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Fratelli d’Italia porta a compimento un’altra promessa fatta agli italiani, in cerca della verità su uno dei periodi più bui della storia. Le responsabilità del governo giallo-rosso su ritardi, sprechi e limitazioni vengono a galla

La pandemia da Covid-19 è da considerarsi uno dei periodi più complicati della storia della Repubblica: tra ospedali mal forniti, contagi e morti continui, imprese che fallivano e cittadini disperati, l'Italia ha dovuto fronteggiare ingenti difficoltà come non se ne vedevano dal secondo dopoguerra. E se un certo grado di scusabilità per l'immediatezza di scelte così complicate poteva all'epoca dei fatti essere accettato, più passa il tempo, più vengono fuori nuove informazioni e più aumentano le responsabilità in capo ai membri del governo giallo-rosso, le cui sciattezza e negligenza frammiste a dilettantismo, impreparazione e disistima, hanno provocato danni maggiori di quanti avrebbero dovuto normalmente aversi.

Bagarre in aula, un botta e risposta così pesante da costringere il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli a sospendere la seduta. Il motivo è stato la discussione sulla proposta di Fratelli d'Italia e della maggioranza di istituire una commissione d'inchiesta sulla gestione della pandemia da parte del governo giallo-rosso. Una decisione che arriva a quasi quattro anni dal primo lockdown che ha devastato i risparmi degli italiani, costretti a restare chiusi in casa per mesi senza lavorare, in attesa di risposte, di informazioni certe, di cassa integrazione, mentre a Palazzo Chigi si cercava disperatamente di limitare i danni creati nella più totale improvvisazione: il centrodestra ha così deciso di voler riaccendere i riflettori su uno dei periodi più bui nella storia della Penisola. “Questa commissione – ha spiegato l'onorevole Alice Buonguerrieri, deputato di Fratelli d'Italia e relatrice del provvedimento – è ciò che ci chiedono milioni di italiani, che hanno subito lockdown, green pass, restrizioni, soluzioni che non avevano nessun supporto scientifico ma che sono state adottate come misure di cieca disperazione, per usare le parole di Walter Ricciardi, consulente del ministro Speranza e consulente del governo Conte”.

Le reazioni concitate delle opposizioni, specie di Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle, possono essere in un certo senso giustificate: la commissione, che sarà composta da 15 senatori e altrettanti deputati, punterà i riflettori su vari temi, come la mancata applicazione del piano pandemico, pur risalente al 2006, e il suo mancato aggiornamento, le spese folli su app immuni, centri primule, banchi a rotelle e mascherine “ordinate, pagate e mai consegnate”: “Magari ci spiegheranno a chi sono finiti tutti questi soldi pubblici!” ha tuonato Buonguerrieri. Si farà luce sul periodo pre-lockdown, quello in cui Conte sapeva ma non ha agito, quello in cui gli allarmi del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e addirittura degli scienziati vennero deliberatamente ignorati, reputati eccessivamente pessimisti. Quello in cui, mentre i posti di terapia intensiva terminavano, i pronto soccorso si avviavano al collasso e mancava qualunque tipo di misura preventiva, Zingaretti proponeva l'aperitivo sui Navigli di Milano; quello in cui l'unica minaccia per la sinistra era la possibilità di sfociare nel razzismo verso i cinesi, che il PD invitava ad abbracciare perché, d'altronde, non c'era nessuno pericolo per la salute. S

