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Si riunirà domani il tavolo tecnico al Ministero della Difesa per affrontare il problema dei militari contaminati da uranio impoverito nel corso delle operazioni all'estero. Presente al tavolo ci sarà, in qualità di consulente del Ministro, Carlo Calcagni, Colonnello dell'Esercito ammalatosi gravemente dopo una missione in Bosnia e atleta paralimpico. Il tavolo voluto da Trenta "vuole trovare soluzioni reali ad un problema che per anni in molti hanno negato e ignorato. Il nostro lavoro ha al centro la tutela delle vittime", dice Calcagni all'Adnkronos. L'obiettivo è arrivare ad una legge che garantisca tutta l'assistenza necessaria. Calcagni non ha dubbi: "La mia presenza al tavolo tecnico è garanzia di massima attenzione nei confronti delle vittime e dei loro familiari che con loro soffrono ogni giorno".

Calcagni conosce bene quella sofferenza. Nel 1996 la sua vita sarebbe, infatti, cambiata per sempre: "la mia prima vita è terminata in Bosnia a 32 anni. Fui inviato in missione internazionale di Pace in Bosnia-Erzegovina, a Sarajevo. Ero l'unico ufficiale pilota osservatore di elicotteri, di quello che era il primo contingente italiano: ho effettuato e portato a termine tutte le missioni di volo richieste, con massima professionalità, nonostante la situazione di massimo pericolo e svolgendo in varie occasioni, anche, evacuazioni medico sanitarie".

L'obiettivo è arrivare ad una legge che garantisca tutta l'assistenza necessaria. Calcagni non ha dubbi: "La mia presenza al tavolo tecnico è garanzia di massima attenzione nei confronti delle vittime e dei loro familiari che con loro soffrono ogni giorno".

"Ricordo perfettamente - afferma Calcagni- quei giorni, impressi in modo indelebile nella mia mente. L’elicottero, spesso, al rientro in base dalle missioni, sembrava un macello per il sangue che c’era al suo interno. Corpi mutilati, resti umani, morti, feriti da portare al più presto in ospedale. I segni classici di una guerra che non fa alcuna distinzione tra uomini, donne, bambini, civili e militari, poiché colpisce tutti. Soccorrere le vittime di questa guerra era l’unica cosa che contava, anche riuscire a recuperate i corpi era importante perché gli si poteva almeno assicurare una giusta sepoltura".

Ma mentre salvava vite umane, il Colonnello Calcagni stava andando incontro "ad un avversario invisibile e inaspettato. Il nemico che ho incontrato era proprio nell’aria che stavo inalando. Polveri sottili di metalli pesanti derivanti dall'esplosione di munizioni con uranio impoverito, facilmente inalabili e altre sostanze tossiche che hanno invaso e modificato il mio Dna".

“Il mio corpo è diventato una discarica di metalli pesanti generati proprio dall’esplosione delle bombe con uranio impoverito che i “nostri” alleati Americani hanno utilizzato per bombardare la ex Jugoslavia appena prima del nostro intervento nei Balcani come Forza Multinazionale di pace, sebbene la “mission” internazionale del nostro Paese sia fondata sull'opzione non violenta e che dovrebbe rispettare l’articolo 11 della Costituzione: «Ripudiamo la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»”.

Certo: non è il più disabile tra i disabili. “Ma la mia è una storia differente, non più drammatica, né più meritevole di altre, ma diversa. Non la storia di una ferita evidente, di una mutilazione. Il mio corpo non ha menomazioni che catturano lo sguardo. Nessun nemico mi ha ferito in battaglia, nessun attentato mi ha colpito”.  

L’avversario invisibile c’è l’ha dentro: l’Mcs che quello stesso Stato per cui sorvolava i Balcani (tra le bombe) ancora non riconosce, relegando la sindrome immunoneurotossica tra le malattie rare, nonostante le diagnosi in ascesa. “In realtà il nemico l’avevo incontrato eccome e mi aveva ferito senza che me ne accorgessi”. “Ha avuto tutto il tempo per devastarmi per sempre. L’uranio impoverito, i metalli pesanti li ho respirati durante le ore di volo sulle zone di guerra, mentre contribuivo a salvare vite umane. La contaminazione si è lentamente insinuata in tutti gli organi del mio corpo. Un nemico subdolo che mi ha profondamente minato dall’interno ogni singola cellula e che, giorno dopo giorno, si è impossessato di me con conseguenze devastanti”.  

