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Una alleanza per 'l'Indipendenza' nel nome della Costituzione "dove c'è anche traccia di Giovanni Gentile". Una alleanza "che non può che portarci a vincere". Gianni Alemanno scommette sul futuro del suo nuovo movimento -'Indipendenza' appunto il nome scelto- che sottoscrive a Roma l'intesa con l'ex  comunista Marco Rizzo. Formazione nuova di cui l'ex sindaco di Roma, ha svelato ieri simbolo (con fiocco tricolore) e programma e che potrebbe essere già in campo alle prossime europee. Un raggruppamento 'multipolare' che vede insieme ex di An, come Fabio Granata e Marcello Taglialatela, l'ex Casapound Simone Di Stefano, Massimo Arlechino, anche lui ex An e ideatore del simbolo. E personaggi appunto come Rizzo e Francesco Toscano, del gruppo di 'Democrazia sovrana e popolare'. Converge anche Cateno De Luca, sindaco di Taormina, presente in sala e tra gli intervenuti. Non manca un ex leghista come il veneto Vito Comencini, che promette il suo appoggio per le battaglie "identitarie".

L'ex rifondazione comunista scandisce il programma: "Vogliamo un'Italia indipendente che non faccia parte della Nato e dell'Ue, che non sia sotto la dittatura dell'euro". Critiche al premier arrivano anche dall'ex leghista veneto, Vito Comencini.

Il percorso è iniziato mesi fa: si è partiti dal comitato 'Fermare la Guerra' - che, ispirato dalle parole di Papa Francesco, chiedeva la risoluzione del conflitto tra Russia e Ucraina -, per arrivare al 'Forum dell’Indipendenza Italiana'. Alemanno è stato portavoce di entrambi e oggi si propone come ariete del nascente movimento che però sarà incentrato soprattutto sul "Noi". Un partito che andrà oltre destra e sinistra e che cercherà di parlare anche con il mondo del dissenso attirato da alcuni temi. Tra questi spiccano sicuramente il rifiuto dell'europeismo sfrenato e, soprattutto, dell'atlantismo e dell'iper atlantismo. "Uno dei 5 pilastri su cui si fondano i principi del nostro nostro movimento è la Dottrina sociale Cattolica", ricorda parlando con l'AGI Alemanno che non nasconde di essere stato ispirato più volte dalle parole di Papa Francesco sul mondo multipolare.

Non sarà un partito cattolico in senso stretto, ma un movimento che guarderà con grande interesse al mondo dei credenti e avrà, tra i fari, la Dottrina sociale della Chiesa. Unirà alcune battaglie identitarie a difesa della famiglia tradizionale, della vita e contro l'aborto alla lotta per il diritto delle classi più svantaggiate e di una borghesia ormai schiacciata dalla grande finanza industriale e dalle multinazionali. Valori di destra dunque, ma idee di sinistra (citazione by Diego Fusaro, controverso filosofo torinese).

La nuova creatura politica di Gianni Alemanno è pronta ad esordire (non si sa ancora se già alle elezioni europee del giugno 2024) e a stupire (l'obiettivo non dichiarato è superare l'asticella del 4%). Si chiamerà 'Movimento dell'Indipendenza Italiana' e, a farne parte, oltre all'ex sindaco di Roma ed ex ministro dell'Agricoltura, ci saranno, tra gli altri, l'ex CasaPound Simone Di Stefano; Massimo Arlechino, già ideatore del simbolo di Alleanza Nazionale, gli ex An Fabio Granata e Marcello Taglialatela e Nicola Colosimo, portavoce dei giovani di 'Magnitudo'.

"L’Italia, per posizionarsi in un mondo multipolare, deve rilanciare il proprio rapporto con i paesi Brics Plus, sviluppando progetti di cooperazione economica, finanziaria e culturale, nel quadro di un positivo e rispettoso rapporto tra Occidente e Oriente, e cercando di coinvolgere le altre Nazioni europee in questi progetti con il 'Sud globale' che è uno spazio abitato da 6.4 miliardi di persone e che rappresenta un grande mercato potenziale per il nostro paese", si legge ancora nel documento. E, per fare questo, "bisogna mettere da parte ogni retorica sulla 'superiorità della civiltà occidentale' e sul 'pericolo delle autocrazie'".

"Oggi nasce un nuovo movimento che ne mette insieme tanti. Così come sono tantissimi i temi e le proposte che faremo: dalla risposta alle emergenze del sociale, a quelle sanitarie e ai vaccini", conclude Di Stefano. E proprio ai vaccini e soprattutto a Big Pharma è dedicata la quinta e ultima parte del programma. "Le multinazionali del farmaco, Big Pharma, stanno costruendo la dittatura sanitaria - si legge -, cominciata con le campagne vaccinali per il Covid e oggi proiettata a conferire ad una Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) privatizzata il controllo della sanità mondiale e della salute di ognuno di noi e delle nostre famiglie". 

