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Italicum, sì alla Camera, ora tocca al Senato

La giornata era iniziata con un'agitata assemblea dei deputati, convocata da Matteo Renzi al Nazareno, con le pasionarie delle quote rosa sul piede di guerra contro il premier. Il quale ha fatto sì delle aperture, annunciando che una prossima Direzione allargata ai gruppi (reclamata anche da un gruppo di donne) verrà chiamata a stendere «l'elenco delle modifiche prioritarie» da apportare alla legge elettorale, per sottoporle a Forza Italia prima del voto del Senato. Ma è stato assai duro nel richiamare i suoi: «Chi vuol votare contro dovrà spiegarlo bene fuori di qui». La Bindi gli grida che il Pd «è un partito ferito da quei cento voti mancanti sulle quote», ma il premier richiama tutti: sull'Italicum, votato dalla Direzione Pd, «non c'è da mantenere un patto con Berlusconi, ma un impegno chiaro che abbiamo preso come partito». E chi prova ad affossarlo si mette fuori.
Una rivolta prevista, tanto che Renzi ha spedito in aula l'intero governo, e qualcuno fa notare che «senza il voto di ministri e sottosegretari le preferenze sarebbero passate». Gli uomini del premier per tutta la giornata hanno lavorato a blindare il gruppo, avvertendo i parlamentari che «in gioco non c'è solo il patto sull'Italicum, ma l'intera legislatura». Mentre lunedì sulle quote rosa si era evitato di dare indicazioni di partito, ieri l'indirizzo era chiaro: si deve votare no, e lo stesso capogruppo Roberto Speranza ha preso la parola per ricordarlo ai suoi.
Cosi arriva la prima grande vincita del Presidente del Consiglio e resiste ancora l accordo con Silvio Berlusconi, approvato alla Camera l'Italicum. La riforma della legge elettorale ha ottenuto 365 voti favorevoli e 165 contrari. Il testo ora passerà all'esame del Senato. Immediato il commento di Matteo Renzi su Twitter: "Grazie alle deputate e ai deputati. Hanno dimostrato che possiamo davvero cambiare l'Italia. Politica 1-Disfattismo 0. Questa e la svolta buona".

L'Italicum ottiene il sì al termine di una maratona notturna e dopo una serie di votazioni ad altissimo rischio. L'intesa Renzi-Berlusconi regge e vengono respinti per il rotto della cuffia gli emendamenti che potevano minarla, soprattutto quello sulla doppia preferenza di genere dove Matteo Renzi evita lo scivolone per 20 voti soltanto e si vede costretto a schierare in Aula il governo a ranghi compatti, ministri e sottosegretari. Restano bloccate le liste dei candidati in Parlamento e si evita il peggio anche sull'emendamento per reintrodurre le preferenze, bocciato per 35 voti (264 sì contro 299 no). Ma sulle quote rosa, già nelle dichiarazioni di voto, il capogruppo del Pd Roberto Speranza avverte che "non consentiremo che nessun accordo ci fermi. Sulla questione di genere c'è bisogno di chiarezza, quanto avvenuto non rappresenta una pagina positiva della nostra democrazia".

La riforma della legge elettorale ha tagliato un primo traguardo. Buona notizia. Adesso conta come si va avanti. Diverse tra le critiche espresse nell'Aula della Camera hanno una fondatezza che l'onestà intellettuale non può rimuovere". Lo afferma Gianni Cuperlo, leader della minoranza Pd, che critica certe affermazioni attribuite a Renzi a proposito di "complotti": "Non si chiedono certo dei ringraziamenti, non è stagione. Ma almeno di evitare toni e parole impropri".

Ci sono Enrico Letta e Pippo Civati tra i 13 assenti ingiustificati del Pd che non hanno votato per la riforma elettorale. Trai deputati di Forza Italia cinque sono risultati assenti, uno si è astenuto ed uno ha votato contro. Lo si evince dai tabulati del voto.

Protesta dei Cinque Stelle in Aula: i deputati del Movimento espongono cartelli con i ritratti dei leader del Pd e di Fi divisi da un cuore ross: "Grande sintonia Renzi-Berlusconi. Condannati all'amore". La presidente Laura Boldrini ha ordinato la rimozione dei cartelli.

Solo dieci voti hanno salvato ieri sera l'Italicum, e con esso il governo Renzi e la legislatura.
Un margine più che esiguo, che dà la misura della faglia profonda che attraversa il Partito democratico e fotografa la sorda fronda di mezzo gruppo parlamentare contro il suo leader

Un'avversione che, dice un parlamentare renziano, «ha spinto molti dei nostri a votare nel segreto dell'urna con l'intento preciso di far saltare il governo
«È evidente che per una parte del Pd la priorità è l'accordo con Berlusconi», tuona Stefano Fassina. L'emiliano Maino Marchi, ex Pci doc, spiega più chiaramente di tutti l'allergia ideologica contro il premier: «C'è un problema di cultura politica nel Pd, le parole di Renzi sulle quote rosa segnalano una matrice culturale lontana dalla nostra». Ieri è tornato a parlare anche Bersani, che - in tono gioviale - ha mandato più di un siluro al suo successore. Ironizzando sulla «movida» renziana, sull'eccesso di annunci e il rischio di «dire più di quel che si fa», e di «lasciare l'ultima parola a Berlusconi». E agitando lo spauracchio dell'uomo solo al comando: «È moralità politica mettere il proprio “io” al servizio del “noi” e rispettare il collettivo».
Hanno il terrore che se riesce a mettere a segno legge elettorale e riforme del lavoro e del fisco, loro vengono spazzati via».
Quanti siano stati i franchi tiratori democratici è difficile calcolarlo visto che gli scambi incrociati sono stati molti. Sulla carta, almeno una settantina ha votato contro le indicazioni, anche se solo Rosy Bindi e il lettiano Francesco Boccia lo hanno dichiarato pubblicamente. Lettiani, bersaniani, bindiani hanno guidato la fronda, cogliendo al volo l'alibi della bocciatura delle quote rosa per vestire di abiti politically correct il tentativo di indebolire il premier e aprire la caccia a Renzi per riprendersi la «Ditta» scippata dall'intruso fiorentino. Davide Zoggia, dopo il voto di lunedì sera, confidava che in molti si erano messi d'accordo per votare a favore delle quote rosa in modo «palese», ossia alzando le dita per far controllare il loro voto, e attribuire ai renziani la responsabilità del no alle quote.
Ok legge elettorale. Buon lavoro, migliorabile al Senato e il Nuovo Centrodestra sarà ancora protagonista".Lo scrive su twitter il leader di Ncd e ministro dell'Interno Angelino Alfano.

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