Si farà luce poi anche sul periodo del lockdown, quello in cui, invece, il governo Conte dovette correre ai ripari, proponendo però pesanti quanto inutili limitazioni alle libertà personali a colpi di DPCM. Il tutto, seguendo un “modello – secondo il giudice di pace di Frosinone già nell'estate del 2020 – di quelle adottate da stati non democratici come la Cina, che hanno un ordinamento costituzionale autoritario”. Si farà luce anche sul perché l'Italia, nonostante ben due lockdown, importante spesa pubblica e alto tasso di vaccinazione, sia stato uno dei Paesi con più morti a livello mondiale. Insomma, incostituzionalità degli atti (non si possono limitare libertà con DPCM, in quanto semplici atti amministrativi), tenebre circa la spesa pubblica di quegli anni (vedi il caso già citato delle mascherine) e inefficacia delle gravose restrizioni fanno ora tremare i membri del governo giallo-rosso, che non hanno preso benissimo la notizia della commissione. Giuseppe Conte corre ai ripari con parole che quasi suonano come una minaccia: “State creando uno strumento abnorme, quello della Commissione d'inchiesta per attaccare politicamente il governo precedente, ma non governerete a vita e questo potrebbe rivelarsi un pericoloso precedente”.

La concitazione dell'Aula è notevolmente cresciuta quando Buonguerrieri ha dichiarato che “è giusto che gli italiano sappiano che Fratelli d'Italia ha trascinato in tribunale Conte e Speranza per ottenere trasparenza e verità. Ed è – ha continuato – solo grazie alle sentenze con cui sono stati condannati che noi abbiamo ottenuto quegli atti e quei documenti troppo a lungo secretati”. Le repliche dei grillini: “È una menzogna, nessuna condanna” ha detto Conte, mentre Speranza ha parlato di “intervento squadrista”. La furia della sinistra travolge anche Rampelli, accusato di “non aver tutelato le opposizioni dal discorso ingiurioso e violento della Buonguerrieri”. Ciononostante, la proposta, che aveva già ottenuto il sì del Senato, è stata approvata anche alle Camera con 132 voti favorevoli tra i quali si contano anche quelli di Italia Viva, che faceva parte dell'incriminato governo giallo-rosso. 

Una primissima e rozza ammissione di colpa? Lo deciderà la commissione, ma ciò che appare ovvio è che vive ancora in tutti gli italiani il triste ricordo della pandemia. Un periodo in cui migliaia di bare sfilavano per strada scortate dai militari mentre al loro interno erano rinchiuse salme di defunti non riconosciuti. Un periodo in cui si favorì la circolazione del virus nelle Rsa mentre si vietava alle famiglie di dare l'ultimo saluto a genitori, nonni, figli destinati a non ricevere cure per carenza di mezzi. Insomma, “uno dei periodi – secondo Buonguerrieri – più drammatici della nostra storia, che l'Italia ha avuto la sfortuna di affrontare con il peggior Presidente del Consiglio dei Ministri e il peggior Ministro della Salute: Giuseppe Conte e Roberto Speranza”.

A riportare in auge la questione pandemia è un'inchiesta del quotidiano La Verità, che pubblica un'informativa dei carabinieri di Bergamo dalla quale, pur essendo estrapolata da un'altra inchiesta sulla gestione dei migranti, emergono importanti informazioni sulle primissime ore della pandemia, in particolare su quel periodo tra la metà di febbraio e il 9 marzo, inizio del lockdown, in cui si era capito che il Covid non era uno scherzo, ma a Palazzo Chigi si glissava l'argomento. 

Protagonista della vicenda il sindaco dem di Bergamo Giorgio Gori, dalle cui telefonate intercettate dagli inquirenti emergono importanti informazioni: Gori, come tutto il mondo dem, era preoccupato per una possibile chiusura totale, era contrario e spaventato per le intenzioni della Regione Lombardia a guida Attilio Fontana, che propendeva per la linea dura. Era fine febbraio, il bergamasco appariva come la zona più colpita e più i giorni passavano, più i casi aumentavano. Ma per Gori era “eccessivo” fermare tutto “per un solo caso di contagio”. 

