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Turchia, la crisi di una fragile economia

La Turchia è diventata un problema a partire almeno dal 2009, cioè da quando Ankara ha inaugurato una politica estera sempre più aggressiva, è andato in crescendo. La brutta notizia, per tutti, è che questo problema continuerà a persistere per molti anni, facendoci attraversare crisi e tensioni sempre più grosse. La Ue per il momento, complice una cordata di Paesi, fra cui l'Italia, ha deciso di non procedere con sanzioni per contenere le mire egemoniche, sempre più avide e arroganti, del Presidente Recep Tayyip Erdogan e questo è un grosso errore, per due motivi. Il primo è che la Ue sta dando un'impressione di debolezza e mancanza di coesione che per il capo di Stato di Ankara è la maggiore garanzia del suo successo. In secondo luogo, e questa è la cosa più importante, è che la Turchia non ha alcuna intenzione di accontentarsi e ingloberà voracemente tutte le posizioni che la Ue lascerà vacanti. Ne dovrebbe sapere qualcosa proprio l’Italia, vista la progressiva diminuzione della sua influenza in Libia, Albania e Somalia. Tutti luoghi dove la presenza turca è preponderante.

Ma oltre questo esiste un enorme problema da come va l'economia. La Turchia vive ormai da dieci mesi una situazione economica complicata: da marzo ad aprile la lira turca aveva perso il 10% del suo valore rispetto al dollaro. Tutto è reso ancora più difficile dalla crisi del Covid-19 e dalle scelte del governo Erdoğan, mosse dalla paura di perdere consenso.

Ora la lira Turca scrive insider Over, ha perso oltre il 50 per cento del suo valore nel giro di un anno e le banche in Europa tremano: 120 miliardi di euro andranno in fumo se l'economia di Ankara farà crack. La situazione per chi ha acquistato o sottoscritto contratti in lire turche è allarmante. Oggi sottolinea insider over,un dollaro statunitense costa più di 8,3 lire, mentre un anno fa valeva 5,5 lire e addirittura 1,4 lire nel 2011. L'avvitamento della crisi monetaria turca ha subito una brusca accelerazione dopo le ultime sparate del presidente-sultano Recep Tayyip Erdogan contro l'Unione Europea, contro la Francia e perfino contro un potente alleato come gli Stati Uniti  

l'Italia è messa meglio, ma non è del tutto fuori pericolo. 

Molti sostengono, che la campagna militare turca nel Mediterraneo sia principalmente una distrazione dalla situazione economica. Una distrazione che, però, sarebbe costata circa 5 miliardi di dollari, garantiti dal Qatar, che conta sulla protezione delle truppe turche dalle scimitarre saudite ed emiratine. 

La scommessa è che gli accordi sul gas mediterraneo fatti firmare da Erdoğan ai libici si rivelino proficui. In caso contrario, se la situazione economica dovesse peggiorare ancora e il Qatar decidesse di scendere a patti con Abu Dhabi e Ryad, Ankara potrebbe trovarsi vulnerabile e isolata. L’inazione attuale, però, potrebbe costare cara al leader dell’AKP anche con il supporto qatariota, perché la moneta crollerebbe comunque una volta finite le riserve di dollari e questo potrebbe distruggere le aziende che negli anni hanno sostenuto Erdoğan. Imprese, queste ultime, che sono state trasformate in cosiddetti “zombie”, nutrite da un continuo e incontrollato flusso di credito governativo in dollari, nonostante la loro competitività non fosse così elevata.

La situazione economica influenzerà profondamente il sistema di potere di Erdoğan, soprattutto se la pandemia dovesse peggiorare, visti i casi in grande crescita in Turchia. La medicina è dolorosa e adesso è necessario chiedersi se il popolo turco sarà disposto, in caso di fallimento del progetto economico di Erdoğan, a farsi somministrare da lui la cura, oppure se cercherà risposte altrove.

Erdoğan ha davanti a sé poche vie per uscire dalla crisi e tutte con un altissimo livello di rischio. Se il governo dovesse far crollare la lira, le compagnie turche, in questo momento, farebbero grandissima fatica a ripagare i loro debiti in dollari, creando le premesse per un collasso del sistema bancario. 

Nel caso opposto, se il cambio della lira fosse staccato da quello del dollaro e i tassi di interesse lasciati crescere, la valuta potrebbe essere stabilizzata, ma l'assenza di credito getterebbe l'economia in una profonda recessione, come nel caso della crisi europea del 2010. Terza via: quella di non fare niente, sperando che la crisi rientri, attirando nel frattempo l'attenzione dell'elettorato verso un nuovo obiettivo. 

L'uscita parziale di UniCredit da dalla joint venture Koc Finansal Hizmetler che controlla Yapi Kredi, la terza banca della Turchia, ha ridotto l'esposizione del nostro Paese. Umberto Triulzi, professore ordinario di Politica Economica all'Università di Roma “La Sapienza”, ha detto in una recente intervista ad Agenzia Nova che la scelta di ridurre le quote in Turchia sottolinea insider over,non è necessariamente un bene: “Naturalmente, sarebbe un problema se il debito estero turco dovesse diventare inesigibile, ma per quanto riguarda i rapporti bancari non siamo così messi male come altri paesi. Questo un pochino ci protegge, ma è anche un segnale di debolezza dell'Italia, che poi non è presente in tanti altri mercati che, invece, vanno bene”. Secondo il sito web Infomercatiesteri, scrive insider over,l'interscambio commerciale tra Italia e Turchia ha raggiunto quota 17,9 miliardi di dollari, con 8,6 miliardi di esportazioni italiane verso la Turchia e 9,3 miliardi di export turco verso l’Italia. Nel 2019, l'Italia è stata il quinto fornitore della Turchia dopo Russia, Cina, Germania e Stati Uniti ed il terzo cliente dopo Germania e Regno Unito. Una grande crisi economica in Turchia avrebbe quindi ripercussioni certe sui “big” del calibro di Barilla, Eataly, Eni, Ferrero, Fiat Saipem, Salini, Luxottica solo per citarne alcuni.


