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Giovedì, 01 Maggio 2025

Il caso del tredicenne della Scuola Media di Verona costretto a salire la scala “arcobaleno” pare, per ben quattro volte, e poi visto che si rifiutava, perchè evidentemente non condivideva il progetto scolastico gender free, si è beccato una nota per il suo ostinato rifiuto. L'episodio apre una seria riflessione in merito a certi progetti che vengono inoculati agli alunni nelle scuole italiane, e talvolta all'insaputa dei genitori. Questi progetti (in generale) oltre a mettere in ombra le materie curricolari, rendendole quasi inutili e marginali, materiale stantio da smaltire, a volte sono pericolosi come quelli ispirati alla teoria gender. Siamo chiari, i progetti e le iniziative di questo tipo, con il pretesto di educare all’uguaglianza e di combattere le discriminazioni, il bullismo, la violenza di genere o i cattivi stereotipi, spesso promuovono: l’equiparazione di ogni orientamento sessuale e di ogni tipo di "famiglia"; la prevalenza dell' "identità di genere" sul sesso biologico (e la conseguente normalizzazione della transessualità e del transgenderismo); inoltre, la decostruzione di ogni comportamento o ruolo tipicamente maschile o femminile insinuando che si tratterebbe sempre di arbitrarie imposizioni culturali; la sessualizzazione precoce dei giovani e dei bambini. Pertanto, sarebbe opportuno che i genitori si occupassero di quello che viene proposto a scuola ai propri figli. E' proprio quello che chiedeva tempo fa la scrittrice torinese Paola Mastrocola in una splendida lettera rivolta ad ipotetico genitore, pubblicata alla fine del libro, “Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza”, edito da La nave di teseo (2021) A Verona il genitore è stato attento ed ha reagito al progetto che stavano propinando al proprio figlio, ma non capita spesso.