"Non condivido il sarcasmo e il corale disprezzo manifestato in questi giorni verso Gianni Alemanno e Marco Rizzo e la loro presunta alleanza "rosso bruna", come è stata definita dai media allo scopo di screditare in partenza. Lo dico oggi in occasione del Forum per l’indipendenza italiana che ha indetto Alemanno a Roma, a cui parteciperà Rizzo.

Conosco Alemanno da svariati anni e ho simpatia per Rizzo; condivido molte delle loro critiche al mainstream e all’establishment, al capitalismo globale, alla politica estera e alla politica sottomessa. Le loro idee sono tutt’altro che isolate, stravaganti o marginali; esprimono anzi un diffuso sentire e un più diffuso scontento, a partire dall’inevitabile delusione nei confronti dei governi che hanno guidato e guidano l’Italia da alcuni anni. Il caso Olanda o Argentina dovrebbe indurre a chiedersi come mai vincono spesso i leader e i movimenti più ostracizzati e screditati dai media". scrive Marcello Veneziani

Fonte adnkronos/affaritaliani/marcello Veneziani/Agi e varie agenzie

 

Il premier e leader del partito conservatore greco Kyriakos Mītsotakīs, uscito vincente dalle elezioni di domenica, chiede un nuovo voto: "Ci stiamo dirigendo verso nuove elezioni (...) il prima possibile", ha dichiarato Mitsotakis durante un incontro con il presidente della Repubblica, Katerina Sakellaropoulou "possibilmente il 25 giugno" ha aggiunto. Nonostante la vittoria schiacciante con oltre il 40% dei voti, Mitsotakis non raggiunge il suo obiettivo di una maggioranza assoluta dei seggi nel nuovo Parlamento e dunque porterà il Paese di nuovo alle urne prima di luglio per consolidare il risultato.

E una vittoria schiacciante, quella del partito conservatore di Kyriakos Mitsotakis nelle elezioni parlamentari di ieri in Grecia.

Tuttavia, è chiaro che Mitsotakis non raggiunge il suo obiettivo di una maggioranza assoluta dei seggi nel nuovo Parlamento e dunque porterà il Paese di nuovo alle urne entro luglio per consolidare il risultato.

Nuova Democrazia (ND) ottiene il 40,8% dei voti (su risultati ancora parziali), in netto vantaggio sulla sinistra dell'ex premier Alexis Tsipras, che si ferma al 20% dei voti, davanti al partito socialista Pasok-Kinal che incassa l'11,6%.

Salutando la sua vittoria come "un terremoto politico", Mitsotakis, al timone dal 2019, ha già fatto capire che vuole andare a nuove elezioni, che potrebbero tenersi alla fine di giugno o all'inizio di luglio, e gli consentiranno, se confermerà questa performance, di ottenere la maggioranza assoluta. "Il risultato ha dimostrato che ND ha il consenso dei cittadini a governare da solo", ha detto il leader conservatore.  

Le elezioni di ieri si sono svolte infatti con un nuovo sistema elettorale proporzionale, che elimina l'assegnazione dei 50 seggi al partito più votato, ma quando si tornerà a votare il premio di maggioranza verrà reintrodotto: e al governo di destra basterà il 37% dei voti per governare con la maggioranza assoluta dei seggi.

Mitsotakis, laureato ad Harvard ed ex consulente di McKinsey, è arrivato al voto con il vento in poppa. La Grecia gode quasi di buona salute economica: la disoccupazione e l'inflazione sono diminuite, la ripresa del turismo post-Covid ha portato la crescita al 5,9% nel 2022.  

Il risultato è un duro colpo per Tsipras, che ha perso la sua quarta battaglia elettorale consecutiva dopo essere stato premier dal 2015 al 2019, mandato durante il quale ha condotto i negoziati molto difficili con i creditori che fecero quasi uscire la Grecia dall'euro. Tsipras ha lasciato sul terreno un terzo dei voti ottenuti nel 2019, e in alcune aree è perfino arrivato alle spalle del partito socialista Pasok-Kinal, guidato dal 44enne Nikos Androulakis.  

Un'altra vittima del voto è stato l'ex ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, il cui partito di sinistra anti-austerità MeRA 25 non arriva in Parlamento.

Del resto, il migliore alleato del governo di destra sono state le divisioni dell'opposizione, che è andata al voto frammentata e conflittuale.

