Mentre scorre il mese di giugno dedicato dalla Chiesa alla Santa devozione del Sacro Cuore di Nostro Signore Gesù Cristo, io ne approfitto di leggere e quindi di fare delle salutari meditazioni, un prezioso testo curato da un gesuita polacco Padre Czeslaw Drazek, già responsabile dell’edizione in lingua polacca dell’Osservatore Romano. “Il Cuore di Gesù nell’insegnamento del Papa Giovanni Paolo II”, Edizioni AdP (Apostolato della Preghiera); (2005). Drazek ha conosciuto molto da vicino il magistero e l’attività pastorale di Karol Wojtyla a Cracovia, ha poi seguito l’intero Pontificato di Giovanni Paolo II a Roma. Sono tanti i temi e l’eredità pastorale e spirituale che ci ha lasciato Giovanni Paolo II. In questo libro il padre gesuita si occupa del culto del Sacro Cuore di Gesù durante il pontificato del papa polacco. In ripetute occasioni Giovanni Paolo II ne ha fatto tema di approfondimento, esortazione e personale pratica, con discorsi e interventi di singolare profondità. Il volume offre una raccolta di testi dedicati alla teologia, spiritualità e pastorale del Sacro Cuore. Nella prima parte, l’autore della raccolta tratteggia, con un ampio saggio introduttivo e insieme di sintesi, il pensiero di Giovanni Paolo II sul culto. Nella seconda parte, invece, i testi del grande pontefice vengono raggruppati per capitoli tematici: come le meditazioni sulle litanie del Sacro Cuore, il pellegrinaggio del Papa a Paray-le-Monial, i suoi discorsi durante i viaggi in Polonia. Meditazioni sulla Missione di Margherita Maria Alacoque e di Claudio La Colombiere.
Il Cristocentrismo è la caratteristica del magistero pontificio di Giovanni Paolo II, scrive padre Drazek, inoltre la persona di Cristo occupa il posto centrale anche nel nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica. Nel corso del suo pontificato, il Santo padre ha fatto moltissimo per il suo rinnovamento e lo sviluppo del culto del Sacro Cuore di Gesù nella Chiesa. Sono numerosi i suoi pronunciamenti a partire dalle encicliche, dalle esortazioni apostoliche, le varie Lettere e poi dai discorsi nelle omelie. “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv19,37) Queste parole di Giovanni sono sempre presenti nelle meditazioni del Pontefice. Il Papa ricorda la storia del Sacro Cuore in Polonia, ha presente una data, 6 febbraio 1765, quando fu introdotta in Polonia, la festa del Sacro Cuore. Uno dei pionieri del culto al Sacro Cuore fu un teologo polacco, Kasper Druzbicki SJ (1590-166) ancor prima delle rivelazioni a Maria Alacoque. Nei suoi documenti Giovanni Paolo II fa spesso riferimento al contenuto della parola “cuore” e in particolare al cuore trafitto di Nostro Signore sul Calvario. Il testo di padre Drazek si sofferma sugli apostoli del culto al Sacro Cuore: la Santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690) e San Claudio La Colombiere (1641-1682). Giovanni Paolo II ha messo in evidenza, più di altri, il significato delle esperienze mistiche di di Santa Margherita Maria, quando nel 1986, fece il suo pellegrinaggio a Paray-le-Monial. “Sul Cuore divino colpisce l’alto valore ad esso attribuito. Non è una semplice pratica di pietà, una delle tante, che appaiono ogni tanto nella vita del popolo di Dio, e poi scompaiono. La fede in Gesù Cristo che con il suo Cuore ama noi, peccatori, costituisce l’essenziale contenuto della fede cristiana”. Nel libro si fa spesso riferimento al primo Papa che consacrò l’umanità intera al Sacro Cuore di Gesù, e cioè Leone XIII, che in quell’occasione pubblicò il 25 maggio 1899 un’apposita enciclica: “Annum sacrum”. E in occasione dei cento anni dell’enciclica, Giovanni Paolo II, tenne un discorso ampio di grande contenuto teologico e spirituale, sottolineando l’attualità di questo culto per i nostri tempi e il ruolo che dovrebbe svolgere nella nuova evangelizzazione.
Ritengo opportuno soffermarsi sul pellegrinaggio del Papa a Paray-le-Minial, piccola cittadina della Burgundia in Francia, situata nelle vicinanze della celebre abbazia di Cluny, è qui il lugo dove si sono santificati i grandi apostoli del Cuore di Gesù: Maria Alacoque e Claudio La Colombiere. Il libro pubblica l’omelia che tenne Giovanni Paolo II il 5 ottobre 1986. Un lungo discorso storico, teologico, spirituale. “Per tutta la vita, santa Margherite-Marie bruciò della viva fiamma di questo amore che Cristo venuto ad accendere nella storia dell’uomo. Qui, in questo luogo di Pary-le-Monial, come una volta fece l’apostolo Paolo, l’umile serva di Dio sembrava gridare al mondo intero: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo?” (Rm 8,35) Al convento delle Suore Visitandine e presso la tomba di santa Margherita Maria Alacoque disse: “Rendo grazie a Dio per il messaggio ricevuto da Santa Margherita Maria”. Un altro discorso da segnalare è quello tenuto in occasione della canonizzazione del Padre Claudio La Colombiere il 31 maggio 1992, che ha capito e ha predicato il messaggio di santa Margherita. Accettò la missione e diventò così un fervido apostolo della devozione al Sacro Cuore e dell’impegno per la riparazione. Claudio La Colombiere “aveva perfettamente compreso che contro la freddezza del giansenismo e contro l’indifferenza religiosa di molti cristiani e anche di tante persone consacrate era necessario predicare e far sentire profondamente il vero motivo della creazione e della redenzione: l’Amore!”. Se due secoli fa, la devozione al Sacro Cuore, sotto l’impulso di Maria Alacoque, è stata la risposta al rigorismo giansenista, che aveva finito per disconoscere l’infinita misericordia di Dio. Oggi, l’umanità appiattita, tentata di cedere al nichilismo pratico, “la devozione al Cuore di Gesù offre una proposta di autentica ed armoniosa pienezza nella prospettiva della speranza che non delude”.
