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La Corte europea dei diritti dell'uomo ha respinto il ricorso presentato dalla comandante della nave, Carola Rackete e dai 42 migranti a bordo, che chiedevano lo sbarco in Italia. Il ministro dell'Interno Matteo Salvini : "confermata la scelta di ordine, buon senso, legalità e giustizia dell'Italia: porti chiusi ai trafficanti di esseri umani e ai loro complici". Possibile ora che - come da lei stessa annunciato - il capitano decida di fare rotta verso il porto di Lampedusa, andando incontro alle sanzioni previste dal decreto sicurezza bis: multe fino a 50 mila euro e confisca dell'imbarcazione. I ricorrenti avevano invocato gli articoli 2 (diritto alla vita) e 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, chiedendo di essere sbarcati subito con un provvedimento provvisorio d'urgenza per poter presentare una richiesta di protezione internazionale.

La Corte ha chiesto informazioni al Governo ed alla ong, ha esaminato le risposte ricevute e nel pomeriggio è arrivata la decisione: non ci sono gli estremi per indicare all'Italia di autorizzare lo sbarco; Roma deve tuttavia "continuare a fornire l'assistenza necessaria alle persone vulnerabili a bordo a causa della loro età o condizioni di salute". Le misure provvisorie nei confronti degli Stati, sottolinea poi la Corte, vengono adottate "in via eccezionale", quando "i richiedenti sarebbero esposti - in assenza di tali misure - a rischio reale di danni irreparabili". 

Salvini in conferenza stampa al Viminale promette: "la Sea Watch in Italia non ci arriva, possono stare lì fino a Natale. In 13 giorni se avessero avuto veramente a cuore la salute dei migranti sarebbero andati e tornati dall'Olanda". L'atteggiamento della ong, sottolinea, "è un'evidente provocazione politica. Stanno usando da 13 giorni esseri umani per scopi politici, sono personaggi inqualificabili". Critiche arrivano da sinistra. 

il respingimento da parte del Tar del ricorso contro il divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane da parte del Viminale. Il secondo è arrivato ieri con la bocciatura da parte della Corte di Strasburgo del ricorso, sempre di Sea watch, contro l'italia che ha detto "no" allo sbarco. L'ong però non fa passi indietro e così ha deciso di sfidare in modo aperto Salvini. La "capitana" dell'imbarcazione ha dichiarato "guerra" al Viminale: "Forzerò il blocco a costo di perdere la nave". Già perché con il decreto Sicurezza Bis scatta immediatamente la confisca dell'imbarcazione e una multa salata per la ong. E così Sea Watch si prepara al "peggio". L'Ong infatti ha intenzione di avviare una raccolta fondi per pagare l'eventuale multa del Viminale in caso di ingresso nella acque italiane. E così è partita già la campagna: "Se il nostro capitano Carola porta i migranti soccorsi in un luogo sicuro, come previsto dalla Legge del mare, deve affrontare multe salate in Italia. Aiuta a difendere i diritti umani e dona al fondo di assistenza legale Sea Watch", si legge sui profili social dell'ong.

E ancora: "Se il nostro capitano Carola segue la legge del mare, che le chiede di portare le persone soccorse sulla SeaWatch3 in un porto sicuro, potrebbe affrontare pesanti sentenze in Italia. Aiutate Carola a difendere i diritti umani, donate per la sua difesa legale". Insomma il piano per forzare il blocco sarebbe già pronto. La sfida finale al divieto imposto dal Viminale.

La nave della discordia è lunga 55 metri e ogni volta che viene sequestrata cambia comandante, l'unico a venire indagato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. La mossa furbesca evita l'aggravante della reiterazione del reato. Anche questo è un costo legato alle spese legali e agli ingaggi del capitano, ma ci sono altre sorprendenti spese.  

Il bilancio dell'Organizzazione non governativa si scopre che per Sea Watch 3 sono stati sborsati oltre 31mila euro di spese legali. Nel 2018 la nave, a parte le paghe degli equipaggi, è costata 784.210,41 euro, in pratica il 55,9% dei costi totali. Una cifra ampiamente coperta dalle donazioni, che lo scorso anno sono arrivate, fino al 31 ottobre a 1.797.388,49 euro. Sea Watch 3, è costata nel 2018 oltre un milione e mezzo di euro sommando i lavori in cantiere dell'anno prima e l'acquisto di due gommoni di soccorso.

le spese per gli equipaggi, oltre al personale a Berlino e Amburgo di 304.069,65 euro. Non poco per aver «soccorso» in mare, come sostiene l'Ong tedesca, 5mila persone nel 2018, anche se il numero sembra un po' alto. Lo scorso anno la nave dei talebani dell'accoglienza è rimasta sotto sequestro a Malta per quattro mesi.