Mitsotakis ha commentato: "Correremo più velocemente, per migliori stipendi, posti di lavoro, un migliore sistema sanitario, una Grecia più forte" e ha aggiunto: "Sono fiero e sento il peso della responsabilità per un risultato così importante".

Il voto di ieri è il primo della Grecia da quando la sua economia ha cessato di essere sotto stretta supervisione da parte di istituti di credito internazionali che avevano fornito fondi di salvataggio durante la quasi decennale crisi finanziaria del Paese.

La politica, per Kiriakos Mitsotakis, è cosa di famiglia dai primi istanti di vita. Si dice «nato prigioniero politico», perché quando il 4 marzo 1968 è venuto al mondo era ai domiciliari, imposti al suo clan dalla giunta militare. Quando aveva sei mesi di vita i suoi lo portarono in Turchia, in un esilio che sarebbe durato sei anni. Poi i colonnelli sono caduti. I Venizelos-Mitsotakis no.

Certo Kiriakos Mitsotakis non è il solo politico greco ad appartenere a una dinastia. Il suo ex ministro dei Trasporti, che poi si è dimesso in seguito al tragico incidente ferroviario di Tempi, il 1 marzo scorso, è nipote di presidente, un altro dei tre Kostas Karamanlis che si sono avvicendati nella politica del Paese, uguali persino nel nome. A marzo si è dimesso, scusandosi per le colpe infrastrutturali che hanno portato al peggiore incidente ferroviario della storia greca (57 morti, 85 feriti). 

Alle elezioni di maggio si è ricandidato ancora con Nea Demokratia, e gli elettori — della sua circoscrizione di Serres, in Macedonia Centrale — hanno perdonato anche lui. Poi ci sono i Papandreou; i Bakoyannis — come il 47enne Costas, sindaco di Atene, anche lui di Nea Demokratia — imparentati ancora con i Mitsotakis. Ma nessuno riesce come Kiriakos Mitsotakis, ora alle soglie del secondo mandato, a presentarsi come un «uomo nuovo», quasi un outsider, al servizio della svolta del Paese verso il progresso.

Dal 2019, quando Mitsotakis è diventato premier per la prima volta, Tsipras e il suo partito sono sempre stati di sei punti percentuali fissi sotto di lui, nei sondaggi. Ma il voto di ieri ne ha divorati altri 14. Come è stato possibile? «Il vero avversario della sinistra non è nemmeno Mitsotakis, ma la sinistra stessa. Continua a non trovare un’identità dopo gli anni della crisi», spiegava al Corriere la notista politica di Kathimerini Dora Antoniou. Il partito socialista Pasok, andato bene dopo anni di vacche magre, ha fatto palesemente incetta di voti di Syriza. Bene anche i comunisti del KKE. «E poi Syriza ha inanellato errori clamorosi». Quasi incredibili.

Venerdì, secondo il corriere della sera,a poche ore dal silenzio elettorale, l’ex ministra di Tsipras Theano Fotiou ha detto che «le riforme le deve pagare la classe media». Cioè chi guadagna, e lo ha ripetuto, «più di cinquemila euro l’anno». Il giorno prima l’ex ministro George Katrougalos si era fatto scappare un «tasseremo gli autonomi» che lo ha costretto a ritirarsi dalle elezioni. «E a parte queste boutade, l’assenza di una politica economica credibile da parte di Syriza, a cui la gente non ha ancora perdonato l’austerity del 2015, è costata carissima». 

Nemmeno le politiche migratorie dure — sottolinea il corriere della sera,la costruzione e la proposta di prolungamento di un muro con la Turchia per fermare chi arriva dall’Asia centrale; il video di pochi giorni fa che mostra la guardia costiera greca abbandonare in mare un gommone di donne e bambini - gli costano troppo dissenso. L’economista radicale Yanis Varoufakis, il cui partito alle elezioni è rimasto sotto la soglia di sbarramento e quindi archiviato, ha parlato di una «orbanizzazione» o di una «erdoganizzazione» del Paese, con la vittoria di Mitsotakis: pugno duro, paura per lo stato di diritto, sovranismo e liberismo economico. Una ricetta che ai greci, reduci da un decennio nero di osservati speciali dell’economia europea, evidentemente non fa paura.