Solo nel 2005 viene accertato dalle Commissioni Mediche Militari il nesso causale tra la sua malattia e l'esposizione all’uranio impoverito. Nel 2007, "mi riconoscono un'invalidità permanente del 100%, concedendomi il Distintivo d'Onore di Ferito in Servizio ed il Distintivo d'Onore di Mutilato in Servizio. Il 19 marzo 2009, il Ministero della Difesa ha poi disposto la mia iscrizione nel Ruolo d'Onore, un atto dovuto in ragione della mia malattia riconosciuta conseguenza diretta della causa di servizio contratta durante la missione internazionale nei Balcani".  

"Non siamo mai stati informati- sottolinea- che i nostri alleati avevano utilizzato, in quelle zone, armamenti non convenzionali che potevano generare gravissime malattie. Io, come tanti miei colleghi, sono partito senza alcuna protezione indossando la normale divisa e i guanti da pilota. I militari americani, invece, erano ben protetti da maschere, tute, guanti e talvolta respiratori a circuito chiuso".

I primi sintomi derivati da quell'esposizione arrivarono nel 2002. "Ho iniziato a non sentirmi più bene, a non essere più in grado di portare a termine le gare di ciclismo, nazionali ed internazionali, che facevo. Decisi quindi di sottopormi a degli accertamenti e gli esiti furono inimmaginabili. Per me da quel momento è iniziato un calvario di sofferenze che non è mai più cessato".

Tra le tante gravi patologie riscontrate, con compromissione severa di molti organi vitali, mi è stata diagnosticata anche la Sensibilità Chimica Multipla. Negli ultimi anni si è sviluppata una malattia multi-organo, intaccando quasi tutti i miei organi, aggravata dalle diagnosi di cardiopatia tossica da metalli pesanti e dalla malattia neuro-degenerativa, cronica, progressiva e irreversibile. Mi sottopongo a terapie quotidiane massacranti: ogni mattina faccio circa 4-5 ore di flebo, sette iniezioni di immunoterapia, prendo oltre 300 pillole tra colazione, pranzo e cena, devo respirare per almeno 18 ore con l’erogatore di ossigeno, mentre durante la notte resto collegato al ventilatore polmonare, poi eseguo plasmaferesi, sauna ad infrarossi per almeno 30 minuti al giorno, per non parlare delle frequenti setticemie, causate dall’infezione del catetere venoso che mi è stato impiantato, e dei numerosi interventi chirurgici".

Calcagni, nonostante le innumerevoli malattie e le terapie così invasive, non si è dato per vinto e ha fatto della sua più grande passione, lo sport, non solo la sua ragione di vita, ma anche la sua più importante terapia. "Mi fa sentire meglio, si attenuano i dolori causati da una forma di sclerosi multipla e dal Parkinson: è una malattia neurologica autoimmune, che proprio grazie allo sport riesco a contrastare e rallentare. Basta pensare che se non mi alleno per più di due giorni, tutta la muscolatura si irrigidisce e non riesco neanche a camminare. Per questo vado in bici ogni giorno per ore".

Calcagni, già atleta agonistico prima della malattia, è così diventato anche un punto di riferimento dell'agonismo paralimpico italiano: "Nel ciclismo avevo vinto oltre 300 gare a livello Nazionale ed Internazionale. Indimenticabile la vittoria della gran fondo internazionale "Rieti-Terminillo" nel 2001: subito dopo il via, mi avventurai in una lunghissima fuga solitaria di circa 180 km, tagliando il traguardo con un vantaggio di oltre 19 minuti sul gruppo degli inseguitori e realizzando il record della manifestazione. Nel 2014, ho iniziato una nuova avventura sportiva nel mondo Paralimpico e nel Gruppo Sportivo Paralimpico della Difesa vincendo sin dal debutto numerose gare internazionali, tra cui due medaglie d'oro in coppa del mondo di ciclismo paralimpico nel 2015 e tre medaglie d'oro agli Invictus Games nel 2016 a Orlando, in Florida, due nel ciclismo ed una nel canottaggio".  

