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La settimana scorsa ho sottolineato il discorso storico del vicepresidente americano J.D. Vance a Monaco, oggi ne sottolineo un altro, altrettanto storico, della nostra Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che peraltro possono essere ascritti entrambi al campo conservatore, che di mese in mese si sta allargando. Meloni è intervenuta sabato scorso in video collegamento alla Conservative Political Action Conference (CPAC), la kermesse annuale che riunisce i conservatori statunitensi. Apre la manifestazione JD Vance, la chiude il presidente Trump. Si tratta del “più grande e influente raduno di conservatori al mondo”. La CPAC, nata nel 1974 su iniziativa dell’ex presidente Usa Ronald Reagan, ha riunito nei pressi di Washington, da giovedì sera e per tre giorni, i più influenti rappresentanti della destra statunitense. Quest’anno la kermesse sarà dedicata a celebrare la vittoria di Donald Trump che sabato sera ha tenuto il discorso conclusivo dell’evento. Sempre nello stesso giorno, c'è stato l'intervento del Presidente argentino Javier Milei, a quello della Premier Giorgia Meloni. Non è la prima volta che la premier Meloni partecipa alla CPAC, è già successo nel 2019 e nel 2022. Alla convention partecipano sia parlamentari di FdI, che della Lega. Intanto c'è da segnalare negli stessi giorni, un altro evento annuale sempre di conservatori che si è svolto in Inghilterra, promosso da Alliance for  Responsible Citizenship, ARC (Alleanza per la Cittadinanza Responsabile), dove ha partecipato Nicola Procaccini, co-presidente del Gruppo Ecr al Parlamento europeo ed esponente di Fratelli d’Italia. Procaccini dopo aver evocato Margaret Thatcher, William F. Buckley Jr.,Buckley, Ronald Reagan e molti altri furono i cosiddetti “fusionisti”, costruttori di coalizioni che cambiarono il mondo. Grazie a questi leader, l’Occidente ha conosciuto una prosperità economica senza precedenti, si è unito attorno a una causa comune ed è riuscito a vincere la Guerra Fredda.Come leader del Gruppo conservatore al Parlamento europeo, vedo ogni giorno l’importanza di costruire nuove coalizioni e trasformarle in un movimento capace di ottenere la vittoria. Abbiamo visto esempi simili in tutto il mondo: con la vittoria di Donald Trump e Javier Milei, con la reinvenzione del Partito conservatore canadese guidato da Pierre Poilievre e con la nuova direzione del Partito Liberale australiano sotto Peter Dutton”. Procaccini nella sua relazione fa riferimento a personalità come Margaret Thatcher, William F. BuckleyJr., Ronald Reagan, furono i cosiddetti “fusionisti”, costruttori di coalizioni che cambiarono il mondo. Grazie a questi leader, l’Occidente ha conosciuto una prosperità economica senza precedenti, si è unito attorno a una causa comune ed è riuscito a vincere la Guerra Fredda. Ancora oggi beneficiamo dell’ordine mondiale che essi hanno contribuito a stabilire. Procaccini si augura di “riunire i conservatori sotto un’unica bandiera”, in un fusionismo moderno, con una convinzione fondamentale: fermare l’avanzata del socialismo, del wokismo e del progressismo in Occidente, e riportare il buon senso al centro della politica.

Tornando al discorso di Giorgia Meloni al CPAC di Washington, la nostra premier ha fatto un discorso equilibrato, secondo Marco Invernizzi “va anche apprezzato il suo equilibrio nel tenere insieme il sacro diritto alla legittima difesa del popolo ucraino, l’alleanza storica e fondamentale dell’Italia con gli USA, senza perdere il legame con l’Europa. Un equilibrio difficile, un compito che ha bisogno del nostro affetto e delle nostre preghiere. Noi infine non lasciamoci ingannare e imitiamo s. Ignazio, che nel tempo della tribolazione invitava a non cambiare le decisioni già prese. Non odiamo nessuno e vogliamo cooperare con tutti, proprio in un’ottica cattolica, cioè universale: l’Occidente è un bene, è stato un dono, e può ritornare a esserlo”. (La situazione internazionale, 24.2.25, alleanzacattolica.org) Certo viviamo tempi complicati, non facili. E' un mondo sempre più complesso, a partire da quell’evento epocale che è stato il 1989, quando il Muro della divisione e della vergogna venne abbattuto a Berlino dai cittadini finalmente liberi di attraversarlo.

