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Sea Watch, il Csm fa quadrato

La decisione della toga agrigentina ha fatto parecchio discutere. La Vella ha infatti sostenuto la necessità da parte della capitana della Sea Watch di entrare nel porto di Lampedusa sottolineando i rischi che correvano i migranti a bordo della nave dell'ong tedesca. Adesso il Consiglio superiore della Magistratura ha deciso di aprire una pratica a tutela del gip. La richiesta è arrivata dal Comitato di presidenza di Palazzo dei Marescialli. Mercoledì scorso era partita infatti l'istanza con la firma di tutti i consiglieri togati del Csm. Al centro della pratica gli attacchi e le critiche ricevute dal gip dopo la sua decisione da parte di diversi esponenti del mondo politico, tra questi il ministro degli Interni, Matteo Salvini.

Come riferisce il giornale adesso la prima commissione dovrà esaminare e discutere la pratica. Di fatto dunque il Csm si schiera dalla parte del gip e prova a metterla a riparo dagli attacchi di questi giorni. Intanto sul fronte delle indagini, il prcuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio e l'aggiunto Salvatore Vella, hanno convalidato il sequestro della Alex di Mediterranea che era stato predisposto dalla Guardia di Finanza nella notte tra sabato e domenica. Il sequestro comunque è passato da prventivo a probatorio. In questo senso c'è il rischio che, come già accaduto in passato, al termine dei riscontri di indagine la nave possa essere dissequestrata e quindi tronare in mare. Contestualmente alla convdalida del sequestro è stato iscritto nel registro degli indagati il capo missione ndi Mediterranea, il parlamentare Erasmo Palazzotto. Infine va ricordato che la Guardia di Finanza ha anche rilevato un ingresso accidentale nelle acque terriotirali italiane da parte di Alex nella giornata di venerdì. E questa infrazione potrebbe far scattare una sanzione da 65mila euro e il seuqestro amministrativo (con confisca) dell'imbarcazione.

I recenti casi che riguardano soprattutto la Sea Watch e la Mediterranea Saving Humans, fanno ritenere a Salvini imprescindibile intervenire quando ancora i barconi ed i gommoni si trovano in acque territoriali libiche o tunisine. Ma ovviamente non può essere, sia per ragioni di diritto che per opportunità logistiche, la nostra marina ad effettuare salvataggi a ridosso di Libia e Tunisia.

Per cui secondo Salvini l’importante è adesso dare manforte a Tripoli e Tunisi sia con un ulteriore potenziamento dei mezzi, che con l’utilizzo degli aerei della nostra aeronautica che potrebbero più facilmente intercettare i mezzi con i migranti a bordo appena partiti dalle coste nordafricane.

Come riferisce il giornale in questa maniera, secondo il piano del Viminale che a breve potrebbe diventare realtà, Roma può giocare d’anticipo rispetto alle Ong ed intercettare ancora prima di Alarm Phone i barconi. In tal modo, con i mezzi degli scafisti ancora in acque libiche o tunisine, possono essere le motovedette delle locali guardie costiere a farsi carico del salvataggio.

I migranti quindi, verrebbero ricondotti nei paesi da cui sono partiti e non invece traghettati verso l’Italia. Per attuare questo piano, occorre ovviamente una maggiore intesa con i governi di Tripoli e Tunisi. Non meno importante è l’accordo con il ministero della difesa per l’utilizzo dell’aeronautica, un’intesa non certo scontata visti i recenti pesanti screzi tra Salvini ed il ministro Elisabetta Trenta.

Così come scrive Francesco Grignetti su La Stampa, da parte sua però la titolare del dicastero della difesa avrebbe già dato il via libera per un uso coordinato ed organico dei mezzi navali ed aerei per il controllo delle rotte del Mediterraneo.

Non mancano però delle difficoltà, in primis riguardanti la Libia. Il paese è sempre più nel caos, il governo di Tripoli è impegnato nella guerra contro il generale Haftar, più volte nelle ultime settimane si fa riferimento all’insicurezza della regione tripolina. Ma, soprattutto, c’è perplessità per quel che riguarda la tenuta stessa della Guardia Costiera libica, formata spesso da milizie impegnate lungo il fronte contro Haftar.

Un accordo sotto il profilo diplomatico è alla portata, del resto gli attuali canoni che regolano i rapporti tra guardia costiera libica e governo italiano risalgono al periodo di Minniti nel 2017. Fin quando però ci sarà la guerra nel paese nordafricano, l’effettiva applicazione degli accordi ovviamente rimane un’incognita.

Discorso diverso invece per la Tunisia: qui delle istituzioni ci sono, peraltro a breve dovrebbe partire anche una missione militare italiana nel paese volta proprio a potenziare le forze armate di Tunisi. Per di più, dalla Tunisia oramai parte il 40% dei barconi destinati all’Italia: dunque, un’operatività del piano di Salvini in questo paese potrebbe dare i frutti sperati dal leader leghista già a breve termine. 

Pero mentre l Italia si prepara ad affrontare la immigrazione proveniente dalla Libia la Turchia vende, in particolare, droni alle milizie vicine al governo guidato da Al Serraj, gli Emirati invece donano blindati ed altri mezzi al generale Khalifa Haftar.  

