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la roccia n. 5

Mi è già capitato altre volte, a settembre quando inizia la scuola, la mia piacevole e faticosa attività di giornalista freelance subisce qualche contraccolpo, si presentano varie tentazioni, prima fra tutte quella di lasciar perdere, con la solita frase che risuona nell’orecchio: “chi te lo fa fare”. Quest’anno però l’arrivo del nuovo numero de “La Roccia”, e la sua veloce lettura, mi ha trasformato, in un certo senso rinvigorito, ricaricato, per continuare quell’umile opera di testimonianza missionaria a cui ciascun credente è chiamato a fare, ognuno secondo i propri talenti.

Ricomincio a scrivere presentando questa rivista, nata a gennaio di quest’anno, edita dalla casa editrice Shalomsrl. Esce ogni due mesi, nata per “seguire il Papa sempre”, infatti in ogni copertina primeggia una immagine di papa Francesco, ma soprattutto è una rivista per dare una spinta alla Nuova Evangelizzazione. E’ diretta da Marco Invernizzi, che oltre ad essere un esponente di punta di Alleanza Cattolica, è collaboratore dagli anni 90 della battagliera Radio Maria.

Ma c’era bisogno di un’altra rivista cattolica? Certamente si, se intende seguire, come ha scritto nel 1° numero il direttore Invernizzi, il Magistero non di un Papa, ma del Papa, cercando di incarnarlo nelle scelte di apostolato, nei criteri e nelle valutazioni che sono all’origine delle nostre azioni. Questo comporta di seguire, di leggere i suoi interventi, encicliche, discorsi, omelie e catechesi. Mi pare che “La Roccia”, sta adempiendo nel migliore dei modi questo compito.

Nella storia della Chiesa, soprattutto degli ultimi due secoli, dopo l’esplosione delle ideologie, il laico cattolico ha avuto spesso bisogno di una bussola, di un punto di riferimento, di un giornale, di libri per poter difendersi meglio dagli attacchi più o meno violenti delle ideologie che via via si sono presentati nella storia. La storia del movimento cattolico italiano è piena di iniziative culturali, penso a don Davide Albertario a don Giacomo Margotti, che alla fine dell’Ottocento hanno fondato battagliere pubblicazioni, ma anche a don Giacomo Alberionecon la sua vasta opera della famiglia Paolina. Pertanto anche nel nostro tempo servono riviste, pubblicazioni per “evangelizzare la cultura” come auspicava il beato Paolo VI.

La Roccia, è arrivata alla quinta uscita, nell’ultimo numero di settembre-ottobre oltre al consueto editoriale del direttore si possono leggere interessanti e documentati articoli di sicura dottrina, scritti in maniera agevole da collaboratori attenti e preparati.

Il bimestrale è un ottimo strumento per i laici cattoliciper essere “testimoni di una Chiesa che ‘esce da se stessa’. Papa Francesco seguendo il costante Magistero dei suoi predecessori, “ha sempre insistito nei sui interventi per promuovere una Chiesa missionaria, - scrive Invernizzi nell’editoriale - orientata a evangelizzare le periferie, non soltanto quelle geografiche dove vivono i poveri della terra, ma anche quelle esistenziali, frutto del peccato, del dolore, dell’ignoranza e dell’assenza della fede, dell’ingiustizia”. Invernizzi, biasima i frequenti brontolii, le polemiche, gli scontri fra scuole diverse, di queste settimane e mesi che circolano nel mondo cattolico.Tuttavia “è come se, davanti a un mondo di evangelizzare e ricostruire, ci si perdesse nelle miserie umane, che pure ci sono e ci sono sempre state, anche perché non ogni diversità di opinione è un’eresia e la Chiesa, felicemente, non è una caserma”. Pertanto secondo il direttore della rivista ai cattolici di oggi manca quello “zelo apostolico, - di cui parlò il cardinale Bergoglio -, il desiderio di evangelizzare a 360 gradi, senza pregiudizi ideologici. Dobbiamo parlare a chiunque, non soltanto a quelli che sono più in sintonia con la nostra impostazione culturale”.Invernizzi ritorna sulla grande importanza della manifestazione per la famiglia del 20 giugno a Roma. Qui “finalmente il laicato cattolico in autonomia, e senza il permesso previo di alcun vescovo ‘vescovo pilota’ hanno promosso una grande manifestazione pubblica per affermare la bellezza della famiglia…”.

