscito a eccellere e a inventare un genere musicale personale partendo da un grande svantaggio: una grave menomazione alla mano sinistra dovuta a un incidente da ragazzo.

Jan Fabre ha scelto di omaggiare queste due importanti figure nella sua vita, fonti di ispirazione per la sua arte.

Le delicate forme infantili scolpite incarnano il mistero della nascita e della creazione e sono anche messaggere di partiture musicali jazz, che appaiono sia incise nel marmo sia nei disegni dai colori vivaci, evocando una dimensione giocosa e improvvisata, ispirata alle pitture infantili del giovane Django e ai brani di Reinhardt. Come una partitura musicale multidimensionale che trasporta lo spettatore sulle note dei grandi successi del chitarrista gitano “Minor Swing”, “Nuages” o “Manoir de Mes Rêves”, le opere conducono in un mondo di sogni concreti, di vite fatte d’arte; un lento swing tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, un invito artistico a contemplare la fragilità e lo splendore della condizione umana. La mostra tutta è un inno alla musica, filo conduttore che attraversa entrambe le serie: Fabre intreccia note e immagini, trasformando il gypsy jazz di Django Reinhardt in una colonna sonora visiva, mentre i canarini, simbolo di canto e libertà, diventano messaggeri tra il terreno e il celeste.

Nato ad Anversa nel 1958, Jan Fabre è un innovatore di spicco e una delle figure più influenti del panorama artistico contemporaneo internazionale. Contribuendo all’arte visiva, al teatro e alla letteratura, è stato il primo artista vivente a tenere grandi mostre personali in istituzioni prestigiose come il Museo del Louvre di Parigi nel 2008 e il Museo Hermitage di San Pietroburgo nel 2017. Inoltre, è l’unico artista ad aver ricevuto l’onore della Cour d’Honneur del Festival di Avignone per tre edizioni consecutive (2001, 2005 e 2006) e ad essere stato incaricato di creare un’opera per la Felsenreitschule al Festival di Salisburgo nel 2007.

La mostra, a cura di Dimitri Ozerkov, con contributi di Giacinto Di Pietrantonio, Melania Rossi e Floriana Conte, è accompagnata da un catalogo ricco di analisi critiche e immagini, curato da Melania Rossi e Giovanna Caterina de Feo; un approfondito omaggio alla complessità dell’arte del maestro belga, che intreccia temi personali, simbolici e universali.

 

Fonte Marta Volterra, Head Press Office HF4

 

 

Il 1° gennaio Giancane e Rancore saranno tra gli artisti protagonisti di ROMA CAPODARTE 2025 Città nel mondo. Due concerti speciali, completamente gratuiti, che trasformeranno altrettanti luoghi della periferia romana – rispettivamente Largo Arquata del Tronto a San Basilio e il Parcheggio dell’I.C. Pablo Neruda di Casal del Marmo – in palcoscenici d’eccezione in cui confluiranno le energie musicali della città.

Giancane, musicista e cantautore romano, ex chitarrista del gruppo Il Muro del Canto, dopo le collaborazioni con Zerocalcare con cui ha condiviso l’ultimo tour, sarà sul palco della piazza del Mercato Rionale di Largo Arquata del Tronto, a San Basilio, per dare il via al nuovo anno con il suo indie-folk ironico e tagliente.

Rancore, tra i nomi più apprezzati del rap italiano, vincitore del premio come miglior testo al Festival di Sanremo 2020, è atteso nel parcheggio di via di Casal del Marmo 216 per un concerto-evento in cui eseguirà brani da tutto il suo repertorio.

“Diamo il benvenuto al nuovo anno inaugurando una stagione di eventi diffusi in tutti i 15 Municipi della città”, dichiara l’Assessore alla Cultura di Roma Capitale, Massimiliano Smeriglio. “Una quarta edizione che, nell’anno giubilare, intende celebrare Roma come palcoscenico internazionale e crocevia di culture ma anche mettere in dialogo il centro con tutto il resto della città, con tante iniziative dedicate alle cittadine e ai cittadini della Capitale.

Un programma straordinario, interamente gratuito, che vedrà protagoniste, in particolare, le periferie per una grande Festa della città e di chi la abita. Siamo felici di annunciare, infatti, che San Basilio e Casal del Marmo saranno palcoscenici d’eccezione di due dei più importanti appuntamenti musicali che animeranno il primo giorno del nuovo anno: i concerti di Rancore e Giancane, tra gli artisti romani più amati dal pubblico e acclamati dalla critica musicale.

Una grande occasione per tutte e tutti di entrare in relazione con la bellezza e, per le romane e i romani, di riappropriarsi delle vie, delle piazze, dei cortili che li hanno visti crescere o che li hanno accolti nel corso della propria vita. Di innamorarsi ancora della nostra città”.

Il programma completo di ROMA CAPODARTE 2025 Città nel mondo, con tanti altri importanti ospiti, e gli appuntamenti gratuiti in tutti i Municipi e nei musei, nelle biblioteche e negli spazi culturali cittadini, sarà annunciato nei prossimi giorni.

ROMA CAPODARTE 2025 Città nel mondo è un’iniziativa promossa dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale con il coordinamento del Dipartimento Attività Culturali e il supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con l’Istituzione Biblioteche di Roma, la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, le Istituzioni e gli spazi culturali capitolini, i Municipi e poi ancora con enti, associazioni, operatrici e operatori culturali, artiste e artisti.

 
Fonte Zetema
 

 

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