Mitsotakis si propone soprattutto come l’uomo della crescita, e delle riforme che «per metterle in atto», ha detto nel discorso in cui ratificava la vittoria elettorale, «hanno bisogno del mandato pieno degli elettori». Tradotto: con il voto di ieri Nea Demokratia guadagna 146 deputati. Ne mancherebbero cinque per la maggioranza assoluta, e nulla osterebbe alla vecchia tradizione politica del «mercato delle vacche»: si potrebbe, e si è sempre fatto, convincere qualche deputato neoeletto a passare con i conservatori. O si potrebbe tentare un’alleanza improbabile con i socialisti, i cui telefoni il governo di Mitsotakis ha intercettato fino all’estate scorsa in uno scandalo che non è costato, nei sondaggi, neppure un decimale.

Ma anche questa strada resterà percorsa solo formalmente, e a breve Kiriakos Mitsotakis rimetterà il mandato di formare il governo nelle mani della Presidente della Repubblica. Che lo passerà al secondo classificato, Tsipras: il quale però non ha i numeri, né gli alleati, per una proposta concreta. Venticinque giorni dopo il nulla di fatto — dunque si pensa il 25 giugno o il 2 luglio — la presidente riconvocherà le urne. Con la nuova legge elettorale, che ritorna ai vecchi, cospicui premi di maggioranza (fino a 50 deputati), Mitsotakis sarà primo ministro praticamente per acclamazione, e potrà governare da solo.

Fonte corriere della sera . rai..e varie agenzie

Piero Sansonetti durante la conferenza stampa con Renzi, all'Associazione della Stampa Estera fa una rivelazione :  "Se Colombo racconta il vero, il pool di Mani Pulite commise un reato piuttosto serio: violò l’articolo 338 che punisce la minaccia a corpo politico, un atto che è difficile non considerare un vero e proprio colpo di Stato". Così Piero Sansonetti durante la conferenza stampa con Renzi per il lancio della nuova direzione de Il Riformista.

"Tangentopoli fu un colpo di Stato": il concetto pubblicato su Il Riformista è tanto chiaro quanto sconvolgente. Gherardo Colombo, ex pm del pool Mani Pulite,"racconta di uno scambio che i magistrati avrebbero proposto ai politici finiti sotto inchiesta: impunità in cambio di confessioni. E"lo mette nero su bianco"nellʼintroduzione al libro "LʼUltima Repubblica" di Enzo Carra, lʼultimo portavoce della Dc scomparso il 2 febbraio.

Un tentato golpe nel 1992 tentò di rovesciare la democrazia. A denunciarlo oggi è Enzo Carra scrive il Riformista . Sì, perché Enzo Carra parla. Parla ancora. A tutti. L’oscenità delle manette con cui lo volevano umiliare non lo ha messo a tacere. È morto lo scorso 2 febbraio, l’ultimo portavoce della Democrazia Cristiana. Ma poco prima di morire ha affidato all’amico Vincenzo Scotti, patron della Link Campus e della casa editrice Eurilink, un testo. Un manoscritto denso di rivelazioni, informazioni, ricostruzioni. Un memoriale inestimabile, soprattutto perché costruisce un terreno di confronto con la controparte – i magistrati della Procura di Milano – che ci permette di leggere anche i disegni dei Pm senza più tanti filtri. Senza infingimenti.

Che dietro la furia giustizialista di Mani Pulite si celasse una sorta di rivoluzione atta a sostituire per via giudiziaria la classe politica che aveva governato l’Italia per quattro decenni era noto ormai da tempo. Che uno dei magistrati-rockstar di quel pool che, a suon di avvisi di garanzia e carcerazioni preventive, rase letteralmente al suolo la Prima Repubblica potesse arrivare fare certe rivelazioni, è invece una novità assoluta scrive S.di Bartolo su porro.it.

Queste le sconvolgenti rivelazioni del membro del pool milanese che racconta, senza neanche troppi giri di parole, la proposta indecente avanzata dalla Procura meneghina alla “politica”, intesa nella sua accezione più ampia, ovvero in quanto potere politico. In pratica, una sorta di trattativa segreta Stato-Tangentopoli, come la definisce Piero Sansonetti dalle colonne del Riformista, con un potere dello Stato, quello giudiziario, che di fatto propose alla politica di abdicare per aver in cambio l’immunità. Sconvolgente, sì. Ed anche illegale, dal momento in cui la proposta in questione rappresenta una palese violazione del codice penale, e, nella fattispecie, dell’art. 338, che punisce, ed anche abbastanza severamente (le pene prevedono fino a sette anni di reclusione), la minaccia a corpo politico dello Stato.