A proposito della manifestazione, il nuovo numero evidenzia l’intervista al promotore dell’iniziativa, il neurochirurgo bresciano professor Massimo Gandolfini, presidente nazionale del Comitato “Difendiamo i Nostri Figli”. Un evento organizzato in soli 18 giorni, senza sovvenzioni o sponsor, senza nessuna collaborazione dei mass-media che non hanno voluto diffondere la notizia dell’evento e soprattutto senza nessun bisogno di “vescovi pilota”. Si perché i laici come sancì il Vaticano II, hanno un ruolo fondamentale nell’evangelizzazione della società e poi ancora ribadito da san Giovanni Paolo II con la Christifideles laici, infine per ultimo il santo padre Francesco. Certo i laici si devono muovere in autonomia, ma che non significa “distacco” dai pastori, hanno sempre bisogno della “chiarezza dottrinale magisteriale, strumento indispensabile perché si formino ‘coscienze rette’ e non autoreferenziali, ove si può dire tutto e il contrario di tutto”.

Il professore Gandolfini risponde a quelli che hanno criticato l’importante evento, a quelli che hanno detto che non c’è bisogno della piazza, che è meglio la testimonianza personale e che non bisogna contrapporsi al Governo alzando muri. O a quelli che sostengono che è più importante il lavoro culturale-formativo. Per Gandolfini, sono tutte polemiche artificiose, perché già molte associazioni, i promotori stessi, questo lavoro l’hanno sempre fatto. Per esempio Alleanza Cattolicache fa parte del Comitato organizzatore, nei suoi oltre quarant’anni di attività si è mossa sempre nell’ambito culturale e sociale. Poi per quanto riguarda l’alzare i muri e urlare, non siamo noi a farlo, piuttosto è la militanza omosessualista a farlo che ha reagito come sempre in maniera scomposta alle nostre prese di posizione contro l’ideologia del gender e il ddlCirinnà.

Segnalo altri interessanti interventi presenti nella rivista, in particolare quello dell’economista Ettore Gotti Tedeschi, già presidente dello Ior, conosciuto per avere contribuito in modo importante a diffondere l’idea che l’inverno demografico, cioè il fatto che in Italia dagli anni ’70 nascano sempre meno bambini, non sia una delle tante problematiche che affliggono il Bel Paese, ma sia la questione che ha originato la crisi economica che stiamo vivendo e dalla quale non si riesce a uscire, volendo negarne le vere origini.

Nelle prime pagine de La Roccia troviamo due interventi sull’imminente Sinodo sulla Famiglia. Lo sottoscrivono Andrea Morigi e Massimo Introvigne. Il primo segnala che continuano le pressioni dei mezzi di comunicazione per creare l’idea di un “Sinodo parallelo”, diverso da quello reale. Così come avvenne per il Concilio Vaticano II, per Morigi, “si vuole proporre un Sinodo diverso da quello dei documenti: il primo progressista, aperto, rivoluzionario, contrapposto al secondo, oscurantista e retrogrado”. Mentre Introvigne, vede una vera e propria “intossicazione” dei documenti, dei testi del Sinodo, da parte dei mass-media. Si assiste a una “forzatura dei testi, facendogli affermare quello che si desidera, a prescindere dal reale contenuto. Oppure tacendo quanto vi è scritto chiaramente”. Ci sono titoli sparati in prima pagina su come il Sinodo si appresterebbe a rivoluzionare la dottrina della Chiesa in tema di famiglia, ammettendo il divorzio e aprendo perfino alle unioni omosessuali. Del resto avviene la stessa cosa ai vari documenti della Chiesa, “ci sono addirittura pontificati presentati secondo una classificazione maliziosa”, scrive Introvigne.Quel che è grave che anche molti cattolici bevono con entusiasmo questa alterazione della verità.

Infine la rivista ci regala altri e ben scritti articoli, che certamente aiutano chi vuole essere un vero apostolo della nuova evangelizzazione.

 

GIUSEPPE_SERMONTI

L’editore Lindau nel 2010 ha riproposto una scelta degli editoriali che il prof. Giuseppe Sermonti aveva scritto per la Rivista di Biologia-Biology Forum da lui diretta dal 1979 al 2009. Editoriali attraverso i quali è possibile ripercorrere la storia della biologia in un periodo particolarmente importante e ricco di novità.

