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Gli approcci innovativi negli studi clinici sulla SLA; l’attenzione a nuovi biomarcatori per la malattia; l’identificazione precoce dei sintomi sono tra i temi affrontati nel workshop Criticalities in ALS. From disease characterization to clinical trial design. L’appuntamento formativo, dedicato a ricercatori e professionisti sanitari e promosso dai Centri Clinici NeMO, si è svolto presso il Policlinico Gemelli, la sede romana del network nazionale esperto nella cura delle malattie neurodegenerative e neuromuscolari. Solo nell’ultimo anno, la rete NeMO ha attivato 36 studi clinici sulla SLA e preso in carico oltre 2.500 persone con la patologia.

Le questioni affrontate dalla seconda tappa del percorso formativo, che ha visto riuniti cinque clinici esperti del network NeMO, colgono le sfide a cui sono chiamate la comunità scientifica e dei pazienti oggi. E dove la ricerca apre a nuovi scenari, l’alleanza del lavoro di rete diventa la risposta che pone la persona al centro del suo progetto di vita.

Ed è su questa capacità che si focalizza il contributo della prof.ssa Valeria Sansone, direttore clinico-scientifico del Centro NeMO di Milano e professore ordinario dell’Università degli Studi di Milano, che ha aperto i lavori. Il valore dell’alleanza, infatti, diventa opportunità per traslare l’esperienza costruita su altre patologie neuromuscolari, per meglio approcciare la complessità della SLA, in un momento storico in cui inizia ad esservi un numero crescente di studi clinici farmacologici sulla malattia, fondati su nuovi razionali scientifici.

L’urgenza e la necessità è l’identificazione precoce dei sintomi, approfondita dalla dott.ssa Federica Cerri, medico neurologo e referente area SLA del Centro NeMO di Milano. Intervenire tempestivamente è importante non solo nella fase della diagnosi di malattia. Le evidenze scientifiche, infatti, mostrano come una presa in carico mirata e anticipata sia fondamentale nel prevenire il peggioramento clinico, con un impatto concreto nel migliorare qualità di vita e sopravvivenza. Evidenze che aprono a nuovi scenari di ricerca nel comprendere la SLA come un “processo biologico”, che inizia con una fase presintomatica – definita Mild Motor Impairment – e che è necessario sempre di più imparare a identificare ed interpretare precocemente per essere efficaci anche nei trattamenti di cura. 

E proprio il percorso di presa in carico mirata deve considerare ogni aspetto funzionale - respiro, nutrizione, movimento e comunicazione - anche come indicatore utile di monitoraggio della malattia, per contribuire dal punto di vista scientifico a comporre i tasselli del puzzle della SLA. Tra questi, il ruolo dei disturbi cognitivo-comportamentali nell’evoluzione della patologia, affrontati dal dott. Emanuele Costantini, medico neurologo del Centro NeMO Ancona. Spesso considerate tardivamente dal punto di vista clinico, le correlazioni della funzione cognitiva con il decorso della SLA sono supportate da un’ampia letteratura scientifica. La sfida sarà comprendere come rendere sempre più misurabile l’impatto di questi sintomi sulla diagnosi e su nuovi trattamenti di cura.

E inevitabilmente il riferimento va al farmaco Tofersen per chi ha la mutazione del gene SOD1, approvato da qualche settimana dell’Agenzia regolatoria americana (FDA) e alle ragioni scientifiche che pongono in primo piano il dosaggio dei neurofilamenti quale possibile biomarcatore surrogato di malattia. Tema affrontato dal prof. Mario Sabatelli, direttore clinico del NeMO Roma, area adulti, e presidente della commissione medico-scientifica di AISLA Onlus. Ad oggi la scienza e la pratica clinica evidenziano come nelle persone con SLA vi sia un aumento dei neurofilamenti, proteine che costituiscono una sorta di scheletro delle fibre nervose. A seguito della degenerazione dei motoneuroni i neurofilamenti vengono rilasciati nel siero e nel liquido cerebrospinale della persona ammalata. Il dosaggio dei neurofilamenti nel siero può fornire un contributo importante nella diagnosi precoce e, come nel caso del Tofersen, un supporto di grande utilità per valutare la risposta ai farmaci.