La Mastrocola in questa lettera si rivolge ai genitori perchè sono loro quelli che dovrebbero vigilare sull'educazione e il comportamento del figlio. L'ex professoressa è convinta che il genitore, nonostante tutto, è interessato a come si comporta e cosa apprende a scuola. Ammesso che la scuola ha un ruolo fondamentale sia nei primissimi anni che dopo, la Mastrocola consiglia al genitore di prestare molto attenzione fin dagli esordi alla scuola del proprio figlio. “Non solo agli aspetti materiali e relazionali (l'edilizia, la socializzazione ecc), ma anche e soprattutto alle cose sostanziali, quelle che riguardano lo studio: cosa si studia nella classe di suo figlio, che compiti deve fare a casa, quante e quali cose riesce ad imparare”. In un passaggio del libro la professoressa, scrive che proprio insegnando Dante, Petrarca, Boccaccio e Ariosto, che potremmo favorire quelle “educazionialla democrazia, alla cittadinanza, all’accoglienza, che tanto amiamo introdurre nella scuola. E se vede che l'insegnante fa poca grammatica o non fa ortografia, e quindi, suo figlio non sa scrivere e non sa leggere correttamente, non sa distinguere un accento da un apostrofo, protesti. Non faccia caso alle tante teorie pedagogiche in voga oggi, che proclamano le meravigliose innovazioni della scuola democratica e che magari potrebbero indurla a credere di essere un reazionario nostalgico. Si tappi le orecchie, resista, non si faccia abbindolare. Superi questa sudditanza psicologia, non abbia dubbi, faccia sentire la sua voce. “Protesti anche se vedesse che a suo figlio non viene mai dato un libro da leggere”. O se viene a sapere che l'insegnante in classe non spiega, ma si limita a leggere solo dal libro di testo, o assegna un capitolo o una poesia e basta. Inoltre protesti (e qui la vedo dura) se suo figlio viene promosso, nonostante abbia studiato poco o abbia preso tante insufficienze. Anche perché secondo la Mastrocola, il figlio, “non si avvantaggerà mai, in nessuna occasione, di voti e giudizi che certificano il falso”. Attenzione, avverte la professoressa,“suo figlio ha bisogno della verità, anche se scomoda o frustrante: perché la verità aiuta a crescere, e con quella verità dovrà fare i conti nel mondo, prima o poi”. L'ex professoressa con tono insistente, incalza il genitore e chiede, per favore:non protesti soltanto quando suo figlio prende 4 o viene bocciato, o se la palestra è troppo piccola, la mensa non è adeguata si fanno troppe poche gite e il Piano dell'offerta formativa non prevede corsi di judo, educazione stradale o alimentare e sportelli di sostegno psicologico”. Cose allettanti, ma rifletta, qual è il nocciolo della scuola, perchè lei manda suo figlio a scuola, che cosa vuole davvero che impari. Protesti se constata che l'insegnante non sa insegnare e non conosce la materia che insegna, così come protesterebbe se il medico non sapesse fare una diagnosi, o peggio, le facesse un'operazione sbagliata. Non pensi che un danno cognitivo sia qualcosa di trascurabile. Ricordo di una collega in Sicilia che sottolineava sempre questo aspetto. Protesti quando suo figlio fa compiti troppo facili e il livello scolastico è volutamente tenuto basso. E se non viene ascoltato cambi sezione o meglio scuola. Trovi una scuola migliore, dove l'asticella non è stata abbassata. Chieda alla scuola, per esempio che è fondamentale “saper collegare logicamente i pensieri e saperli esprimere sia ancora oggi fondamentale per i giovani”. E se per caso crede nei libri, che la civiltà dei libri sia irrinunciabile e superiore, chieda alla scuola di crederci anche lei e per prima, “le chieda di mettere al centro i libri, non solo formalmente e retoricamente con formule tipo 'leggere è bello', ma insegnando quotidianamente a leggere, a capire fino in fondo le parole e la sintassi, e ogni sfumatura di significato”. La scuola è il luogo naturale dei libri, sarebbe il colmo se smettesse di usarli. Nella lettera la nostra ex docente ricorda la esecrabile DAD, le varie riforme infernali, le mode più assurde, la burocratizzazione e lo svuotamento culturale della scuola. Ricorda che l'esaltazione degli strumenti digitali a danno dei libri hanno impoverito la scuola. Inoltre l'abominevole guerra di certi pedagogisti “democratici” “contro la lezione (bollata spregiativamente come 'frontale') ha reso difficilissima la trasmissione delle conoscenze, e delle passioni che alimentano la voglia di conoscere”. Attenzione chiarisce Mastrocola, lei interessandosi della scuola, sta agendo per il bene di suo figlio. E deve pensarci subito quando ha sei anni, quando inizia a frequentare la scuola elementare (ora Primaria), poi a quindici anni è troppo tardi. Lei deve battersi per una scuola di qualità. Senza qualità, la scuola non è niente. Non serve. Diventa solo un parcheggio o un parco giochi. A questo punto della lettera ci aspetteremmo dalla professoressa, una soluzione, cos'è una scuola di qualità. Non lo dice, ma certamente dice una cosa di buon senso: i genitori sanno benissimo cos'è una scuola di qualità. Basta osservare. Guardi i quaderni di suo figlio, osservi come parla suo figlio, quante parole usa, come si esprime. E torniamo al punto di partenza.

