Cento opere in prestito dai più importanti musei del mondo per la prima mostra dedicata alle sorprendenti connessioni culturali nella Roma del Seicento, nodo di sinergie artistiche come nessun’altra capitale del mondo di allora. Capolavori di Bernini, Van Dyck, Poussin, Pietro da Cortona ed altri maestri del Barocco affiancati da preziosi manufatti delle più remote provenienze consentono di evidenziare – nell’anno del Giubileo universale cattolico - la dimensione multiforme e al contempo interconnessa della cultura seicentesca a Roma, avvezza più di ogni altra al confronto con mondi diversi e lontani. Le ragioni della mostra trovano la loro sintesi più evidente nel capolavoro esposto in apertura del percorso espositivo, il busto in marmi policromi di Antonio Manuel Ne Vunda (1608), ambasciatore del Regno del Congo, eccezionalmente concesso in prestito dalla Basilica Papale di Santa Maria Maggiore su espressa volontà del Santo Padre.
Le Scuderie del Quirinale presentano “BAROCCO GLOBALE. Il mondo a Roma nel secolo di Bernini”, un nuovo progetto espositivo e una grande produzione internazionale, dal 4 aprile al 13 luglio, a cura di Francesca Cappelletti (Direttrice generale della Galleria Borghese e professore ordinario di Storia dell’Arte all’Università di Ferrara) e Francesco Freddolini (professore associato di Storia dell’arte presso ‘Sapienza’ Università di Roma). Fondata sull’autorevolezza di un rigoroso impianto scientifico- storiografico che tiene conto dei progressi nel settore dei global studies, la mostra è organizzata da Scuderie del Quirinale e Galleria Borghese con la collaborazione istituzionale di ViVE Vittoriano e Palazzo Venezia e Gallerie Nazionali d’Arte antica Barberini Corsini, con la partecipazione straordinaria della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore.
Attraverso una sorprendente selezione di capolavori di pittura e scultura eseguiti dai grandi maestri del Barocco (Bernini, Van Dyck, Poussin, Pietro da Cortona, Lavinia Fontana, Nicolas Cordier, Pier
Francesco Mola ed altri) affiancati da disegni, incisioni, arazzi, parati sacri e altri preziosi manufatti di provenienza europea e non europea, la mostra racconta per immagini l’impatto che vocazione universale e cosmopolita della città dei Papi ha avuto sulle Arti nel corso del Seicento, a partire dal grande disegno diplomatico di Paolo V Borghese che mise Roma al centro di una complessa rete di relazioni globali.
Il titolo della mostra fa riferimento al rapporto tra la Roma seicentesca, intesa come centro-cardine del canone artistico occidentale, e gli universi culturali esterni ed estranei a quel canone; un rapporto generato dalla determinazione delle politiche pontificie a fomentare in chiave transculturale le relazioni diplomatiche con mondi lontani e diversi.“Roma è l’unico luogo dove qualunque forestiero si sente a casa”, scrisse nel 1581 Michel de Montaigne nel suo Viaggio in Italia. Sebbene il grande filosofo francese avesse in mente un cosmopolitismo riferito ad una dimensione europea, questa mostra riflette il senso della sua affermazione ripercorrendo una storia che lega la città ad un contesto globale più ampio, dalle Americhe, all’Africa e all’Asia. Una Roma, in altre parole, vista come snodo cruciale di una complessa rete di rapporti che abbracciavano l’intero mondo allora conosciuto.
Il sottotitolo dato alla mostra - Il mondo a Roma nel secolo di Bernini – trova la sua compiuta e simbolica rappresentazione in apertura della mostra con lo scenografico allestimento di un eccezionale capolavoro del maestro scultore Francesco Caporale, capofila della scultura policroma protobarocca a Roma: il busto in marmi colorati di Antonio Manuel Ne Vunda, ambasciatore del Regno del Congo (1608), primo diplomatico africano a raggiungere la Santa Sede e primo uomo di origine africana tributato dell’onore di un monumento funebre in un luogo sacro, pari per prestigio e dignità a quelli dell’aristocrazia locale.
Custodito nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, il busto è stato eccezionalmente concesso in prestito nell’anno del Giubileo su espressa volontà del Santo Padre Francesco e viene presentato a seguito del delicato intervento di restauro realizzato per l’occasione coi fondi di Ales SpA sotto la sovrintendenza della Direzione dei Musei e dei Beni Culturali del Governatorato della Città del Vaticano.