Ma la preziosa pubblicazione è arricchita da un’introduzione, scritta per l’occasione, che è un’autobiografia del professore romano e che assume una particolare importanza ora che sta per compiere 90 anni. Il suo compleanno cadrà infatti il 4 ottobre e rivivere la sua storia è ripercorre le tappe della vita di un grande scienziato e di un grande perseguitato dall’establishment della scienza italiana. Fosse vissuto in Unione Sovietica sarebbe finito, probabilmente, come Nicolai Vavilov, il grande biogeografo di scuola mendeliana, imprigionato e morto nel Gulag (1943) per le sue idee sulla genetica.

Sermonti, che si laurea a Pisa in Agraria e poi in Biologia prende una strada completamente diversa inventando la Genetica dei Miscorganismi Industriali. A trent’anni vince una borsa di studio che lo porta all’Università di Yale, ma l’esperienza americana non risulta positiva anche se, qualche anno dopo, a 35 anni, vince la cattedra di Genetica a Palermo. Comincia, in questo periodo, a maturare la sua critica alla Scienza come ideologia che descrive ampiamente ne Il crepuscolo dello scientismo (Rusconi, 1971) e iniziano i primi attacchi e i processi in stile maoista. La Sapienza di Roma ne è protagonista “processando” il volume senza l’autore e senza repliche, da quel momento tutte le porte cominciano a chiudersi. Gli editori gli voltano le spalle a cominciare da Zanichelli col quale aveva pubblicato nel 1972 un libro per ragazzi (Vita Coniugale dei Batteri), anche Mondadori, dopo aver pubblicato una raccolta di fiabe legate alla scienza (Il Ragno, il Filo e la Vespa) lo ritira rapidamente dalla circolazione. Solo Rusconi rimane fedele allo scienziato romano.

Ma torniamo al Sermonti genetista. Nel 1968 e fino al 1986 presiede un gruppo internazionale: Genetics of Industrial Microorganism che tiene congressi in molte parti d’Europa. Gli viene proposta la direzione del neonato reparto di Genetica all’Istituto Superiore di Sanità di Roma, ma arriva subito un veto che lo riporta alla sua Università di Palermo e poi di Perugia (1974).

Nello stupore generale viene nominato vice-presidente del XIV Congresso Internazionale di Genetica che si svolge a Mosca (1980) e che sancisce il ritorno dell’Urss nella genetica occidentale dopo l’ubriacatura lysenkoiana. Lo stupore è generale e il boicottaggio nazionale consueto: la Rai commenta dicendo che nessun italiano è stato invitato! Un fantasma per la scienza italiana, un appestato che ovviamente la Sapienza di Roma rifiuterà di accogliere nonostante avesse più titoli del collega che prende il suo posto.

Il 1980 è l’anno di Dopo Darwin (con Roberto Fondi che scrive la parte paleontologica) sempre per l’ospitale Rusconi, quasi un best seller con le sue cinque edizioni in due anni col quale si distacca dal darwinismo fazioso e da quei darwinisti che W. H. Thompson descrive così: « Si riuniscono a difesa di una dottrina che non sono capaci di definire scientificamente e ancor meno di dimostrare, tentando di mantenere il suo credito col pubblico attraverso la soppressione della critica e l’eliminazione delle difficoltà». «La rappresentazione dell’origine dell’uomo – dice Sermonti – con un piccolo corteo iniziato da un peloso e chino scimpanzé e coronato da un umano eretto e roseo tiene ancora campo, benché smentita da decenni di osservazioni e misure». Considerazioni ancora molto attuali.

Il suo itinerario all’interno del mondo della fiaba, iniziato con le fiabe legate alla scienza, lo porta anche a fare un ragionamento inverso: «scovare leggi naturali nel fondo delle fiabe: leggi astronomiche, chimiche o botaniche» scrivendo tre volumi (Rusconi editore), sulla luna, l’alchimia e i fiori. Quello sull’ Alchimia della fiaba, che gli è particolarmente caro, è stato ripubblicato da Lindau (2009).