In occasione della presentazione del libro del grande storico medievista Marco Tangheroni (1946.2004), “Scritti militanti”. Nel ventesimo anniversario del suo transito al Cielo”, Edizioni Cristianità, Piacenza 2024, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ha tenuto a Pisa un interessante intervento il 12 aprile 2025, per onorare la memoria del grande studioso e autorevole esponente di Alleanza Cattolica. La rivista Cristianità ha pubblicato l’intervento con il titolo “Il valore della memoria” (marzo-aprile 2025; n. 432) Mantovano ha ricordato Tangheroni accostandolo ad una grande opera d’arte, uno straordinario mosaico di storia, di biologia di fauna. Il mosaico si trova nella cattedrale di Otranto, la città più orientale della nostra penisola. Nella cattedrale dove si trovano i resti di una parte degli 812 martiri che pagarono con la vita la loro fedeltà a Cristo per essersi opposti agli ottomani nel 1480. Mantovano, in questa occasione, invita a guardare il pavimento della cattedrale, costruita fra il 1080 e il 1088, il mosaico ricopre le tre navate del tempio realizzato un secolo dopo da Pantaleone (XII secolo), un monaco del cenobio di Casole. “E’ uno dei più grandi capolavori dell’arte musiva di ogni tempo”, afferma Mantovano. E’ un esempio di Biblia pauperum, in pratica da otto secoli e mezzo chi entra nella chiesa può ammirare i principali episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Mantovano fa l’elenco dettagliato degli elementi presenti nel mosaico. Il peccato originale, con il serpente che insidia Eva; la cacciata di Eva e Adamo dal Paradiso terrestre; Caino e Abele; il diluvio universale: C’è il Giudizio Universale, quelli che vanno all’Inferno e quelli che vanno in Paradiso. Mantovano cita monsignor Grazio Gianfreda (1913-2007), parroco della cattedrale che ha studiato il mosaico, scrivendo diversi libri. Nel mosaico c’è tanta storia, il ciclo ellenistico con Alessandro Magno (356-323 a. C. il ciclo bretone, con Re Artù, il paladino Orlando, poi ci sono tante figure fantastiche e simboliche che noi oggi, magari non comprendiamo, ma i medievali vissuti al tempo del monaco Pantaleone, capivano eccome. Altro che secoli bui, erano molto meno bui di oggi. Il mosaico potrà sembrare un’accozzaglia di elementi messi assieme da un monaco poco equilibrato, “invece la grande ricchezza dell’opera è la sua unitarietà”, afferma il sottosegretario, e precisa, “vi è un filo conduttore, anche visivo; le scene e le figure non sono allestite in modo disordinato, ma si muovono attorno a una guida, il gigantesco Albero della Vita, che attraversa l’intera navata centrale del pavimento, e che tiene tutto insieme”. La grande opera d’arte si può leggere partendo dall’alto, da Adamo ed Eva, ma anche dalla base del tronco. A questo punto Mantovano con una buona dose di ironia, risponde a chi potrebbe fargli osservare di essere fuori tema. Invece l’uomo politico osserva che Marco Tangheroni nella sua vita ha incarnato lo spirito e il senso della straordinaria opera musiva che ha appena sintetizzato. Dal libro che si sta presentando si vede con chiarezza che Tangheroni ha messo insieme fede e storia, ricostruendo vicende decisive per la civiltà occidentale. Le sue lezioni affascinavano perché sapeva presentare un avvenimento storico con una unitarietà come il mosaico di Otranto. Si faceva ascoltare per ore, così ora leggi il suo libro senza stancarti, anche se si stratta di argomenti apparentemente eterogeni e frammentari. A questo punto Mantovano si chiede perché in un contemporaneo si trova quella reale unitarietà del Medioevo che da senso agli ambiti più diversi? La risposta è, “Perché egli è un uomo medievale, nel senso migliore e positivo del termine”. L’insegnamento di Tangheroni che emerge da questi scritti, è attualissimo perché, avendo come faro la semplicità della fede della vecchietta, egli la coniuga con la capacità di far comprendere in modo chiaro scenari complessi. Oggi l’apertura di orizzonti che offriva lo studioso pisano è necessaria. “La non comprensione dei fondamentali genera divisione non soltanto culturale, ma anche politica. Il mondo del cosiddetto Medioevo, soprattutto i suoi secoli centrali, mostra unità culturale pur nella estrema varietà delle organizzazioni politiche”. Mentre il mondo di oggi è diviso, in tanti pezzi sparsi, dove ognuno cammina per proprio conto. Mantovano invita a studiare il Medioevo, ricco di insegnamenti, a studiare le opere di Marco, ma anche dei grandi medievisti francesi. Il sottosegretario non manca di fare qualche riferimento alle continue guerre che stanno infiammando il nostro mondo. A cominciare dalla guerra nel cuore dell’Europa tra la Russia e l’Ucraina, due popoli con radici cristiane. Da tempo constatiamo una divisione pericolosa nel nostro Occidente, che necessita di unità per affrontare gli spinosi problemi. “L’unità della civiltà europea non può trovarsi attorno all’imposizione del “modello Ventotene”, come Giorgia Meloni ha ricordato nel recente confronto in Parlamento”. Non c’è paragone che tenga tra la sensazione “apocalittica” dell’Anno Mille con quella ben più pericolosa del millenarismo apocalittico, questo sì, del cambiamento climatico di oggi. “L’ideologia ecologistica ha una evidente ricaduta nichilistica: se il mantra è che, in quanto essere umano, io sono un parassita, perché devo restare in vita e avere una prospettiva post mortem?”