Contrarietà a una eventuale zona rossa per Bergamo arrivavano anche da esponenti del governo: il 26 febbraio Antonio Misiani, viceministro dell'Economia, riteneva inutile la chiusura anticipata delle attività alle 18, mentre il 3 marzo rassicurava Gori sul fatto che il ministro Speranza non voleva inserire Bergamo nella zona rossa. Intanto, sono interessanti le conversazioni tra il sindaco e suo fratello Andrea, medico, che parlava di pressioni del governo su Fontana per riaprire le attività e, in un secondo momento, raccontava che l'unico ad aver recepito la gravità della situazione fosse il leghista stesso, senza però trovare ascolto a Roma. Il 6 marzo la débâcle di Gori stesso, che ammetteva al sindaco di Milano Giuseppe Sala che ormai una zona rossa a Bergamo sarebbe stata inutile, essendosi il virus già pienamente diffuso. La svolta l'8 marzo: secondo il presidente della Fondazione Fiera Milano Enrico Pazzali, solo dopo l'attenzione del presidente della Repubblica per i dati allarmanti comunicati da Fontana, Conte si sarebbe mosso per misure più restrittive.

Insomma, si aggrava la posizione del governo giallo-rosso, che sapeva ma non ha agito. Circoscrivere le zone maggiormente interessate dal contagio poteva essenzialmente essere la svolta, per salvare tantissime vite ed evitare chiusure peggiori, come il lockdown totale: le differenti entità del contagio nelle varie zone d'Italia in quei giorni richiedevano misure più efficaci a livello territoriale, come una divisione a fasce che si è avuta solo un anno dopo. Intanto, con gli ospedali già in tilt, mascherine che mancavano e posti in terapia intensiva di numero ignoto, il governo Conte, pure sotto le spinte della Regione Lombardia, ha scelto la strada del far finta di nulla, lasciando Bergamo e la Val di Susa alla deriva. Salvo poi pentirsene, ricorrendo a misure estreme in tutta la Nazione che, alla fine dei conti, neppure occorrevano, se non a ridurre alla canna del gas milioni di italiani in attesa di cassa integrazione. Altro che “modello Italia”!

 

Fonte La Redazione de La Voce del Patriota

Gazzetta Tricolore FDI

 

 

 

 

L’On. Gancia ha presentato un’Interrogazione con richiesta di risposta scritta all’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri sul tema “Strategie UE in Risposta alla Crisi del Mar Rosso” interpellando, affinché spieghi “come intende promuovere un coordinamento efficace tra gli Stati Membri dell'UE per fronteggiare questa crisi in modo unitario e strutturato, evitando azioni frammentarie che potrebbero aggravare ulteriormente la situazione”.

La recente ondata di attacchi da parte dei ribelli Houthi dello Yemen, ha avuto un impatto significativo sulle rotte commerciali, con importanti compagnie come Maersk che hanno dirottato le navi per evitare l'aumento dei rischi nella regione.

A pagare uno dei prezzi più alti, in termini economici, sono i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, come l’Italia. Lo stretto di Suez è da oltre cento anni una porta d'accesso fondamentale per il commercio Europa-Asia, da lì passa il 40% del nostro import-export marittimo per un totale di 154 miliardi di euro (analisi di SRM, Centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo pubblicata a fine dicembre). La decisione di importanti compagnie di navigazione di dirottare le proprie navi intorno al Capo di Buona Speranza in Africa, a causa degli attacchi Houthi nel Mar Rosso (23 dal 19 dicembre 2023), si traduce in un aumento di costi valutabile fino a un milione di dollari in più per viaggio.

Parlando con il Corriere del Sud, l'Onorevole Gancia  ci spiega :

“Costi che, inutile girarci attorno, ricadono sulle nostre tasche”, denuncia l’Onorevole Gianna Gancia, europarlamentare del gruppo ID (Identità e Democrazia), lanciando un appello all’Unione Europea, tramite una interrogazione alla Commissione Europea, affinché intervenga in modo unitario e con forza sulla crisi commerciale del Mar Rosso.