Giovanni Cantoni, fondatore di Alleanza Cattolica, “lo ripeté continuamente negli anni successivi: nasceva un mondo complicato, senza più un paradigma di assoluta evidenza. Non che prima del 1989 fosse tutto semplice, ma c’erano il mondo comunista e quello che gli si opponeva, con tante differenze, certo, ma unito nel rifiuto dell’ideologia marxista”. Oggi il relativismo è penetrato profondamente dappertutto: “destre controrivoluzionarie e destre che vogliono fare saltare il sistema liberale, conservatori legati alla tradizione occidentale e conservatori aperti alle suggestioni liberal, cattolici fedeli alla dottrina sociale e altri cattolici che nemmeno sanno cosa sia, sinistre di diversi tipi, occidentali a volte, più spesso pro-pal, cioè contro Israele, ora e sempre”. Non ci sono strade semplici. Intanto ci accontentiamo di queste dichiarazione politiche, dei buoni propositi, l'ho scritto in un post su Fb, a me basta che il mio capo del Governo dica e pensa queste cose...poi sulle questioni economiche non sono esigente, so che non è facile risolvere o sciogliere i tanti nodi che durano da decenni, almeno da 50 anni, ora non si può pretendere che si risolve tutto in qualche anno. Forse non bastano neanche cinque anni. Le società occidentali e quindi l'Italia, non si cambiano per decreto o semplicemente perché si è installato un buon governo. Ci vuole tempo, pazienza e soprattutto un progetto culturale, che attualmente non si vede. Anche se questi congressi dei conservatori, fanno ben sperare. Certo, la politica serve, i provvedimenti esecutivi anche, ma se qualcuno pensasse di potere cambiare con pochi gesti, spesso “urlati” sopra le righe, temo sia destinato a una ennesima delusione”.

Rileggendo  il discorso di Giorgia Meloni emergono diversi elementi di riflessione oltre i punti sottolineati giustamente dai media su Europa, Ucraina aggredita, pace giusta e duratura. Un discorso di identità e di valori. Meloni apre il discorso ribadendo l’orgoglio nazionale italiano e il legame profondo con gli Stati Uniti, enfatizzando una visione dell’Occidente come civiltà fondata su principi di libertà, uguaglianza e sovranità popolare. “L’Italia, è una Nazione straordinaria, legata agli Stati Uniti da un vincolo indissolubile forgiato dalla storia e dai valori condivisi”. “Non ci vergogneremo mai di quello che siamo,” e nella sala è esploso un applauso scrosciante.

Una dichiarazione di sfida, una risposta ferma a chi cerca di minare l’identità occidentale, contro la cancel culture e l’ideologia woke che minacciano di dividere, indebolire e si pone anche come contraltare alle narrazioni globaliste.