. Del resto, l’ambientalismo apocalittico è una delle tante ragioni perché gli operai negli Usa hanno votato Trump. Pertanto, va ritrovata l’unità dell’Occidente, solo un Occidente unito è in grado di dialogare, e di costruire percorsi comuni, con l’Oriente e con il Sud del mondo. Mantovano nel suo articolato discorso cita anche il “Piano Mattei” per l’Africa, visto che l’Italia è al centro del Mediterraneo. Interessante il riferimento a S. Francesco, al “più Santo degli italiani e il più italiano dei Santi”, che non trascurò di andare in Terrasanta, non da combattente, ma pur sempre da crociato per incontrare il Sultano, Mantovano vede nel Santo di Assisi un esempio di apertura, ma nella coerenza con l’identità di fede. Inoltre, il sottosegretario, sottolinea la presenza del profondo dolore nella vita di Marco Tangheroni che seppe accettarlo senza mai cedere alla disperazione. Infine, rivolgendosi a Marco, uomo “medievale”, quindi cristiano, l’uomo politico, si augura di ricevere un po' della sua capacità di cogliere il senso delle vicende della storia, e anche della nostra contemporaneità.
Periodo di grandi impegni per la scrittrice Anna Maria Bovio: il suo ultimo libro per i tipi di Pegasus Edition, L’Altra metà di me (II) – L’Amore ha un solo nome…il tuo, sta riscuotendo molto successo. La giovane barese, trasferitasi in Svizzera oramai da molti anni, non ama però stare ferma, ed è in arrivo sulla scena editoriale un nuovo, atteso lavoro: Antonio il piccolo Superman contro la SMA.
Il libro, in uscita il prossimo 30 giugno, è narrato dal punto di vista di Antonio, un bambino affetto da atrofia muscolare spinale (SMA). Antonio racconta la sua vita, dalla nascita alla diagnosi, le sfide quotidiane con la malattia, la terapia genica che definisce "puntura dei superpoteri", e il prezioso supporto della sua famiglia, in particolare dei genitori e del fratellino Giuseppe. Attraverso le parole ed i pensieri del piccolo protagonista, emergono una grande forza interiore, la sua speranza e la capacità di trovare la gioia e l'amore nonostante le difficoltà. Il libro mira a sensibilizzare sulla SMA e i proventi della sua vendita sono destinati a sostenere le terapie di Antonio, per permettergli una esistenza migliore.
« Antonio il piccolo Superman contro la SMA narra la storia del figlio di un mio carissimo amico, un bambino dolcissimo affetto da Atrofia Muscolare Spinale » - confida in anteprima la Bovio alla stampa.
« La SMA è una malattia rara che colpisce i muscoli, rendendoli deboli e influenzando i movimenti, il respiro e la crescita, a causa della mancanza di una proteina importante (SMN1) che impedisce ai segnali cerebrali di raggiungere i muscoli. Ad Antonio è stata diagnosticata questa malattia a solo un mese di vita, il 23 ottobre 2020. Inizialmente, la prognosi medica era grave, con previsioni di vita limitate » - conclude.
Il tema principale del libro, pertanto, è la tenace battaglia quotidiana di Antonio contro un terribile destino, raccontata attraverso i suoi occhi di bambino. Questa lotta è affrontata non con la forza fisica, ma con una straordinaria forza interiore e spirituale. Il libro descrive le sfide legate alla malattia, le terapie che Antonio affronta, le piccole conquiste di ogni giorno che per lui rappresentano grandi vittorie (come alzare un braccio o restare seduto). E le sue tante emozioni, inclusa la paura.
Un tema centrale del volume è anche il potere trasformativo dell'amore, del sostegno familiare e della comunità. La storia evidenzia il ruolo fondamentale dei suoi genitori, Tiziana e Nicola, descritti come persone splendide e dal cuore grande che non si sono mai arresi nella ricerca di speranza. Vengono menzionati anche altri "piccoli grandi eroi" come fisioterapisti, dottori, infermieri, nonni, zii, parenti e amici, che lo supportano con amore, pazienza e coraggio. L'arrivo del fratellino Giuseppe è presentato come un dono speciale, un angelo custode e un compagno per un futuro che si vuole ad ogni costo.
Il messaggio centrale per il lettore, espresso attraverso la voce di Antonio, è che la vita è un dono prezioso, anche quando non è "perfetta" o facile. La vera forza non risiede nelle capacità fisiche, ma in qualità "invisibili" come il sorriso, la resilienza, l'empatia, la speranza e, soprattutto, l'amore.