“È questo un esempio concreto di come un conflitto che sembra lontano abbia conseguenze vicino a noi”, continua Gancia, che da Bruxelles ci spiega le conseguenze di quanto sta accadendo a livello internazionale. “Viaggiare attorno al Capo di Buona Speranza e non attraverso il Canale di Suez - roba folle, che ci porta indietro di più di 150 anni - può aggiungere circa 10 giorni ai tempi di viaggio. Significa aumenti vertiginosi delle tariffe per il trasporto, ad esempio delle mele del Piemonte - la mia Regione di provenienza. In ballo ci sono famiglie, aziende, posti di lavoro. Problemi che riguardano non solo noi italiani, ma noi europei tutti. Ecco perché dobbiamo muoverci uniti e compatti. In Libia, basti pensare, ci sono le forze militari di Turchia e Russia: ci rendiamo conto che stiamo cedendo ad altri player quello che dovrebbe essere per noi un interesse strategico come il Mediterraneo, situato tra l’Europa, il Nord Africa e l’Asia occidentale? Finiamola con le piccole beghe ideologiche che non portano a niente e concentriamo la nostra attenzione politica sulle vere questioni, quelle grosse, che toccano le tasche dei cittadini. Perché anche se noi non ci occupiamo di Europa, anche se non ci occupiamo di Mediterraneo, il mondo ormai è collegato e la politica internazionale si occupa di noi. È l’Europa il nostro potenziale più grande alleato, non Washington, né tanto meno Mosca”.

Questo ha un legame con la sua ultima campagna di comunicazione sugli autobus urbani di Torino con tanto di slogan: “Né con Washington né con Mosca”?

“Certo”, replica l’europarlamentare. “L'Europa deve essere una risorsa, non un ostacolo. Capito questo, quello di cui abbiamo bisogno è un'Europa più forte, libera e indipendente: un’Europa governata da politici eletti dai popoli e non dai burocrati. Ecco l’Europa unita che sogno, quella che mette insieme i popoli, quella con una voce estera unica, un’Europa libera con un esercito comune e una difesa unica, in modo che la smettiamo di essere dipendenti tutte le volte dagli Stati Uniti e dalla Nato. Che non significa uscire dalla Nato, che è un ottimo strumento difensivo, ma riconoscere che la Nato era nata con le logiche della guerra fredda, che oggi in un mondo multilaterale sono più complesse. Abbiamo come Europa la forza di reggersi sulle nostre gambe. Ma per farlo, dobbiamo essere uniti. Significa superare i meccanismi di veto, per evitare di essere bloccati continuamente da piccoli ricatti, da tutta una serie di lacci e laccioli che ci sono adesso, che purtroppo lasciano l'Europa più in mano ai burocrati, che non ai rappresentanti dei cittadini. Ricordo, a questo proposito, che i burocrati sono forti quando la politica è debole”.

Non dimentichiamoci però che la gente, a volte, si sente lontano dalla politica che si fa a Bruxelles…

“Come ho detto prima: anche se tu non ti occupi di Europa, l’Europa si occupa di te”, risponde l’On. Gancia. “Altrimenti si lascia tutto in mano ai burocrati, questa è la conseguenza del populismo. E poi è troppo tardi per lamentarsi, perché ci sono  conseguenze concrete sull’economia locale, sui posti di lavoro, sui costi per le famiglie”.

Tornando al suo slogan: “Né con Washington né con Mosca”, non è in contraddizione con quanto dice il suo partito e Salvini?