Gherardo Colombo, l’ex Pm che è stato nei primi anni novanta uno dei cinque grandi protagonisti dell‘inchiesta “Mani Pulite” – quella che rase al suolo la prima Repubblica – ha scritto una introduzione al libro di Enzo Carra (uscito postumo in libreria in questi giorni) nella quale ci svela un aspetto finora sconosciuto di quella stagione. Sconosciuto e sconvolgente.
Le rivelazioni le fa il giornale "Il Riformista".
Ci dice che nel luglio del 1992, quando le indagini erano ancora alle prime battute, fu suggerito ai politici di confessare i propri delitti e di uscire dalla vita pubblica in cambio dell’impunità.
Colombo dice esattamente che se i politici avessero accettato le condizioni dei Pm, in cambio non avrebbero avuto “a che fare con la giustizia penale”. In pratica fu proposta una trattativa segreta Stato-Tangentopoli . 

Ovviamente del tutto illegale scrive il Riformista . Dal punto di vista del codice penale, se Colombo racconta il vero, il pool commise un reato piuttosto serio. Violò l’articolo 338 che punisce severamente la “minaccia a corpo politico”. Nella sua ricostruzione dei fatti, Colombo non parla di singoli politici, o di imputati: parla di “politica”, al singolare, cioè si riferisce esattamente del “soggetto collettivo” al quale, evidentemente, fu proposta la trattativa con la minaccia del carcere. L’articolo 338 del codice penale prevede pene fino a sette anni di reclusione. Ovviamente i reati sono caduti in prescrizione, però resta la ferita allo Stato.

Come scrive il Riformista Se davvero la procura di Milano chiese a quella che allora era la classe dirigente, legittimamente eletta, di farsi da parte, minacciando altrimenti l’arresto e il carcere, compì un atto che è difficile non considerare un vero e proprio colpo di Stato. Non in senso metaforico, simbolico: nel senso pieno e letterale della parola. L’accordo non ci fu. La politica si dimostrò migliore della magistratura. Il ricatto non funzionò. E però la Storia ci dice che il disegno politico della Procura di Milano – sempre se è vero quello che dice il dottor Colombo – fu comunque portato avanti, con gli arresti sistematici, con l’aggiramento del Gip, con i mandati di cattura a rate, col sistema delle relazioni ottenute in cambio di scarcerazioni o con nuovi mandati di cattura, con una lunga scia di suicidi. Ed eliminò dalla scena tutta la classe politica di governo, più o meno come succedeva spesso in America Latina.

Cinque partiti sottolinea il Riformista che avevano governato l’Italia per quarant’anni, distrutti. E il partito forte dell’opposizione di sinistra, il Pci, colpevole come gli altri ma salvo perché complice dei pubblici ministeri e traditore dei sodali con cui aveva sempre spartito il “bottino”. Che poi bottino non era, ma finanziamento illecito. Tutto era partito da Milano, da quella che diventerà proprio allora la procura più famosa e vezzeggiata d’Italia e che oggi piange le proprie macerie. E proprio a Milano i due tesorieri della Dc e del Pci avevano illustrato ai magistrati il meccanismo del trenta per cento nella spartizione delle tangenti che gli imprenditori pagavano alla politica sulle grandi opere. Avevano anche spiegato che nella quota destinata al Pci, due terzi andavano nelle casse della segreteria nazionale occhettiana e un terzo era destinato alla minoranza “migliorista”. Questa parte del finanziamento illecito dei partiti rimase però in ombra, per motivi generali (ai magistrati era utile avere un partito importante che appoggiava la loro inchiesta) e anche relativi all’impronta di sinistra dei principali uomini del pool.

Continua sui suoi articoli il giornale il Riformista : Mani Pulite e Mani Sporche. Tutto sta a intendersi, per giudicare questi trent’anni, quelli che ci separano da un piccolo episodio che creò una grande valanga politica, un colpo di Stato senza armi. Ma con il sangue, quello dei morti suicidi, da Sergio Moroni a Gabriele Cagliari e gli altri quaranta. Le vittime di quella rivoluzione che assunse un nome da Stato Etico, quello di Mani Pulite. Il contraltare di chi aveva invece le Mani Sporche. La storia la scrivono i vincitori, questo lo si sa. Ed è chiaro che da quei due anni tremendi che furono il 1992 e il 1993, quelli delle bombe con le uccisioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e in contemporanea le inchieste di Tangentopoli, chi uscì con le ossa rotta fu la Politica.

Insomma, la “trattativa” non si poté concretizzare per l’indisponibilità della politica a farsi da parte, ma i magistrati trovarono comunque altre vie per mettere in atto, con la connivenza dei media e della ‘grande finanza’, il golpe mediatico-giudiziario che nel biennio ’92-‘94 soppresse dalla scena politica i partiti storici della prima Italia repubblicana.

Fonte Il Riformista / Porro.it

 

Nuova Democrazia perde la maggioranza assoluta, ma comunque tiene a oltre 20 punti percentuali di distanza Syriza, che esce sconfitta anche peggio di ND. I socialisti del Pasok, i Comunisti e Soluzione Greca (ECR) vincono e aumentano i voti.