« Antonio comunica con le parole, con gli occhi, con il cuore e con la sua sola presenza, toccando l'anima di chi gli sta accanto » - ci tiene a far sapere l' Autrice, commossa e affettivamente legata da sempre ad Antonio e alla sua famiglia.
Un libro con un messaggio corale di speranza, che ha lo scopo di sensibilizzare sulla SMA e fornire un aiuto concreto per il piccolo, grande eroe Antonio.
Antonio stesso vede la sua esistenza e la sua storia come una missione per portare luce e amore nel mondo: aiutiamolo acquistando questo volume!
Classe 1980, Annamaria è cresciuta in Italia, ed attualmente lavora e abita in Svizzera. Nel 2019 è uscito il suo volume di esordio, L’ altra metà di me - Ti ho cercata nella vita, pubblicato con Apollo Edizioni, con cui ha vinto alcuni premi di settore. Poi è ritornata sulla scena letteraria con Le parole del cuore - Te lo dico sottovoce, un grido d`amore per tutti coloro che credono nell`anima gemella, seguito da L’Altra metà di me (II) – L’Amore ha un solo nome…il tuo per i tipi di Pegasus Edition. È molto seguita sui social: solo su IG, ha attualmente oltre 53.000 followers. Crede nelle parole e nel loro profondo significato. E crede soprattutto che l'amore sia l'unica immensa forza, in questo mondo, capace di vincere su ogni cosa. Ha del resto vissuto la sua vita ponendo l'amore sempre dinanzi ai suoi passi.
Antonio il piccolo Superman contro la SMA sarà reperibile on line solo su Amazon e permetterà alla sua Autrice di poter gestire e seguire in agilità e trasparenza la raccolta fondi solidale annunciata.
Il termine “genere” è polisemico, cioè, può avere diversi significati, tuttavia risulta abbastanza ambiguo, introdotto nel campo della medicina, poi nel femminismo e quindi nella politica, si ha difficoltà a comprenderlo. Ho appena finito di leggere un ottimo pamphlet, “Il Genere, i Giovani e la Chiesa”, (Città Nuova Editrice, 2025; pag. 192; e. 17,90) scritto da Marta Rodriguez Diaz, una giovane docente spagnola di Filosofia del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum e coordinatrice dell’area accademica dell’istituto di studi superiori sulla donna. Il tema del “Genere” si presta facilmente a “scontro” ideologico, politico, generazionale. Pertanto, la Diaz cerca in tutti i modi di non polarizzare il tema, che non significa trasformare l’errore in verità, ma significa che esistono semi di verità in ogni posizione. Soprattutto la docente ci invita ad ascoltare e comprendere il dolore che c’è anche chi è nell’errore. Il testo comprende XX brevi capitoli e viene visto come un viaggio dell’autrice in questo delicato tema, che ha una sua storia, nato negli anni ’60 ad opera di uno psicologo e sessuologo americano, John Money (1921-2006) che ha fondato la Clinica dell’identità di genere, specializzata nel trattamento delle persone intersessuali e transessuali. Money era convinto che fosse necessario distinguere tra il sesso biologico (quello che riceviamo dalla natura) e il genere, che è invece un risultato culturale e psicologico. Cosa significa? Per Money avere un corpo maschile o femminile, “non è necessariamente associato a una serie di determinate disposizioni o caratteristiche”. Money per dimostrare che il genere era costruzione interamente sociale, è anche famoso per l’esperimento sui gemelli Bruce e Brian Reimer, ma non mi soffermo sul caso. Poi il termine è sviluppato all’interno del femminismo, la prima a introdurre il termine “genere”, è stata Gayle Rubin, con il suo famoso articolo del 1975, “Lo scambio delle donne. Una rilettura di Marx, Engels, Levi-Strauss e Freud”. Rubin cerca di comprendere perché le donne siano state oppresse in tutte le culture e in tutte le epoche storiche. La risposta starebbe nel “sistema sesso-genere”. Mascolinità e femminilità, sarebbero frutto della cultura. Pertanto, la Rubin si colloca nel femminismo classico che vuole superare la “tirannia della biologia” e rifiuta che esiste un legame necessario tra biologia, identità e cultura. Poi c’è l’aspetto della politica; il termine “genere” è introdotto nel 1995, nella Conferenza mondiale sulle donne a Pechino. Nel rapporto finale, dopo due settimane di studi, la parola “genere” appare 251 volte. Le femministe si appropriano del termine “genere”, ma gli danno significati diversi. Mentre nel mondo cristiano e pro-vita si diffonde un forte sospetto nei confronti del termine. Soprattutto dopo certe pubblicazioni e qui la Diaz cita un libro che ho letto e presentato nei blog dove collaboro, si tratta di D. O’Leary, La guerra del gender, Rubbettino, 2017.