“La tradizione della Lega si fonda su questi concetti”, spiega l’europarlamentare. “In un’Europa più forte, un'Europa veramente federalista, che è sempre stata la linea portata avanti dalla Lega Nord da sempre: l’Europa dei popoli, l'Europa federale. Un’Europa più forte e non un’Europa dei burocrati. La mia, semplicemente, è una visione pragmatica e concreta, affinché le frasi non rimangano solo uno slogan, ma possano trovare applicazione nella realtà. In questo senso ho fatto prima degli esempi concreti: il meccanismo dei veti, l'esercito unico, la difesa unica europea, una politica estera comune… una politica energetica unica per l’Europa. Non è ammissibile che l'energia abbia un costo in Francia e un altro in Italia: serve una politica energetica unica dell'Europa per garantire a tutti gli stati membri gli stessi prezzi e le stesse facilitazioni di approvvigionamento. Se l'Europa fosse indipendente a livello energetico, i singoli stati non sarebbero più ricattabili, come abbiamo imparato in prima persona, a caro prezzo, con il conflitto Russia-Ucraina. Non voglio fare allarmismo, ma se pensiamo che il peggio sia passato, quello che sta succedendo sul Mar Rosso non è certo un buon segnale. Come anticipato, il Canale di Suez non è solo un passaggio chiave per il commercio globale, ma anche un’importante rotta per le spedizioni di energia: vi transitano il 12% del petrolio e l'8% del gas naturale liquefatto (GNL). A livello regionale, una campagna prolungata degli Houthi contro il trasporto marittimo nel Mar Rosso metterebbe a serio rischio la sostenibilità delle esportazioni di petrolio e gas dai principali produttori regionali come Iraq, Libia e Algeria, che hanno un ricorso più limitato all'aumento delle esportazioni tramite oleodotti rispetto all'Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, limitando i guadagni di reddito nel breve termine durante un periodo di prezzi elevati degli idrocarburi”.
I salassi di luce e gas… un film già visto da milioni di italiani da scongiurare oltre le nostre mura, grazie a un’Europa davvero unita, più forte, libera e finalmente indipendente.

Ringrazio l On.Gancia per la nostra chiacchierata per i lettori del Corriere del Sud.

 

Gianna Gancia

Nata a Bra il 31 dicembre 1972, Gianna Gancia è una politica italiana, attualmente europarlamentare dal 2019 dove fa parte del gruppo ID (Identità e Democrazia). Proveniente dalla famiglia Gancia, rinomata produttrice di vini, è cresciuta a Narzole. Inizia la sua carriera politica nel 1991 come consigliera comunale. Eletta nel 2009 a Cuneo come la più giovane presidente di provincia in Italia, Gancia si è distinta per il suo impegno in diverse aree, tra cui Grandi Infrastrutture e Sostegno all'economia locale. Nel 2014 è stata eletta nel Consiglio regionale del Piemonte e nel 2019 ha vinto le elezioni europee diventando europarlamentare. Sposata con il politico della Lega Roberto Calderoli, ha un figlio, Giampiero, nato nel 2000.

“L’interrogazione”

Interrogazione con richiesta di risposta scritta al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Oggetto: Misure di Coordinamento e Sicurezza nel Mar Rosso e Strategie UE in Risposta alla Crisi

Si interpella l'Alto Rappresentante affinché:

1. Elucidi come intende promuovere un coordinamento efficace tra gli Stati Membri dell'UE per fronteggiare questa crisi in modo unitario e strutturato, evitando azioni frammentarie che potrebbero aggravare ulteriormente la situazione.

2. Fornisca dettagli sulle iniziative previste per assicurare e rafforzare la sicurezza del traffico marittimo nel Mar Rosso.

3. Spieghi quali strategie verranno adottate per coinvolgere partner internazionali e regionali nella risoluzione della crisi nel Mar Rosso.

 

 

 

Il ministro della Difesa Guido Crosetto torna sulle sue recenti dichiarazioni sulla magistratura, quando aveva parlato di "opposizione giudiziaria al governo". Nell'informativa urgente alla Camera spiega che gli "era stato riferito che in varie riunioni ufficiali della magistratura e congressi venivano dette delle cose che dovevano sollevare preoccupazioni istituzionali, un dibattito. Il mio non è stato un attacco alla magistratura, le mie sono state riflessioni e preoccupazioni riguardo ad alcune tendenze che vedo emergere non in modo carbonaro ma in modo molto evidente".

Ho ascoltato quattro ore di dibattito di un congresso di una delle correnti dei magistrati. La cosa che mi ha colpito di più, negativamente per il mio Paese, era il senso di attacco che vivevano questi magistrati. Sarebbe l'ora di costruire un tavolo di pace nel quale si definiscono le regole per la convivenza per i prossimi anni. Noi non possiamo aver portato avanti questo scontro dal 1994 a oggi, senza riportare la discussione all'interno di quest'aula che è il luogo, secondo quanto stabilisce la Costituzione, dove le regole vengono fatte e dove il popolo trova la sua sostanziale rappresentanza".