Sermonti rende anche omaggio alla vita di alcuni scienziati come lui ostracizzati, dimenticati o fraintesi dagli ambienti accademici ufficiali. Nascono così alcune “commedie da tavolo”, brevi operette (Di Rienzo editore) con le quali descrive i drammi di Gregor Mendel con la riscoperta postuma e il tentativo di Hugo De Vries di appropriarsi delle sue scoperte, William Harvey e la disputa sulla circolazione sanguigna, Ignazio Filippo Semmelweis incompreso scopritore delle cause delle infezioni puerperali che si darà la morte per dimostrare la ragione delle sue teorie, Paul Kammerer, suicida a causa della sconfessione delle sue teorie sull’eredità dei caratteri acquisiti, J. Robert Oppenheimer, protagonista del Progetto Manhattan col quale la fisica si rende conto che può distruggere il mondo, Pavel Florenskij, Pope, filosofo e matematico internato nelle isole Solovski dove muore fucilato, e infine Charles Darwin distorto, emendato, usato dai neo-darwinisti tanto che lo stesso naturalista inglese non si riconosce più.

Drammi veri e propri che insegnano che le grandi scoperte «nascono spesso tra errori, contese, sconfessioni, che talvolta provocano la prematura scomparsa del protagonista, prima che la sua idea si sia affermata».

Nel 1999 accetta l’invito di Rusconi a tornare a scrivere su Darwin e lo fa in stile propositivo piuttosto che critico con Dimenticare Darwin, che presenta a Roma alla Sapienza tra contestazioni dei “collettivi” annunciate ma che comunque non impediscono la presentazione.

Sermonti non cessa di chiedersi cosa abbia scatenato le ire dei suoi detrattori e così si risponde: «Non la mia critica al darwinismo (…). Neppure lo stesso Crepuscolo (…). Fu proprio Genetics of Antibiotics, con il quale ero uscito dall’uovo come il brutto anatroccolo di Andersen, senza avere chiarito prima a quale specie appartenessi. (…) Sono stato osteggiato per idee che non mi hanno mai appartenuto, mentre l’unica colpa di cui sono confesso è la vaga percezione di qualcosa di costante nell’universo, che non oso chiamare “dio”».

La sterminata produzione di Sermonti è anche ricca di articoli comparsi su molti quotidiani, il Tempo, Roma, Il Giornale, il Foglio con i quali entrava nell’attualità, ma sempre col suo sguardo verso i grandi orizzonti.

Caro prof. Sermonti, grazie e tanti cari auguri.

un pellegrino 3

Da qualche tempo si assiste a uno stillicidio di messaggi e di commenti su facebook dove presunti “amici” danno giudizi più o meno “pesanti” sui discorsi o prese di posizione dell’attuale Pontefice papa Francesco, a volte i messaggi sono talmente puerili e ridicoli che viene da ridere o forse da piangere. In questi giorni sempre preso dalla mia curiosità culturale, questa volta religiosa teologica, mi sono imbattuto in un testo singolare, “Un pellegrino che ‘comincia da Gerusalemme’, sottotitolo: “Esercizi spirituali sull’autobiografia di Ignazio di Loyola con riferimenti al Cammino dell’uomo di Martin Buber”, scritto da un gesuita, Francesco Rossi De Gasperis, pubblicato dallePaoline (2015). Per la verità il libro ancora non l’ho letto tutto, ma in particolare sono rimasto colpito dal capitolo, XXI: “Regole per il retto sentire che nella Chiesa militante dobbiamo avere”. Ci sono alcuni passaggi che sembrano fatte apposta per rispondere a quegli “amici” di facebook che da tempo si sono dedicati allo sport di infangare l’attuale Sommo Pontefice.

Padre De Gasperis ci invita a pregare e sulla linea degli Esercizi, propone le regole “per il nostro genuino sentire nella Chiesa militante”. Sono delle indicazioni, un invito “a porsi personalmente nella Chiesa, nelle Chiese, là dove ognuno si trova, per vedere che cosa può fare di più e di meglio ‘per formarci a sentire (quasi istintivamente) con profonda simpatia nella Chiesa militante”.

La prima regola è quella di deporre ogni giudizio, “dobbiamo tenere l’animo apparecchiato e pronto per obbedire in tutto alla vera sposa di Cristo nostro Signore che è la nostra Santa Madre Chiesa gerarchica”. E’ qui che Nostro Signore Gesù Cristo continua ad operare nella storia, attraverso i successori di Pietro e quindi anche con papa Francesco.