Evidentemente le politiche di ND non sono state ritenute sufficienti, anche se hanno portato a un fisco più leggero e un aumento delle paghe minime. Syriza è deludente, non è una vera opposizione, e riconquista spazio il vecchio avversario di sinistra moderata del Pasok, che sembrava destinato a sparire. Successo per i comunisti mentre i conservatori si appoggiano a EL. Probabilmente il prossimo governo vedrà una spinta verso destra con un’alleanza ND e EL, che qualche conseguenza a livello europeo la potrebbe avere. Si avvicina sempre di più il momento in cui ci sarà un’alleanza conservatrice anche a Bruxelles.

Il premier e leader del partito conservatore greco Kyriakos Mītsotakīs, uscito vincente dalle elezioni di domenica, chiede un nuovo voto: "Ci stiamo dirigendo verso nuove elezioni (...) il prima possibile", ha dichiarato Mitsotakis durante un incontro con il presidente della Repubblica, Katerina Sakellaropoulou "possibilmente il 25 giugno" ha aggiunto. Nonostante la vittoria schiacciante con oltre il 40% dei voti, Mitsotakis non raggiunge il suo obiettivo di una maggioranza assoluta dei seggi nel nuovo Parlamento e dunque porterà il Paese di nuovo alle urne prima di luglio per consolidare il risultato.

Le nuove elezioni dovranno tenersi con un diverso sistema elettorale, approvato proprio durante il governo di Nea Dimokratia, che assegna direttamente un bonus di seggi, fino a un massimo di 50, al partito vincitore. "Prima si chiude questa questione in sospeso, meglio è, per discutere dei veri problemi della società greca": ha dichiarato il premier uscente durante l'incontro con la presidente della Repubblica Katerina Sakellaropoulou, quando gli aveva conferito il mandato esplorativo per formare un nuovo governo.

Cosi il premier e leader del partito conservatore greco Kyriakos Mītsotakīs, uscito vincente dalle elezioni di ieri, chiede un nuovo voto "possibilmente il 25 giugno"

Mitsotakis ha sottolineato che non ci sono le condizioni per le trattative e ha quindi annunciato che nel pomeriggio restituirà il mandato esplorativo. Il premier ha poi ribadito che con il prossimo sistema elettorale, visto il risultato di ieri, "Nea Dimokratia avrà una forte maggioranza". Dopo avere ricevuto il mandato esplorativo, Mitsotakis ha chiamato il leader di Syriza Alexis Tsipras, come riporta il sito di Kathimerini. Secondo la prassi prevista dalla Costituzione, quando Mitsotakis rinuncerà al mandato, la presidente della Repubblica convocherà il leader del secondo partito, ovvero Tsipras, per tentare la formazione di un governo.  

I greci alle urne hanno confermato la loro fiducia nel premier uscente Mitsotakis, capo del partito conservatore di Nea Dimokratia, che stacca l'opposizione. Il risultato non appare però sufficiente a formare un governo monocolore senza far ricorso a un'eventuale coalizione. E Mitsotakis quindi rinuncia a un mandato esplorativo per ripresentarsi al voto il 25 giugno, con un sistema elettorale che gli potrà garantire una più sicura maggioranza. La Borsa di Atene vola dopo l'esito elettorale, e con la riconferma della fiducia nel premier uscente, e scende il rendimento del titolo di Stato a 10 anni.

"Un terremoto politico". Così il premier uscente, a capo del partito conservatore di Nea Dimokratia, ha definito ieri il miglior risultato conseguito dai conservatori in Grecia dal 2007. Il suo partito ha ottenuto il 40,79%, superando di oltre 20 punti il rivale di sinistra Syriza, guidato dall'ex premier Alexis Tsipras, che si è fermato al 20,07. Nea Dimokratia ha ottenuto così 146 seggi nel Parlamento composto da 300 parlamentari e non è riuscita ad aggiudicarsi, per poco, la maggioranza assoluta. Il risultato non è stato dunque sufficiente a formare un governo monocolore e senza far ricorso a un'eventuale coalizione.

La terza forza politica, il Pasok, ottiene l'11,46% e festeggia il risultato (nelle elezioni del 2019 aveva preso l'8%) soprattutto perché, di fronte al crollo vertiginoso di Syriza, il partito è tornato a crescere. Soddisfatto del risultato è anche il Partito comunista greco (Kke) che aumenta in questa tornata i consensi, ottenendo il 7,21% rispetto al 5,30% di quattro anni fa. Un leggero incremento dei voti va anche a Soluzione greca (Elliniki lisi) partito di estrema destra che entra in Parlamento con il 4,45% (nel 2019 aveva ottenuto il 3,70%).