Sensibilità Chimica Multipla (Mcs) da uranio impoverito e nanoparticelle varie (“tutta schifezza, ma la terapia chelante e disintossicante che faccio in Inghilterra tre volte l’anno, funziona”), più altre diagnosi neurodegenerative, Parkinson e gravi ripercussioni multiorgano su cuore, reni, midollo e polmoni. L’hanno dato per morto, per tracce di Mesterolone Metabolita da farmaci salvavita anche dopato, ma negli Invictus Games 2016 giochi internazionali sportivi per reduci di guerra invalidi, Calcagni correrà sotto lo sguardo di Obama e del principe Harry, due ruote su gara in linea e cronometro ad Orlando, fino al 12 maggio, guarda caso Giornata Mondiale dell’Encefalomielite Mialgica, Fibromialgia e Sensibilità Chimica Multipla (fiocchetti viola nelle piazze italiane). “Sono minato dal mio ‘nemico invisibile’, ma lo sport mi sostiene. La causa? I metalli pesanti sotto forma di detriti: piombo, mercurio, ferro, rame, acciaio e alluminio nel corpo”.

Calcagni non s’arrende, è pronto pure a far da testimonial, l’atleta che ci mette la faccia per il riconoscimento della sensibilità chimica nonostante le innumerevoli malattie e le terapie così invasive, non si è dato per vinto e ha fatto della sua più grande passione, lo sport, non solo la sua ragione di vita, ma anche la sua più importante terapia. "Mi fa sentire meglio, si attenuano i dolori causati da una forma di sclerosi multipla e dal Parkinson: è una malattia neurologica autoimmune, che proprio grazie allo sport riesco a contrastare e rallentare. Basta pensare che se non mi alleno per più di due giorni, tutta la muscolatura si irrigidisce e non riesco neanche a camminare. Per questo vado in bici ogni giorno per ore".





 

Visitabile dal 10 al 12 maggio, Airship.03 è un‘installazione temporanea climatico-paesaggistica, che invita a immergersi in un’esperienza di respirazione profonda. Il progetto nasce dal padiglione austriaco a Expo Milano 2015: un’isola di verde che ha incuriosito, divertito e – nei giorni più caldi –  rinfrescato il pubblico, testimone dello stretto rapporto che lega l’Austria alla natura e all’ambiente.

Airship.03 ha scelto Roma per mostrarsi nella cornice del Festival del Verde e del Paesaggio, allestito nei giardini pensili dell’Auditorium Parco Della Musica, perfetto interlocutore per aprire un dialogo sulla qualità della vita nell’ambiente urbano. Tema dell’installazione è proprio l’essenza e l’essenziale. Il respiro, l’ambiente, l’identità inconfondibile di un luogo e di un territorio percepiti attraverso colori e profumi dello spazio circostante.

Progettato dal collettivo breathe.earth.collective (già coautore del padiglione austriaco a EXPO 2015), Airship.03 è uno spazio di microclima e respiro che si colloca come prototipo dalle diverse funzioni: oasi di respiro in città, modello per purificare l’aria, spunto per stimolare il visitatore a vivere un’esperienza attraverso i sensi e allo stesso tempo a riflettere su aria e clima, risorse vitali del nostro tempo.

Airship.03 si presenta come una fitta, umida e profumata foresta, uno spazio a disposizione della città, che offre un significativo miglioramento della qualità dell’aria. Grazie alla ventilazione e alla tecnologia di vaporizzazione dell’acqua, la temperatura interna percepita si riduce fino a sei gradi in meno rispetto all’esterno. Un ruolo da protagonista hanno muschi, felci e licheni: poco appariscenti per natura, sono importanti nell’ecosistema, neutralizzando l’anidride carbonica e producendo ossigeno. La vasca d’acqua centrale e la soprastante apertura al cielo agiscono come una sorta di radura al centro della città. L’installazione interagisce direttamente con l’ambiente locale: nelle calde, secche giornate Airship.03 diventa un’oasi rinfrescante. Durante le giornate di pioggia, l’acqua viene raccolta sul tetto e pulita e assorbita nella vasca centrale. In questo modo, l‘installazione diviene una parte attiva dello spazio urbano nel moderare il microclima.

 Non appena entrati nell’oasi verde di Airship.03, il profumo delicato del muschio e quello più deciso del pino cembro, esaltati dalle microgocce d’acqua di cui è impregnata l’aria, colpiranno le narici. Tra le pareti dell’Airship.03, gocce infinitesimali di acqua nebulizzata regaleranno una piacevole sensazione di fresco benessere.