La coerenza dei conservatori. Una delle forze del discorso è la volontà di evidenziare la coerenza dei conservatori: “Noi conservatori facciamo quello che diciamo. Facciamo quello che è giusto, combattiamo per quello in cui crediamo”: La gente, “votano per noi”, ha detto, «perché difendiamo la libertà, amiamo le nostre nazioni, vogliamo rendere sicuri i confini, preserviamo i cittadini e i lavoratori dall’ambientalismo folle di sinistra, difendiamo la famiglia e la vita, combattiamo contro il wokismo, proteggiamo il nostro sacro diritto alla fede e la libertà di parola. Ci battiamo per il buon senso. Un discorso che ha saputo toccare le corde più profonde dell’animo conservatore, un richiamo a difendere ciò che è sacro, ciò che dà senso alla vita. “La battaglia è dura, ma la scelta è semplice: vogliamo assecondare il declino o combatterlo?». Un lessico nuovo quello della premier italiana che lega l’attuale successo delle destre a una rinascita valoriale mentre collega le battaglie della sinistra al declino. Evoluzione contro involuzione, rinascita contro decadenza, cambiamento contro status quo, speranza contro rassegnazione. Un modo sicuramente abile per oltrepassare le categorie destra-sinistra”. (Annalisa Terranova,Giorgia Meloni al Cpac, un nuovo lessico tra libertà e Occidente, 24.2.25, Libero) Meloni, auspica una rinascita dell’Occidente. Attenzione, “L’Occidente che non può darsi senza Europa e non può concepirsi senza America”. «Io credo ancora nell’Occidente», ha detto la premier, «nell’Occidente non come luogo fisico, ma come civiltà. Civiltà nata dall’incontro con la filosofia greca, il diritto romano e i valori cristiani. Civiltà costruita e difesa nei secoli con il genio, le energie e i sacrifici di moltissimi. Con la parola Occidente definiamo un modo di concepire il mondo nel quale la persona è al centro, la vita è sacra, gli uomini nascono uguali e liberi, e quindi la legge è uguale per tutti, la sovranità appartiene al popolo e la libertà viene prima di ogni altra cosa». Naturalmente, il suo appello all’unità dell’Occidente, non è quello relativista delle attuali classi dirigenti europee, ma quello fondato, sono sue parole, sulla filosofia greca, il diritto romano e i valori cristiani. Occidente che per quanto riguarda la politica estera, significa sostegno all’Ucraina: Meloni celebra il coraggio e la determinazione del popolo ucraino, presentandolo come esempio di difesa della libertà contro un’aggressione ingiusta. Ci vuole veramente faccia tosta o poca capacità di comprendonio da parte delle sinistre a definire il discorso della Meloni l’ennesima dimostrazione di “vassallaggio”. Il discorso di Giorgia Meloni al CPAC ha saputo incarnare la speranza di molti conservatori: una leader forte, coerente, che difende senza compromessi i valori in cui credono. Un faro in un mondo che sembra aver perso la bussola.

Mario Sechi ci racconta come si misura la grandezza di un leader. Dai fatti, contano soltanto i fatti, non le chiacchiere degli avversari né i complimenti interessati, ma la cronaca delle cose che accadono. (Grandi e piccoli: trovate le differenze, 25.2.25, Libero) Guardando alla cronaca di una sola giornata, 24 febbraio di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio dei ministri, basta segnalare il vertice con il leader degli Emirati Arabi Uniti, Mohamed bin Zayed Al Nahyan, per la firma di accordi economici del valore di 40 miliardi di dollari. E poi dulcis in fundo, chiusura della giornata con il botto, conferenza stampa di Donald Trump e Emmanuel Macron nello Studio Ovale a Washington, con il presidente degli Stati Uniti d’America che decide di rimarcare «la leadership molto forte» di «Giorgia». Immaginate tutti i sinistri e aspiranti leaderini dell’opposizione. “La realtà è più forte della propaganda, Meloni è una professionista come non se ne vedevano da tempo, è del mestiere, ha mangiato fin da piccola «minestra e politica» (conio di Francesco Cossiga), e questo la rende diversa, temprata, naturalmente non infallibile, ma di gran lunga una delle figure più brillanti dello scenario internazionale. Governare è difficile, in questi tempi lo è ancor di più, ma gli italiani sanno che Meloni e il centrodestra sono una garanzia di stabilità”.

 

Ad Hammamet, dove si sono svolte le celebrazioni per il 25° anniversario della morte di Bettino Craxi, Stefania Craxi ha ricordato il padre con parole ferme e appassionate. "Craxi è stato un patriota, amava l’Italia e gli italiani. Non si può dire: 'Craxi è stato uno statista sì, ma i processi…'. O Craxi è stato uno statista o è stato un corrotto", ha dichiarato aprendo le cerimonie in omaggio all’ex leader socialista.

Una richiesta di onestà morale

Nel suo discorso, Stefania Craxi ha chiesto al Paese di guardare al passato con maggiore chiarezza e onestà intellettuale. "Dopo 25 anni, si deve avere il coraggio di parlare di Craxi senza sé e senza ma. Non si può celebrarlo come statista e contemporaneamente esaltare Mani Pulite: sarebbe una contraddizione troppo grande e un’ipocrisia che continua a pesare sulla coscienza dell’Italia repubblicana".

