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Ho aspettato qualche giorno per poter raccogliere un po' di pareri sul fragore che hanno provocato le manifestazioni più o meno spontanee per la morte dell'afroamericano George Floyd. In tutto questo clamore, l'aspetto che più di ogni altro è importante valutare è la manifestazione insolita dell'”inginocchiatoio di massa”, la nuova “malattia” che ha colpito e contagiato il nostro Occidente, i nostri radicalchic, progressisti, democratici, di ogni risma.

Un «inginocchiatoio mediatico, allestito nella teatralità ipocrita della solidarietà verso i presunti discriminati, ha reclutato nell’omologante trending topic i soliti radical chic in versione salottiera. Non è stato il genere umano a pigiare il ginocchio sul collo di Floyd, ma l’agente di polizia Chauvin è stato l’autore del delitto che la legge americana ha incriminato per la sanzione che merita. Le sceneggiate dell’inchino collettivo confessano una subalternità culturale al nichilismo che come un rullo compressore vuole nullificare la storia». (Andrea Amata, “Con gli inchini l’Occidente muore di nichilismo” 12.6.2020, in “nicolaporro.it”)

Certo è anche legittimo manifestare e chiedere giustizia per Floyd, soprattutto quando viene fatto pacificamente, ma non ci convincono le evidenti strumentalizzazioni di certi movimenti, come i Black Lives Matter. «Non ci convince l’evidente tentativo di strumentalizzare politicamente la morte di Floyd contro l’amministrazione Trump (non ricordiamo mobilitazioni simili durante gli otto anni di Obama, eppure non mancarono neri uccisi dalla polizia), né l’inginocchiatoio di massa, il tentativo ancora più grave di criminalizzazione – questa sì razzista – dei “bianchi”, come se tutti solo perché “bianchi”dovessero sentirsi responsabili della morte di George Floyd, espiare una colpa collettiva, una specie di peccato originale di “suprematismo”». (Federico Punzi, “Altro che anti-razzisti, sono nemici della democrazia. Non ci inginocchieremo, non ci faremo rieducare né intimidire”, 8.6.2020, atlanticoquotidiano.it).

Peraltro si constata una resa morale e politica delle istituzioni e delle leadership occidentali, (tranne quella statunitense), «al senso di colpa, al politicamente corretto che sono oggi il vero cancro che rischia di dilaniare dall’interno l’Occidente, abbassando tutte le sue difese, prima di tutto culturali».

In questi giorni stiamo assistendo «ad un ribaltamento orwelliano della realtà, una grande scena di isteria di massa, surreali le analisi e i commenti dei media mainstream». Giustamente avverte Giulio Meotti, giornalista di spicco de Il Foglio:“Siete bianchi? Non sentitevi in colpa, non avete ucciso voi George Floyd. Essere bianchi è diventato una specie di peccato originale. Se non fate professione di penitenza per essere bianchi, omaggiando immigrazione di massa e multiculturalismo, diventate un suprematista bianco”.

Infatti in Italia già c'è chi vuole educarci, è il capo-sardina, il tal Santori. Dall'alto del suo scranno a rete unificate, ha sentenziato: gli italiani, i bianchi, hanno bisogno di una educazione civica. Al di là del personaggio, quello che oggi partorisce la sinistra   più profonda, è la solita tesi: «se non riusciamo a influire sulla realtà, pieghiamola alla nostra volontà democratica che, per mera evocazione di quella parola su cui abbiamo storicamente rivendicato il monopolio, è superiore».(Laura Hart, “Mistificazione di massa e demonizzazione dell'avversario: ecco come la sinistra vorrebbe rieducare il popolo che le vota contro”, 9.6.2020, atlanticoquotidiano.it)

In pratica la sinistra tutta, nell'’«impossibilità di riconoscere nella diversità della vita reale delle persone la pluralità di pensiero e opinione, che ne è la logica conseguenza, li conduce ancora dritti a quella fallacità storica e autoritaria del pensiero politicamente corretto che deve prescindere dalla realtà. Anzi, deve a tutti i costi diventare realtà, in un mondo ideale che garantisce il risultato elettorale democratico di cui sono l’unica legittima espressione».