Effetti speciali, della natura

Già dall‘esterno, il cilindro dell’Airship.03 lascia a bocca aperta. All’interno, piante come felci e muschi, e un piccolo placido stagno rievocano i paesaggi verdi dell’Austria. Il soffitto a specchio e la superficie dello stagno giocano con il sole e regalano un luminoso benvenuto. Senza nemmeno percepirlo, il visitatore si trova a essere un tutt’uno con l’ambiente e con le atmosfere che lo circondano.

Aria da vedere e da toccare

L’aria è un elemento vitale, il più importante, eppure spesso la trascuriamo, forse perché non si vede e non si tocca. Almeno fino a ora. All’interno dell’Airship.03 l’aria non sarà più invisibile. Piccole quantità di acqua potabile vengono nebulizzate meccanicamente e diffuse nell’aria tramite ugelli. Grazie a un gioco di specchi e di luci, le microgocce vengono “magicamente“ illuminate e rese visibili. Un processo che non fa altro che riassumere il naturale ciclo dell’acqua sulla terra. Muschi e felci trattengono l’acqua, fino a che questa non evapora e torna nell’atmosfera sotto forma di umidità, rinfrescando l’ambiente.

 

Le piante primitive, (finalmente) protagoniste

A rivestire i 30 metri quadrati dell‘installazione sono oltre 500 piante. Ma la vera particolarità sta nel fatto che sono state scelte le cosiddette piante inferiori – muschi, felci, licheni e licopodi – poco appariscenti per natura e di conseguenza poco considerate, se non trascurate. Con Airship.03 viene finalmente restituito loro il ruolo che meritano. È infatti significativo il loro contributo all’ecosistema: neutralizzano l’anidride carbonica, producono ossigeno e, in quanto piante indicatrici d’inquinamento, immagazzinano informazioni importanti sui cambiamenti climatici e sulle condizioni meteorologiche a livello locale. L’esperienza di (ri)scoprire il bosco con il tutto il corpo e soprattutto con i sensi comincia proprio da qui.

Breathe.earth.collective: i cervelli dietro a Airship.03

Breathe.earth.collective è un gruppo di creativi – architetti, paesaggisti, designer, tecnici e artisti – ovvero Karlheinz Boiger, Lisa Maria Enzenhofer, Andreas Goritschnig, Markus Jeschaunig e Bernhard König. Per i loro progetti si avvalgono della collaborazione di esperti di altri settori. La passione per temi come l’ambiente, la natura, il clima e l’aria ha poi permesso al gruppo di sviluppare le versioni successive del prototipo Airship, che in futuro si intende realizzare anche in dimensioni superiori. 

Per Airship.03 natura e high-tech

Il legname – larice e abete rosso – impiegato nell’installazione proviene dalla Carinzia e viene fornito e assemblato dalla storica ditta Tschabitscher, con componenti in acciaio della ditta Biribauer. L’involucro esterno, a pannelli traslucidi, è stato realizzato con uno speciale tessuto, capace di respingere i raggi solari fino a 75°, prodotto dalla ditta Svensson. Ventilazione e tecnologia di vaporizzazione dell’acqua vengono forniti dall’azienda viennese Raintime.

Alla presentazione romana sono intervenuti Oskar Hinteregger  Direttore e Brigitte Resch
Addetta Stampa dell’Ente del Turismo Austriaco in Italia, aslla presenza del console d’Austria e dell’addetta culturale d’Austria in Italia, nonché rappresentanti di varie regioni austriache ed enti come OBB (Ferrovie austriache).