Un’eredità riformista moderna

La senatrice ha sottolineato l’importanza dell’eredità politica e culturale lasciata da Bettino Craxi. "Mio padre ha consegnato al Paese un riformismo moderno, adatto ai tempi. Le sue intuizioni sono state raccolte negli anni soprattutto dai governi di centrodestra". Tra queste, ha menzionato il ruolo strategico dell’Italia nel Mediterraneo, l’impegno a ridurre il divario tra Nord e Sud del mondo e l’idea di una sinistra che per la prima volta osava parlare di patria.

"Craxi fu il primo a far esporre la bandiera italiana in tutti gli uffici pubblici, segno tangibile del suo amore per il Paese. Inoltre, condusse una battaglia fondamentale per restituire alla giustizia il suo vero ruolo: essere al servizio del cittadino e non uno strumento di lotta politica. L’uso politico della giustizia ha provocato danni enormi e distorsioni profonde nel nostro Paese".

Il riconoscimento istituzionale

Nel corso della cerimonia, Stefania Craxi ha ringraziato il presidente del Senato, Ignazio La Russa, per la sua presenza, definendola "un atto di giustizia e verità". Ha ricordato anche altre personalità che negli anni hanno reso omaggio a Craxi ad Hammamet, tra cui Antonio Tajani, Marcello Pera e Pierferdinando Casini. Tuttavia, ha sottolineato una mancanza: "Nessun esponente di rilievo del centrosinistra ha mai calcato la sabbia di Hammamet".

Un leader divisivo, ma centrale nella storia italiana

La figura di Bettino Craxi continua a suscitare dibattito, ma le parole di sua figlia a Hammamet invitano a una riflessione più profonda e onesta sul ruolo di uno degli statisti più influenti e controversi della storia italiana. Un uomo che, nel bene e nel male, ha segnato un’epoca e lasciato un’eredità che continua a far discutere.

La firma apposta 'A nome di tanti italiani' sul registro dei presenti alla commemorazione nel piccolo cimitero all'ombra della Medina di Hammamet e il mazzo di fiori bianchi e rossi sulla lapide con la scritta 'La mia libertà equivale alla mia vita'. E' l'omaggio del presidente del Senato Ignazio La Russa volato in Tunisia per partecipare alle celebrazioni per il venticinquesimo anniversario della morte di Bettino Craxi. Alla cerimonia, accanto ai figli Stefania e Bobo e a simpatizzanti e amici, anche il vicepremier Antonio Tajani.

La presenza di La Russa e Tajani "rimette ordine nelle pagine della storia", commenta Nicola Carnovale, direttore generale della Fondazione Craxi.

Del resto, nelle parole del presidente del Senato e del vicepremier emerge la volontà di porre l'accento su Craxi come "grande figura della storia", per dirla con La Russa. Che osserva anche come "non sarebbe dovuto accadere che dovesse morire qui in esilio". "Craxi - sottolinea Tajani - è stato uno dei grandi protagonisti della storia politica italiana del dopoguerra".

"E' stato uno dei grandi protagonisti della politica estera italiana insieme ad Andreotti e Berlusconi - prosegue Tajani - un uomo che ha avuto sempre il coraggio di difendere le proprie idee, pagando anche con l'esilio le proprie scelte, vittima di un giustizialismo dissennato".

Nella giornata dedicata alla commemorazione di Bettino Craxi, il dibattito politico si accende con una serie di riflessioni. Stefania Craxi, senatrice di Forza Italia e presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama, ha voluto sottolineare un aspetto che ritiene significativo: "In tutti questi anni, molte personalità istituzionali e politiche di spicco sono venute ad Hammamet per rendere omaggio a Craxi, restituendogli l'onore che merita. Tra questi, il presidente del Senato Ignazio La Russa, che era già venuto in visita privata qualche anno fa, Antonio Tajani quando era presidente del Parlamento Europeo, e ancora Marcello Pera e Pierferdinando Casini. Tuttavia, nessun esponente di rilievo del centrosinistra ha mai calpestato la sabbia di Hammamet per un gesto di memoria o riconoscimento".