Così sarebbe una mina per la pace nel Mediterraneo e l'esistenza stessa della UE evocando pagine di storia, conflitti e relative sofferenze che l’Europa credeva superate. Purtroppo non è così. Per Erdogan la partita con l’Occidente non si è chiusa e nel 2023, anni in cui verrà ridiscusso il Trattato di Losanna, rivendicherà come turche isole che appartengono alla Grecia. Utilizzando chiaramente il motivo nazionalista per coprire interessi energetici e commerciali. I prossimi tre anni quindi potrebbero portare alla fine della pace nel Mediterraneo. Se non sta attenta, anche a quella dell’Unione Europea.

Nello scontro tra Grecia e Turchia bisogna quindi prendere in considerazione tre Paesi: la Francia filo-ellenica, la Germania filo-turca e l'Italia, che fatica a prendere posizione tra i due contendenti. «La prima ha sempre avuto una presenza fisica nel Mediterraneo, mentre Berlino vede Ankara come la porta d'accesso al mare nostrum. L'Italia invece offre a parole il suo sostegno ad Atene, ma sa che Ankara è oramai un partner strategico».

Nel contesto attuale, la Turchia «si sente quindi legittimata a riaprire le contese congelate nel Mediterraneo, come quella per la sovranità marittima. La Grecia invece e pronta a difendere i suoi diritti, in vista dei colloqui per la revisione del Trattato di Losanna del 1920, con il quale furono definiti i confini marittimi in seguito legittimati dall’Unclos».

L’ambiziosa e muscolare politica estera della Turchia, pur sostenuta da un potente e ricco alleato come il Qatar, potrebbe crollare a picco sotto i colpi dei mercati. Lo scorso settembre, l’agenzia Moody’s ha declassato il rating sul debito della Turchia a “B2”, citando maggiori vulnerabilità esterne e l’erosione delle riserve fiscali nel Paese, prospettando un outlook negativo: significa che il debito della Turchia è ad alto rischio d’insolvenza, cioè chi vanta crediti in Turchia rischia di rimanere con un pugno di mosche in mano. 

Come scrive Insider Over l'esposizione degli istituti di credito spagnoli è da brividi: 62 miliardi di euro, ovvero più dei crediti vantati da Francia (29 miliardi), Germania (11 miliardi), Italia (8,7 miliardi) e Regno Unito (12 miliardi) messi insieme. Un enorme macigno che pesa sulle ambizioni di Madrid in Nord Africa, dove gli spagnoli sono sempre più in competizione con l’Italia. I cugini iberici stanno moltiplicando gli sforzi diplomatici in Egitto, Algeria e soprattutto in Libia, dove Roma deve già difendersi dalle iniziative francesi. Vale la pena ricordare che nel 2019, le importazioni di petrolio della Spagna dalla Libia hanno raggiunto il record di 170 mila barili al giorno, diventando il terzo fornitore di petrolio del paese europeo. Il ruvido intervento della Turchia sottolinea Insider Over,a sostegno del Governo di accordo nazionale di Tripoli ha cambiato il corso della guerra civile libica e ora l’intera Tripolitania sembra essere sotto il giogo di Erdogan. Per assicurarsi le risorse petrolifere libiche, Madrid deve smarcarsi dai dettami della Turchia in Libia, ma al tempo stesso non può permettersi uno scontro frontale con Ankara, alleato nella Nato e soprattutto debitore ad alto rischio insolvenza

Esiste anche sulla questione Turchia / Ue un altro problema ..la sua insistenza di entrare nella Ue,che oltre i conflitti creati con Cipro Grecia Siria Libia Armenia, con criticità maggiori, c'è quella culturale in una sua eventuale entrata nel Europa, soprattutto quella del ruolo della religione in Turchia. Se il Paese entrasse nell’Ue, sarebbe, con la Germania, il più importante dal punto di vista demografico e, dunque, avrebbe un’influenza rilevante negli organismi europei, dove il suo volto islamista potrebbe confliggere con le vocazioni Ue democratiche e laiche. Inoltre, la Turchia, per la sua collocazione geografica, potrebbe coinvolgere l’Ue in contrasti etnici ed energetici. 

Intanto questi giorni la Grecia e la Turchia sono stati colpiti dal terremoto devastante al largo dell'isola di Samos in Grecia, ma danni e morti soprattutto in Turchia. Quando la terra ha cominciato a tremare, nuvole di polvere scura hanno coperto il cielo sopra Smirne, mentre le onde di un mini-tsunami travolgevano negozi e abitazioni sulla costa turca. Una forte scossa di terremoto, di magnitudo 7.0, ha colpito nelle prime ore del pomeriggio le profondità del mar Egeo, circa 14 km al largo dell'isola greca di Samos. Almeno 19 persone sono morte - 17 in Turchia, due in Grecia - e più di 700 sono rimaste ferite a causa di un terremoto di magnitudo 6.6 che venerdì ha causato il crollo di edifici nella città turca di Izmir (Smirne), nella regione dell'Egeo (ad ovest del paese), e ha scosso diverse isole nel sud-est della Grecia, secondo gli ultimi bilanci delle autorità di entrambi i paesi.

 

 

  

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