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Il Cavaliere: 'Tentano di eliminarmi dalla vita politica, ma io vado avanti

"Ho più volte detto che se qualcuno pensasse a un'assurda espulsione di Silvio Berlusconi dalla vita parlamentare, o per via giudiziaria o votando in Parlamento la sua ineleggibilità, l'indignazione per un fatto tanto grave sarebbe generale". Maurizio Gasparri precisa l'annuncio di dimissioni del Pdl se Berlusconi venisse condannato, sganciandole dalla sentenza della Corte Costituzionale prevista in giornata. "Non possiamo immaginare - dice Gasparri - che qualcuno voglia eliminare o espellere Berlusconi dalla scena politica italiana. Se ci fosse una palese violazione dei diritti di Berlusconi attraverso sentenze o decisioni definitive non potremmo rimanere inerti e per questo non ho escluso iniziative eclatanti come le dimissioni di tutti i parlamentari del Pdl". "Ribadisco che si tratterebbe di iniziative a fronte di eventi definitivi che mi auguro mai ci saranno. Le decisioni in corso in queste ore - precisa Gasparri - non sono tra quelle conclusive dei vari iter in atto".

Respinto, dalla Consulta, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sul mancato riconoscimento del legittimo impedimento dell'ex premier Silvio Berlusconi a comparire nell'udienza del processo Mediaset - del primo marzo 2010 - in quanto impegnato a presiedere un Consiglio dei ministri non programmato. Ci rechiamo immediatamente da Berlusconi. La decisione travolge ogni principio di leale collaborazione e sancisce la subalternità della politica all'ordine giudiziario". Lo afferma in una nota i ministri del Pdl in merito alla decisione della Consulta. 'E' una decisione incredibile. Siamo allibiti, amareggiati e profondamente preoccupati - si legge nella nota dei ministri del Pdl - La decisione stravolge ogni principio di leale collaborazione e sancisce subalternità della politica all'ordine giudiziario"

Sì, sono favorevole": così Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl, risponde a chi gli chiede dell'ipotesi di dimissioni in massa dei parlamentari Pdl nel caso che a Berlusconi fosse data l'interdizione dai pubblici uffici. "'Nel Pdl ognuno e' libero di fare ciò che vuole", ha aggiunto a proposito di chi è invece contrario. Verdini ha parlato a margine del convegno su "La fine della seconda repubblica" organizzato da ReL, la Fondazione 'Riformismo e Liberta''. Ore cruciali, quelle a venire, per Silvio Berlusconi, con l'atteso pronunciamento della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento nell'ambito del processo Mediaset - ora pendente in Cassazione - per il quale il 'cav' è stato condannato per frode fiscale a quattro anni di reclusione e a cinque anni di interdizione di pubblici uffici. In  particolare, la Consulta deve decidere sul conflitto tra poteri sollevato nell'aprile 2011 dalla Presidenza del Consiglio contro il Tribunale di Milano. Il primo marzo 2010 Berlusconi, allora premier, avrebbe dovuto partecipare a un'udienza del processo di primo grado secondo il calendario concordato dai legali con i giudici, ma chiese il legittimo impedimento perché un Consiglio dei ministri, fissato al 26 febbraio 2010, era slittato nella data dell'udienza. Il tribunale rigettò l'istanza e Berlusconi fece ricorso alla Corte Costituzionale. Il caso è complesso e questo - al di là delle possibili ragioni di opportunità politica che il 24 aprile scorso, nel pieno della formazione del governo Letta, possono aver indotto la Corte a far slittare il verdetto atteso per quella data - spiega perché la vicenda
si trascini da 2 anni e abbia richiesto un supplemento di attività istruttoria. Il 22 maggio 2012, infatti, ci fu una prima udienza in Consulta e la Corte chiese al tribunale di Milano ulteriori atti, tra cui le motivazioni di rinvio del Cdm e l'istanza di legittimo impedimento. I risultati di quell'istruttoria sono stati resi noti in udienza il 23 aprile di quest'anno dal giudice costituzionale relatore, Sabino Cassese: su 37 udienze del processo a Milano, 13 avevano coinvolto Berlusconi, che 4 volte non ha potuto comparire, 3 ha chiesto il legittimo impedimento, 2 se l'é visto negare. La Consulta, quindi, ha svolto approfondimenti per capire come inquadrare la tesi dei giudici di Milano secondo i quali i legali dell'ex premier avrebbero dovuto indicare, nel chiedere il legittimo impedimento, la "specifica inderogabile necessità" della sovrapposizione dei due impegni: udienza e Cdm. Sicuramente presiedere un consiglio ministri è, di per sé, un atto che giustifica il legittimo impedimento: per il premier non presiederlo sarebbe come per un presidente di Tribunale non presiedere alle udienze. Se ci si dovesse fermare qui, insomma, Milano avrebbe torto. Ma il tribunale sostiene che era stato concordato un calendario e poi c'é stato uno rinvio improvviso e arbitrario del Cdm, mentre l'avvocatura dello Stato che rappresenta la presidenza del Consiglio di fronte alla Consulta, ha motivato il rinvio con i lavori sul ddl anticorruzione.

La questione è fino a che punto il giudice costituzionale possa sindacare lo slittamento di un Cdm. "Può la Consulta addentrarsi in una sorta di indagine per stabilire se è vero che una convocazione fu spostata strumentalmente?", ha argomentato un presidente emerito della Consulta. "Le esigenze di un governo - ha aggiunto lo stesso giurista - possono mutare da un momento all'altro e la Corte non può dire: la data era quella e non si poteva spostare. Per questo ritengo che le possibilità di accoglimento del ricorso siano maggiori di quelle del rigetto". Ma ci sono anche valutazioni di segno opposto che la Corte sta soppesando. E cioé se non sia da ascrivere piuttosto all'ex premier il mancato rispetto del principio di leale collaborazione, che avrebbe minato l'equilibrio dei valori costituzionali a discapito del solo interesse giurisdizionale. Quando nel 2011, relatore lo stesso Cassese, la Consulta decretò l'illegittimità parziale della legge sul legittimo impedimento, stabilì che il premier deve indicare indicare un "preciso e puntuale impegno" ed è nel potere del giudice "valutare caso per caso". Se vincerà l'ex premier, spetterà poi alla Cassazione stabilire se l'assenza di Berlusconi a quell'udienza del primo marzo 2010 a Milano produsse un tale vulnus ai diritti di difesa, da comportare un annullamento del processo riportando indietro il calendario di oltre tre anni. Ma la Suprema Corte potrebbe dire che si trattò di un'udienza secondaria e in questo caso non ci sarebbero effetti sul processo penale.

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