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Copertina dell'ultimo saggio della studiosa britannica

E’ stata la prima a coniare la famosa espressione “Eurabia”, in un’intervista per un giornale francese del 2002, più avanti ripresa nel titolo di un saggio tradotto con successo anche in Italia (Eurabia. Come l'Europa è diventata anticristiana, antioccidentale, antiamericana, antisemita, Lindau, Torino 2007, Pp. 416, Euro 26,00) e quindi rilanciata a loro volta sui principali mass-media internazionali soprattutto dallo storico britannico Niall Ferguson e da Oriana Fallaci: a seguito degli ultimi fatti legati all’esplosione del terrorismo in Europa Bat Ye’or in questi giorni è tornata in Italia per una serie di conferenze e approfondire dal vivo i numerosi spunti dei suoi libri più discussi. Nell’ultima svoltasi martedì scorso a Roma la studiosa ebraica di origine egiziana ma naturalizzata britannica ha spiegato che quella a cui assistiamo oggi è solo l’ultima parte di una storia cominciata secoli addietro: almeno dalla battaglia di Lepanto (1571), se non si vuole andare ancora più indietro fino alla conquista della penisola iberica nel Medioevo. Oggi fanno eco sulla stampa gli ultimi proclami lanciati dai terroristi sulla conquista di Roma e persino di San Pietro ma in realtà – ha osservato Ye’or – si tratta di una volontà di conquista affatto nuova e anzi plurisecolare. Da sempre il cosiddetto ‘jihad’, infatti, ha almeno due interpretazioni che se divergono nelle modalità attuative coincidono comunque nello scopo finale: una direttamente bellica e militare che tende a legittimare il ricorso alla via armata chiamando in causa Dio, e una più ‘soft’ che si può constatare nella conquista del territorio per via più pacifica con l’immigrazione o la crescita demografica in loco. In ogni caso, è un fatto che la presenza islamica in Europa oggi conti più di venti milioni di persone (il numero non comprende qui i clandestini evidentemente) di cui un milione e mezzo in Italia, cifreinsomma obiettivamente importanti che pongono sfide assolutamente inedite nell’età pure segnata dalla globalizzazione delle culture che stiamo attraversando dopo la fine della Guerra Fredda (1945-1989) e l’implosione dell’ex Unione Sovietica (1991).

Ye’or ha poi concentrato la sua attenzione soprattutto sulla storia dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (l’OCI, fondata a Rabat con il nome di Organizzazione della Conferenza Islamica, nel 1969) che raccoglie al suo interno cinquantasette Paesi mussulmani – compreso lo Stato Palestinese –in rappresentanza di oltre un miliardo di fedeli e della tutela dei loro interessi a livello internazionale e può vantaretuttora una delegazione permanente presso le Nazioni Unite.E’ infatti soprattutto attraverso i suoi accordi economici e commerciali e le sue prese di posizione a livello geopolitico che l’organizzazione negli ultimi decenni ha visto progressivamente allargarsi la sua sfera d’azione e d’influenza arrivando a incidere in modo notevole su molteplici accordi bilaterali riguardanti tra l’altro i temi dell’energia e delle risorse petrolifere come anche quelli legati all’immigrazione verso i paesi occidentali. Lungi dall’esprimere prese di posizione unilaterali, tuttavia, la studiosa ha anche sottolineato le colpe interne e la complicità materiale dell’Europa – accusata di praticare lo ‘spirito di Monaco’, con riferimento all’ignavia dei governanti europeidegli anni Trenta verso il Terzo Reich – nella crescita della politica espansionistica arabo-islamica sul Mediterraneo che ha fatto risalire soprattutto agli anni Sessanta caratterizzati dallaleadership incontrastata del generale Charles De Gaulle (1890-1970), Presidente della Repubblica francese ininterrottamente per l’intero decennio 1959-1969, e la cui politica estera si contraddistinguerà - tra l’altro - prima per la condanna dell’intervento statunitense in Vietnam – coincidente con il ritiro della Francia dal comando militare integrato della NATO – e poi per l’embargo verso Israele a seguito della fulminea guerra dei sei giorni condotta contro Egitto, Siria e Giordania (5-10 giugno 1967). Il risultato è che oggi – culturalmente e spiritualmente – molti occidentali vivono già nella condizione di “dhimmi”, lo status di sudditanza – cioè – che all’interno di una Nazione governata dalla sharia (la legge coranica) storicamente ha investito le comunità delle minoranze non-mussulmane, particolarmente dal punto di vista dei diritti civili e di cittadinanza, conculcati o riconosciuti solo in maniera parziale e relativa. Per questo, ha concluso la studiosa, è oggi più che mai fondamentale imparare a conoscere a fondo anzitutto la storia della civiltà islamica, a cominciare dai termini “jihad” e “dhimmi” che ne connotano aspetti fondamentali socialmente e ci riguardano peraltro oramai sempre più da vicino, come dimostrano da ultimo le recentissime cronache dalla Libia e dall’Iraq. In secondo luogo sarà poi necessario che l’Europa – particolarmente nell’ambito delle sue classi dirigenti politiche e istituzionali – riscopra la sua diretta discendenza dai valori biblici e dalla propria storia religiosa, fattore di indubbia civilizzazione su temi fondamentali come quelli della dignità umana e del rispetto della persona e che è invece dall’altra parte messa in discussione se solo si considera che i Profeti dell’Antico Testamento e lo stesso Gesù sono considerati anticipatori di Maometto e assumono naturalmente significato solo in rapporto alla sua figura e alla sua predicazione.