"Il mio non è stato un attacco alla magistratura. Le mie sono state alcune riflessioni e preoccupazioni riguardo ad alcune tendenze che vedo emergere non in modo carbonaro ma in modo molto evidente". Lo ha detto il ministro della Difesa, Guido Crosetto in aula alla Camera per l'informativa urgente del governo in merito alle sue recenti dichiarazioni sulla magistratura rilasciate alla stampa.

"Penso sia legittimo che noi ci chiediamo e definiamo, con questo Parlamento e non il governo, le regole entro le quali si confrontano, interagiscono, lavorano i poteri dello Stato: la rappresentanza appartiene alla politica", ha aggiunto il ministro. "La rappresentanza non appartiene alla magistratura e neppure all'Esecutivo: appartiene per la Costituzione a quest'aula e a quella del Senato, appartiene al Parlamento".

"Io penso sia importante se noi vogliamo uscire dallo stallo in cui la politica italiana è da quasi 30 anni, uscire da questo scontro pregiudiziale tra politica e magistratura, definendo le regole entro le quali si muovono il potere esecutivo, legislativo e giudiziario. La volontà popolare risiede qui. La volontà popolare e le Camere fanno le leggi" ha poi aggiunto il ministro "io penso che tutti gli organi costituzionali devono operare nella libertà e nella tranquillità istituzionale e che nessuno debba sentirsi sotto attacco dall'altro o limitato. Per questo alcune dichiarazioni mi hanno preoccupato".

"Io non sono un esperto di diritto costituzionale. Ma rispetto le istituzioni a differenza di qualche presente. - ha chiarito il ministro - Penso sia legittimo che questo Parlamento definisca le regole in cui i poteri dello Stato interagiscono. La rappresentanza appartiene alla politica. Non appartiene alla magistratura né al potere esecutivo. La rappresentanza appartiene a quest'aula e a quella del Senato".

"Principio base è prevedibilità giudizio e alcune frasi magistrati la minano" Uno dei "principi base" su cui "poggia la democrazia" è la "prevedibilità del giudizio e i termini in cui abbiamo sentito parlare prima, della giurisprudenza come contrapposta alla legge mina la prevedibilità del giudizio", ha concluso il ministro della Difesa,, dopo aver letto alcune frasi di magistrati che, ha affermato, destano "preoccupazione". "Quando la legge diventa un accessorio perche' la giurisdizione pensa che qualcuno possa superarla io mi faccio una domanda che si facevano i latini 'quis custodiet custodes'?, chi decide in quel momento qual è la linea da seguire?". Per Crosetto la legge la decide il "Parlamento", non la magistratura, come prescrive la "Costituzione".

 

Fonte tg24 / agi

 

 

L'ex 007 Francesco Pazienza avrebbe "dato una mano" a Report per realizzare l'inchiesta sul caso Moro secondo Adn Kronos. A rivelarlo è l'ex Br Paolo Persichetti, oggi ricercatore storico e autore di libri e inchieste sul rapimento e l'uccisione dello statista democristiano, che sul suo blog e spiega di essere venuto in possesso di uno scambio WhatsApp tra Francesco Pazienza e Cristiano Lovatelli Ravarino, giornalista italo americano, avvenuto nella fase preparatoria della trasmissione.

"Smentisco nella maniera più assoluta quanto affermato da Persichetti in merito alla puntata di 'Report' sul caso Moro. Quello che ha scritto è pura fantasia, gli sarebbe bastato fare una telefonata al sottoscritto per verificare che l'informazione che ha dato è totalmente falsa". Ad affermarlo all'Adnkronos è Sigfrido Ranucci, commentando così le dichiarazioni dell'ex br Paolo Persichetti che, sul suo blog e sostiene che l'ex 007 Francesco Pazienza avrebbe 'dato una mano' alla trasmissione nell'inchiesta sul caso Moro andata in onda ieri sera.

