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Svimez: il Sud sempre più verso il baratro

E' un Paese "spaccato", "diviso e diseguale dove il sud scivola sempre più nell'arretramento" quello che emerge dal rapporto Svimez. Il Pil del Sud nel 2013 è "crollato del 3,5% contro il -1,4% del centro Nord; negli anni di crisi 2008-2013 "il Sud ha perso il 13,3% con il 7%". Il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 10 anni fa.

Dal Sud "si parte", e "si fanno meno figli", indica il rapporto Svimez 2014. "In dieci anni, dal 2001 al 2011 sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord oltre 1 milione e mezzo di persone, di cui 188 mila laureati. Il tasso di fecondità al Sud è arrivato a 1,34 figli per donna, ben distanti dai 2,1 necessari a garantire la stabilità demografica, e inferiore comunque all'1,48 del Centro-Nord". Nel 2013, registra il rapporto Svimez, "al Sud si sono registrate solo 180mila nascite, un livello che ci riporta al minimo storico registrato oltre 150 anni fa, durante l'Unità d'Italia. Pericolo da cui il Centro-Nord finora appare immune: con i suoi 388mila nuovi nati nel 2013 pare lontano dal suo minimo storico di 288mila unità toccato nel 1987. Il Sud "sarà quindi interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27% sul totale nazionale a fronte dell'attuale 34,3%".

Le stime dello Svimez prevedono un "Centro-Nord in lieve ripresa" mentre "il Sud no", in una Italia che così "continua a essere spaccata in due" Nel 2014 "il Pil italiano dovrebbe crescere dello 0,6%, quale risultato del +1,1% del Centro-Nord e del -0,8% del Sud". I consumi delle famiglie "crescono al Centro-Nord nel 2014 dello 0,3% e nel 2015 dello 0,7%, al Sud rispettivamente si registra un calo dello 0,5% e dello 0,1%. Giù anche gli investimenti: nel 2014 il Sud segna -1,1% contro -0,4% del Centro-Nord". Previsioni di segno opposto anche sul fronte dei posti di lavoro: "-1,2% al Sud nel 2014, cui corrisponde +0,2% nel Centro-Nord. Se confermati questi dati porterebbero al Sud nel 2014 rispetto al 2007 a quasi 800mila posti di lavoro in meno (pari a una flessione del 12%)".

Il Sud è oggi "una terra a rischio desertificazione industriale e umana, dove si continua a emigrare, non fare figli e impoverirsi: in cinque anni le famiglie assolutamente povere sono aumentate di due volte e mezzo, da 443mila a 1 milione e 14mila nuclei". Lo indica il rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2014.

 "Le tendenze più recenti segnalano che al Sud si concentra oltre l'80% delle perdite dei posti di lavoro italiani". Lo evidenzia il rapporto Svimez: il 2013 ancora in calo "riporta il numero degli occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni", il livello più basso delle serie storiche, disponibili dal 1977. Intanto come riferisce l Ansa :

Nel 2012 - secondo Istat - l'importo medio delle pensioni è più basso tra le donne (8.965 euro contro 14.728) e si riflette in un più contenuto reddito pensionistico medio, pari a 13.569 euro contro i 19.395 degli uomini. Le donne sono il 52,9% dei beneficiari ma agli uomini va il 56% della spesa.

Oltre la metà delle donne (52%) percepisce meno di mille euro, contro un terzo (32,2%) degli uomini. E' quanto risulta dalle rilevazioni Istat sul 2012. Inoltre il numero di uomini (178 mila) con un reddito pensionistico mensile pari o superiore a 5.000 euro è cinque volte quello delle donne (33 mila). Le disuguaglianze di genere - rileva l'istituto - sono più marcate nelle regioni del Nord, sia rispetto agli importi medi delle singole prestazioni sia in relazione al reddito pensionistico dei beneficiari.

E' al Nord Italia il maggiore divario di genere nei redditi pensionistici. Lo rileva l'Istat spiegando che gli uomini percepiscono importi più elevati delle donne su tutto il territorio nazionale, ma in alcune regioni si registrano diseguaglianze più marcate. La Liguria è la regione in cui il reddito pensionistico degli uomini presenta lo scarto maggiore rispetto a quello delle donne (è del 53,9% più elevato), seguita da Lazio (52,1% in più), Lombardia (51,8%) e Veneto (51,6%). Le regioni in cui si registrano invece le minori disuguaglianze di genere sono quelle meridionali. Le differenze più contenute si osservano in Calabria (gli uomini percepiscono redditi pensionistici del 19,9% più elevati rispetto a quelli delle donne), Basilicata (26,7% in più) e Molise (29,4%). La disaggregazione provinciale ripropone evidenze del tutto analoghe a quelle riscontrate a livello regionale. Ad eccezione di Roma, le differenze più marcate caratterizzano nuovamente le province del Nord Italia - Lecco (61,6% in più), Venezia (59,4%), Livorno (58,5%), Monza e della Brianza (57,9%), Genova (57,8%), Bergamo (56,2%), Milano (55,3%), Treviso (54,2%) e Brescia (53,6%) - mentre i valori più contenuti - a conferma di quando già emerso a livello regionale - si registrano nelle province meridionali: Vibo Valentia (13,7% in più), Reggio Calabria (18,4%), Cosenza (20,4%), Ogliastra (21,7%), Nuoro (22,3%), Benevento (22,8%), Catanzaro (22,9%), Potenza (23,9%), Agrigento (24,3%) e Lecce (24,8%).