 

Con il secondo volume, comprendente oltre 400 voci biografiche, dedicate a personaggi insigni del mondo liberale italiano, inteso in un’accezione ampia, vissuti fra il primo Ottocento e i giorni nostri (viventi esclusi), si è compiuto il Dizionario del Liberalismo italiano. Anche questo secondo tomo è pubblicato da Rubbettino (pp. 1.196, € 48). L’opera collettanea è stata coordinata da un comitato di studiosi (Giampietro Berti, Dino Cofrancesco, Luigi Compagna, Raimondo Cubeddu, Elio d’Auria, Eugenio Di Rienzo, Francesco Forte, Tommaso Edoardo Frosini, Giovanni Orsina e Roberto Pertici), fra i quali ha compiuto un poderoso lavoro Fabio Grassi Orsini, mentre l’attività redazionale è stata svolta soprattutto da Gerardo Nicolosi. Appunto a Grassi Orsini ci siamo rivolti perché illustri taluni primari aspetti del Dizionario.

Come vi è venuta l’idea del Dizionario?

Da una decina di anni un gruppo di noi ha pensato che fosse necessaria una svolta nella storiografia italiana, che si era occupata quasi esclusivamente, fino a quel tempo, di storia sociale, di storia di partito o di classi popolari. Tale svolta doveva essere nel senso di un recupero della dimensione politica, cioè in direzione dello studio delle istituzioni, delle élites dirigenti e delle classi politiche e, infine, non dei partiti presi singolarmente, bensì dei sistemi politici. Abbiamo tenuto una serie di convegni. Nel 1993 se ne svolse uno a Siena e a Roma-Luiss sul “Partito politico dalla grande guerra al fascismo”. Un altro, su “I partiti politici nell’Italia repubblicana”, si tenne alla Luiss e presso le università di Siena e di Lecce (nel 2002-‘03). I risultati sono stati raccolti in due volumi: I partiti politici nell’età repubblicana (a cura di Gerardo Nicolosi, con prefazione di Fabio Grassi Orsini, Rubbettino 2006) e Partiti e sistemi di partito in Italia (a cura di Giovanni Orsina, Rubbettino 2011).

Che ne avete ricavato?

Abbiamo compreso, in quelle occasioni, che il settore meno coperto era quello dei liberali intesi in senso lato, dal Risorgimento al secondo dopoguerra. In particolare è risultato evidente che tutti i movimenti politici, dagli anarchici ai cattolici, dai socialisti ai comunisti, senza parlare del fascismo, avevano repertori a loro dedicati. Ne mancava uno che riguardasse appunto la cultura e le personalità appartenenti alla “galassia liberale”, che pure aveva avuto una cosi grande importanza non solo nell’unificazione del Paese ma anche nella ricostruzione della democrazia dopo il fascismo.

Qual è la differenza tra questi repertori e il Dizionario del liberalismo italiano?

Intanto, il Dizionario non rientra nei parametri della “storia di partito”, ma cerca di ricostruire la cultura, le vite e le opere di personalità che sono appartenute al “mondo liberale”, difficile da perimetrare e anche da definire. La scelta è stata, soprattutto per quanto riguarda il periodo risorgimentale e dell’Italia liberale, di considerare il liberalismo, anzi i liberalismi, in modo molto pluralistico.