La Borsa di Atene vola dopo l'esito delle elezioni con la riconferma della fiducia nel premier uscente Kyriakos Mitsotakis. In picchiata il rendimento del titolo di Stato a dieci anni

"I dati delle urne sono chiari: il messaggio è che Nea Dimokratia è autonoma", ha osservato il premier uscente, spiegando che il sistema "proporzionale porta a vicoli ciechi": "Alle prossime elezioni dimostreremo che quello che hanno voluto i cittadini, l'autosufficienza di Nea Dimokratia, verrà confermato matematicamente".

"Oggi votiamo per salari più alti, votiamo per posti di lavoro più numerosi e migliori, per un Paese più forte, con un ruolo importante in Europa, con confini protetti".

Lo ha dichiarato il premier uscente greco Kyriakos Mitsotakis fuori dal seggio elettorale in cui si è recato a votare questa mattina, nel sobborgo a nord di Atene di Kifisià.

Davanti ai giornalisti, il leader del partito conservatore di Nea Dimokratia si è detto "assolutamente certo che domani sarà un giorno ancora migliore per il nostro Paese".Ad Atene ha votato questa mattina anche il segretario di Syriza Alexis Tsipras. Fuori dal suo seggio nel quartiere di Kypseli, il leader dell'opposizione ha dichiarato che oggi i greci hanno la possibilità di "lasciarsi alle spalle quattro anni di disuguaglianze e ingiustizie" e un "governo arrogante che non sente i bisogni dei molti". Il segretario di Syriza ha poi concluso: "Il cambiamento oggi è nelle mani del nostro popolo".

Dopo la vittoria di Nea Dimokratia di Kyriakos Mitsotakis, che nelle elezioni di domenica ha ottenuto il doppio dei voti di Syriza, il partito di sinistra guidato dall’ex premier Alexis Tsipras, ci aspettiamo titoli che lamentano l’avanzata della destra in Europa. Qualcuno accenna persino ad un effetto Giorgia Meloni, la quale ha dovuto ricredersi da quando, nel 2015, scriveva  “Tsipras, in Grecia, è distante da noi anni luce, ma il risultato delle elezioni in Grecia racconta il fallimento delle politiche della Troika e la voglia di libertà che arriva dai popoli europei. Noi, in Italia, lavoriamo per costruire una risposta credibile a quel bisogno e la nostra stella polare è l’interesse nazionale. Perché la risposta non è l’internazionale dei popoli, ma la riscoperta delle patrie”.

Qualche anno dopo, quando si parlava di Mes (una questione ancora aperta nonostante il nuovo corso di FdI), Meloni preconizzava che, aderendo al trattato, l’Italia rischiava di ‘’fare la fine della Grecia’’. La storia la conosciamo. La coalizione di sinistra guidata da Tsipras vinse le elezioni nel gennaio del 2015 e si trovò ad affrontare una situazione drammatica. La Grecia aveva perso un quarto del suo PIL, più di un terzo della popolazione era a rischio di povertà o di esclusione sociale, mentre la disoccupazione aveva raggiunto quasi il 22%. Erano necessarie severe misure di risanamento della finanza pubblica, ma Tsipras promise che avrebbe seguito un’altra linea, in sostanza – come si diceva allora – contro l’austerità. Mandò a negoziare in sede europea il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, un pittoresco economista che lo consigliava di rifiutare il pacchetto di aiuti, senza badare a quali fossero le conseguenze. 

La giustizia greca ha deciso di escludere dalle prossime elezioni politiche del 21 maggio i neonazisti di Alba Dorata. La decisione è stata presa dalla Corte Suprema greca che ha vietato che il partito politico fondato da un ex dirigente della formazione neonazista, che sta scontando una pesante pena detentiva, possa presentare le liste. Ilias Kassidiaris, ex portavoce di Alba Dorata e leader del partito di estrema destra Les Hellènes, non potrà quindi candidarsi, come ambiva, alle elezioni che si terranno tra meno di tre settimane.

La Corte suprema ha stabilito che la candidatura di Kasidiaris è contraria alla legge che vieta la partecipazione alle elezioni di chi ha condanne, anche con sentenza di primo grado, per diversi reati gravi, tra cui quello di associazione per delinquere, reato per il quale Kasidiaris è stato condannato nel 2020 a 13 anni. Attualmente l'ex leader sta scontando la pena nel carcere di Domokos, a nord di Atene. La legge a cui ha fatto riferimento la Corte, che da prassi si esprime sulla legittimità della candidatura dei partiti, era stata votata il 9 febbraio scorso in Parlamento, con l'obiettivo di escludere dalle elezioni il partito "Greci per la patria" di Kasidiaris, che secondo le previsioni avrebbe potuto superare la soglia di sbarramento.