In questo contesto, il primo messaggio che emerge è la priorità di porre al centro della relazione di cura la persona e il suo diritto all’autodeterminazione. Una overview presentata dalla dott.ssa Stefania Bastianello, direttore tecnico di AISLA onlus, sugli approcci scientifici e sulla normativa europea e nazionale, a partire dalla L.219/2017 in merito alla Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC). Strumenti a sostegno dell’alleanza medico - paziente che permettono alla comunità scientifica e dei pazienti di costruire strategie nuove per far fronte alla complessità della malattia.

Nuove strategie di presa in carico, dunque, che cambiano il paradigma della qualità di vita. È questo il tema affrontato dal dott. Riccardo Zuccarino, direttore clinico del Centro NeMO Trento, che chiude i lavori. La SLA costringe, infatti, la persona a ricostruire nuovi contenuti di vita alla luce dell’esperienza di malattia; la risposta clinica allora deve necessariamente partire dalla relazione e dare risposte che ripensino ogni volta ad interventi riabilitativi, adattati alle esigenze specifiche di ciascuno. È guardare al dettaglio del quotidiano con un pensiero creativo, per trovare soluzioni orientate alla ricerca del benessere di ciascuno, come il gesto semplice di riadattare la forchetta per essere portata alla bocca in autonomia.

Con il patrocinio di AISLA Onlus, nell’ambito delle celebrazioni dei suoi 40 anni di attività, di Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Policlinico Universitario Fondazione A. Gemelli, la formazione ha visto gli esperti condividere il valore della continuità tra ricerca e cura per conoscere e cambiare la storia naturale di questa grave malattia neurodegenerativa.

Fonte Ufficio comunicazione e relazioni istituzionali

Con il passare del tempo, le rughe iniziano inevitabilmente a fare capolino. I solchi sul viso iniziano a farsi più visibili, perché la pelle appare sempre meno elastica. Con i giusti accorgimenti, ridurre le rughe e sfoggiare una pelle più giovane è possibile.

Combattere le rughe: alcuni tra i migliori ingredienti alleati

Bisogna prendersi cura a 360 gradi della pelle del viso con una skin care routine quotidiana, basata su accorgimenti di struccaggio, di detersione e di idratazione e sulla scelta dei prodotti giusti. I prodotti Vichy, ad esempio, si dimostrano il top della categoria antirughe: la loro efficacia è dovuta alla presenza di ingredienti deputati ad agevolare la sintesi a livello endogeno. La presenza di acido ialuronico, di collagene, di antiossidanti e di vitamine contribuisce a levigare le rughe, a ridefinire i contorni del viso e a contribuire a promuovere il rinnovamento delle cellule.

La secchezza della pelle, che tende a manifestarsi con il passare degli anni, può essere contrastata con creme idratanti o con cosmetici nutrienti. La presenza di burro di karité si rivela foriera di risultati eccelsi quando c’è da contrastare sia le rughe più pronunciate sia quelle più sottili. Lo stesso dicasi per la cera d’api, incredibilmente leggera, e per l’acqua vulcanica, contraddistinta da proprietà lenitive incredibilmente uniche, in grado di rigenerare al meglio le difese naturali della pelle.

L’importanza della skin care quotidiana contro le rughe

Abitudini sane e corrette incidono positivamente nel contrastare in maniera efficace i solchi sul viso correlati allo scorrere del tempo e ai conseguenti cedimenti cutanei. Tutto passa da una skin care routine giornaliera, fondamentale per pulire a fondo la pelle, per esfoliarla, per idratare la cute a fondo e per ridurre le rughe.

I sieri per il contorno occhi, un booster a base di acido ialuronico e la classica crema idratante, da applicare subito dopo questi due prodotti, aiuta a garantire il tanto apprezzato effetto liftante. Con il passare degli anni, la pelle tende a farsi più spenta e secca, rispondendo in maniera meno reattiva a tutte quelle stimolazioni che vengono esercitate dai muscoli del volto. Per questo motivo, le aree del viso maggiormente esposte alla presenza di rughe sono la zona frontale, quella naso-labiale e quella perioculare. Una crema rigenerante e liftante del calibro di Vichy Liftactiv Collagen Specialist apporta tutta una serie di miglioramenti contro i segni el tempo: tanti i suoi scopi, dal rassodamento della pelle spenta alla stimolazione della produzione di collagene, dall'idratazione del derma alla capacità di uniformarla in caso di macchie. L'effetto anti-age è dovuto poi a una miscela di biopeptidi e vitamine molto innovativa. Inserire questa crema rigenerante all'interno della propria skin care routine è, di fatto, una saggia decisione.