Cioè?

Si sono inclusi i liberal conservatori, i liberal democratici, i radicali e i riformisti, poi confluiti in formazioni liberal-democratiche, come parti di questo mondo. Si è altresì operata una seconda scelta.

Quale?

Abbiamo considerato il liberalismo italiano. Ciò non significa avere trascurato l’influenza che su di esso ha avuto la cultura liberale europea e americana, ma era necessario ricercare la specificità, se non l’originalità, del liberalismo italiano.

Potrebbe spiegarci in poche parole i contenuti del Dizionario?

è difficile contenere in qualche battuta la descrizione di un’opera cosi complessa che si compone di due tomi. Il primo volume, dedicato a lemmi concettuali o di ricostruzione storica, contiene 172 voci esplicative della posizione dei liberali su grandi questioni: diritti politici, economia, diritto. Inoltre ricostruisce i movimenti e i partiti che hanno fatto parte della “famiglia liberale” dal 1815 agli anni ‘90 del Novecento. Il secondo, invece, raccoglie 404 biografie di personalità politiche: presidenti della Repubblica e del Consiglio, ministri degli Esteri e dell’Interno, diplomatici, storici... Da segnalare che il volume contiene pure le biografie di grandi musicisti, attori, cantautori, giornalisti e personaggi dello spettacolo.

Quali metodi avete seguito?

Si può dire che, a parte qualche criterio volto a creare l’uniformità di tutte le voci, gli autori sono stati liberi di esprimere il loro pensiero, senza nessuna interferenza da parte della redazione. Altrimenti, che opera liberale avrebbe potuto essere?

A chi si rivolge il Dizionario?

Penso che si rivolga in primo luogo al mondo della scuola e dell’università, perché è uno strumento utile sia agli studenti sia ai docenti. In genere, però, è destinato a un pubblico colto, essendo di facile lettura nonostante la complessità degli argomenti trattati e dei personaggi biografati.

Quale attualità può rappresentare oggi?

Forse la sua attualità sta nel tentativo di superare le contraddizioni nate dopo il fallimento delle ideologie e delle interpretazioni storiografiche volte a legittimare il ruolo dei grandi partiti di massa prevalse nel Novecento. Oggi tutti si proclamano liberali (compresi molti contrari al neo liberismo), ma pochi sanno cosa significhi realmente il liberalismo. Ci si augura che questo Dizionario possa stimolare la curiosità anche di un pubblico medio che si trova appunto nella necessità di superare questa contraddizione e sia portato a riscoprire i valori e gli uomini che hanno fatto la storia d’Italia fino al prevalere del totalitarismo, e che hanno poi contribuito alla rinascita della democrazia in Italia.

Come emerge il liberalismo dal Dizionario?

Il liberalismo non è una dottrina economica, non è un’ideologia, non è una fede, ma un complesso di valori, di comportamenti e di metodi che, pur essendo caduti in disuso nel nostro Paese, tuttavia costituiscono il presupposto di una democrazia moderna. A questo proposito si intende fare propria un’affermazione del presidente Napolitano, il quale ebbe a dichiarare, in un’intervista: “Non possiamo non dirci liberali”.

Intervista a cura di

Marco Bertoncini

 

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La prima guerra mondiale nel cinema italiano. Filmografia 1915-2013 (Longo Editore, Ravenna, 2014, pp. 204 con 8 tavv. a c., € 25) è il titolo di un libro pubblicato dal Centro europeo Giovanni Giolitti per lo studio dello Stato con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo e dell'Associazione di studi sul Saluzzese. Enrico Gaudenzi (Università di Siena e Parigi Nanterre) e Giorgio Sangiorgi (filmografo, autore de Il Risorgimento nel cinema italiano) raccolgono le schede di oltre duecento film, dai tempi del muto ai nostri giorni. Trenta pagine di indici (compresi quelli tematici e per parole chiave, dei personaggi e degli interpreti) e una vasta bibliografia fanno del volume uno strumento utile (e curiosamente insolito) per i prossimi anni di studi nel centenario della Grande Guerra.

Nell'introduzione si spiega come si sia evoluta la rappresentazione della guerra, con specifico riferimento a Trieste e al conteso confine orientale. L'appendice fotografica a colori illustra la Collezione di locandine e manifesti cinematografici di Domenico Gavella. Le schede servono tanto allo storico del cinema quanto allo studioso della società e del costume. Da rilevare la ricchezza dei dati forniti, ovviamente più abbondanti nei film parlati: dalla durata agli attori, dalla trama alla critica.