Michele Simone, vicesegretario del Nuovo Psi, ha accolto positivamente la presenza di La Russa: "Bettino Craxi era, prima di tutto, un riformista autentico, sincero e convinto. Oggi anche il presidente del Senato ha voluto rendergli omaggio, e per questo lo ringraziamo".

L’omaggio al leader socialista sembra quindi assumere un significato duplice: da un lato, come riconoscimento della figura politica di Craxi, dall’altro, come terreno di confronto tra diverse visioni della memoria storica e del panorama politico contemporaneo.

Fonte varie agenzie e ansa

 

 

Il futuro del Vecchio Continente si presenta quindi ricco di sfide, non solo economiche ma anche sociali e politiche. Dopo sessant'anni di prosperità, i decenni a venire sembrano essere particolarmente ardui, inducendo a considerare quale direzione l'Unione Europea possa prendere di fronte alle minacce menzionate.

L'idea che nove Stati membri con opinioni condivise possano essere sufficienti per superare gli ostacoli nella promozione delle riforme necessarie alla trasformazione dell'economia europea è espressa in un articolo di opinione ospitato dal Financial Times.

L'articolo sottolinea che quasi tutti concordano sul fatto che la maggior parte delle raccomandazioni di Mario Draghi per incrementare la produttività sono valide. Tuttavia, nessuno si aspetta che gli Stati membri consentano alla necessaria cessione di sovranità o alla concentrazione delle risorse richieste per realizzarle. Se qualcosa deve essere fatto, sostiene l'autore, non avverrà attraverso i metodi tradizionali. Ma cosa accadrebbe se, invece, si potesse identificare un gruppo di nazioni che si fidano a sufficienza l'una dell'altra e che condividono preferenze politiche simili, tanto da formare una "coalizione di volenterosi" per una maggiore integrazione, come auspicato da Draghi e altri?

Le disposizioni dei trattati dell'UE per la "cooperazione rafforzata" permettono a soli nove Paesi di agire con il pieno sostegno delle istituzioni dell'UE, anche quando un accordo più ampio sembra incerto.

L'autore invita a guardare verso il nord: i tre membri baltici dell'UE e i tre paesi scandinavi collaborano già come "Sei Nordico-Baltici". I Paesi scandinavi hanno accordi di viaggio senza passaporto e libertà di movimento da 70 anni. Questi Paesi condividono visioni comuni su argomenti che vanno dalla regolamentazione finanziaria e fiscale alla difesa, sicurezza, commercio e clima. 

Aggiungendo l'Irlanda e i Paesi Bassi, si costituirebbe quella che alcuni anni fa era nota come la "Nuova Lega Anseatica", formando i mercati dei capitali più sviluppati dell'UE. Insieme, questi otto Paesi si avvicinano alla Francia in termini di popolazione, con economie di dimensioni simili.

Non è difficile immaginare che un blocco coeso come questo possa reclutare altri Paesi - magari diversi a seconda dei settori politici - per mantenere il quorum di nove Stati per la cooperazione rafforzata, conclude l'articolo.

Fonte FT

 

Il direttore del giornale Ellenico Estia Manolis Kottakis ha pubblicato un articolo tagliente contro i leader europei per la loro posizione negli ultimi anni. Il direttore del giornale "Estia" nel suo articolo sul giornale "Democracy" e Newsbreak, definisce Macron, Scholz e persino il primo ministro greco come "divertenti" perché hanno servito la politica dei democratici in Ucraina e sono diventati nemici della Russia, cosa che l'Europa paga finanziariamente..

Sì! Tutti i governi di ramo dei Democratici nel vecchio continente, compreso il nostro, hanno ora ricordato l'Europa e la necessità della sua "maturità geopolitica". E andarono a... Budapest per confessarci il loro dolore.

Che coincidenza! Donald Trump doveva essere eletto presidente degli Stati Uniti perché Macron, Scholz, Tusk, il nostro, il fatidico di questo continente, pensassero alla dottrina di un'Europa autonoma. C'è voluto Trump per essere eletto con opinioni ben note sugli obblighi dell'UE nei confronti dell'America per affidare al clero di Bruxelles il banchiere Draghi per scrivere un rapporto sul futuro dell'Europa. Troppo tardi per le lacrime...