Una voce riguarda i «viaggi e voli» probabilmente degli equipaggi e degli attivisti di Sea Watch legati alla nave, che ammonta a 61.980,36 euro. Fra assicurazione, ormeggi e tasse portuali i talebani dell'accoglienza hanno speso quasi 100mila euro. I viveri per equipaggio e migranti sono costati 36.456,76 euro, le telecomunicazioni, comprese quelle satellitari, ben 22.661,23 euro. Le voci maggiori sono il carburante diesel costato circa 80mila euro, ma poteva gravare ben di più se Sea Watch non fosse stata sequestrata per un terzo dell'anno dai maltesi. Anche le «manutenzioni e riparazioni» hanno inciso per oltre 77mila euro. La seconda voce più ingente, 102.172,57 euro, riguarda «fornitori di servizi esterni» non meglio specificati. E poi l'esborso più alto, poco più di 192mila euro, si riferisce al mantenimento del certificato di classe di navigazione e ai diritti di garanzia di Sea Watch 3.

Come sottolinea il quotidiano il Giornale gran parte delle voci di bilancio del 2018 sono provvisorie ovvero calcolate fino al terzo trimestre dell'anno. Oltre alla nave i talebani dell'accoglienza sostengono due aerei delle Ong che decollano da Lampedusa. «L'operazione Moonbird», dal nome di uno degli aeroplani di ricognizione di Sea Watch, è costata nel 2018 262.435,00 euro. La voce più alta, 162.360,00 euro, riguarda il carburante e le tasse aeroportuali. Non è chiaro quanto e chi paghi i piloti, che non volano certo gratis. Nel 2017 l'Ekd, una potente federazione di una ventina di chiese protestanti e luterane tedesche, hanno «sostenuto l'acquisto di Moonbird con 100mila euro» si legge nel bilancio di Sea Watch. Non solo: «i costi del progetto dal 2018 al 2020 sono coperti» dalla federazione evangelica. Peccato che i migranti individuati dagli aerei della Ong e raccolti da Sea Watch, come gli ultimi a bordo della nave al largo di Lampedusa, alla fine sbarchino sempre in Italia e non arrivino quasi mai in Germania.

Nelle pieghe del bilancio dei talebani dell'accoglienza tedeschi scrive il Giornale spicca la voce «team italiano», che costa 62.815,17 euro l'anno. L'obiettivo è un vero e proprio lavorio di lobbyng, a cominciare dal progetto Mediterrana, «in modo tale che i politici, a livello nazionale e internazionale, ascoltino le nostre richieste» per aprire le porte ai migranti.

Intanto l’amministrazione Trump ha avviato una guerra commerciale con Pechino mentre ha mostrato una certa insofferenza per l’Ue a guida tedesca e, in particolare, per il surplus commerciale di Berlino: il presidente Donald Trump, inoltre, preferisce di gran lunga trattare con i singoli Stati che con l’intricata casta di burocrati dell’Ue. Da pragmatico, ha perfettamente compreso che a tirare le redini dell’Unione europea sono Germania e Francia. 

Tutti incolpano Trump dell’attuale crisi delle relazioni transatlantiche ma, in realtà, anche con un’eventuale vittoria di un democratico moderato come Joe Biden, le tensioni rimarranno. Gli Usa continueranno a criticare il comportamento della Germania e le sue ambizioni imperiali (economiche) sul resto del continente ma, soprattutto, si concentreranno sempre di più sulla sfida alla Cina e al contenimento di Pechino in Asia. Che The Donald sia il prossimo inquilino della Casa Bianca o meno  

Nel complesso, le relazioni fra Ue e Washington sono peggiorate e i leader europei come Angela Merkel e Emmanuel Macron sperano in cuor loro che il prossimo presidente degli Stati Uniti sia il democratico Joe Biden, ex vicepresidente di Obama. All’inizio del 2019, alla vigilia della Conferenza di sicurezza di Monaco, Biden ha inviato un messaggio rassicurante ai politici, diplomatici e leader militari europei preoccupati per il disimpegno americano: “Torneremo”.