In questo contesto, il principale nemico, di quel mondo ideale, oggi è il presidente americano Donald Trump, definito quotidianamente dai media mainstream come un’emanazione moderna niente meno che di Adolf Hitler.

Oggi le piazze occidentali che si inginocchiano contro Trump, come se avesse messo lui stesso il ginocchio sul collo di George Floyd, preferiscono di fatto inginocchiarsi al regime cinese che è il diretto esecutore delle atrocità commesse 31 anni fa contro gli studenti della piazza Tienanmen. «I cittadini di Hong Kong rischiano ogni giorno di essere sottomessi manu militari ad una vero e proprio regime sanguinario, ma l’Europa politicamente corretta continua a puntare sul “dialogo” con il Partito comunista cinese per risolvere i grandi problemi della Terra, a partire da quello del clima [...]».

Per certi versi fa quasi tenerezza questa sinistra radical che ha bisogno di inventarsi ciclicamente un feticcio. Per altri versi no, infatti, «La scena dei parlamentari del Pd, la solita Laura Boldrini in testa, inginocchiati nell’aula di Montecitorio per scimmiottare i colleghi dem americani, fa letteralmente pena. Non tanto e non solo per la strumentalizzazione di una vicenda certamente tragica, cui il tentativo di farne un uso politico non rende giustizia alcuna». (Claudia Passa, Una sinistra inginocchiata alla propria ideologia, 9.6.2020, l'occidentale.it)

Tutta questa gente che ora si prostrano in una sceneggiata accusatoria, in attesa del prossimo vitello d’oro. Sono quelli che hanno cancellato il genere di uomo e donna  hanno sdoganato la compravendita dei bambini; hanno teorizzato (e codificato) il diritto a morire anche per mano altrui.

Continua l'editoriale de l'Occidentale, «Li abbiamo visti occultare le nostre opere d’arte e voltarsi dall’altra parte di fronte a donne calpestate in ossequio all’islam. Li abbiamo visti rinnegare la libertà di pensiero in nome della lotta alla presunta omofobia. Li abbiamo visti in piazza al venerdì al seguito di una ragazzina svedese contro l’uomo cattivo che ha provocato il riscaldamento globale. Li abbiamo visti difendere il più spregiudicato e oppressivo dei regimi, che ha regalato al mondo il coronavirus. E adesso rieccoli al razzismo, perché c’è da contrastare la rielezione di Donald Trump e un bel movimento globale in nome di un uomo nero ucciso dalla polizia cittadina agli ordini di un sindaco democratico in uno Stato governato dai democratici non fa una piega […].(Ibidem)

Concludo con le sollecitazione di Federico Punzi che dirige il combattivo quotidiano online, Atlantico: «su questo piccolo ma combattivo vascello di Atlantico, non ci inginocchiamo, non ci facciamo rieducare né intimidire – soprattutto non da gente che avrebbe bisogno prima di tutto di un’istruzione di base. Si tratta di difendere l’Occidente con tutte le sue conquiste, non solo economiche, la sua cultura, la sua storia, la sua identità. La cosiddetta maggioranza silenziosa (nel frattempo diventata minoranza, chi lo sa…) dovrà farsi sentire, combattere la battaglia delle idee senza complessi, nei posti di lavoro, nel tempo libero, nelle conversazioni con gli amici, in famiglia, sui social media, nei bar e nelle piazze, con il voto, ovunque e in ogni momento.

E speriamo che la sfida sia raccolta da leadership all’altezza. Se non dal punto di vista culturale, almeno del coraggio».

 

 

Il 6 giugno è stato lanciato l’Alleanza Inter-Parlamentare sulla Cina (IPAC), una coalizione senza precedenti di Parlamentari del mondo democratico, con l'obiettivo di generare iniziative legislative e politiche nelle rispettive legislature, ma di concerto con gli alleati di altri Paesi, per affrontare le sfide poste della Cina contemporanea.

L'Alleanza Inter-Parlamentare sulla Cina è un gruppo internazionale di legislatori transpartitici che lavorano su una riforma dell'approccio dei Paesi democratici alla Cina. È composto da legislatori di tutto il mondo e guidato da un gruppo di Co-Chair, politici di alto livello tratti da una sezione rappresentativa dei principali partiti politici del mondo, da destra a sinistra, uniti sulla più grande sfida di politica estera del nostro tempo: la Cina. O, per essere più precisi, la questione di come affrontare il regime del Partito comunista cinese di Xi Jinping.