Inoltre il gesuita, ci mette in guardia dal vedere la Chiesa “con gli occhi terreni e di cui si legga sui giornali”. La vera Chiesa si coglie in verità nell’atto di fede cattolica: “Credo Ecclesiam”. S. Ignazio nel suo tempo l’aveva capito bene.

Quattro direzioni verso cui camminare.

Pertanto suggerisce, quattro direzioni verso cui camminare: “prima di tutto dobbiamo imparare a ‘sentire nella Chiesa’, rendendoci più e meglio consapevoli della sua inculturazione nell’Italia odierna, con i suoi pesi e misure, senza immaginare di trovarci o in un ambiente culturale differente o, addirittura, liberi da ogni condizionamento culturale. La Chiesa -scrive De Gasperis – di per sé, dovunque si trovi, non è italiana o francese o giapponese od orientale od occidentale…”Essa è di Dio e di Cristo, dispersa e pellegrina a Roma, come a Berlino o a New York o a Mosca”. A questo proposito il gesuita rimprovera tutti quelli che ritengono che la Chiesa italiana sia più Chiesa delle altre. Non possiamo accettare che la fede di un giapponese sia minoritaria rispetto alla nostra, come “se la fede venisse dall’antichità del credere o dalla geografia, invece di essere un dono teologale di Dio”. Del resto anche nella stessa Italia, la fede è vissuta in diversi modi.

Tra l’altro padre De Gasperisdopo avere scritto che la Chiesa in Italia è molto clericale, un po’ arrogante e provinciale, sostiene che l’ideale per una Chiesa non è una presenza massiccia di clero. Come se chi ne ha poco è un sottosviluppato, “forse in alcune cose, i sottosviluppati siamo noi, proprio a causa della sovrabbondanza di clericalismo”. Il padre gesuita, è abbastanza critico verso certe esagerazionireligiose tipicamente italiane. Bisogna stare attenti a non sacralizzare quelle che sono tradizioni di uomini, come dice Gesù (Mt 13,1-9; Mc 7,1-13), anche se gli uomini sono rispettabili.

Occorre ringraziare il Signore “di quello che siamo, ma senza rivendicazioni campanilistiche, senza totalitarismi e immobilismi, che ci rendono arroganti, non servi di Dio nella sua Chiesa, ma padroni nelle nostre comunità”.

Padre Francesco Rossi De Gasperis parla di bastioni caduti, a cominciare da quello dell’”ideologia del papato”, ad opera di papa Ratzinger.

La Chiesa passata per il Concilio Vaticano II.

Il Concilio Vaticano II, forse è stato troppo europeo e soprattutto si è celebrato contro nessuno, l’unico nella storia della Chiesa. “Per questo fu molto più sereno degli altri(…)e ci ha dato una visione più equilibrata e completa della verità cristiana e della Chiesa cattolica…”. Per il gesuita “il Vaticano II potè fare un discorso più tranquillo, più disteso, meno polemico e, quindi, più vero(…)”. Comunque sia il Concilio si è mosso secondo l’idea che tutti i problemi e situazioni della e nella Chiesa si dovrebbero sempre affrontare “Cominciando da Gerusalemme”(Lc 24,47)da dove, cioè, Dio ha cominciato e sempre dirige il nostro cammino-, più e prima che dalle tappe successive e intermedie, costruite dagli uomini lungo i loro sentieri”.

Il Vaticano II per padre Francesco, “ha seguito una linea di recupero: per ‘aggiornare’ la trasmissione della fede, bisogna capire da dove si deve partire, che cosa si può e si deve aggiornare”. Naturalmente, il Concilio, “non ha mostrato alcun complesso cristiano di inferiorità dinanzi alla società civile”.

E’ fondamentale conoscere la storia della Chiesa. Peraltro,“Molte ideologie e maggiorazioni d’importanza di cose relative provengono, infatti, da una grande ignoranza”. Infatti, continua De Gasperis, “Per conoscere la traditio divina- cioè il modo in cui la parola di Dio è consegnata, compresa e vissuta nella Chiesa – bisogna conoscere la storia, ed è questo che ci libera dagli appesantimenti delle ‘tradizioni di uomini’. Tuttavia, “quando, poi, si potranno e si dovranno rispettare anche delle tradizioni di uomini, la conoscenza della storia ci preserva dal litigare sul colore delle calze o delle scarpe.