"Il programma è stato realizzato in piena autonomia dal collega Paolo Mondani, come tutti i servizi di 'Report', e la puntata è arrivata chiusa", sottolinea Ranucci. Che scandisce: "Abbiamo letto che ricalca molto il lavoro della seconda commissione Moro, quindi non c'è stato alcun depistaggio. E oltretutto, dagli screenshot mostrati non si evince che ci sia stato alcun depistaggio".

Lo Stato venne a sapere della morte di Aldo Moro ore prima della telefonata con cui le Brigate Rosse annunciavano la presenza del cadavere in via Caetani.

Il caso Moro è un cold case, secondo Quotidiano Nazionale, che non trova mai una conclusione. Non sono bastati cinque processi e due Commissioni d’inchiesta parlamentare a far luce sui 55 giorni del sequestro dello statista Dc che si concluse con la sua morte. Stavolta a fare notizia sono le parole dell’ex vicesegretario del Psi, Claudio Signorile, intervistato dalla redazione di Report , la trasmissione d’inchiesta di Rai Tre che sostanzialmente dice due cose. La prima: Signorile era nello studio di Cossiga, allora ministro dell’Interno, e seppero della morte di Moro tra le 9.30 e le 10 mentre la telefonata del postino Br, Valerio Morucci, arrivò solo alle 12.15". La seconda: c’era una presenza ossessiva dei servizi, soprattutto inglesi. Due punti su cui è cruciale ascoltare il parere di Beppe Fioroni, ex ministro dc, che dal 2 ottobre 2014 al 6 dicembre 2017 (poi il Parlamento si sciolse) è stato presidente della seconda commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro. "Basta leggere i documenti, le tre relazioni presentate dalla Commissione. In quelle migliaia di pagine c’è già scritto tutto".

Intervistato dai giornalisti della trasmissione televisiva,come riferisce Ansa, ricorda quanto avvenuto la mattina del 9 maggio 1978, il giorno in cui venne ritrovato il corpo del presidente della Dc, quando si trovava nella stanza di Cossiga. "Si accende il cicalino e dal cicalino la voce - racconta Signorile - Due messaggi. Il primo: la macchina rossa eccetera dentro, poi il secondo dopo qualche minuto: la nota personalità, linguaggio burocratico del ministero degli Interni, per personalità si tratta eccetera, eccetera a quel punto mi dice mi devo dimettere e io dico, fai bene. Ci abbracciamo".
Il giornalista fa presente che quella telefonata arrivò di prima mattina, intorno alle 9.30, mentre quella delle Br arrivò solo alle 12,15. Dunque Cossiga, allora ministro dell'Interno, avrebbe saputo della morte di Moro ore prima del ritrovamento ufficiale.
Il programma di Sigfrido Ranucci pubblicherà anche altre interviste e testimonianze di quei giorni, in cui si ipotizza anche un coinvolgimento nel caso dei servizi segreti inglesi.

Nonostante i numerosi processi e le due Commissioni d'inchiesta parlamentare, il caso Moro rimane un cold case irrisolto. Ci sono ancora punti oscuri e silenzi che devono essere indagati per far luce sui 55 giorni del sequestro dello statista Dc che si concluse con la sua morte. Le recenti dichiarazioni di Signorile, rilasciate durante un'intervista con la redazione di Report, aggiungono ulteriori elementi a un puzzle ancora incompleto.

Fonti : Adn Kronos/ Ansa / QN
   

Apertura dei lavori: Margherita Boniver (Presidente della Fondazione Bettino Craxi ETS).
Introduce: Giovanni Orsina (Luiss “Guido Carli” - Presidente Comitato storico-scientifico della Fondazione Bettino Craxi ETS).
"Presentazione del volume "Craxi Andreotti. Politiche, stili e visioni tra conflitti e collaborazioni".
Sono intervenuti: Stefania Craxi, Fabio Martini, Umberto Ranieri, Claudio Signorile, Francesco Verderami, Stefano Andreotti.