Solo prediligendo l'utilizzo di cosmetici di qualità, si riesce a conferire alla pelle l'idratazione necessaria e l'elasticità perduta nel corso del tempo. Il loro scopo deve essere quello di stimolare il rinnovamento delle cellule, apportando alla cute sostanze come collagene, acido ialuronico e antiossidanti.

Era il 2008 quando il Centro Clinico NeMO (Neuromuscular Omnicentre), il centro esperto per la cura, l’assistenza e la ricerca sulle malattie neuromuscolari e neurodegenerative, apriva le porte a Milano. A distanza di 15 anni quel progetto, allora pionieristico, è diventato un network di riferimento con 7 sedi sul territorio nazionale, quasi 20.000 famiglie prese in carico ad oggi, 1 polo di ricerca tecnologica e oltre 80 progetti di ricerca clinica solo nell’ultimo anno.

Il progetto è nato e voluto da chi conosce e vive in prima persona i bisogni clinico-assistenziali della SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica), della SMA (Atrofia Muscolare Spinale) e delle Distrofie muscolari. Patologie rare e complesse, che interessano circa 40mila persone in tutto il Paese e per le quali vi è la necessità di percorsi di presa in carico mirati e ad alta specializzazione, pensati intorno alle esigenze della persona e della sua famiglia.

“La persona che vive una patologia neuromuscolare è stata capace di mettere al servizio la propria esperienza di malattia per rendere sempre più efficaci i percorsi diagnostici, terapeutici e di ricerca. Questo è il valore fondante che quindici anni fa ha dato origine a NeMO e che lo ha reso negli anni replicabile sui territori – dichiara Alberto Fontana, presidente dei Centri Clinici NeMO, che continua – Un viaggio che racconta l’opportunità di lavorare insieme per affrontare bisogni di cura complessi e le sfide della ricerca scientifica. Ed in questo viaggio, NeMO continua ad essere sempre la risposta a quel sogno iniziale di voler mettere al primo posto il desiderio di vita, oltre la malattia”.

Definiti nel 2016 dalla ricerca dell’Università Bocconi “un approccio necessario ed efficace nell’ottica dell’erogazione dei servizi a favore di persone con patologie croniche ad alta complessità e proficuo per l’intera società civile”, i NeMO sono proprio l’espressione del coraggio di una comunità di pazienti che ha scelto di guardare al di là del limite, per cercare insieme alle Istituzioni e alla comunità clinica e scientifica le risposte più efficaci. E’, infatti, grazie alla lungimiranza di UILDM, Fondazione Telethon, AISLA, Ass. Famiglie SMA, Ass. SLAnciamoci e Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport, Soci di Fondazione Serena, l’Ente giuridico del progetto, che 15 anni fa ha inizio questo percorso in alleanza con le Istituzioni.

E la visione è stata quella di un modello di sanità unico, fondato sulla partnership tra il pubblico e il privato sociale, in un rapporto di corresponsabilità per condividere servizi e progetti di cura nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale. Parliamo di quel concetto di “sussidiarietà che concorre al benessere collettivo”, di cui oggi gli studi confermano l’efficacia.

Grazie a tutti coloro che ci hanno creduto, oggi NeMO mette a disposizione della comunità neuromuscolare 134 posti letto, di cui 21 dedicati alle attività ambulatoriali e Day Hospital, una rete di 370 professionisti e nel pieno dell’emergenza sanitaria l’apertura delle ultime 4 sedi del network.

Ma c’è di più, la multidisciplinarietà è il cuore dell’approccio di cura dei Centri NeMO, che vede presente in ogni reparto un team di professionisti esperti che lavora insieme per il percorso riabilitativo, fatto su misura di ogni bambino e adulto che si affida al centro. E poi progetti mirati a supporto della continuità di cura. Si pensi alla figura della nurse coach; alle unità di ricerca clinica – il Clinical Research Center (CRC) ed il NeMO Institute Neuromuscular Research (NINeR) – e a Nemo Lab, l’hub esclusivamente dedicato alla ricerca tecnologica su queste patologie. O ancora, alle azioni di divulgazione e formazione scientifica, ma anche ai progetti educazionali, attivati grazie alle partnership che negli anni si sono consolidate, e che permettono di sensibilizzare ad una nuova cultura di inclusione sociale o ad affrontare in modo nuovo temi legati al benessere e al miglioramento della qualità di vita.