Per informazioni sul volume di Gaudenzi e Sangiorgi: www.giovannigiolitti.it.

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Il prossimo ottobre, presso il Museo Civico di Treviso, Sala di Santa Caterina, si svolgerà la premiazione relativa alla IV Edizione del Premio Letterario “L’INCONTRO LETTERARIO” indetto ed organizzato dalla Casa Editrice “DIVINAFOLLIA”, in collaborazione con Banca Generali e sotto il Patrocinio del Comune di Treviso.

Questo concorso si suddivide in sei sezioni e il termine ultimo per l’invio degli elaborati è fissato entro la mezzanotte del 31 maggio 2015. Una delle sezioni è dedicata alla commemorazione del centenario del genocidio del popolo armeno e, nell’ambito dell’evento, sono previsti interventi di illustri ospiti di origine armena del mondo culturale e giornalistico, che porteranno la loro storia o testimonianza.

In questi giorni ho incontrato la simpaticissima Silvia Denti, una donna molto impegnata nella sua attività di editore, alla quale si aggiungono quelle di critico letterario, scrittrice e poetessa ed ho avuto il piacere di intervistarla per il Corriere del Sud.

 

D) La Casa Editrice “DIVINAFOLLIA”, della quale sei la fondatrice, ha indetto il Premio Letterario “L’INCONTRO LETTERARIO”, in collaborazione con il Comune di Treviso e Banca Generali. Vorresti spiegarmi a chi è rivolto questo concorso?

Il concorso è rivolto a tutti, poeti, romanzieri, saggisti, narratori, che abbiano compiuto i diciotto anni di età, fatta eccezione per la sezione F.

 

D) In quante sezioni si articola?

Abbiamo pensato di dedicare due sezioni alla Poesia, una per l’inedita a tema libero e l’altra, sempre per l’inedita, dedicata al tema dell’INCONTRO; due per la Narrativa, una per romanzo o racconto inedito a tema libero, l’altra per l’inedito sul tema dell’INCONTRO. La quinta sezione è dedicato al trailer, ovvero un videoclip delle proprie opere, (poesie recitate o brevi narrazioni), siano esse poesie o romanzi o fotografie, con un solo video, che dovrà pervenire come cd. I trailer non devono superare i due minuti.

 

D) Il prossimo 24 aprile 2015 ricorre il centenario del genocidio del popolo armeno e per ricordare questo tristissimo evento, quest’anno è stata aggiunta una sezione al vostro premio letterario, alla quale i concorrenti potranno partecipare con un romanzo breve oppure con poesie, legate a testimonianze dirette, come a fantasie, purchè in linea con la tematica. La partecipazione è rivolta anche agli studenti?

Si, questa la novità di quest’anno; infatti, è stata inserita nel bando una nuova sezione, la F, nella quale accettiamo gli elaborati di studenti delle scuole superiori, in questo caso anche minorenni, ben vengano i più piccini, a condizione che abbiano l’autorizzazione firmata dai genitori. Questo allo scopo di promuovere ed incentivare lo studio della questione armena, purtroppo non ancora evidenziato, come meriterebbe, nei programmi scolastici.

 

D) Recentemente è stato pubblicato dalla tua Casa Editrice il libro “AMAR ARMENIA” del famoso giornalista e scrittore Diego Cimara. Qual è stato il riscontro da parte della critica e del pubblico?

Il romanzo di Diego Cimara sta riscuotendo un grande successo, piace a tutti, è toccante, vero, una lezione di storia e nel contempo un contenitore di emozioni, riconducibili a quelle che si vivono e si toccano con mano in situazioni belliche, di lotte, sopraffazione o violazione dei diritti umani. Si percepisce la sofferenza che non dovrebbe mai più ripetersi e quel passato dovrebbe indurci ad attente riflessioni, soprattutto in considerazione di quello che ogni giorno accade in tutto il mondo. Sono certa che questo interessante libro continuerà ad essere richiestissimo e onestamente lo merita.

 

D) Com’è nata in te l’idea ed oserei dire, l’esigenza di fondare una Casa Editrice?