Afferma Gaia Zadra, direttore e ideatore del Festival del Verde e del Paesaggio,: "Ho scelto il respiro, perché è l’origine di tutto. Volevo che il Festival celebrasse la vita e ricordasse quanto l’uomo sia interconnesso con la natura e i suoi abitanti con i quali condivide il pianeta. Respiro è reciprocità. Il respiro delle piante consente il respiro degli esseri viventi che a loro volta consumano e rilasciano sostanze necessarie al respiro altrui. E Airship.03 sintetizza concettualmente questo scambio e rappresenta visivamente il luogo in cui questa complessa e affascinante simbiosi di respiri reciproci, si manifesta" ed Oskar Hinteregger: "Trovare dei luoghi di vacanza dove poter attingere ad ambienti di salute e bellezza è una necessità con la frenetica vita dei nostri giorni.  Luoghi giusti dove ritrovare la tranquillità e rigenerarsi. Concentrarsi su quanto basta, ridurre i ritmi, condividere momenti di gioia con persone a noi care, non è così immediato come potrebbe sembrare. La natura delle Alpi austriache potrebbe aiutare. In quelle vallate, lontane dal caos cittadino, le persone hanno imparato da secoli a utilizzare e trasformare le risorse fondamentali per la vita, il benessere, l’alimentazione. Ne sono nati prodotti di qualità, abitudini e stili di vita consapevoli che si possono condividere al Festival del Verde e del Paesaggio. Con l‘installazione Airship.03 Austria Turismo contribuisce a una riflessione sull‘importanza di respirare. È un piccolo microcosmo, di alta tecnologia, dove si fa una sola cosa: si respira aria fresca e pura, un nutrimento essenziale del quale non possiamo fare a meno."

Questa mattina, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato e già Nunzio Apostolico in Pakistan e Mozambico, ha presieduto la celebrazione della Messa e la recita della Supplica sul sagrato della Basilica di Pompei. Pochi minuti prima, Papa Francesco, durante l’udienza generale del mercoledì, in piazza San Pietro, si è unito ai fedeli giunti nella città mariana per «recitare con fede la Supplica alla Madonna, affinché Ella volga il suo sguardo sul mondo e interceda per la Chiesa intera e per quanti soffrono nel corpo e nello spirito».

L’omelia è stata dedicata al tema dell’amore di Dio e a Maria Santissima, «la prima persona che ha creduto con tutta se stessa alla Parola». I pellegrini che arrivano a Pompei si pongono in ascolto del Vangelo, imparando dalla Vergine «la perenne lezione dell’amore: amore per Dio e amore per il prossimo» e mettendosi alla scuola del Beato Bartolo Longo. «Ci si trova dinanzi ad un apostolo della misericordia – ha detto ancora l’Arcivescovo Peña Parra – che ha rivolto lo sguardo a quelle che il Santo Padre Francesco ama chiamare le “periferie esistenziali”, adoperandosi con generosità al recupero morale e sociale degli emarginati. Pompei è diventata, ed è tuttora, un’oasi di speranza per il Mezzogiorno d’Italia, ancora segnato da non poche problematiche e sfide». Il riferimento è alle Opere di carità del Santuario, che danno risposte concrete «ai bisogni della società campana, specialmente alle attese dei più poveri e di quanti sono segnati da fragilità». Ed anche l’Arcivescovo di Pompei, Monsignor Tommaso Caputo, nel saluto, ha ricordato l’impegno del Santuario per la carità, secondo il carisma di Bartolo Longo, che saldo nella certezza «che l’amore al prossimo fosse la logica conseguenza dell’amore a Dio, realizzò il tempio della carità accanto a quello della fede, come amava dire lui stesso».

Nella città di Pompei, simbolo di pace, carità e misericordia, sono giunti sin dal primo mattino migliaia di fedeli. Tanti altri avevano trascorso la notte in Basilica vegliando e pregando in attesa di quella che il Beato Bartolo Longo definiva “l’ora del mondo”, il mezzogiorno di oggi, 8 maggio, quando dal sagrato del Santuario si è elevata la Supplica alla Beata Vergine del Santo Rosario, composta dal Fondatore nel 1883. Pochi minuti prima dell’inizio del rito, presieduto dall’Arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato e già Nunzio Apostolico in Pakistan e Mozambico, Papa Francesco ha ricordato la Supplica, nel corso dell’udienza generale del mercoledì, in Piazza San Pietro. «Oggi – ha detto il Santo Padre – ricorre la Supplica alla Madonna di Pompei. Siamo in spirituale unione con quanti in quel Santuario Mariano, come altrove, si ritroveranno a mezzogiorno a recitare con fede la Supplica alla Madonna, affinché Ella volga il suo sguardo sul mondo e interceda per la Chiesa intera e per quanti soffrono nel corpo e nello spirito».