Il Professor Paolo Luciano, docente di Sacramentaria all’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Giuseppe Moscati di Benevento, durante il suo corso ha sviluppato importanti tematiche di questa disciplina teologico-filosofica che studia i sacramenti e, in riferimento alle basi bibliche del termine “Sacramento”, fa sapere che: “La parola “sacramentum” (sacramento) è stata mutuata dal linguaggio militare e indicava il giuramento di fedeltà che il soldato prestava all’imperatore, era una sorta di consacrazione al suo signore e di cui portava sul corpo un “signum” (segno). Per analogia, il giurista Tertulliano, agli inizi del III secolo, introduce nella Chiesa e nella Teologia il termine di “sacramentum militare” con cui definisce il battesimo che ascrive il credente alla milizia sacra di Cristo. Fu così che il battesimo, conosciuto come μυστήριον (mistero) di iniziazione, cominciò ad essere chiamato con l’espressione “sacramentum”: a partire dunque dal II secolo μυστήριον e sacramento tendono a fondersi e a completarsi a vicenda. “Sacramenta” (Sacramenti) non sono detti soltanto il battesimo e l’eucarestia, ma anche i piani di Dio che si attuano e si svolgono nella storia; “sacramentum” è anche definita la religione cristiana che porta nascoste in sé le realtà divine. Il sacramento maggiore, da cui defluisce e origina l’intera sacramentalità è l’incarnazione stessa di Cristo. Il μυστήριον, primariamente, era un rito che aveva lo scopo di rendere presente un avvenimento di salvezza avvenuto in tempi remoti e, solo secondariamente, implicava una consacrazione alla divinità. Il termine deriva dal verbo greco μουέιν che significa chiudersi, rimanere chiuso. Pertanto esso indica una realtà che supera le capacità espressive del linguaggio umano, per cui “rimane chiusa, nascosta”. Il concetto di “sacramentum” invece richiama primariamente l’idea e il concetto di consacrazione. Infatti il termine sacramento ha la sua origine etimologica in “sacrare” che significa rendere sacro e, perciò, riservare alla divinità. A sua volta il verbo “sacrare” deriva da “secare” che significa tagliare, separare. Quindi la consacrazione è un atto che tende a separare le cose sottraendole alla disponibilità umana per riservarle invece alla divinità. Nel linguaggio cristiano delle origini il grande “μυστήριον-sacramentum” è Cristo stesso che è il volto storico del Padre, è il segno concreto della presenza di Dio e del suo mondo in mezzo agli uomini e, con la sua presenza, li interpella e ne sollecita così una risposta esistenziale. Da qui nasce la convinzione che la storia umana sia diventata il luogo privilegiato dell’incontro tra gli uomini e Dio. In tale prospettiva, i fatti, gli avvenimenti e i personaggi della storia sono percepiti e recepiti come il linguaggio storico di Dio, attraverso cui Egli tenta un dialogo di salvezza finalizzato a recuperare l’uomo alla sua dimensione originaria, ossia quella divina. Attraverso la incarnazione nel Figlio, Dio ha inaugurato l’era della sacramentalità, stabilendola come l’elemento fondamentale e strumentale del dialogo e del rapporto con gli uomini tramite cui Dio si autocomunica ad essi e ne tenta il recupero alla propria vita divina da cui l’uomo originariamente proviene. Questo dialogo storico tra Dio e gli uomini si costituisce come un unico atto salvifico divino ma che, idealmente e per questioni pratiche, viene diviso in “Antico e Nuovo Testamento”.

Con il mio consueto sguardo mattutino ai giornali online ho trovato qualche buona notizia sulla scuola, apprendo che il ministro Valditara firma il decreto di introdurre nella scuola Primaria (elementare) i classici giudizi sintetici (ottimo, distinto, buono, discreto, sufficiente, insufficiente). Per la scuola secondaria di primo grado, la valutazione della condotta degli studenti sarà espressa in decimi: coloro che otterranno un punteggio inferiore a 6/10 non saranno ammessi alla classe successiva o all’esame conclusivo del primo ciclo. Tutto questo è considerabile per la CGIL e le opposizioni di Centrosinistra come un regime “sanzionatorio di punizione”. Si sta cercando di riparare al disastro scolastico come più volte è stato descritto dai coniugi Paola Mastrocola e Luca Ricolfi? E' un auspicio che stiamo attendendo da tempo. Dopo aver letto diverse recensioni e citazioni ho avuto finalmente l'opportunità di leggere il testo, Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, pubblicato da La nave di Teseo (2021, e.19,00; pag. 270) Per la prima volta insieme, i due docenti ora in pensione, hanno scritto un libro per denunciare il danno che la scuola cosiddetta “democratica”, ma anche “progressista” ha paradossalmente fatto nei confronti dei più deboli. Mastrocola e Ricolfi sostengono con la forza dei dati che a scuola abbassando l'asticella delle competenze, cioè facendo diventare una scuola facile e di bassa qualità, allarga il solco fra i ceti alti e i ceti bassi. Il libro è un atto di accuse, spietato e dolente, ma al tempo stesso “un atto d'amore verso il mondo della scuola e dell'università, i docenti, gli studenti”. E' un grido di allarme che i due docenti hanno lanciato più volte nei loro libri, in questi anni. Un allarme che qualcuno ha accolto? Forse si, ho letto da qualche parte, che la stessa presidente del Consiglio Meloni, qualche anno fa, ha avuto un colloquio di studio con il professore Ricolfi per capire e ascoltare le sue tesi sulla scuola. Anche se per cambiare direzione nella scuola, non bastano solo le direttive dall'alto, serve la cooperazione di tanti fattori. Tuttavia il testo dei docenti torinesi, può essere una buona base di partenza perché la scuola torni ad essere vera scuola, anche se non pretende di essere concepito come una “bibbia” da seguire ciecamente. Vuole essere come loro stessi scrivono, “un atto di testimonianza”, “un atto dovuto”. “Un gesto di vicinanza, di solidarietà, verso coloro che hanno pagato a caro prezzo i cambiamenti della scuola e dell'università”. Il libro racconta quello che hanno visto, con i loro occhi, nella scuola negli ultimi sessant'anni. “Un film che nessuno vuole vedere, forse perché troppi produttori, sceneggiatori, registi, attori, comparse hanno lavorato alla sua produzione. Ma è un film che, ora che il danno è fatto, è doveroso e giusto rivedere”.