Questo era da sempre il mio sogno: ho scritto di tutto, dall’articolo di “nera”a quello di politica, fino a raggiungere i servizi interi, i redazionali; ovviamente, mi sto riferendo al giornalismo. Ma a casa, da sola, “disegnavo” le miei prime poesie. Qualche raccontino pubblicato sulle riviste letterarie, poi la lettura, quasi maniacale, alla ricerca di poeti moderni. Fino a portarmi ad individuare l’INQUIETANTISMO, quella corrente letteraria di cui parlo spesso nei miei saggi. Mi sono interessata alla critica e all’analisi dei testi, all’editing.

Per quanto riguarda le collaborazioni con l’editoria minore, una delusione totale, due emisferi diversi: io ci credevo, davo anima e corpo, ore notturne, sabati e domeniche, viaggi…ma ero da sola, non supportata negli ideali. Eppure erano semplici: scovare penne valide. Non ne esistono tantissime, ma ce ne sono, e vanno trattate come meritano.

Quando si arrivò a tagliare anche il mio stipendio dissi “basta”e con una schiera di persone che credevano fortemente in me, ho aperto “DIVINAFOLLIA”, del resto cosa c’è di più folle e divino di accendere un sogno? Le mie regole sono piuttosto severe, tutti possono scrivere, regalarsi dei volumi, (che io comunque correggo e diffondo), ma con l’umiltà necessaria e sapendo che le penne vere sono altre, e per quel che mi riguarda, vanno inserite su binari differenti. C’è gente che ha idee meravigliose, ma è carente in grammatica, pertanto occorre lavorarci sopra. Sistemare i file insieme a me diventa un’esperienza positiva per l’autore.

 

D) Qual è l’approccio con gli autori che si rivolgono a te per la pubblicazione di una loro opera?

Allora: leggiamo i loro manoscritti, controlliamo il senso, la narrazione e la poetica, dividiamo i vantaggi e gli svantaggi e li poniamo davanti a chi ce li ha inviati. Vale la pena pubblicare quel tal pezzo? Venderebbe? Si prova, certo, noi ce la mettiamo tutta. Ci sono libri che restano nel limbo per mesi e poi esplodono, altri che, prima ancora di uscire, vengono richiesti in grandi quantità. Dipende… Però, se escono dalle mani del mio staff, hanno sicuramente delle possibilità, (tematica, particolarità, provocazione, inquietudine, ribellione etc). Insomma, non sono mai banali!

 

D) Fra essi, c’è un autore che ti sta più a cuore?

Non voglio far torto a nessuno, davvero. Ogni autore pubblicato ha una sua personalità precisa, ma alcuni spiccano per valore naturale, come Carla Zancanaro, poetessa-narratrice mestrina, che stravince ogni concorso letterario (serio) a cui partecipa. Laura Chiarina, con una poetica unica, filosofica, scaturita negli ultimi cinque anni, spinta proprio da me, validissima. Marco De Mattia, autore di “testi ipnagogici” come ama definirli lui, ma narratore coi fiocchi, un grande. MarcoC, il mio professore preferito di fisica, coi suoi romanzi surreali, introspettivi, speciali. Ed ancora, Ivano Ciminari, che tra l’altro ha vinto persino il concorso LA FENICE. Egli è uscito proprio in questi giorni con due romanzi editi da “DIVINAFOLLIA”, primo classificato nell’INCONTRO dello scorso anno. Ma dovrei citarli tutti, Alessio Salvini, giovane poeta, appena ventenne, un classico inquieto; Salvatore Fittipaldi, credo sia uno talmente controcorrente e profondo, che resterà nella storia con le sue riflessioni poetiche, (stiamo preparando una nuova silloge), e poi Luigi Balocchi, appena pubblicato, provocatorio, talmente reale da scuotere, una penna sicura, ottima. Non da meno Alfonso Graziano, poeta dell’etere, lui parla in poesia, di tutto, è delicato, ha il dono, lo difende (e fa bene) e quando pubblica nuove raccolte riesce a stupire, sempre.

 

D) Riesci a gestire la tua articolta e complessa attività in modo autonomo, oppure hai qualche collaboratore?