L’Arcivescovo venezuelano Peña Parra, nella sua omelia, ha parlato dell’amore di Dio, che «vuole la salvezza di tutti gli uomini e di tutte le donne: tutti sono figli suoi». La salvezza è nell’accogliere e vivere il Vangelo. L’esempio viene da Maria, che come ha aggiunto il Presule «è stata la prima ad accogliere la Parola. Non è questa anche la nostra vocazione? Anche noi, come Lei, per grazia, siamo stati resi capaci di accogliere la Parola di Dio». E il Vangelo dice che non si può amore Dio senza amare gli uomini, i fratelli. E proprio la città mariana diventa simbolo di speranza e misericordia, soprattutto per chi è ai margini della società. «La grandezza di Pompei – ha spiegato il celebrante – sta in questa duplice prospettiva: la preghiera e la carità, come l’ha ideata Bartolo Longo. (…). Nessuna forma di povertà o di emarginazione sociale ha trovato insensibile questo fedele laico che agiva nel sociale testimoniando la carità evangelica, supportato da una intensa vita di preghiera dal singolare timbro mariano. Ci si trova dinanzi ad un apostolo della misericordia che ha rivolto lo sguardo a quelle che il Santo Padre Francesco ama chiamare le “periferie esistenziali”, adoperandosi con generosità al recupero morale e sociale degli emarginati. Pompei è diventata, ed è tuttora, un’oasi di speranza per il Mezzogiorno d’Italia, ancora segnato da non poche problematiche e sfide». Da un lato la preghiera, la fede, la devozione alla Madonna, ma dall’altro l’azione concreta e la carità. «L’amore verso Maria – ha detto ancora Monsignor Peña Parra – si traduce nell’amore per i fratelli, rispondendo ai bisogni della società campana, specialmente alle attese dei più poveri e di quanti sono segnati da fragilità». L’omelia si conclude con l’augurio finale: «Pompei continui ad essere la “casa della speranza”, “la casa della misericordia”, focolare comune di un territorio segnato da difficoltà, illegalità e tensioni sociali, ma la cui popolazione ha la preghiera nel cuore».

Carità e fede, i due pilastri del Santuario, sono stati anche al centro del saluto dell’Arcivescovo di Pompei, Monsignor Tommaso Caputo, che ha introdotto il rito, ricordando tra l’alto quanto sia diffusa nel mondo la devozione alla Madonna di Pompei, molto amata anche a Caracas, nel Venezuela dell’Arcivescovo Peña Parra, dove le è dedicata una parrocchia retta dai Padri Scalabriniani. «Convinto che l’amore al prossimo fosse la logica conseguenza dell’amore a Dio -  ha spiegato il Prelato – il Beato realizzò il tempio della carità accanto a quello della fede, come amava dire lui stesso. Sulle sue orme, i Centri Educativi affidati alle Suore Domenicane Figlie del Santo Rosario e ai Fratelli delle Scuole Cristiane e le altre opere sociali sorte grazie alla collaborazione con diversi movimenti ecclesiali ed associazioni, accolgono ragazzi e ragazze provenienti da contesti sociali difficili, mamme e donne sottratte a situazioni di sfruttamento o violenza, figli e figlie di detenuti, anziani, poveri, ex tossicodipendenti, ragazze madri, diversamente abili, migranti». In quest’opera preziosa, è essenziale il sostegno della preghiera del Santo Rosario.

La celebrazione, concelebrata da Monsignor Luigi Travaglino, Arcivescovo e Nunzio apostolico, e da Monsignor Mario Milano, Arcivescovo emerito di Aversa, è stata trasmessa, in diretta televisiva e in diretta streaming da Canale 21, la tv campana che, da oltre venticinque anni, segue le celebrazioni e gli eventi più importanti che si tengono in Santuario, e da Tv2000, l’emittente dei cattolici italiani. I fedeli hanno seguito la celebrazione anche sulla pagina Facebook del Santuario. E la Radio Vaticana ha trasmesso la Supplica in diretta. Le moderne tecnologie hanno così permesso ai fedeli di tutto il mondo di seguire la preghiera a distanza.

 

I militari del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale hanno sequestrato due opere d’arte falsamente attribuite a Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti.

Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Verona e condotte dai militari del Reparto Operativo - Sezione Falsificazione ed Arte Contemporanea, traggono spunto da alcune notizie acquisite tramite attività info-investigativa svolta nel settore del mercato dell’arte, secondo le quali stava circolando un falso dipinto di “Leonardo”, corredato da una perizia infedele che stimava l’opera in 250 milioni di Euro.