Quindici anni fa i Centri NeMO hanno anticipato un bisogno specifico, con un progetto di cura dinamico, prossimo alla persona in ogni fase della vita e capace di modellarsi con le esigenze del territorio in una continua crescita.

La prima sede del network a Milano, presso il Blocco SUD dell’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, in questi anni si è presa cura di oltre 8.000 famiglie, con circa 4.300 prestazioni erogate solo nell’ultimo anno. È in prima linea nella ricerca scientifica, con una crescita che ha visto nell’ultimo anno 68 studi clinici, tra osservazionali e sperimentali. Sono 112 infatti, i bambini e gli adulti che hanno avuto accesso ai trattamenti farmacologici per la SMA e al percorso del farmaco sperimentale per la SLA.

E oggi le 7 sedi del network sono chiamate a rispondere alle nuove sfide: sviluppo scientifico sulla conoscenza delle patologie e sui trattamenti farmacologici; nuovi standard di cura, per patologie che stanno modificando la loro storia naturale; continuità nella presa in carico tra reparto e ambienti di vita, con modalità sempre più efficaci e di relazione con il territorio; qualità di vita, grazie al supporto della ricerca tecnologica.

Una cosa è certa, in questo percorso di crescita, il progetto continua a mantenere viva l’anima che ha dato vita a questo viaggio, fatta della ricchezza di storie di vita che affidano a NeMO la loro ricerca di sé e del mondo.

 

 

“Le persone con grandi disabilità sono la porta dalla quale passa la pacificazione dei rapporti sociali. Stare vicini ai più fragili è una terapia d’urto per coloro che sono “ancora sani””. Con queste parole Philippe Pozzo di Borgo parla, lui, tetraplegico per via di un grave incidente, di disabilità e altro in una lunga intervista sul numero di aprile 2022 di Tempi. “Credo che la società moderna sia sempre più fondata sulla soddisfazione dei desideri personali immediati. È individualista ed edonista. Se l’uomo occidentale si riduce a questo, è facile capire che la grande fragilità, l’handicap importante, non sia molto sexy nella cassetta degli attrezzi della nostra società” dice ancora Philippe Pozzo di Borgo. C’è invece chi una specie di cassetta degli attrezzi per vivere addirittura la regala. È l’associazione “Respirando” voluta da alcuni genitori di bambini con grosse difficoltà di varia natura, non solo respiratoria e che hanno bisogno di assistenza per le normali funzioni vitali. Ne parliamo con la presidente Francesca Baldo, medico che lavora al Pronto soccorso dell’Ospedale di Lucca e madre di Carol, una bambina “medicalmente complessa”. Questi bambini periodicamente arrivano sulle prime pagine dei giornali quando sono oggetto di interventi il più delle volte tesi alla loro soppressione: vedi i casi famosi dei piccoli Alfie Evans, Charlie Gard  e Isaiah Haastrup. Ma le loro storie e quelle delle loro famiglie sono fatte di coraggio, sacrificio e silenzio. A dare voce a questo mondo nascosto ci pensa questa giovane associazione nata “su invito del dottor Renato Cutrera, direttore dell’area semi intensiva pediatrica dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma che segue Carol dall’età di tre anni, ci dice Francesca Baldo, che aveva capito la necessità delle famiglie dei bambini medicalmente complessi di avere una associazione che le mettesse insieme. Assieme a Laura Guerrini, Gabriele Battistelli, mio marito e Licia Becci, la nonna di Carol abbiamo fondato Respirando.

Quali sono gli scopi di questa associazione?