Non credo avrei mai potuto reggere senza il prezioso aiuto di un’amica-sorella, che ho abbracciato in modo naturale, prima stimandola per la sua elegante scrittura, poi come persona: Laura Chiarina. E’ parte attiva e indispensabile di “DIVINAFOLLIA EDIZIONI”, ha cuore, ha voglia di fare, ha pazienza ed è capace. Lei stessa non ci ha mai creduto, ma i fatti lo dimostrano. Lei è il gancio che mi tira a terra quando sogno troppo, mi somiglia, ma ha una parte razionale in più, quella che mi serviva. Anzi, la ringrazio pubblicamente qui, alla Renato Zero, con un sonoro “grazie di esistere!” Siamo una bella squadra, a Treviso Laura e Giuseppe, in Lombardia mia figlia, (sta studiando ma mi aiuta), qualche giovane stagista, la fedele amica Viviana Ferrari con le librerie, il nostro distributore (Direct Book) e amico Angelo Amoroso ed infine io.

 

D) Cosa vorresti dire alle persone che desiderino intraprendere un percorso nell’ambito letterario?

Il percorso è difficile, questo è certo, se lo si intraprende con serietà. Ma quando c’è passione ne vale la pena. Vorrei suggerire a chi scrive di essere umile; gli autori sopracitati sono tutte persone validissime, che non hanno mai e poi mai osato affermare di “essere dei grandi”. Ma in realtà lo sono, a pieno titolo…ed io credo non sia un caso.

 

 

Fare felici

“Padre Clemente Vismara (1897-1988) predicava la fede, esortava a credere in Dio ed a pregare molto, a mandare i figli a scuola (…), così sarebbe migliorata la loro vita.”

In queste poche parole si può riassumere lo spirito di un grande missionario, il segreto di una vita lunga e vittoriosa, come si legge nel sottotitolo del volume di p. Piero Gheddo, Fare felici gli infelici, edito da Emi (2014, pagg.300) con la prefazione di Roberto Beretta. “Fare felici gli infelici” dando tutto sé stesso perché solo questo convince i pagani diceva il beato.

Padre Gheddo, che ha al suo attivo moltissime biografie di santi e beati missionari, si è fatto una precisa idea del concetto di santità: il santo è un uomo felice, è un esempio di promozione umana che rende l’uomo più uomo e la donna più donna, la santità è alla portata di tutti, i santi sono la dimostrazione “che il Vangelo può essere vissuto in ogni situazione umana e in ogni tempo”.

“Fare felici gli infelici” è la storia del percorso spirituale che ha portato il beato Vismara verso la santità dopo che nella precedente biografia scritta sempre da p. Gheddo, Fatto per andare lontano, aveva descritto la sua vita come un romanzo di avventure, ma vere, non inventate.

Un percorso che parte dall’esempio dei suoi genitori che, purtroppo, presto lo lasciano orfano, ma che lo rafforzano nella virtù della fede senza la quale “sarei diventato un brigante”, dice il beato Clemente. Una grande personalità, una grande gioia di vivere che trasmetteva agli altri, ma anche una forte identità e uno spirito ribelle, forte e tenace, obbediente, fedele, metodico. Tutte caratteristiche che lo renderanno un grande missionario sempre pronto a sacrificarsi per gli altri come nell’episodio che lo vede prendere in posto di un commilitone spaventato e piangente nella trincea della Prima Guerra mondiale.

La grande fede era la sua forza e tutto faceva per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Per questo motivo era un grande organizzatore che faceva organizzare tutto dalla Provvidenza e per questo la seconda virtù che lo contraddistingueva era quella della speranza, segno distintivo dei cristiani (Spe salvi, 2007, n.2) tanto che una suora che aveva vissuto con lui lo chiama “santo della Divina Provvidenza”. Infatti Vismara non rifiutava mai nessuno nel suo orfanotrofio e, alla fine, il riso non mancava mai. Tutte le offerte che riceveva finivano in riso e medicine, ma non teneva nessuna contabilità.

L’attività di Vismara, missionario e pastore nell’estremo oriente (Birmania), non si limitava alla vita spirituale, ma a migliorare anche la vita materiale delle sue pecorelle: “E’ impossibile fare i cattolici a ventre vuoto” scriveva il beato, che, assieme al segno di croce insegnava come produrre da mangiare e lo insegnava agli uomini che, in quelle società tribali, facevano lavorare solo le donne e i bambini. E li trascinava al lavoro con l’esempio perché “un cristiano che lavora è un buon cristiano” diceva.

E Vismara lo era come testimoniano anche i suoi numerosi scritti senza errori in tema di morale e di dottrina, ma come ricordava san Paolo, la più grande delle sue virtù è stata la carità radicata nella fede, un fare e un far fare che lo vedrà sempre al lavoro fino all’ultimo giorno dei suoi 65 anni vissuti in Birmania.

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