Le investigazioni hanno permesso di svelare che effettivamente alcuni soggetti attivi nel nord-est d’Italia stavano cercando di piazzare sul mercato la falsa opera (olio su tavola, cm 53x 39) di Leonardo raffigurante Ritratto di giovanetto aristocratico, che veniva localizzata in una Security House di Malcontenta (VE) e sequestrata.  Gli investigatori, inoltre, partendo dall’analisi di alcuni documenti, oltre a ricostruire i vari passaggi di mano del dipinto, individuavano e sequestravano un’ulteriore opera (disegno su carta cm 36,5 x 27,5), raffigurante Ritratto della santa Vergine falsamente attribuita alla mano di “Michelangelo Buonarroti”, anch’essa munita di una ingannevole perizia di stima redatta dallo stesso “perito” che aveva avallato il “Leonardo”, che la valutava tra gli 80 ed 100 milioni di euro.

Le opere sono state quindi sottoposte ad expertise da parte di un funzionario storico dell’arte del MiBAC, nominato consulente tecnico dalla procura, che ne ha riscontrato la falsa attribuzione. In particolare, l’esperto evidenziava come l'esame stilistico del primo dipinto esaminato non palesasse alcuna, neppure lontana, parentela con la produzione leonardesca, opera che, peraltro, nel suo complesso, non sembrava configurarsi nemmeno come lavoro risalente al Quattrocento o al primo Cinquecento, ma che semmai rendeva l'idea di un dipinto più tardo. Ad analoghe conclusioni, il consulente, giungeva anche per il disegno attribuito alla mano di Michelangelo, respingendone pertanto l’attribuzione.

La successiva fase investigativa, consentiva di delineare uno scenario criminale più sofisticato, ovvero l’impiego di beni d’arte contraffatti in attività economiche o finanziarie. Infatti è stato accertato che entrambe le opere sono state utilizzate quale conferimento di beni per la costituzione di una società che sarebbe servita a valorizzarle mediante l’impiego delle stesse in programmi finanziari, proponendole anche ad intermediari esteri.

Ai tre indagati è stato contestato il reato di “contraffazione di opere d’arte”

 

Il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale ha recuperato un’altra delle 32 preziose pagine miniate strappate -nel 1990- dal Breviario di Ludovico da Romagnano, un antico codice pergamenaceo del XV secolo che era custodito all’interno dell’archivio storico dell’Arcidiocesi di Torino. Il prezioso documento era entrato a far parte delle collezioni del Museo Nazionale di Arte Occidentale di Tokyo a seguito di una legittima acquisizione sul mercato antiquariale.

Il recupero del prezioso bene è stato possibile in tempi rapidissimi grazie alla generosa e disponibile collaborazione della Direzione del Museo giapponese che, appresa dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Torino la notizia dell’illecita provenienza del bene, ha immediatamente favorito e facilitato le operazioni di recupero.

Il ritrovamento della pergamena è l’ultimo di una serie di recuperi che il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (TPC) ha ottenuto grazie alle attività investigative condotte sin dai primi istanti successivi al trafugamento.    

16 pergamene erano già state recuperate, nel 1996 e nel 2013, presso l’abitazione privata dei responsabili del reato e in una prestigiosa Casa d’Aste di Monaco di Baviera (Germania) ove le pagine erano state esportate e messe in vendita.

Le indagini hanno consentito, nel tempo, di rinvenire e recuperare una pergamena a Tampa (USA) e altre due in vendita presso una casa d’Aste a Colonia (Germania).

L’individuazione delle pergamene miniate è stata possibile grazie al costante controllo del mercato antiquariale effettuato dai Carabinieri del TPC, alla collaborazione di esperti e studiosi di settore e grazie all’efficacia della Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti, la più completa banca dati di opere d’arte rubate esistente al mondo, gestita dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, che consente una precisa comparazione delle immagini dei beni culturali oggetto di ricerca.

Il codice pergamenaceo, considerato dagli studiosi “un manoscritto di straordinario pregio storico e artistico”, è stato realizzato nel 1450 ed è caratterizzato da una scrittura in carattere gotico e da pregevoli miniature che riportano le illustrazioni di personaggi biblici nel giorno della loro ricorrenza secondo il calendario cristiano.

Il favorevole risultato dell’operazione di recupero testimonia la perfetta collaborazione tra gli uffici centrali e periferici del Ministero per i beni e le attività culturali, del Ministero degli affari esteri e della Cooperazione Internazionale, della Procura della Repubblica di Torino e del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale.

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