Nel 2012 - spiega l'Istat - sono stati erogati 23.577.983 trattamenti pensionistici: il 56,3% a donne e il 43,7% a uomini. Le donne rappresentano il 52,9% dei pensionati (8,8 milioni su 16,6 milioni), ma percepiscono solo il 44% dei 271 miliardi di euro erogati. L'importo medio annuo delle prestazioni di titolarità femminile è pari a 8.965 euro, il 60,9% di quello delle pensioni di titolarità maschile, che si attesta a 14.728 euro. Dei 626.408 nuovi pensionati del 2012, le donne rappresentano il 52% e percepiscono redditi più bassi (10.953 a fronte dei 17.448 degli uomini). Il numero di trattamenti percepiti dalle donne - dice Istat - è mediamente superiore a quello degli uomini, di conseguenza il divario economico di genere si riduce al 42,9% se calcolato sul reddito pensionistico (pari a 19.395 euro per gli uomini e a 13.569 per le donne). Tra il 2002 e il 2008, la forbice reddituale tra pensionati e pensionate è aumentata di 2,1 punti percentuali (4,4 punti con riferimento agli importi medi delle singole prestazioni); a partire dal 2008 si è osservata una progressiva riduzione che tuttavia ha mantenuto i livelli di disuguaglianza superiori a quelli del 2004. Oltre la metà delle donne (52%) percepisce meno di mille euro, contro un terzo (32,2%) degli uomini. Il numero di uomini (178 mila) con un reddito pensionistico mensile pari o superiore a 5.000 euro è cinque volte quello delle donne (33 mila). Le disuguaglianze di genere sono più marcate nelle regioni del Nord, sia con riferimento agli importi medi delle singole prestazioni sia in relazione al reddito pensionistico dei beneficiari. Il rapporto tra il numero di pensionati residenti e la popolazione occupata - rapporto di dipendenza - è a svantaggio delle donne: 90,2 pensionate ogni 100 lavoratrici, a fronte di 56,5 uomini ogni 100 lavoratori. Anche il tasso di pensionamento (rapporto tra numero di pensioni e popolazione residente) è superiore tra le donne (43,1%) rispetto agli uomini (35,6%).

Pensioni a superstiti: nove su dieci erogate alle donne. Lo sottolinea l'Istat spiegando che le prestazioni del gruppo 'vecchiaia, invalidità e superstiti' non evidenziano differenze tra uomini e donne: sono il 78,1% delle pensioni di titolarità maschile e il 78,5% di quelle di titolarità femminile. Tuttavia, disaggregando per tipologia si notano differenze significative soprattutto per le pensioni di vecchiaia e per quelle ai superstiti. Le prime rappresentano il 66% del totale delle prestazioni di titolarità maschile (e assorbono l'86,5% della spesa) e il 41,4% di quelle di titolarità femminile (con una quota di spesa più esigua, pari al 53,1%), differenze principalmente riconducibili alle diverse carriere lavorative che caratterizzano i percorsi di vita di uomini e donne. Tali prestazioni di vecchiaia sono inoltre quelle di importo mediamente più elevato, 19.292 euro per gli uomini e 11.493 euro per le donne. L'incidenza delle pensioni ai superstiti, invece, è significativamente più elevata fra le donne (31,8%, con una quota di spesa pari al 30,6%, a fronte del 6,1% tra gli uomini, pari al 2,3% dell'importo complessivo). Differenze rilevanti si riscontrano anche per le pensioni indennitarie - tra gli uomini costituiscono il 6%, a fronte dell'1,6% femminile - e per le prestazioni assistenziali. In particolare l'incidenza di pensioni di invalidità civile, pensioni sociali e di guerra è maggiore tra le donne (rispettivamente 14,4%, 4,1% e 1,3% contro 12,4%, 2,7% e 0,9% per gli uomini). Gli importi più bassi si registrano per gli uomini tra le pensioni di invalidità civile (4.610 euro) e per le donne tra le pensioni di guerra (3.720 euro)

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