L'Europa ha avuto un'enorme opportunità per la sua maturità geopolitica. In un momento in cui ha dovuto resistere, erigere ostacoli e dire il grande "no" allo scoppio della guerra tra America e Russia sul suo suolo, nel suo stesso cortile. Allora, sì, sarebbe diventato ideologicamente autonomo e sarebbe diventato maggiorenne geopoliticamente e avrebbe protetto i suoi Stati, il suo territorio e i suoi popoli.

Era ovvio che gli interessi strategici dell'Unione, che aveva un bisogno vitale di energia a basso costo, non coincidevano - nel migliore dei casi, con gli interessi americani. Eppure! Invece di dire al clero democratico (che dai tempi di Clinton e Albright ha saputo come iniziare guerre senza uscita che non può vincere, senza sapere come uscirne) "no, no, no", invece di insistere sull'attuazione da parte dell'Ucraina degli accordi di Minsk, è diventato la coda politica dei democratici. Diventando così un suicidio ideale dal punto di vista economico e il rappresentante dell'Occidente per gestire e "caricare" per suo conto la sconfitta di Zelensky da un punto di vista geopolitico! Una sconfitta che non solo non gli appartiene – ha la firma larga dei democratici – ma che paga a caro prezzo.

Mentre parliamo, i destini dell'Europa stanno vacillando. La Germania sta affrontando enormi problemi economici, la deindustrializzazione e un'ondata di fallimenti incombenti nei suoi giganti aziendali, mentre il governo degli sfortunati dipendenti di Scholz-Baerbock è a brandelli. La sua caduta è solo questione di tempo. La Francia dello sfortunato leader Macron è governata dal governo di minoranza di Michel Barnier, che non durerà a lungo. La Grecia ha un governo insensato e sconsiderato, che non ha nemmeno pensato di inviare un osservatore, un dirigente del Pireo, nello staff di Trump per osservare le elezioni dall'interno (è stato così in passato), poiché Nuova Democrazia e i Repubblicani dovrebbero essere partiti fratelli.

Di quale formazione in Europa dovremmo quindi parlare? In effetti, i fatidici leader europei hanno concesso due anni a questa parte, durante la guerra, l'implacabile "shorting" di azioni di banche e società, che, con la "discesa" dell'economia europea, stremata com'è, finiranno per cadere nelle mani degli investitori americani per un pezzo di pane. E, invece degli Stati Uniti d'Europa, l'UE diventerà il 51° stato dell'economia statunitense. "Raggiungimento della maggiore età"!

Se le cose andranno così, allora il modo in cui tutti i leader della regione, compreso Orban, si sono comportati in questi due anni, sarà insegnato nelle università nel 2050, nel corso di Relazioni internazionali intitolato "Come difendere o non difendere il proprio interesse nazionale". Francia, Germania, Polonia, Grecia e altri hanno armato Zelensky con le armi. 

Nel nostro caso, il nostro territorio ad Alexandroupolis è stato utilizzato anche per sostenere la fornitura di carburante e cibo all'Ucraina. Francia, Germania, Polonia, Grecia si sono unite alle sanzioni di Biden, che miravano, secondo una dichiarazione pubblica di un ex vice ministro degli Esteri greco, "all'esaurimento economico della Russia, alla provocazione di una rivolta popolare a Mosca e, infine, alla caduta di Putin"! Che sta ancora "cadendo". Ogni settimana la rozza propaganda che mette a tacere i popoli dell'Unione europea fa cadere il dittatore Putin. Una settimana è stato abbattuto dagli oligarchi "scontenti", la successiva dai generali "infastiditi", la terza dagli studenti e dalle manifestazioni per Navalny, ed è ancora lì. Niente di tutto questo si è rivelato vero.