Per il religioso occorre cercare sempre l’unità nella Chiesa, “aprendoci all’evento del Vaticano II, fedeli al suo spirito e alla sua lettera, senza fargli violenza per rafforzare nostre ideologie ad esso estranee”. Tra le resistenze al Concilio Rossi De Gasperis annovera sia quelli che “vogliono propagare un’idea di Chiesa aliena dalla tradizione” e sia quelli che “rigettano il Concilio” come i lefebvriani. Piuttosto occorre “conoscere davvero il Concilio e viverlo”. Per esempio nella Chiesa italiana in molti luoghi il Concilio non è stato compreso.

Gli abusi del post-concilio.

Padre Francesco inoltre riflette sui “non pochi abusi, infedeli al Concilio, che, per leggerezza o malizia, ne hanno contaminato l’eredità”. Così dopo il 1968, in Occidente, sotto l’influsso del pensiero marxista e dell’ideologia comunista, molti cristiani hanno pensato di abbracciare cause sociali “rivoluzionarie” e così hanno pensato, che “non bastava più- così sembrava – ‘cambiare le situazioni attraverso la conversione delle libere coscienze delle persone’- come l’evangelizzazione richiede di procedere. Ora “Bisognava cambiare i ‘sistemi’ politici, economici, educativi, culturali…”.

Padre Francesco condanna la lettura sociologica di certi movimenti collettivi che hanno attaccato come “sistemi iniqui”: la famiglia, la scuola etc. Inoltre condanna quei cristiani che hanno svalutato il peccato personale per farlo confluire in un non meglio precisato peccato sociale. Così il “combattimento spirituale per la libera conversione delle coscienze- alle quali propriamente si rivolge l’evangelizzazione- è stato tradotto in lotta (compresa quella armata) di classe o di masse popolari per conquistare una ‘liberazione’ variamente interpretabile e definibile”.

E qui padre Francesco sottolinea che per troppo tempo nel mondo cattolico la parola “liberazione”, ha preso il posto della “redenzione”. Con troppa ambiguità si è ridotta l”evangelizzazione” a una “promozione della giustizia”. Indubbiamente sarebbe un guaio imperdonabile dimenticare l’Evangelo! Per fortuna, Paolo VI ci ha lasciato nel 1975 la mirabile esortazione apostolica Evangeliinuntiandi.

Ritornando all’Italia il padre gesuita non condivideche i vescovi, a fronte della scomparsa del “partito politico dei laici cattolici”, intervengono nella vita politica e si prendono “la responsabilità , l’autorità e il diritto di gestire direttamente la vita civile di tutti i cittadini, cattolici o no”. Qui padre Francesco critica aspramente certi interventi politicistonati che farebbero aumentare l’endemico anticlericalismo italico, che presto si trasforma in anticristianesimo o in un abbandono della Chiesa stessa. Piuttosto la Chiesa può influire sulla società italiana “solamente attraverso la testimonianza dei cittadini cristiani, secondo la loro consistenza numerica e le loro capacità reali, sia come cittadini sia come cristiani”.

La Chiesa nell’attento “servizio della creazione non deve dimenticare il servizio della fede, che le è proprio…”. Tuttavia, su questa terra, la Chiesa “continua a passare non come una componente di una qualunque civilizzazione umana, ma come ‘straniera e pellegrina’, diretta verso la patria ‘celeste’, rispettosa degli ordinamenti socio-politici che gli uomini intendono darsi, secondo i tempi e i luoghi, ma prontaanche al martirio, nel caso che questi fossero inaccettabili dalla sua coscienza dinanzi al Signore”.

Padre De Gasperis conclude il capitolo con un appello: “I cattolici tornino a sentirsi prima di tutto cristiani”. A questo punto il padre gesuita ci invita a riflettere su quanto è successo in Europa dopo il 1989. In particolare con la caduta del comunismo e con la Chiesa del silenzio che ha ripreso la parola, si sono aperti nuove occasioni di ecumenismo cristiano e si sono posti altrettanti segni di integrazione fraterna tra le Chiese di Oriente e di Occidente. L’unificazione di tutta l’Europa, può rappresentare una nuova opportunità per la Chiesa, potrebbe essere “una splendida occasione per sanare con umile ragionevolezza i suoi scismi e le sue divisioni, più o meno insensati”. Un’opera iniziata da san Giovanni Paolo II, proseguita poi con Benedetto XVI e oggi con papa Francesco.

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