In meno di una settimana l’Alleanza, che al momento del suo lancio venerdì scorso era composta da 18 legislatori da 9 Paesi, ha raggiunto 104 adesioni da Parlamentari provenienti da 13 Paesi, rendendo l'Alleanza il più grande blocco di politici preoccupati per l'ascesa della Cina. Sono attese le adesioni di Parlamentari di almeno tre altri Paesi nella prossima settimana.

L’iniziativa, una delle coalizioni più geograficamente e politicamente diverse di sempre, approda anche in Italia, dove la consapevolezza trasversale sulla sfida posta dalla Repubblica popolare cinese è cresciuta notevolmente. La collaborazione transnazionale e trasversale tra legislatori del mondo democratico segna un decisivo passo in avanti nell’affrontare questa sfida comune, dove per troppo tempo sono stati i Paesi singoli a dover affrontare da soli le pressioni cinesi.

Siamo pertanto molto grati ai Senatori Lucio Malan (Forza Italia), Presidente del Gruppo interparlamentare di amicizia Taiwan-Italia, e Roberto Rampi (Partito Democratico), di aver accolto con entusiasmo la proposta dell’IPAC di aderire a questa importante iniziativa come Co-Chair italiani. Ringraziamo altrettanto i Parlamentari italiani che hanno già aderito come membri: Enrico Borghi (Partito Democratico), Andrea Delmastro Delle Vedove (Fratelli d’Italia), Paolo Formentini (Lega) e Roberto Giachetti (Italia Viva).

L’iniziativa non manca di ambizione. L'IPAC si concentrerà su cinque settori chiave della politica: salvaguardare il diritto internazionale e garantire che la Cina sia tenuta agli standard dell'ordine legale internazionale; difendere i diritti umani e garantire che a tali preoccupazioni sia data la dovuta importanza in tutti gli impegni con la Cina; promuovere l'equità commerciale; rafforzare la sicurezza; e promuovere uno sviluppo responsabile proteggendo le economie emergenti da investimenti o prestiti dalla Cina che compromettono i loro interessi o istituzioni nazionali.

L’iniziativa è aperta a tutti i Parlamentari che sottoscrivono i seguenti principi:
Gli stati democratici devono mantenere l'integrità dei loro sistemi politici e cercare attivamente di preservare un mercato di idee libero da distorsioni.
Un ordine internazionale libero, aperto e basato su regole che sostiene la dignità umana viene creato e mantenuto attraverso l'intenzione. La persistenza di un tale ordine richiede ai paesi affini di partecipare attivamente alla sua governance e applicazione.
Un assetto internazionale libero, aperto e basato su regole che sostiene la dignità umana viene creato e mantenuto attraverso la volontà politica. La persistenza di un tale assetto richiede ai paesi affini di partecipare attivamente alla sua governance e applicazione.

Amb. Giulio Terzi, Presidente del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella” e già Ministro degli Esteri ha accolto l’iniziativa: "Riunire un gruppo così diversificato di politici di alto livello provenienti da tutto il mondo non è un'impresa facile ma fondamentale in questa fase per affrontare le sfide poste al mondo democratico e libero dal Partito comunista cinese. Il successo e il valore di IPAC si misurerà anche nell'abilità di persone che potrebbero non essere d'accordo su molte cose, per identificare un terreno e valori comuni e la necessità di un approccio coordinato. Il tempo dirà che impatto ha. Ma dice qualcosa dell'importanza della sfida che affrontiamo nel fatto che questa alleanza si è riunita e invia un messaggio chiaro a Pechino: non è più business as usual.”
Reinhard Bütikofer, Deputato europeo, Co-Chair per il Parlamento europeo, ha commentato: "Vedere l'IPAC crescere e ottenere un sostegno sempre più diffuso e più forte da parte di un numero crescente di parlamenti crea speranza. E segnala al Partito comunista cinese che noi parlamentari ci stiamo impegnando a lungo termine”.