La Diaz propende perché ci siano più teorie di genere e condanna gli effetti dannosi dell’ideologia del gender. Nel III° capitolo affronta l’argomento sui tanti modi di intendere il genere. Ce ne sono almeno tre grandi, forse anche quattro. Ci sono teorie che esaltano maggiormente la cultura, altre la libertà e altre ancora la biologia. Attenzione, scrive la Diaz, tutti mettono in rilievo aspetti reali, tutti hanno in parte ragione. Pertanto, se vogliamo dialogare veramente “dobbiamo essere disposti a riconoscere il nucleo di verità che esiste in ogni idea, anche nell’errore”. Purtroppo, il problema di queste teorie è che scelgono alcuni elementi e ne tralasciano altri. Enfasi su una parte a dispetto di altre e così cadono nella visione ideologica. Assolutizzano una parte, ignorando il resto. Ecco perché i giovani di oggi sono prigionieri della più totale confusione. Alla fine, la Diaz parla di un vero labirinto dove noi cristiani dovremmo saperci muovere al suo interno. Anzi dovremmo fare un esame di coscienza: non è tutta colpa del ’68. E poi per quale motivo le cose sono diventate così complicate? Possiamo dire che prima del ’68 funzionava tutto bene? La Diaz pone un quesito interessante se diamo soltanto la colpa alle lobby, ai gruppi di interesse, ai poteri mediatici, l’impossibilità di dialogare con i giovani sui temi come il genere e invece noi adulti non facciamo nessuna autocritica, allora difficilmente si può migliorare. Se riconosciamo che una parte del cambiamento dipende da noi, allora siamo sulla giusta strada. Per la Diaz ci sono state alcune situazioni che hanno reso possibile la diffusione delle ideologie di genere. E qui la docente interroga i genitori, gli educatori, gli adulti in genere, che certamente possono fare qualcosa. La Diaz, intanto, ci invita a rifiutare quel desiderio nostalgico del passato, è una scorciatoia da non prendere in considerazione. Crediamo davvero che prima del ’68 andasse tutto bene? “Se non ci fossero ingiustizie, forse le ideologie non attecchirebbero”. Le femministe sono nate proprio perché c’erano (e ci sono) vere e proprie discriminazioni nei confronti delle donne. Giovanni Paolo II riconobbe chiaramente la causa ultima delle ingiustizie: il peccato originale, che tra l’altro aveva alterato il rapporto originario tra l’uomo e la donna, con conseguenze peggiori proprio per la donna. E qui che comincia la storia del dominio, molto prima della rivoluzione sessuale. Per la Diaz nel passato, la questione donna era trascurata. Il pensiero cristiano è stato spesso condizionato dai pregiudizi di ciascuna cultura. Si sono formati tanti stereotipi sulla donna, che hanno dato diversi motivi al femminismo di nascere. Una certa pastorale sui temi del matrimonio e della morale sessuale tendeva ad essere negativa. Il sesso era visto come male minore e comunque tollerato in vista della procreazione. Anche la Chiesa è stata contagiata nel corso della Storia da pregiudizi che oggi definiremmo omofobici. La Diaz affrontando il tema dell’omosessualità e la distinzione tra la tendenza e il comportamento, ci ricorda quello che dice il Catechismo su quanti hanno tendenze omosessuali: “devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza”. La Diaz si è permesso di scrivere che la pastorale della Chiesa su questo tema è ancora tutta da sviluppare e che è urgente assumere questo compito. Certo occorre stare attenti a “non confondere l’accoglienza con l’accompagnamento dovuto a questi figli della Chiesa con la giustificazione morale del comportamento omosessuale, o con la benedizione delle coppie dello stesso sesso”. Non bisogna fare confusione con la natura del matrimonio. Diaz accenna alla Dichiarazione Fiducia supplicans dove non si intende dare alcun tipo di legittimazione alle unioni omosessuali e che “l’insegnamento della Chiesa è fermo nell’affermare che il matrimonio tra un uomo e una donna è l’unico ambito in cui le relazioni sessuali trovano il loro significato naturale, adeguato e pienamente umano”. Pertanto, le ideologie si innestano sulle debolezze e sulle ingiustizie, anche se questo non significa giustificarle. A proposito di Chiesa, che cosa dice? Ne parla nel VI° capitolo. Ammettere di non aver capito…è una condizione per crescere. Tuttavia, la Chiesa non fa propria nessuna filosofia, è impegnata nella ricerca della verità. E comunque la forza di questo testo della Diaz è che fa riferimento esplicito al Catechismo della Chiesa cattolica e soprattutto alla teologia del corpo di san Giovanni Paolo II. Oppure la Lettera della Congregazione della Dottrina della fede del 2004, sulla collaborazione degli uomini e delle donne nella Chiesa e nel mondo. Ma c’è anche il Magistero di Papa Francesco con le sue encicliche. A mio parere è un punto di forza. Inoltre, da evidenziare anche citazioni di autorevoli studiosi. Tuttavia, il problema del genere rimane complesso. Spesso l’approccio nell’affrontarlo rimane insufficiente. Affrontando il tema della Persona, del Sesso, la Diaz evidenzia la svolta copernicana di san Giovanni Paolo II. Il papa polacco ha affermato con forza che il sesso “è ‘costitutivo della persona’ (non soltanto ‘attributo della persona’) “Ciò significa che il sesso non si colloca o si limita alla dimensione biologica, ma permea piuttosto il corpo, la psiche e l’anima spirituale”. La riflessione del Papa cambia radicalmente tutto. Wojtyla introduce l’elemento che la differenza sessuale porta alla scoperta della propria identità di dono. “La realtà è che l’uomo non è pienamente sé stesso se non nell’incontro con la donna, e lo stesso vale per la donna rispetto all’uomo”. Ma il testo pone delle domande abbastanza profonde che poi cerca di rispondere. Una tra tutte: come si può spiegare la realtà di chi non riesce a sentirsi a proprio agio nel proprio corpo o quella di persone che non si identificano né con l’essere uomo né donna o il vissuto di chi si sente fluido? Non è facile comprendere noi stessi, per i limiti di chi ci educa, per le ferite e le avversità della vita. Tuttavia, tutti siamo in cammino per guarire, per fare questo non basta proporre verità teoriche, anche se autorevoli, occorre aiutare le persone a scoprire nel loro cuore ciò che realmente le fa essere più autenticamente se stesse. L’obiettivo principale del libro è quello di fare un viaggio con i giovani e cercare di dialogare con loro, l’autrice lo sottolinea più di una volta. Sarà utile riflettere sul linguaggio che noi usiamo, sui concetti arrugginiti, che oggi non riescono a convincere. C’è un capitolo intero dove si affrontano i vari stereotipi che sono idee riduttive di una realtà. Buona parte del femminismo contesta le idee stereotipate sulla femminilità. Gesù era contro ogni tipo di stereotipo. Avere uno sguardo critico sugli stereotipi e sulla lotta ad essi è sempre salutare. Certo non bisogna combatterli ma neanche accettarli.