“Dare voce e sostegno alle famiglie di questi bambini medicalmente complessi, in particolare quelli che hanno bisogno di sostegni per la respirazione o l’alimentazione, bambini in ventilazione meccanica invasiva o anche non invasiva, ma anche bambini portatori di PEG (Gastrostomia Endoscopica Percutanea) o cateteri venosi centrali per l’alimentazione o affetti da patologie neurodegenerative e neurometaboliche come pure quelli affetti da malattie rare.  Sono 64 famiglie distribuite in quasi tutte le regioni d’Italia che formano una rete di aiuto, di sostegno, che condividono gioie e fatiche, ma anche  materiali vari che possono essere utili e condivisi.

Ma “Respirando” fa sicuramente anche altro.

“Certo, non fa sentire sole queste famiglie che per le condizioni dei loro figli e per l’alta intensità di cura si isolano dalla società, dagli amici e dai parenti anche perché quello che vivono non è facilmente condivisibile. Avere questa grande famiglia di “Respirando” fa si che si che si sentano meno soli. Stiamo poi portando avanti una serie di progetti nati con lo scopo di aiutare il bambino a migliorare la compliance rispetto alla medicalizzazione che è costretto a vivere. Tra questi progetti c’è la Collana del coraggio , il libro della Mascherina magica, abbiamo realizzato anche un video, il Pesciolino verde, tutto questo con lo scopo di offrire dei mezzi ai genitori, ma anche ai sanitari per poter introdurre la ventilazione meccanica. Collaboriamo col Bambin Gesù per un progetto, la Trachy Bag: ad ogni nuovo bambino che viene tracheotomizzato viene data questa Bag, una cassetta degli attrezzi, che contiene il necessario per poter uscire da casa con la tracheo e nello zainetto si trova anche un orsetto tracheo ventilabile perché riteniamo che sia importante per il bambino poter giocare con qualcosa che è simile a lui perché, attraverso il gioco, il bambino esprime e rielabora le proprie emozioni. Ikea ci ha mandato 5000 pupazzini da dito per coprire il cerottino con la luce rossa utilizzato durante il ricovero in terapia intensiva o sub intensiva e che misura i parametri vitali, uno sforzo per rendere più gradevole e giocoso anche questo aspetto della medicalizzazione”.

Oltre al Bambin Gesù di Roma quali altri ospedali sono coinvolti?

Il progetto della Collana del coraggio è attivo anche a Pisa nella terapia intensiva neonatale e prevede la consegna di un filo e una stella con sopra il nome del bambino, poi, settimanalmente, i nostri volontari vanno nel reparto e distribuiscono i corallini “guadagnati” durante la settimana: ogni procedura medica ha il suo corallino, ma anche per ogni traguardo raggiunto e per il tempo trascorso in ospedale fino alla dimissione. Questo progetto è molto importante perché aiuta nella presa di coscienza della forza e del coraggio sia del piccolo paziente che della famiglia durante questa faticosa esperienza. Vengono coinvolti anche i fratelli perché anche loro vivono una grande fatica”.

L’impegno della famiglia è veramente totale e potrebbero esserci forme di aiuto per alleviare queste fatiche, per rompere questa “routine” pesante per tutti?

“Abbiamo iniziato una collaborazione col Dynamo Camp, che da 15 anni offre gratuitamente vacanze a bambini affetti da patologie gravi e croniche, ma che ancora non avevano ospitato bambini e ragazzi con problemi respiratori perché necessitano di personale dedicato e, grazie al Lions di Pontedera (Pisa) abbiamo donato al Dynamo Camp cinque monitor cardio respiratori e, grazie ai medici del Bambin Gesù, dato la possibilità a degli adolescenti con ventilazione meccanica non invasiva, di fare una vacanza negli anni 2018-2019. E’ stata un’esperienza straordinaria portare in vacanza dei ragazzi che sono tornati a casa felicissimi. Nel frattempo abbiamo fatto domanda di partecipare come famiglie e dal prossimo ottobre potremmo partecipare ai “weekend famiglie” così da poter portare anche altri bambini e ragazzi a fare questa straordinaria esperienza.

L’Associazione dove si può trovare?

Le famiglie sono ovunque, volontari li troviamo a Pisa e nel suo hinterland, a Roma e in Puglia. A Roma abbiamo in programma un corso avanzato per chi vuole assistere i bambini in ospedale.

La realtà di questi bambini e ragazzi medicalmente complessi quali numeri presenta?