I membri attuali (11 giugno 2020) dell’IPAC sono:

Australia Andrew Hastie, Kimberley Kitching, Daniel Mulino, Raff Ciccone, Alex Antic, Amanda Stoker, Claire Chandler, Eric Abetz, Kevin Andrews, Tim Wilson, James Paterson, George Christensen; Canada Irwin Cotler, Garnett Genuis, Alex Ruff, Cathy Wagantall, Colin Carrie, Dan Albas, David Sweet, Greg McLean, Jasraj Singh Hallan, Kerry Diotte, Kyle Seeback, Leo Housakos, Michael Barrett, Philip Lawrence, Stephanie Kusie, Tom Kmiec, Stephen Greene, Judy Sgro, Nathaniel Erskine-Smith; Giappone Gen Nakatani, Shiori Yamao; Svezia Elisabet Lann, Fredrik Malm, Marial Nilsson, Tina Acketoft, Kerstin Lundgren, Niels Paarup-Peterson, Hampus Hagman, Lorentz Tovatt, Joar Forssell, David Josefsson; Regno Unito Sir Iain Dunacan Smith, Baroness Helena Kennedy, Andrew Selous, Anthony Mangnall, Catherine Meyer, Craig Mackinlay, Damian Green, David Davis, David Morris, Esther McVey, Gareth Davies, Gary Sambrook, Henry Smith, Imran Ahmed Khan, Liam Fox, Owen Paterson, Steve Baker, Tim Loughton, Tom Randall, David Alton, Natalie Bennett, Andrew Adonis, Judith Cummins, Rosie Cooper, Stephen Timms, Alistair Carmichael, Tim Farron, Alyn Smith, Stewart McDonald; Stati Uniti Bob Menendez, Marco Rubio, Anthony Gonzalez, Mike Gallagher, Ted Yoho, Tom Malinowski, Joaquin Castro, Chris Coons; Germania Margarete Bause, Michael Brand, Omid Nouripour, Gyde Jensen; Italia Enrico Borghi, Andrea Delmastro Delle Vedove, Paolo Formentini, Roberto Giachetti; Norvegia Trine Sei Grande, Michael Tetzschner; Lithuania Mantas Adoménas, Dovilé Sakaliené, Laurynas Kasčiūnas, Emanuelis Zingeris; Olanda Arne Weverling, Martijn van Helvert; Repubblica Ceca Pavel Fischer, Jan Lipavsky; Parlamento europeo Reinhard Butifkofer, Miriam Lexmann, Guy Verhofstadt, David Lega, e Karin Karlsbro.

 

 

 

I ministri degli Esteri di Italia e Grecia, Luigi Di Maio e Nikos Dendias, hanno firmato oggi ad Atene l'accordo sulla demarcazione delle Zone economiche esclusive (Zee) tra i due paesi. La firma dell'accordo è avvenuta nell'ambito della visita di oggi in Grecia da parte del ministro Di Maio. Secondo quanto riferito dal ministero degli Esteri ellenico, Di Maio e Dendias hanno siglato l’accordo dopo la dopo che “le preoccupazioni espresse da Roma sono state affrontate e risolte, principalmente per quanto riguarda i diritti di pesca nel Mar Ionio”. L'intesa sarebbe di fatto un'estensione di un precedente accordo sulla demarcazione dei confini marittimi risalente al 1977.

Il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias ha accolto oggi ad Atene il titolare della Farnesina Luigi Di Maio. Lo riferisce il ministero degli Esteri ellenico tramite il profilo Twitter, diffondendo le foto dell'incontro. Secondo quanto emerso in precedenza, il tema dei flussi turistici dovrebbe essere affrontato nell'incontro.

«Il ministro Di Maio mi ha aggiornato sui dati in Italia nettamente migliorati. La Grecia toglie dal prossimo lunedì, in maniera graduale fino alla fine del mese, tutte le limitazioni nei confronti dell’Italia. Esprimo i sentimenti di solidarietà da parte del popolo greco al popolo italiano».