Al fine di servire servilmente la dottrina dei democratici, la leadership dipendente dall'Europa e i media mainstream integrati hanno persino fatto concessioni all'acquis democratico: hanno vietato il funzionamento e la trasmissione di informazioni sul nostro territorio da parte di Russia Today e Ria Novosti. Hanno limitato l'informazione. Quanta fiducia avevano nella forza e nella risonanza delle loro argomentazioni... Allo stesso tempo, l'"isolato" Orbán è stato strategicamente paziente ed è ora un interlocutore privilegiato sia di Trump che di Putin. Avendo assicurato al suo paese un basso costo per il suo approvvigionamento energetico. Mentre l'Europa sconfitta e tollerata dagli Usa (che vogliono prezzi bassi sul mercato petrolifero) viene umiliata dal contrabbando di petrolio dal Paese di cui voleva mandare il leader allo sgabello della Corte Penale Internazionale: la Russia.
Personalmente, aborro le caratterizzazioni personali e gli epiteti cosmetici. Ma poiché appartengo a una generazione che è cresciuta indossando le dieci stelle dell'Unione sul loro abito, ci sono momenti in cui non puoi evitarli. A coloro che oggi si atteggiano a leader dell'Europa e accusano tardivamente l'Unione di "ingenuità geopolitica": purtroppo non siete solo fatali..

L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l’italiano Filippo Grandi, ha effettuato una visita ufficiale in Finlandia durante la quale ha incontrato il Presidente della Repubblica Alexander Stubb , il Primo Ministro Petteri Orpo e il Ministro per il Commercio Estero e lo Sviluppo  Ville Tavio; ha avuto incontri anche con la Commissione Affari Esteri del Parlamento e con i rappresentanti delle organizzazioni della società civile finlandese

Il Presidente Alexander Stubb, incontrando  l'Alto Commissario Grandi presso il Palazzo presidenziale di Helsinki, lo ha ringraziato per il suo ruolo guida nell'assistenza e nella protezione delle persone sfollate in tutto il mondo.

A sua volta, Grandi si è detto onorato di aver incontrato il Presidente Stubb e lieto di sentirlo affermare il sostegno finlandese al lavoro dell'UNHCR, congratulandosi con lui per la sua leadership nel sostenere un sistema di pace e sicurezza globale più efficace, cruciale anche per prevenire le crisi umanitarie dei rifugiati.

Incontrando il primo ministro Orpo, Grandi lo ha ringraziato per il caloroso benvenuto e le discussioni costruttive, aggiungendo di essere stato incoraggiato nel sentire riaffermare il forte sostegno della Finlandia al lavoro di UNHCR a livello globale, e apprezzando  l’ impegno della Finlandia su questioni complesse come le sfide dei rifugiati e delle migrazioni, e i modi per affrontarle in modo pragmatico e basati sui principi.

Gli incontri si sono focalizzati sulla situazione umanitaria e dei rifugiati a livello globale e su questioni di attualità in Europa, nonché sulle relazioni tra l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e la Finlandia, sulla cooperazione con il settore privato e l'importanza di aiutare coloro che si trovano in una situazione particolarmente vulnerabile.

"L'assistenza umanitaria della Finlandia dà priorità all'aiuto a coloro che si trovano nelle situazioni più vulnerabili. Nelle nostre decisioni sui finanziamenti umanitari nel 2024, ci siamo concentrati sul supporto alla fornitura di assistenza umanitaria nelle più grandi crisi di rifugiati del mondo. L'UNHCR è uno dei principali destinatari dei nostri finanziamenti umanitari e la Finlandia continuerà a supportare l'organizzazione per garantire che gli aiuti raggiungano i più bisognosi",  ha dichiarato  il Ministro per il commercio estero e lo sviluppo Tavio, incontrando Grandi, che lo ha ringraziato per avergli comunicato di un nuovo contributo di 13 milioni di euro all’UNHCR per le opere in Sudan, Sahel e Ucraina, che porta a 32 milioni di euro annui il contributo totale fella Finlandia, uno sforzo altamente apprezzato.

L'Alto Commissario per i Rifugiati Filippo Grandi è a capo dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) dal 2016; l'UNHCR fornisce assistenza e protezione essenziali a rifugiati, richiedenti asilo, sfollati interni e apolidi in tutto il mondo.(gn)

 

 

 

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