Questo perché sia Turchia che Emirati hanno tutto l’interesse ad armare le rispettive parti appoggiate. A Tripoli nelle ultime settimane è un via vai di aerei cargo che da Istanbul od Ankara trasportano nuovo materiale per Al Sarraj. Stesso discorso si può dire lungo l’asse Abu Dhabi – Bengasi, lì dove gli Emirati hanno nelle vicinanze una base in cui si coordinano con l’esercito di Haftar.  

Più la battaglia per la presa di Tripoli va avanti, più la fisionomia dello scontro appare come una vera e propria guerra per procura tra le principali potenze regionali. A partire, da quelle che si contendono l’influenza del mondo sunnita: Turchia da una parte e blocco saudita dall’altra, all’interno del quale emergono gli Emirati Arabi Uniti.

Avere il predominio sulla Libia vuol dire anche mettere le mani su un paese molto ricco di risorse. Già ai tempi di Gheddafi, la Turchia vanta investimenti miliardari in infrastrutture e rapporti sotto il profilo economico con molte aziende libiche. Una circostanza che fa di Ankara un attore importante in Libia, oltre che ramificato e questo è un altro elemento che depone a favore di un’alleanza con Al Sarraj.  

Ed in queste settimane attorno alla capitale libica sembra avviarsi una vera e propria guerra nella guerra, quella cioè relativa alle forniture di armi: Ankara ed Abu Dhabi si contendono il primato per la vendita di armamenti di ogni genere alle rispettive fazioni di riferimento, ignorando del tutto l’embargo imposto dall’Onu nel 2011.

Lo stallo in cui versa il fronte a 25 km dal centro di Tripoli, invece che spingere le parti ad un cessate il fuoco sta generando un aumento dell’intensità del conflitto come dimostra anche il recente caso relativo al bombardamento del centro per i migranti di Tajoura.

Sul piatto non c’è soltanto la contesa sulla Libia ma, più ingenerale, l’influenza del mondo sunnita: la Turchia, assieme al Qatar, appoggia i Fratelli Musulmani mentre dall’altro lato il blocco saudita è acerrimo nemico della fratellanza. Se Al Sarraj ha nel suo governo diversi esponenti dei Fratelli Musulmani, Haftar viene invece visto come l’unico affidabile baluardo contro il terrorismo ed ogni genere di islamismo, anche politico. Per questo viene quindi appoggiato dall’Egitto, il cui presidente Al Sisi dichiara la fratellanza fuorilegge, e quindi da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Miliardi ed investimenti che fanno gola anche ad Abu Dhabi ed a Riad. Ma non solo: avere la Libia significa avere quei porti che si affacciano dritti sul Mediterraneo centrale. E se gli Emirati con gli scali libici vogliono certificare la propria presenza nel Mare Nostrum, i turchi invece guardano con molto interesse alla loro strategia nel Mediterraneo orientale, che vede Ankara sempre più propensa a sfruttare, anche con il controllo di Cipro del nord, le risorse energetiche scoperte di recente in questa macro area.

Conflitto per l’influenza del mondo sunnita dunque, ma anche interessi relativi alle risorse petrolifere libiche ed alla posizione geografica del paese nordafricano: difficilmente vedremo, nel breve termine, turchi ed emiratini provare a lavorare per una diminuzione almeno delle rispettive forniture di armi. E questo significa dunque vedere quasi come un miraggio il cessate il fuoco.
 
Intanto noi litighiamo su immigrazione e non immigrazione ... ma chi crea il problema : Missili francesi tra le forze di Haftar ora Macron non può più mentire...Parigi lo ammette: i missili Javelin trovati nella base dei combattenti di Haftar a Gharian, in Libia, erano effettivamente francesi. Confermando la rivelazione del New York Times, il ministero della Difesa francese non ha potuto negare quanto sostenuto dai reporter americani: “I missili Javelin trovati a Gharian appartengono effettivamente ai militari francesi, che li hanno acquistati negli Stati Uniti”. Queste le scarne dichiarazioni con cui Parigi ha fatto un’ammissione che potrebbe scatenare un nuovo scontro sulla Libia e in cui l’Italia potrebbe essere molto interessata. Perché è chiaro che la presenza di quei missili che hanno caratterizzato per 26 anni i conflitti mediorientali (dalla prima Guerra del Golfo all’invasione dell’Iraq nel 2003) non possono non provocare imbarazzo nella cancelliera francese, che da sempre continua a ribadire di non essere coinvolta in alcun modo nel conflitto tra la parte orientale e quella occidentale del Paese nordafricano.

La domanda dei reporter del Nyt è una sola: perché quattro missili anticarro made in Usa, acquistati dalla Francia nel 2010, sono stati trovati nel Comando generale del maresciallo della Cirenaica. Secondo le fonti francesi, i missili facevano parte di un lotto di 260 razzi venduti da Washington a Parigi. Le stesse fonti hanno poi confermato che queste armi sarebbero state usate per proteggere “le forze francesi schierate in Libia per operazioni di intelligence e di terrorismo”. Una conferma che dimostra due cose: la prima, che i francesi sono presenti con le forze speciali in territorio libico già dal 2010; la seconda, che esse fossero presenti proprio a Gharian, nodo cruciale dell’assedio di Tripoli da parte delle truppe del generale Haftar.
 
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