Sulla decisione del Governo greco è intervenuto direttamente il Ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, che, come riporta Ansa dopo essersi congratulato con il collega greco per la decisione assunta ha aggiunto: “Sono contento che l’amico Dendias mi abbia rassicurato sul fatto che la Grecia aprirà all’Italia sicuramente entro la fine del mese, eliminando qualsiasi tipo di blocco e obbligo di quarantena per gli italiani con l’impegno a valutare, in base ai dati, una riapertura già dalle prossime settimane”.

Di Maio, concludendo il suo intervento, ha poi ricordato come sia importante avere regole e criteri uguali per tutta l’Unione Europea in tema di mobilità per evitare di danneggiare ancor di più il turismo, aggiungendo come sarebbe sbagliato lasciare le decisioni finali a singoli accordi tra i paesi.    

La stessa Grecia, la Turchia e Cipro si sono trovate ad un punto morto sulla questione, a sbloccarla potrebbe essere questo accordo del quale però non sono stati ancora forniti dettagli, dunque bisognerà aspettare per conoscerli e l’occasione buona sarà presumibilmente il termine della loro riunione, quando è atteso un annuncio congiunto per ufficializzare e comunicare l’accordo. Importante anche diplomaticamente, vista la recente chiusura dei confini greci al popolo italiano dovuta alla pandemia da Coronavirus.

A febbraio i due ministri degli Esteri si erano incontrati a Roma, e avevano discusso della possibilità di cooperare nella zona del Mediterraneo Orientale con particolare riferimento al settore dell’energia; i due Paesi stanno già collaborando nel progetto dei gasdotti, grazie al quale ogni anno dovrebbero essere trasportati 10 miliardi di metri cubi di gas offshore verso appunto Italia, Grecia e altre nazioni del Sudest europeo. Questo accordo è una sostanziale risposta a quello che era stato siglato mesi fa dalla Turchia e il governo libico – riconosciuto a livello internazionale – di stanza a Tripoli; il Paese ellenico lo aveva visto come una violazione ai propri diritti sovrani. Inoltre, Grecia e Turchia come noto sono in conflitto da tempo per varie questioni: dai diritti minerari nel mar Egeo alla divisione etnica di Cipro.    

Cm non si tratta più solo di Cipro. La compagnia petrolifera e del gas statale turca Turkish Petroleum ha ottenuto le licenze dal governo turco per esplorare petrolio e gas in 24 località del Mediterraneo orientale. Sette di queste località sono appena al largo delle coste delle principali isole greche. Si tratta di una provocazione diretta che ha fatto infuriare la Grecia e gli esperti temono che ciò possa portare a scontri una volta che la Turchia avvierà l’esplorazione.

Lo scorso fine settimana, la Turchia ha pubblicato la bozza di piano per la licenza di esplorazione di Turkish Petroleum. Mentre all’inizio della settimana, il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias ha dichiarato che il paese “è pronto a far fronte a questa provocazione se la Turchia dovesse decidere di attuare la sua decisione”.

Questo confronto tra paesi della zona ha messo radici in modo evidente nel 2010/2011 quando Israele ha scoperto gas offshore con i giacimenti di Leviathan e Tamar, che attualmente pompano ed esportano grandi quantità di combustibile minacciando di spostare l’equilibrio di potere dalla Turchia all’Egitto.

L’ultima mossa di Ankara sul rilascio di ulteriori licenze di esplorazione, anche invadendo il territorio marittimo greco, arriva dopo che Israele, Grecia e Cipro hanno firmato un accordo per costruire un gasdotto sottomarino per trasportare gas israeliano in Europa, tagliando fuori completamente la Turchia. EastMed, dal valore stimato di 7 miliardi di dollari, è lungo circa 2.200 chilometri e approda in Italia, correndo lungo la costa di Cipro e l’isola greca di Creta e attraverso la zona marittima egiziana e la zona marittima libica. Punto, quest’ultimo è dove la Turchia si è inserita.

Prima di questo accordo, Turchia, Libia e Cipro avevano accordi con il Libano e l’Egitto per l’esplorazione di petrolio e gas. Ma la nuova delimitazione raccoglie circa 39.000 chilometri quadrati di ZEE detenuti dalla Grecia.