Dovrei avviarmi verso la conclusione per non far diventare la recensione un saggio. Comunque sia la docente spagnola è consapevole che affrontando questo viaggio spinoso della questione del genere, rischia molto, intanto è una scommessa che fa con se stessa, entra in un campo minato e dunque pericoloso. E’ rischioso ammettere che la sessualità non è solo una questione naturale ma anche culturale. La Diaz ritiene che la teologia e la Filosofia, ma anche l’antropologia, debbano ascoltare e aprirsi al dialogo con le scienze per raggiungere una sintesi armonica del sapere. Ma soprattutto è necessario che “l’antropologia cristiana entrasse in dialogo con le numerose discipline che affrontano la questione del genere (psicologia, sociologia, economia) per correggere le proprie conclusioni illegittime a partire da una comprensione più ampia della realtà, e per lasciarsi interpellare dalle domande che pongono”. I cristiani non devono rimanere fuori dai giochi, dobbiamo accettare la sfida che viene da quel mondo LGBTQ+. Per esempio, il culto del corpo non può essere ignorato, come più volte ci ha insegnato Giovanni Paolo II. Il corpo alla luce dell’incarnazione di Cristo, come immagine di Dio. “Per il fatto che il Verbo di Dio si è fatto carne – affermava Giovanni Paolo II – il corpo è entrato, direi, attraverso la porta principale della teologia”. Pertanto, tutte le ferite dell’uomo e della donna possono essere guarite da Gesù Cristo, è Lui la risposta a tutti i nostri desideri, al cuore dell’uomo. La Chiesa come Madre e Maestra ci offre tante possibilità di rinascere, di riscoprire la via retta. Ci accoglie senza rinunciare alla verità, ma ci ammaestra. Gli ultimi capitoli sono importanti, forse più decisivi, ci danno degli orientamenti: “Come parlare della Verità”, indicazioni per i formatori (genitori, insegnanti, catechisti, allenatori sportivi). Allora qui subentra l’importanza delle relazioni con i giovani in particolare. È necessario un cambiamento di approccio e un nuovo modo di parlare della verità che non si impone, viene verso di noi. Arriva più per attrazione che per istruzione. “L’accompagnatore deve essere paziente e flessibile per camminare al ritmo dell’accompagnato fino a creare un ambiente in cui interpellare il suo cuore”. Nelle note, che abitualmente metto nei testi letti, ho aggiunto bisognerebbe interpellare Karol Wojtyla quando era cardinale a Cracovia. In buona sostanza, bisogna accompagnare i giovani con il metodo di Gesù.
Vittorio Messori, il più grande scrittore cattolico vivente, tra le tante indagini storico religiose che ha fatto, ce ne è una che ha del clamoroso, si tratta del miracolo (il Gran Miraglo) che avvenne a Calanda, villaggio della Bassa Aragona in Spagna.
La sera del 29 marzo 1640, per intercessione di Nostra Signora del Pilar, veneratissima a Saragozza, a un giovane contadino (Miguel Juan Pellicer) fu restituita di colpo la gamba destra, amputata più di due anni prima e sepolta nel cimitero dell’ospedale. Messori racconta questa storia con rigorosa documentazione in uno studio pubblicato da Rizzoli nel lontano 1998, testo riedito dalle edizioni Ares nel 2023. Io ho letto il testo pubblicato da Rizzoli,
“Il Miracolo. Spagna 1640: Indagine sul più sconvolgente prodigio mariano”. Messori ci ha abituati a queste particolari indagini, come quella ben documentata su Bernadette Soubirous, una indagine storica sulla verità di Lourdes. Non sto qui ad elencare i numerosi e importanti studi che hanno caratterizzato la vita dello scrittore cattolico. Il miracolo di Calanda ebbe un certo riscontro quando avvenne, dopo è calato un sospettoso silenzio, scrive Messori, rotto proprio dal suo libro, il primo italiano che si è occupato dell’evento prodigioso. Lo studio è frutto di indagini negli archivi, interrogazioni di studiosi aragonesi e soprattutto di viaggi che l’autore ha fatto nei luoghi dove avvenne il miracolo. Col rigore storico e la capacità divulgativa di sempre Messori è riuscito a raccontare uno dei misteri più sconvolgenti e, al contempo, più saldamente provati della storia. Il testo di 254 pagine, si compone di cinqueParti. Nella Prima (La Sfida) lo scrittore racconta la sua avventura del viaggio verso la Spagna, nella regione dell’Aragona, teatro di sanguinosi conflitti, uno per tutti, la Guerra Civil del 1936-39. Quando los Rojos (anarco-comunisti), i repubblicani che per odio nei confronti della Religione cattolica hanno devastato chiese e ucciso sacerdoti e suore. Affrontando l’evento de “El Milagro de los milagros”, il miracolo dei miracoli, usa l’evento di Calanda per fare delle importanti riflessioni spesso sottili provocazioni nei confronti dei tanti increduli, scettici, atei, agnostici come Emile Zola, Ernest Renan, David Hume & compagni. Il noto razionalista Felix Michaud affermava: “Nessun credente avrebbe l’ingenuità di sollecitare l’intervento divino perché rispunti una gamba tagliata. Un miracolo del genere, che pur sarebbe decisivo, non è mai stato constatato. E possiamo prevederlo, non lo sarà mai”. Questi cosiddetti liberi pensatori hanno cercato di sminuire, di diffamare gli eventi miracolosi in genere e in particolare i 65 casi di guarigioni a Lourdes. Quello di Calanda è stato volutamente ignorato. In questa parte Messori spiega la questione delle apparizioni della Madonna e dei vari miracoli che ancora oggi accompagnano la vita dei credenti e soprattutto il comportamento della Chiesa. Si tratta semplicemente di aiuti che l’Altissimo offre all’umanità intera perché si converta e creda al Vangelo. I prodigi, i miracoli, sono segni straordinari, imprevedibili, segni “gratuiti”, - scrive Messori - concessi, ad enigmatica discrezione divina, per rinsaldare fedi vacillanti; per riaffermare la presenza del Creatore, Signore del mondo; per confermare la Sua onnipotenza e bontà”.