Intanto l’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili, sospettata di essere coinvolta nel presunto caso di corruzione Qatargate, ha dichiarato che non tornerà in Grecia, sua terra natale, fino a quando non sarà riconosciuta la sua “innocenza”. In un’intervista all’edizione domenicale del quotidiano greco “To Vima”, Kaili ha dichiarato: “Se non riesco a convincere la giustizia belga della mia innocenza, non tornerò mai più nel mio Paese d’origine”. Kaili è sospettata di aver favorito per diversi anni le istanze di alcune potenze straniere, tra cui il Qatar, in merito ad alcune decisioni del Parlamento europeo, in cambio di pagamenti in denaro.  

Kaili ha sempre respinto tutte le accuse e venerdì è stata rilasciata dal carcere e trasferita agli arresti domiciliari con l’obbligo di indossare un braccialetto elettronico. “Nel dicembre del 2022, quando sono stata informata dai media delle accuse contro il mio compagno e padre di mia figlia (Francesco Giorgi), tutto il mio mondo è crollato”, ha raccontato Kaili al quotidiano greco. “Sono passati tempi in cui pensavo di porre fine a questa tortura (…) ma il pensiero di mia figlia mi ha sostenuto”, ha aggiunto l’eurodeputata.

Fonte varie agenzie

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso ha incontrato presso l’Ambasciata di Svezia a Roma gli ambasciatori dei 26 Paesi appartenenti all'Unione Europea. L'incontro, ospite l’ambasciatore svedese Jan Björklund  è stato l'occasione per un ampio confronto sulle iniziative che sta mettendo in essere l'Italia sul piano industriale ed economico. Un momento particolarmente importante anche in vista dei prossimi appuntamenti sul piano comunitario, fondamentali per delineare una rinnovata politica industriale europea che sia competitiva, pragmatica e sostenibile.

Nel suo programma relativo alla competitività la Presidenza svedese si prefigge di adoperarsi per garantire che l'ambizione di una maggiore competitività europea sia il principio guida. L'invasione russa dell'Ucraina, la crisi energetica e l'aumento dell'inflazione comportano sfide significative per le imprese europee. Per farvi fronte sono necessarie misure di emergenza a breve termine. Tuttavia, le misure di crisi temporanee non possono diventare la "nuova normalità" e l'UE deve tracciare una rotta su come gestirà le sfide e le crisi future. È quindi necessario mettere la competitività in primo piano. Solo attraverso imprese competitive è possibile, secondo la Svezia, creare una crescita sostenibile, accelerare le transizioni verde e digitale, aumentare la resistenza economica e rafforzare l'importanza geopolitica dell'UE. Le misure a livello comunitario devono basarsi su valori fondamentali come l'apertura, la libertà di circolazione, una concorrenza effettiva, quadri normativi uniformi e favorevoli alla crescita e l'innovazione. La presidenza contrassegna il 30° anniversario dell'avvio del mercato interno che ritiene è un punto di partenza naturale per stabilire un percorso per rafforzare la competitività dell'UE a lungo termine. Urso, nel Consiglio Competitività UE del 2 marzo scorso, aveva specificato come “il mercato unico europeo si trova oggi ad affrontare la duplice transizione verde e digitale in un contesto molto diverso del passato: prima la pandemia, poi la guerra della Russia in Ucraina, quindi le misure della amministrazione Biden realizzate per rispondere alla sfida della Cina hanno sconvolto gli assetti della globalizzazione e ci impongono di prendere atto della realtà, per esempio per quanto riguarda l’autonomia strategica europea sulle materie prime critiche, sulle tecnologie verdi e digitali. La Commissione europea deve adeguare le politiche comuni alle nuove realtà economiche e sociali. Nel settore autoveicoli abbiamo dato un segnale di allarme nella convinzione che occorra procedere con una visione pragmatica e non ideologica e nei colloqui che abbiano avuto ci siano resi conto che le nostre riflessioni trovano sempre maggiore consenso. Speriamo che la ragione prevalga nei prossimi dossier, dal regolamento CO2 sui mezzi pesanti a quello sull’EURO 7, sui quali chiediamo un approccio di neutralità tecnologica, così come sugli altri provvedimenti che hanno conseguenze sulla competitività del sistema industriale, come quelli sull’imballaggio, sull’ecodesign, sulle acque reflue”.

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