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Politica Estera Italiana: Libia Turchia e il nodo Grecia

Dopo il fallimento dell'offensiva su Tripoli lanciata ormai un anno fa dal generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica sostenuto da Russia, Egitto ed Emirati Arabi, il Governo di Accordo Nazionale tripolino presieduto da Fayez al-Sarraj, sostenuto dall'Onu e dall’Italia, con l'apporto sul campo delle forze turche, ha iniziato la riconquista dei territori persi sotto le bombe dell’autoproclamato Esercito nazionale Libico (Lna) fedele ad Haftar: prima si è ripreso gran parte dei territori intorno alla capitale, dove è rimasto assediato per mesi, e poi ha cominciato la propria avanzata, rifiutando qualsiasi proposta di cessate il fuoco lanciata dai nemici in difficoltà, fino ad arrivare alle porte di Sirte.

Abdel Fattah al-Sisi, ha annunciato che il suo esercito è pronto a condurre missioni all’interno o anche all'esterno dei propri confini, riferendosi proprio alla Libia, per proteggere i propri interessi nazionali. Ipotesi, questa, che rischierebbe di trasformare quello libico da conflitto interno, anche se già caratterizzato dall’ingerenza esterna di numerosi attori internazionali, Russia, Egitto, Emirati Arabi e Turchia su tutti, in un campo di battaglia in cui si affrontano potenze mondiali.

Secondo  OFCS.report ci informa di una situazione ridicola che si sta creando attorno alla questione libica, con l’Italia, ormai quasi completamente estraniata dalla situazione , obbligata a chiedere per piacere ad Sarrj, quindi ad Erdogan, di riprendere le proprie posizioni mettono a Tripoli, per svolgere un ruolo che, grazie a Di Maio, non riesce a svolgere.  

Dopo Cina, Venezuela e Qatar adesso la Turchia. Il governo italiano è diventato “amico” anche di Erdogan. E domani, Luigi Di Maio, si recherà a Tripoli per chiedere a Sarraj (e quindi ai turchi) di poter “rientrare” in Libia. La politica estera del governo Conte, dunque, ha prodotto il risultato di costringerci a stringere accordi con i Fratelli Musulmani per mantenere uno spazio nel paese in cui abbiamo fortissimi interessi economici e strategici. Insomma, una disfatta che sarà difficile recuperare.

In questo scenario, è evidente che la Turchia ha soppiantato l’Italia nel ruolo di primo alleato del governo di al Serraj, come era stato indicato a suo tempo dall'Onu e dagli Stati Uniti. Non solo. Poiché la Turchia e Tripoli criticano la missione navale europea Irini, a guida italiana, incaricata di ostacolare i rifornimenti di armi ai belligeranti libici, e poiché al Serraj non ha esitato a definire tale missione «sbilanciata a favore di Haftar» che riceve rifornimenti militari per via aerea e terrestre dal vicino Egitto, nei giorni scorsi Giuseppe Conte ha telefonato al premier libico per ribadire «l’imparzialità e la neutralità della missione Irini». Con il risultato che, per Tripoli, l’Italia è passata da alleato a paese neutrale. In pratica un voltafaccia, che rischia di mettere in pericolo i militari schierati in Libia a protezione di un ospedale e delle ambasciate, oltre agli enormi interessi petroliferi che il nostro paese ha sempre avuto in Libia.

Qualche giorno fa,Cavusoglu ha ricevuto l’omologo Luigi Di Maio, dopo che la visita prevista per mercoledì era saltata all’ultimo minuto, quando il turco s’era recato a Tripoli alla guida di una folta delegazione di altissimo livello. “La nostra priorità è quella di mettere la parola fine al conflitto in Libia. Stiamo superando una crisi globale senza precedenti e non possiamo permetterci una ulteriore escalation. Sempre a testa alta, consapevoli delle nostre potenzialità. Siamo l'Italia e ne siamo orgogliosi”, ha scritto Di Maio anticipando l’incontro su Facebook.

Con gli accordi sul Mediterraneo orientale firmati unilateralmente tra Turchia e Libia nel gennaio scorso – ricordiamolo - si stabiliva una zona economica esclusiva tra i due Paesi (30 chilometri a sud est di Creta) che consente alla Turchia un accesso privilegiato ai giacimenti di gas naturale nel mare di Cipro, impedendo contestualmente lo sviluppo di infrastrutture che portino il gas cipriota e israeliano in Europa. 

il dialogo italo-turco si è svolto su diversi e non sempre convergenti registri: quello dell'interscambio commerciale, quello del giudizio politico sulla questione dei curdi (ambiguo, per la verità, e comunque di scarso rilievo operativo nella misura in cui non vi è partecipazione diretta dell’Italia in quell'area), ma soprattutto quello della fondamentale relazione Ue-Turchia, che vede la Grecia – paese amico e stato membro – in grossa difficoltà, e bisognosa di un aiuto italiano.