Intanto, l’autore, chiarisce che la Chiesa, intesa come Gerarchia, non cerca affatto questo tipo di “prodigi”. Spesso si mostra estremamente prudente e ipercritica, prima di confermare un avvenuto miracolo: In ogni caso, per il cattolico “non sono obblighi, da accettare sempre e comunque: sono semmai, doni, da accogliere con riconoscenza […]” Per la fede sono “conferme, magari appoggi; non fondamenta”. Più avanti Messori sottolinea che nessun miracolo è indispensabile per il cristiano, tranne che quello della Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, qui la fede sta o cade. Tuttavia, a detta del maggiore storico attuale del “fatto di Calanda”, don Tomas Domingo Perez, la Chiesa, “anche quando, dopo una verifica meticolosa, l’autorità ecclesiastica dichiara autentico un fatto prodigioso, non intende affatto forzare l’assenso dei suoi figli”. Il Nostro è un Dio che ama la libertà, scrive ad un certo punto Messori.
È un Dio che si propone e non impone. E prima di concludere la prima parte Messori si interroga sul perché si conosce poco di Calanda, perché nessuno neanche la Utet, si prende cura di “uno strano processo del XVII secolo presso il tribunale vescovile di Saragozza e che avrebbe avuto per oggetto – nientemeno – che la storia di una gamba ricresciuta a un contadino analfabeta, un mendicante di un villaggio della Bassa Aragona?”. Se da parte “laica” il silenzio è comprensibile, non dovrebbe essere così da parte dei religiosi. Addirittura, Messori lamenta che il miracolo più inaudito della storia non ha avuto l’eco universale che meritava, neanche da parte dei più accaniti battaglieri apologeti della fede. È uno strano oblio, interrotto da qualche studioso come l’abbè francese André Deroo, che studiava e divulgava i fatti di Lourdes, ed era spesso interrotto nelle sue conferenze e dibattiti, da qualche voce che esclamava: “Tutte queste storie di guarigioni miracolose sono molto belle ed edificanti…Però, caro Padre, non si è mai vista rispuntare una gamba tagliata!”. Per questo motivo, l’abbè ha fatto come Messori, ha indagato di persona sul posto per divulgare la memoria del prodigio iberico.
Nella seconda Parte (L’Evento) Messori racconta l’evento in sé stesso. Prima di giungere alla sera del 29 marzo del 1640, la notte del miracolo della gamba riattaccata al povero Miguel. Messori descrive l'incidente. Il giovane contadino finito sotto la pesante ruota di un carro ha avuto la gamba destra spezzata, alla fine di ottobre del 1637, in ospedale hanno deciso di tagliarla perché si era incancrenita. Pertanto, il giovane contadino non potendo più lavorare gli fu concesso di elemosinare davanti al santuario della Madonna del Pilar a Saragozza. Dopo tre anni, superando la vergogna della sua mutilazione, è ritornato faticosamente a casa dai genitori a Calanda con due stampelle e una gamba di legno. Qui nella notte del 29 marzo 1640 si risvegliò con la sua gamba riattaccata, quella che sotterrata nel cimitero tre anni prima. Messori racconta con documenti alla mano, tutte le varie tappe del prodigio. A cominciare del grande spavento dei genitori di Miguel, con la stanza dove si percepiva “profumo di Paradiso”. E poi l’accorrere dei vicini di casa e i parroci con il vescovo di Saragozza monsignor Pedro Apaolaza Ramirez che dopo un anno di processi e verifiche, con un rigore disciplinare e morale, ha emesso la sentenza con la quale si dichiarava miracolosa, ottenuta per l’intercessione di Nostra Signora del Pilar, la restituzione a Miguel Juan Pellicer di Calanda, la gamba destra amputata e sepolta da due anni e cinque mesi. Questo è il titolo della Sentenza pubblicata nell’ultima parte del libro. Dove troviamo anche l’Atto pubblico steso in Calanda, Bassa Aragona il 2 aprile 1640 dal Notaio Reale di Mazaleon, dottor Miguel Andreu.