Il testo inizia con la tesi che i fautori della “scuola democratica” (chi potrebbe essere per una scuola NON-democratica) sono convinti che a bloccare gli studi dei ragazzi svantaggiati economicamente e socialmente sia la loro condizione di partenza: è impossibile raggiungere la meta o studiare (diploma o laurea) se si è nati in una famiglia povera. Chi nasce bene va avanti, anche se poi non studia, non ha mai aperto un libro o abbia raccolta una serie infinita di insufficienze, va avanti lo stesso. Come? per Ricolfi, attraverso le scandalose lezioni private, tenute nel pomeriggio, da quegli insegnanti del mattino a scuola. E' una vergogna della scuola. Il professore parte dal figlio dell'idraulico che non fa il liceo e non arriva a laurearsi. Ma la questione non è perché proviene da una famiglia poco scolarizzata, non riesce perchè “ha fatto una scuola che non lo ha preparato abbastanza”. Perché la scuola è stata abbassata, facilitata, con lo scopo di aiutare le classi medio-basse. Invece Ricolfi ribadisce che “abbassare il livello culturale dello studio non è democratico, anzi, è il contrario: è il gesto più antidemocratico e classista! Favorisce i ricchi e i privilegiati, che possono non studiare e, grazie a fenomeni quali le lezioni private a gogò, ce la faranno sempre”. Come possono fare le scuole migliori, i ragazzi provenienti dei ceti meno abbienti, se la scuola non gli ha insegnato niente? Insomma, se un ragazzo non sa scrivere, se non sa fare un discorso compiuto, se non sa capire il senso di quello che legge e se non sa ripetere con parole sue quel che ha studiato, “Siamo stati noi a farne uno svantaggiato, uno che non parte uguale, che non ha le stesse opportunità iniziali”. Così abbiamo contribuito alla dispersione scolastica che non è solo per l'estrazione sociale o l'handicap familiare e ambientale, “ma anche per l'enorme buco di conoscenze e cultura di cui noi, come insegnanti e governanti siamo drammaticamente responsabili”. Peraltro poi il professore nel testo dimostra che esiste anche un altro tipo di dispersione ed è quello dei più meritevoli, succede quando in classe i professori sono costretti a fare sempre le stesse cose elementari per recuperare gli alunni che non ce la fanno, i meritevoli si perdono per noia.

Il testo è diviso in due parti (“Con i miei occhi”) nel capitolo 2 racconta Ricolfi; nel 3, Mastrocola.