In Italia abbiamo centinaia di soggetti in queste condizioni e sono in continuo aumento per le terapie che consentono la sopravvivenza in condizioni prima impensabili ai quali vanno a sommarsi i trapiantati di cuore o con esiti oncologici e la nostra associazione si occupa trasversalmente di questi bambini. Ma si occupa anche di raccontare la nostra esperienza per aiutare i giovani di oggi, che ricevono messaggi fuorvianti, a capire che la vita è degna di essere vissuta anche quando è difficile, perché la realizzazione della vita si ha nella relazione, nell’amore e non nella perfezione. Cerchiamo di seminare nei giovani questa coscienza.

L’Ospedale Israelitico di Roma, da sempre attento alle esigenze di tutti e impegnato nella promozione della medicina di genere, grazie agli innovativi servizi ospedalieri presenti e ai percorsi elaborati e dedicati alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura delle principali malattie femminili, ha presentato nel pomeriggio di mercoledì 30 novembre, presso la sede di Via Veronese, il primo ambulatorio dedicato interamente alla medicina di genere “Mercoledì al femminile– Ambulatorio multidisciplinare per la salute delle donne”, con il patrocinio della Fondazione Onda - Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere. Alla conferenza di presentazione del nuovo ambulatorio femminile, moderata dalla giornalista Monica Di Loreto, hanno preso parte la Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello, la Vicepresidente dell’Ospedale Israelitico, Antonella Di Castro, e ha potuto contare sugli interventi della Dott.ssa Gabriella Ergasti, Direttore Sanitario del network Ospedale Israelitico, della Dott.ssa Bruna Coen, ginecologa e responsabile del Percorso Donna, della Dott.ssa Manuela Carrera, specialista in Dermatologia e Venereologia e della Dott.ssa Sabrina Coen, dietista dell’Ospedale Israelitico.   Il ruolo della medicina di genere è al centro dell’interesse della comunità scientifica negli ultimi anni. Infatti, le differenze biologiche, ma anche socioeconomiche e culturali, influiscono fortemente sullo stato di salute di ogni persona. Patologie comuni negli uomini e nelle donne possono incidere in maniera diversa a seconda del soggetto e anche la risposta alle terapie può variare in base al sesso. Per questo vi è bisogno di una medicina di precisione, che comprenda e applichi le differenze di genere.    Il nuovo e primo ambulatorio al femminile, altamente specializzato nella cura delle donne, dotato dei migliori sistemi di imaging e composto da un team multidisciplinare di ginecologhe, dermatologhe, endocrinologhe, radiologhe, psicologhe, cardiologhe e nutrizioniste, garantirà visite specialistiche ed un rapido inquadramento delle pazienti. Grazie alla presenza di professioniste della salute che concorrono sinergicamente a prevenire, diagnosticare e curare le malattie delle donne, sarà possibile abbattere i tempi di attesa eseguendo più visite ed esami in unico giorno e nella stessa sede.   “Abbiamo voluto creare uno spazio interamente pensato per il genere femminile, con l’intento di offrire un iter diagnostico e terapeutico intelligente, incentrato esclusivamente sulla salute delle donne – ha dichiarato il Direttore Sanitario dell’Ospedale Israelitico, Dott.ssa Gabriella Ergasti – Grazie alla presenza di un team multidisciplinare femminile e alle innovative strumentazioni in dotazione, vogliamo assicurare una medicina di eccellenza e precisione, con risposte sempre più confacenti alle donne, dalla prevenzione, alla diagnosi fino alla terapia.” ha concluso la Dott.ssa Ergasti.   “Con l’inaugurazione del primo ambulatorio multidisciplinare dedicato alla salute delle donne, l’Ospedale Israelitico si pone tra i centri di riferimento per l’attenzione e la cura del genere femminile. È per noi oggi motivo di grande orgoglio confermarci un Ospedale al servizio della popolazione e al fianco delle donne.” ha dichiarato il Dott. Giovanni Naccarato, Direttore Generale dell’Ospedale Israelitico. Alla domanda ricorrente delle donne che vengono alla conoscenza di questo progetto, “se è aperto solo alle donne ebree, la responsabile del progetto “Mercoledì al femminile”, Dr. Bruna Coen risponde: “L’Ospedale Israelitico svolge da sempre la sua attività al servizio della popolazione territoriale tutta, senza distinzione di credo religioso o appartenenze etniche.”

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