Messori ritorna spesso sulla questione che il miracolo di Calanda ha avuto l’imprimatur delle autorità civili aragonesi. Un atto pubblico addirittura garantito da un documento (steso da un notaio abilitato dallo Stato) secondo ogni regola del diritto e confermato da dieci testimoni oculari, scelti tra i più attendibili e informati sui moltissimi disponibili. Tra l’altro persone non nativi della borgata del giovane Pellicer. Paradossalmente scrive Messori, dopo le carte, qui, “anche le pietre parlano”, rifacendosi a un’immagine evangelica. Un intero villaggio non si può ingannare, osserva un sacerdote. Anche se Calanda, forse a causa del suo isolamento geografico, non è mai divenuto un luogo primario di pellegrinaggio come Lourdes.
Infatti, sottolinea Messori, poteva testimoniare tutto un popolo che aveva conosciuto il giovane contadino. Praticamente, “siamo di fronte a un intervento divino certificato da un Atto pubblico”. Un atto, addirittura dopo una settantina di ore dopo l’evento e sul luogo stesso di quei fatti sui quali viene steso e autentica il rogito. Un Atto che si è salvato da mille pericoli, soprattutto dalla furia iconoclasta dei nuovi giacobini comunisti e che troviamo nell’ufficio del sindaco nel municipio di Saragozza. Non a torto lo storico Leandro Aina Naval può osservare: “Con un simile documento ci avviciniamo a quella garanzia ideale reclamata dai razionalisti e dagli increduli di ogni tempo […]”. Il Mistero, insomma, garantito dai sigilli del Dottor Andreu, quello che in pratica pretendeva l’antiCristo di un Voltaire: “un miracolo constatato da un certo numero di persone sensate e che non fossero interessate alla cosa”. Voltaire, voleva l’intervento di un notaio e un suo rogito in piena regola come quando si acquista una casa o si contrae un matrimonio, o un testamento. A proposito dell’atto notarile Messori fa una interessante considerazione, “nessuno storico, per quanto scrupoloso potrebbe esigere di più. La stragrande maggioranza dei fatti del passato (anche fra i maggiori) è attestata con assai minori certezze documentarie e garanzie ufficiali. È una constatazione oggettiva, non una rassicurazione apologetica”.
Interessante la riflessione di Messori sulla attendibilità del miracolo, non c’erano solo i parroci, le autorità civili, ma c’era anche la “Suprema”, l’Inquisizione che vegliava senza essere intervenuta sul caso Calanda. Istituzione che aveva in Spagna l’appoggio popolare pieno e convinto di ogni classe sociale, al contrario di quello che vogliono farci credere gli estensori della “leggenda nera”. Abbastanza interessante descrivere un altro “siparietto” alla corte del Re Filippo IV che volle conoscere il giovane suddito analfabeta favorito dalla più straordinaria delle grazie della Vergine del Pilar. Il sovrano di fronte al Pellicer non ha esitato ad inginocchiarsi e baciare la gamba miracolata. Messori accenna anche alla storia del santuario dedicato alla Vergine Maria, servirebbe uno studio approfondito, comunque non si tratta della solita apparizione della Madonna come è accaduto in altri luoghi, ma di una venuta della Madonna proprio a Saragozza nel 40 d.C. dove c’era l’apostolo Giacomo il Maggiore e altri che stavano evangelizzando il popolo iberico. La Vergine Maria è venuta in carne e ossa su un pilastro, invitando Giacomo, quello di Compostela, che sarà poi il primo apostolo a subire il martirio, a costruire un tempio in suo onore. Questo pilastro, di alabastro, è ancora conservato nella cappella della basilica ed è oggetto di grande venerazione. È un luogo unico, quella del santuario del Pilar a Saragozza. Dio non ha fatto una cosa simile per alcun popolo. C’è una sorta di misterioso parallelismo tra Saragozza e Calanda, sorge spontanea la domanda: “Perché proprio qui e non altrove?”.
Zaragoza diventa la prima “sede” mariana del mondo. Qui, sulla riva destra dell’Ebro, appena fuori le mura della romana Caesarea Augusta, nella notte del 2 gennaio dell’anno 40 è venuta la Vergine quando era ancora in vita, prima di “addormentarsi” e di essere assunta in Cielo. Trasportata dagli angeli, sarebbe venuta da Gerusalemme “in carne mortale”, come cantano da secoli a squarciagola i fedeli, e come più volte al giorno ripetono sulla piazza del Pilar gli altoparlanti.
Messori racconta altri aneddoti inerenti al Gran Milagro, come quelli che riguardano Luis Bunuel, il famoso regista, ateo, ma devoto alla vergine del Pilar e al miracolo di Calanda. Per il regista spagnolo Lourdes è un luogo mediocre.
Nella terza Parte (La Lezione) di Calanda. Il significato sociale più che personale del miracolo. Un beneficio per la comunità intera non solo aragonese, ma di tutta la Spagna, per tutti noi che abbiamo appreso lo straordinario evento. Ma questo vale per qualsiasi altro evento miracoloso. Per quanto riguarda il dopo guarigione di Miguel Juan Pellicer si sa poco, ignoriamo quando sia morto, abbiamo poche certezze della sua vita dopo il miracolo. La quarta Parte è dedicata alle immagini, che per un libro sono tante. Ultima parte i Documenti.
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