Il professore inizia il suo racconto definendo il livello della scuola come l'ha vista lui negli ultimi vent'anni: un disastro, anzi la parola appropriata è una catastrofe cognitiva, una vera collezione di catastrofi cognitive. E inizia a raccontare che cosa ha visto concretamente agli esami degli studenti, in particolare delle studentesse. In questo caso il professore si riferisce al suo insegnamento di analisi dei dati, che lui stesso ammette di essere una materia difficile. Naturalmente sorvolo alcuni particolari, il professore non fa i nomi, ma utilizza un nome fittizio, “Martina”, che non è semplicemente “impreparata”, il punto è che non capisce le domande. Dopo una decina di domande e di non-risposte, risultato: è insufficiente non perchè non arriva al diciotto per un pelo, ma perché è lontanissima. E poi quella estrema minoranza di studenti che prende 30, rispetto alla stragrande maggioranza sotto la sufficienza, c'è un abisso cognitivo, di organizzazione mentale e di capacità di assimilazione. Per non parlare della padronanza della lingua italiana. A questo punto Ricolfi si chiede: che cosa ha prodotto un simile abisso? Buona parte è colpa degli studi precedenti. Chi prende 30 e lode, ha fatto certamente il Liceo Classico. Mentre gli altri, soprattutto chi va male, il quadro è terrificante: hanno cambiato professore cinque volte in cinque anni; nella tale materia il professore non faceva il programma ma e insegnava altre cose e via di questo passo. Alla fine Ricolfi dalla sua analisi conclude: “Martina non ce la farà mai. Può studiare quanto vuole, impegnarsi allo spasimo, ma il suo software mentale ha limiti intrinseci, strutturali, probabilmente definitivi”. Forse potrà strappare un 18, ma solo perché oggi l'università va così. Che cosa è successo a questi studenti che non ce la fanno? Per Ricolfi è come se avessero avuto nel cervello una sorta di tara, che avessero subito una lesione, che impedisce di fare pensieri adulti, ossia non elementari come quelli di cui è capace un bambino. E qui il professore cerca di autogiustificarsi, ci tiene a precisare che lui non crede che esistono grosse differenze innate fra i cervelli degli esseri umani, nascono in qualsiasi posto, con qualsiasi colore della pelle. Tolti i geni e quelli con gravi handicap, l'essere umano ha lo sviluppo mentale normale, che se si impegna e l'ambiente gli fornisce le opportunità giuste, può raggiungere e completare qualsiasi corso di studi. Pertanto è impossibile che metà o quasi degli studenti sia nata con gravi handicap mentali o che abbiano subito a causa di incidenti, operazioni chirurgiche che hanno danneggiato irreparabilmente i loro cervelli. Che cos'era accaduto? Il professore per avere la risposta racconta l'esperimento dei “gattini ciechi”, fatto da due neuroscienziati negli anni sessanta. Ma non ho il tempo di raccontarlo, mi limito a scrivere che per Ricolfi ai suoi studenti è successo la stessa cosa di quei gattini ciechi, (che gli avevano cucito gli occhi) cioè con tutta la buona volontà possibile a Martina è difficile recuperare, quello che non ha acquisito al momento giusto. Perché esistono anche i periodi critici in campo cognitivo. “Certe capacità e abitudini, dalle più semplici (tenere un quaderno ordinato) alle più complesse (manipolare i simboli di un linguaggio artificiale) non si possono imparare a qualsiasi età e in qualsiasi successione”. Ecco spiegato perché quello della scuola e dell'università non è semplicemente un disastro, ma esattamente una catastrofe.”Dopo un disastro si può ricostruire. Dopo una catastrofe no, o solo in piccola misura, o molto tempo dopo”. Infatti, al cervello di Martina, è successo che dopo “21 anni di istruzione, dalla scuola materna alla laurea magistrale, il danno inferto alle sue capacità cognitive appare difficilmente riparabile”. Arrivati a questo punto, bisogna porre la domanda: “Chi ha cucito le palpebre a Martina”? Non è solo colpa di certe riforme sciagurate della scuola, dell'ideologia progressista del sessantotto. Non è solo colpa dei politici, ma è il risultato di un cambiamento complessivo della società italiana, che ha accettato e gradito quelle scelte e mai seriamente combattute. E' la scuola facilitata, quella dello slogan: “la scuola dell'obbligo non può bocciare”, il “diritto al successo formativo”, che ha trovato negli studenti e nelle famiglie, ma anche nei media, un terreno fertilissimo su cui prosperare. E qui Ricolfi denuncia che a livello politico, neanche la Destra si è mai opposta a questa deriva della scuola, non ha mai proposto una alternativa alla scuola facilitata dalla Sinistra progressista e democratica.

Naturalmente tutto ebbe inizia nel 1962 con il varo della nuova Scuola Media riformata, senza il latino. Ricolfi racconta la sua esperienza scolastica. La battaglia dei vari picconatori della sinistra, della lunga marcia dell'abbassamento della scuola. “Ora la scuola deve adattarsi allo spirito dei tempi, che esigeva che tutti andassero avanti, assecondando le esigenze degli studenti e delle loro famiglie”. Praticamente la scuola voluta dai vari soloni progressisti, ha reso milioni di studenti inabili agli studi, con un abbassamento lento ma inesorabile, degli standard dell'istruzione sia nella scuola che nell'università. Un processo iniziato negli anni sessanta, una storia lunghissima. Per Ricolfi, la “soluzione finale”, il colpo di grazia, è stato dato poi nel 2000 dal ministro Luigi Berlinguer, l'ideologo e l'esecutore decisivo della distruzione dell'università. Si metteva una pietra tombale, su un'idea che era centrale in tutta l'epoca della vecchia scuola: “l'idea che lo studio fosse un dovere, e la conquista del titolo non fosse un diritto, bensì la giusta ricompensa  del dovere compiuto”. Vorrei continuare il racconto del professore torinese è quasi entusiasmante ma non posso abusare troppo dei miei lettori. Mi fermo in una prossima occasione continuo con il racconto di Paola Mastrocola.

 

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