Come nota Foreign Affairs, la crisi dei rapporti transatlantici non è iniziata con Trump. Obama annunciò il già citato “Pivot to Asia”, cancellando i piani per costruire un sistema di difesa antimissilistica degli Stati Uniti in Polonia con stazioni radar nella Repubblica Ceca e, successivamente, ritirando due brigate dell’esercito statunitense dall’Europa. Le cose cambiarono con il golpe di Euromaidan in Ucraina e la successiva annessione della Crimea da parte della Russia.

Nel gennaio del 2018 il Pentagono ha svelato la nuova “strategia di difesa nazionale” che definisce la Cina e la Russia le due maggiori minacce agli interessi diretti degli Stati Uniti. Una svolta epocale che ha segnato un cambiamento profondo nella politica di difesa degli Usa dopo la War on Terror inaugurata dall’amministrazione di George W. Bush post-11 settembre 2001. E tra le due, Pechino è percepita dall’élite politica di Washington come la minaccia numero uno che la superpotenza statunitense deve fronteggiare.

Secondo il politologo Stephen M. Walt, “la politica estera e di difesa degli Stati Uniti si concentrerà principalmente sul contrasto alla Cina. Oltre a cercare di rallentare gli sforzi della Cina per ottenere vantaggi in una serie di tecnologie emergenti, gli Stati Uniti cercheranno anche di impedire a Pechino di stabilire una posizione dominante in Asia”. Tuttavia, afferma, “mantenere la posizione degli Stati Uniti in Asia non sarà facile, perché le distanze sono enormi, gli alleati asiatici dell’America vogliono preservare i loro legami economici con la Cina, e alcuni di questi alleati non si amano molto”.

 

 

 

Come è a tutti noto, il Segretario della Lega, Matteo Salvini, nel grande comizio di Milano del 18 maggio 2019, ha invocato la Madonna, i Santi Patroni d’Europa, San Benedetto da Norcia, i Santi Cirillo e Metodio, Santa Brigida, Santa Teresa e Santa Benedetta della Croce; infine ha baciato la Corona del Rosario.

Mi fossi trovato in piazza del duomo lo avrei sicuramente applaudito.

Questo mio entusiasmo contrasta – per diametrum – col disappunto di chierici e prelati (v. pag. 9 di “Avvenire”, 20-V-2019) che possono riassumersi nelle parole di “Famiglia Cristiana” del 26 maggio 2019: “Quelle del ministro degli Interni sono astuzie da marketing elettorale per carpire voti di chi abbocca. Ma chi ha fede non può che indignarsi. Può darsi che la “gloriosa” Rivista dei Padri Paolini abbia le sue buone ragioni, ma io e molti altri frequentatori di chiese e che, forse indegnamente, crediamo di avere ancora fede, abbiamo “abboccato” e non ci siamo “indignati” per i motivi che cercherò di esporre qui di seguito.

Sentendo le parole di Salvini, il mio primo sentimento è stato un misto di meraviglia e sbalordimento. Mi sono subito chiesto come abbia potuto un giovine, cresciuto a pane, telefonini, canzonette e discoteca, in una società avviata al paganesimo e al capovolgimento dei valori, avendo egli frequentato scuole del dopo-Sessantotto imbevute di marxismo relativista, con professorini più spesso presuntuosi e saccenti, impunemente liberi di raccontare ai loro ignari alunni mezze verità e menzogne complete sul Medio Evo cristiano che non hanno studiato, sulla Riforma Cattolica, l’Inquisizione, l’Illuminismo, la Rivoluzione Francese, il Risorgimento, il Comunismo, il Fascismo, l’Antifascismo… etc. etc., mi sono chiesto come abbia potuto questo “quarantenne” quagliare un tal finale di comizio addirittura nel centro della città più “politica” e, quindi, più “laica” d’Italia e magari d’Europa. Resta un mistero che solo lui può spiegare!

Certo, soprattutto nel clima di laicismo imperante, dove i segni del sacro sono quasi scomparsi, è legittimo pensare con “Famiglia Cristiana” che egli abbia fatto un “uso strumentale della religione”; però, tra le tante cose che si possono dire su un fatto così fuori della “norma”, ciò che colpisce in quest’“uso” è la scelta della religiosità più tradizionale e, pertanto, mal sopportata da tanti chierici “neo-modernisti”, il Rosario! Ora, due sono le cose: o Matteo è un prestigiatore diabolico come il famoso/famigerato Cagliostro palermitano, oppure il suo gesto, per quanto irregolare ed estemporaneo, è comunque sincero e allora, quanto meno, deve far riflettere. E, infatti, forse proprio la progressiva scomparsa in Europa del sacro, osteggiato e smarrito soprattutto in questi ultimi 50 anni, e il conseguente deserto può avergliene fatto nascere il desiderio, la ricerca e la rivalutazione; da qui gesti e parole anche plateali, magari provocatori, come quelli del “nostro” in piazza a Milano. 