Si può affermare che la politica italiana degli ultimi trent’anni è un film che non sarebbe decollato senza Craxi e Andreotti. Nonostante l’immensa diversità, sono stati negli anni ’80 i pilastri della politica estera italiana nel suo momento di maggior successo, quando insieme, lavorando solo di diplomazia, avevano reso la penisola la vera potenza locale nel Mediterraneo. Di quella fase e del loro peso hanno discusso ieri in un convegno organizzato al Senato dalla fondazione Craxi storici, giornalisti, intellettuali assieme a Stefano Andreotti e Stefania Craxi, i figli dei due statisti.

Un forte atlantismo, "coniugato con dignità e grande indipendenza" per usare le parole della presidente della Fondazione, Margherita Boniver li ha uniti: sul fronte internazionale le differenze, se c’erano, riguardavano lo stile, non la sostanza. Andreotti fu d’accordo anche nella mossa più drastica dell’allora premier Craxi: quell’ordine, impartito ai carabinieri, di circondare a Sigonella i marines che circondavano a loro volta l’aereo che doveva portare in salvo il terrorista palestinese leader del gruppo responsabile del dirottamento della nave da crociera Achille Lauro e della morte di un passeggero statunitense.

Il rapporto con i palestinesi, del resto, era sì sincero, ma anche strategico: era una delle leve che permettano di oliare i rapporti con i paesi arabi. Quella politica si basava soprattutto su un rapporto con il mondo arabo e con i paesi mediorientali produttori di petrolio molto più stretto di quanto non gradissero, per ragioni politiche, gli americani e per ragioni di competizione energetica inglesi e francesi. Con il senno di poi non si può non concludere che quella linea fu vincente: "Volevano ritagliare un ruolo importante del nostro paese per la pace nel mondo", sottolinea Stefano Andreotti .

Ricorda ancora Stefano –  il rispetto era profondo e sopravvisse allo tsunami di tangentopoli: "Fino all’ultimo – continua – papà cercò nei limiti delle sue possibilità di trovare una soluzione umanitaria per consentire a Craxi di curarsi in Italia". Allora l’eco di Tangentopoli era ancora troppo fragoroso perché ci riuscisse. Oggi forse inizia ad essere possibile valutare gli anni ottanta, gli anni di Craxi-Andreotti con maggiore lucidità e obiettività. Mentre gli storici concordano sul fatto che Bettino "fu vittima del sistema che voleva riformare", la figlia Stefania sorride amaramente: "Andò in Tunisia non solo perché temeva il carcere, ma aveva pure paura di essere ucciso in prigione". Sospira: "Dopo la sua morte in esilio – dichiara – Andreotti ha partecipato ad ogni iniziativa che ho fatto per mio padre".

Il dibattito è stato organizzato  da Fondazione Bettino Craxi e Franco Angeli editore.
Due uomini siffatti perno dell’intero sistema politico e con loro la memoria di ciò che è stato, anzi la memoria di ciò che siamo stati. La fondazione dedicata allo studio del pensiero e dell’azione politica di Bettino Craxi tenta di colmare questo vuoto con una giornata di studio e riflessione su Bettino Craxi e Giulio Andreotti, protagonisti di rilievo del panorama politico-istituzionale italiano per un lungo tratto di storia del secondo Novecento.

L'iniziativa muove dall’ambizione di proporre una prima e originale analisi storico-scientifica a carattere comparato tra due figure che nel corso della loro lunga esperienza pubblica hanno alternato fasi di vicinanza politica e umana a momenti di conflittualità esasperata.Coadiuvata dalla presenza fra i relatori di personalità del mondo accademico, la Fondazione tratteggia un approccio inedito nel contesto della ricerca storiografica, offrendo le chiavi interpretative utili a riflettere in parallelo sulle visioni politico-istituzionali, sulle ricette economiche, sugli orientamenti di politica internazionale che hanno nutrito le visioni dell’esponente socialista e di quello democristiano in merito al futuro del Paese nel contesto della modernità globale.

 

 

 

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