Si deve ricordare l'incontro tra Di Maio e il Ministro degli Esteri Cipriota gennaio scorso : ministri degli Esteri di Italia, Luigi di Maio, e Cipro, Nikos Christodoulides, si sono incontrati  a Roma per discutere tra le varie cose di energia, ovvero delle tensioni in atto nel Mediterraneo orientale dove il presidente turco Recepp Tayyp Erdogan e il presidente libico Fayez al-Serraj hanno disegnato una mappa che spartirebbe fra i due paesi un'ampia zona per lo sfruttamento dei fondali ai fini petroliferi. Un’iniziativa considerata “inaccettabile, che viola i diritti sovrani dei Paesi terzi, che non è conforme alla legge del mare e che non può produrre conseguenze giuridiche per i Paesi terzi”. “Solo attraverso una cooperazione autentica e in buona fede, le risorse naturali nel Mediterraneo beneficeranno tutti i popoli che vivono nella regione”, hanno comunicato i due ministri in conferenza stampa congiunta. Per Di Maio e Christodoulides “le zone economiche esclusive e della piattaforma continentale dovrebbero essere affrontate attraverso il dialogo e i negoziati in buona fede, nel pieno rispetto del diritto internazionale e conformemente al principio delle relazioni di buon vicinato”, per cui è necessario “accelerare l'attuazione della decisione del Consiglio europeo finalizzando le liste sul regime di misure restrittive che colpiscono coloro che sono responsabili o coinvolti nell’attività di trivellazione illegale di idrocarburi nel Mediterraneo orientale”.

Un accordo che il ministro degli Esteri greco all’epoca commentò così: «Ignora chiaramente qualcosa che tutti possono vedere, ovvero che tra questi due paesi, Libia e Turchia, c’è l'isola di Creta, che è geograficamente grande, nel senso che l’accordo potrebbe influire sulla sovranità ellenica». Da allora la situazione tra Turchia e Grecia non ha fatto che irrigidirsi, e Atene si aspetta che l’Italia – ampiamente coinvolta nell’area per via dell'importante presenza di Eni – sia un alleato, e non un convitato di pietra. 

Al momento, l'unica cosa certa è che al centro dei colloqui ci sarà un grande «Patto per l’Export», finalizzato a rafforzare l'interscambio commerciale, che ha raggiunto quasi 18 miliardi dollari ma che rispetto al 2018 si è ridotto del 9,1 per cento. Il business prima di tutto.

Tra Italia e Turchia i rapporti sono attivi: l’interscambio da 18 miliardi annui è un ottimo piano di partenza per due paesi che non hanno economie forti (problema sostanziale sopra alle ambizioni espansionistiche turche). “Stiamo lavorando per contrastare la crisi economica derivante dalla pandemia”, commenta Di Maio. E la Turchia – attore che potrebbe essere parte anche del de-coupling americano nei confronti della Cina – potrebbe essere un punto di appoggio. Ankara ha usato gli spazi concessi dalla crisi sanitaria per proiettare la propria politica estera, anche usando la Nato come vettore (circostanza che l’ha esposta alle critiche francesi ma anche a una maggiore attenzione americana).

Da una parte, dunque, vendiamo navi militari all'Egitto che ha praticamente dichiarato guerra ad Ankara per il ruolo che ha in Libia, dall'altra trattiamo con la Turchia per avere un posto (o almeno preservarlo) nel paese nordafricano. Forse ci offriremo per sminare l’area di Tripoli dopo i combattimenti tra l'esercito del generale Haftar e le milizie al fianco di Sarraj. Nelle intenzioni del governo, secondo indiscrezioni, ci sarebbe anche l’idea di “dare una mano” per riattivare l'aeroporto di Mitiga. Ma occorre ottenere il via libera del presidente turco, che potrebbe decidere di lanciarci un osso per continuare a rimanere in un territorio dove per anni abbiamo goduto di una indiscussa supremazia.  

In questo scenario, però, è bene non dimenticare il ruolo della Francia, che non  gradisce affatto l’ingerenza dei Turchi in Libia e appoggia Haftar e i suoi alleati egiziani e di altri Paesi arabi che si oppongono decisamente alla presenza ottomana nella zona.

L’esercito francese, preoccupato dalla prospettive di un conflitto ad “alta” intensità che potrebbe scatenarsi nel prossimo futuro, e assodate le carenze di uomini e mezzi di cui attualmente dispone, sta approntando un piano strategico per rafforzarsi. Secondo il parere dello stato maggiore, la Francia deve essere pronta a difendersi da sola di fronte a uno scontro simmetrico e non deve concentrarsi solo ed esclusivamente sul mantenimento di mezzi e armamenti che le consentono di affrontare conflitti asimmetrici

E proprio la Libia rischia di ospitare un conflitto per l'egemonia del Mediterraneo pericoloso per il nostro Paese. Forse anche a questo si riferiva il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, quando questa mattina, durante la cerimonia di chiusura dell'anno accademico del Centro alto studi della difesa, ha dichiarato: “Lo scenario internazionale non presenta alcun tendenziale miglioramento.

Al contrario, la pandemia sta ulteriormente aggravando contesti già complessi, sotto il profilo economico e sociale, e rischiano pertanto di assistere ad un aumento delle minacce e ad una crescente instabilità, che associata alla dinamica demografica e alle condizioni di sottosviluppo che caratterizzano tante aree del cosiddetto ‘Mediterraneo Allargato’, configurano tutte le premesse per generare e cronicizzare conflitti armati, con inevitabili ricadute anche sulla nostra sicurezza”.

 

 

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