In questa ricerca e rivalutazione del “sacro” egli si è calato nel “popolo basso” che, nonostante l’enorme pressione degli intellettuali “primi della classe”, è e resta cattolico e fedele e tale ancora si sente nel fondo del cuore, legato ai “segni” e ai valori di sempre: per intenderci, è quel popolo che vuole il Crocifisso nei luoghi pubblici; che insorge quando qualcuno proibisce il presepe nelle scuole; che non si vergogna di segnarsi la Croce alla fronte passando davanti a una chiesa; che dice ai testimoni di Geova, perlustratori la mattina di domenica delle strade presso le chiese, “sono cattolico e sto andando a messa”; è quello che augura “Buon Natale” invece dell’incolore e inodore “buone feste” o – peggio – “auguroni” per non si sa bene chi e che cosa, “Buona Domenica” e non “buon weekend” come molti vanno scimmiottando nella lingua dei padroni del mondo…

Quisquiglie e piccoli pensieri di me che sono nato nella “prima metà del secolo scorso”? Non nego che lo siano. Matteo Salvini, però, nonostante la feroce propaganda contraria, ha intercettato e convinto proprio questo popolo “conservatore” non ancora completamente edotto  e corrotto dal neo illuminismo e che fa Resistenza magari passiva e senza averne piena coscienza; egli ha ignorato di slancio le élite che compaiono nelle televisioni e tentano di ammaestrarci come all’asilo e ci fanno piangere o ridere a comando come pupi su un palcoscenico e sparano parole vane e le scrivono sui giornali.

È probabile che la scoperta della religiosità popolare “salviniana” sia la cosa che, in fondo, fa più paura a costoro; più del razzismo inventato e del fascismo riscoperto alla vigilia di ogni elezione ma improponibile perché sepolto nel 1945 con la sconfitta dell’Italia, anche se contro il suo fantasma gruppi di sprovveduti, spinti da giornaloni come “Repubblica”, marciano nelle strade e cantano “bellacciao”. A coloro, invece, fa paura il Salvini che si reca a Verona, al Congresso della Famiglia naturale, che apertis verbis – e oggi bisogna avere coraggio per affermarlo! – dice che il bambino per nascere e crescere ha bisogno di una mamma e un papà possibilmente veri; è quello che in Parlamento blocca la “legge” contro la cosiddetta “omofobia” ché, se passasse (e passerebbe d’un fiato coi “5 Stelle” e i post-comunisti del PD di Zingaretti malauguratamente uniti!), chiuderebbe a colpi di Codice Penale la bocca a noi “medioevali” che osiamo sostenere essere Famiglia solo quella naturale formata da uomo-padre, donna-madre e figli; è il Salvini che è contro  il “gender” che tenta di trasformare la sessualità dei nostri ragazzi e la compravendita dei corpi delle donne mediante l’“utero in affitto”.

Ricordo agli immemori che tutte queste “belle” cose sono parte primaria dei programmi di partiti come il PD  e passano sotto il nome innocuo e accattivante di “diritti civili”. È questo popolo nascosto e magari confuso ma ancora naturaliter “religioso” che il giovine Salvini ha intercettato e che si oppone a quel mondo – per intenderci – rappresentato e riassunto dall’emblematico cartello che una signora senatrice del nostro Parlamento non s’è vergognata di brandire proprio a Verona: “Dio, patria, famiglia: che vita de mer…!

Spiace che “Famiglia Cristiana” stenti ancora ad accorgersene e pubblichi interviste edulcorate a Zingaretti neo-comunista, lettere di lettrici dove Matteo viene tranquillamente definito “bieco essere”, di donne spaventate per un fascismo prossimo a marciare su Roma sol perché il Ministro degli Interni a Forlì ha comiziato dallo stesso balcone da cui 90 anni prima aveva parlato il...Duce! Non così noi, fedeli che frequentiamo le chiese e da una vita teniamo la Corona in tasca per ogni evenienza e preghiamo col Rosario di San Pio V (quello di Lepanto, 7 Ottobre 1571!) e non abbiamo mai perduto una messa, una processione, un pellegrinaggio… Sì, sì, lo so che il buon cristiano “lo vedi se dà da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, se ha occhi per il dolore e le sofferenza degli altri” ci ammonisce il buon vescovo di Noto, mons. Antonio Staglianò, siciliano come me, su “Avvenire” (20-V-2019). Io tutto questo, coi miei limiti, mi sono sempre sforzato di farlo e, probabilmente, in privato lo fa anche Matteo che, però, essendo politico con gravi responsabilità pubbliche, deve dar conto al popolo italiano e, nel caso dell’emigrazione, costringere l’Europa ad assumersi le sue responsabilità.