La Turchia si troverà (come al solito) piuttosto sola in questa lotta con l’eccezione della Russia che trova i suoi progetti in linea con quelli di Ankara visto che il gas israeliano potrebbe minare il business del gas russo in Europa

Erdogan vorrà usare questa leva per forzare la coalizione del gasdotto a includere un legame trans-anatolico per il passaggio attraverso la nuova zona marittima delimitata tra Libia e Turchia. La sua nuova licenza di esplorazione per il petrolio turco nella zona marittima della Grecia ha lo scopo, infatti, di inviare un messaggio specifico: bloccate tutto e ci saranno problemi, sia al largo della Grecia sia al largo di Cipro. Erdogan, e il suo desiderio di ripristinare il valore dell’Impero ottomano in Turchia, sta insomma facendo leva per far parte di questa nuova equazione energetica.

Il Ministro degli affari esteri dell’UE Josep Borrell ha affermato che l’Unione europea ha inviato un “messaggio forte” alla Turchia, ma oltre ad essere “in stretto contatto” con i colleghi di Cipro e Grecia, ha cortesemente invitato la Turchia a “interrompere le perforazioni nelle aree in cui vi è una ZEE o acque territoriali di Cipro e della Grecia”, mentre Emirati Arabi Uniti e l’Egitto – hanno emanato una dichiarazione congiunta il mese scorso condannando quanto fatto dalla Turchia.

Cosi Grecia, Cipro, Egitto, Francia ed Emirati condannano la politica espansionistica della Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan che segna una nuova escalation nel Mediterraneo Orientale, con l'Italia in una posizione defilata, ma potenzialmente decisiva. Attraverso un comunicato congiunto, i ministri degli Esteri di questi cinque paesi hanno denunciato le "attività illegali turche in corso" nella zona economica esclusiva (Zee) di Cipro e nelle sue acque territoriali e “gli interventi turchi in Libia”.

Ma che cosa è poi una Zee, in linea di principio? Secondo la Convenzione del Diritto del Mare, del 1982 ma entrata integralmente in vigore il 16 novembre 1994, essa è la zona marina di massima estensione, ma solo e comunque fino a 200 miglia, in cui uno Stato costiero esercita i suoi diritti sovrani sulla massa d’acqua per la gestione delle risorse naturali, come la pesca o l’estrazione di idrocarburi o di altre sostanze e per la protezione ecologica e biologica dell’ambiente marino. Da non trascurare nemmeno la ricerca scientifica sui mari, che è oggi essenziale per l’evoluzione tecnologica.

Blue Stream, South Caucasus Pipeline, Southern Gas Corridor, il Tanap, il Turkish Stream, sono tutti tasselli di una futura egemonia turca nel mondo energetico, egemonia che è il primo dei pensieri di Recep Tayyp Erdogan. Da tutti questi comparti l’Italia non può rimanere esclusa e, comunque, farà bene, qualunque sia il governo in carica, a non lasciare sola l’Eni e a immaginare finalmente una geopolitica italiana nel Mediterraneo, che oggi, evidentemente, manca

Secondo l agenzia Nova Leonardo Bellodi  Senior Advisor ha dichiarato che , il diritto internazionale è dalla parte dei paesi del comunicato anti-turco. “La violazione della Turchia è evidente, basti pensare che Cipro Nord è riconosciuta unicamente da Ankara, ma il tema è un altro e riguarda l’enforcement di questa dichiarazione: cosa faranno gli Stati firmatari, cosa farà l’Unione europea nel momento in cui potrebbero esserci azioni di forza da parte della Turchia? Non dimentichiamo che quella è una frontiera dell’Unione europea. Cosa farà l’Ue, al di là delle dichiarazioni politiche, per affermare il diritto internazionale e la sovranità internazionale a fronte di queste ingerenze?”, si è chiesto Bellodi. Non è tutto. L’esperto ha nettamente bocciato il memorandum d’intesa sulla delimitazione dei confini marittimi firmato da Ankara e il Governo di accordo nazionale (Gna) della Libia. “Non tiene minimamente in considerazione le istanze degli altri paesi. Taglia in due il progetto East-Med, è una prova di forza che non trova giustificazione dal punto di vista economico né giuridico: la vedo come una provocazione politica inutile”.

 

 

 

 

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