Molti di noi, in questa evenienza, abbiamo comunque dato fiducia a  Matteo che, per quanto – dati i tempi – non possa essere uno stinco di santo e sia “peccatore” come lui stesso si definisce, sembra avere iniziato a studiare e a capire la realtà delle “due città” in irrimediabile contrasto tra loro e, di conseguenza, s’è dato  coraggio e ha gridato parole inusuali ed estemporanee ma sicuramente e  finalmente comprensibili anche dai “poveri” come me!

 

L'appuntamento è per il 7 luglio, una data che - a vedere anche un sondaggio pubblicato dopo la chiusura dei seggi, che assegna ai conservatori fino al 36,5% - potrebbe invece vedere il successo di Kyriakos Mitsotakis, leader di Nea Dimokratia. Ovvero, il ritorno al potere di una delle grandi famiglie politiche greche, quella del premier Konstantinos Mitsotakis, suo padre, che governò la Grecia dal 1990 al 1993.

A distanza di una settimana dalle elezioni europee, gran parte di cittadini della Grecia sono stati chiamati nuovamente alle urne per le amministrative.

Nea Dimokratia, il partito di centrodestra greco, conferma il suo momento positivo: i candidati conservatori vincono in maniera schiacciante al secondo turno delle elezioni amministrative greche ad Atene e nella regione della capitale, l’Attica, i due “premi” più ricchi in ballo per questo voto.


Il premier Alexis Tsipras, già sconfitto alle europee di domenica scorsa, ha ora di fronte una missione praticamente impossibile: convincere in un mese i suoi connazionali, che anche nel secondo turno delle Amministrative, dopo il voto per l'europarlamento, hanno bocciato questi anni di governo nonostante misure a favore dei meno abbienti varate negli ultimi mesi e una buona crescita economica del Paese, a ridare fiducia alla sua coalizione della sinistra radicale.

Secondo le proiezioni della Singular Logic, basate sui dati del ministero dell’Interno, il nuovo sindaco di Atene è Konstantinos Bakoyannis (Nea Dimokratia) con il 65,2% dei consensi: la capitale era amministrata dal socialista Kaminis. Nella regione dell’Attica, il candidato alla presidenza Giorgos Patoulis – anch’egli espressione del centrodestra – è nettamente avanti con il 66,2%. L’area nella quale vivono oltre quattro milioni di cittadini della Grecia era governata da Rena Dourou di Syriza. In conservatori hanno invece perso al ballottaggio a Salonicco, dove partiva da una situazione di vantaggio al primo turno. A Patrasso conferma per il sindaco comunista Peletidis, noto per la sua posizione pro-migranti.

Syriza, il movimento che esprime l’attuale premier Alexis Tsipras, è in calo di consensi. La parabola del leader della Sinistra radicale appare in forte declino: il 44enne è alla guida del Paese ellenico dal 2015. Il voto nelle elezioni europee Le elezioni per il Parlamento europeo di domenica scorsa in Grecia hanno visto l’affermazione di Nea Dimokratia con il 33,13% dei voti. Al secondo posto Syriza con meno del 24%. Molto staccato il Movimento per il Cambiamento (che racchiude anche il Pasok) con il 7,7%. Poi il Partito Comunista e Alba dorata, con due seggi a testa. La tendenza in vista delle elezioni politiche sembra premiare il centrodestra, pronto a ritornare alla guida della Grecia.

Il premier Alexis Tsipras, già sconfitto alle europee di domenica scorsa, ha ora di fronte una missione praticamente impossibile: convincere in un mese i suoi connazionali, a ridare fiducia alla sua coalizione della sinistra radicale. L’appuntamento è per il 7 luglio, una data che - a vedere anche un sondaggio pubblicato dopo la chiusura dei seggi, che assegna ai conservatori fino al 36,5% - potrebbe invece vedere il successo di Kyriakos Mitsotakis, leader di Nea Dimokratia. Ovvero, il ritorno al potere di una delle grandi famiglie politiche greche, quella del premier Konstantinos Mitsotakis, suo padre, che governò la Grecia dal 1990 al 1993.

 

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