Per la prima volta sarà dunque possibile ammirare la bellezza di questo straordinario manufatto in circostanze di fruizione ottimali e in dialogo con altre opere capaci di esaltarne la portata estetica, storica e simbolica. Davanti al ritratto sembrano, infatti, riemergere le ultime ore della vita del giovane africano dell’antico Regno del Congo, conclusasi alla vigilia della festa dell’Epifania del 1608 nel palazzo papale in Vaticano dopo un lungo e travagliato viaggio. Il suo arrivo a Roma fu interpretato dai contemporanei come una rievocazione della visita del Re Magio di pelle scura, Balthazar. La sua missione diplomatica fu celebrata in quanto simbolo della vitalità della Chiesa, capace di estendere il Vangelo ai più lontani popoli nel segno del dialogo e dell’apertura.
Come sottolineato dall’Arciprete coadiutore della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, il Cardinale Rolandas Makrickas, “il gesto del Santo Padre Francesco omaggia non solo lo storico legame tra la Santa Sede e l’Africa, ma anche l’iniziativa stessa della mostra nel prestigioso contesto delle Scuderie del Quirinale, centro nevralgico del panorama culturale della Capitale.”
Il percorso della mostra L’apertura scenografica sul busto di Manuel Ne Vunda conduce alla prima sezione della mostra “L’Africa, l’Egitto, l’Antico”, concepita come focus specifico sul continente africano nelle varie accezioni culturali con cui venne interpretato ed evocato durante il XVII secolo, dall’interesse verso la sua dimensione etnografica sub-sahariana, reso evidente dall’introduzione frequente nella pittura e scultura di genere di figure di pelle scura (Valentin de Boulogne, Allegra compagnia con cartomante, 1631, dalle collezioni principesche del Lichtenstein; Nicolas Cordier, Giovane africano, 1607-12, dal Musée du Louvre) fino all’evocazione mitizzata dell’antico Egitto, un luogo e una civiltà remoti ove immaginare storie come “Cesare che rimette Cleopatra sul trono” (circa 1637), capolavoro di Pietro da Cortona prestato alla mostra dal Musée des Beaux-Arts di Lione.La sezione successiva si concentra sulla figura chiave di Gian Lorenzo Bernini e sulla commissione della Fontana dei Fiumi a piazza Navona, il più celebre soggetto ‘globale’ di tutta l’iconografia barocca, esponendone tra gli altri anche il monumentale bozzetto (modello di presentazione in terracotta, legno intagliato, ardesia, oro e argento, 1647-50, proveniente dalla collezione Forti Bernini – Eredi Bernini).
Viene qui messo in evidenza come la figura corrispondente al Rio della Plata, personificazione allegorica del continente africano, mostri nella versione finale dell’opera tratti somatici inconfondibilmente africani subsahariani, essendo invece stata originariamente concepita da Bernini secondo l’iconografia tradizionale degli indigeni del Nuovo Mondo. Ciò a dimostrazione di una precoce consapevolezza da parte dell’artista della diffusione nelle Americhe di popolazioni deportate dall’Africa.
La sezione seguente, “La Chiesa e il Mondo”, esplora il contributo che gli ordini religiosi e in generale l’attività missionaria ha dato nella tessitura di rapporti transculturali centrati su Roma. Sono qui presentati il suggestivo Ritratto di Nicolas Trigault (1617 circa), celebre missionario gesuita seguace di Matteo Ricci, effigiato in abiti cinesi nell’atelier di Rubens e conservato a Douai, Musée de la Chartreuse; la pala d’altare del Collegio de Propaganda Fide dipinta da Giacinto Gimignani raffigurante l’Adorazione dei Magi (1634-35), tema considerato simbolico della riconciliazione dei popoli sulla Terra; altre rappresentazioni che documentano la circolazione globale di immagini sacre, come le copie della Salus Populi Romani (la più antica e celebre icona sacra presente a Roma, in Santa Maria Maggiore) realizzate in Cina da artisti cinesi, e della Santa Cecilia di Carlo Maderno realizzata dall’artista indiana Nini, attiva alla corte Mughal (ca. 1610).
La sezione successiva “Roma e la diplomazia globale” declina il tema delle ambascerie in relazione alla specificità di Roma come centro della Chiesa cattolica e si concentra soprattutto sui rapporti con culture islamiche, dalla Persia, all’Impero Ottomano, fino a spingersi alle relazioni con le comunità cristiane nel Giappone di primo Seicento. Accoglie il visitatore l’impressionante ritratto di Ali-qoli Beg, ambasciatore persiano a Roma nel 1609, effigiato dalla pittrice Lavia Fontana – capolavoro solo recentemente riscoperto e mai presentato al pubblico prima d’ora. La già sottolineata propensione della città ad accogliere stranieri è ripresa dalla presentazione di un progetto per l’apparato iconografico del catafalco di Sitti Maani, moglie persiana del viaggiatore romano Pietro della Valle alla quale fu dedicato un funerale solenne nel 1627 in Santa Maria in Aracoeli in modo non dissimile da Antonio Manuel Ne Vunda che, non dobbiamo dimenticarlo, fu ambasciatore e quindi rientra a pieno diritto anche nella storia delineata in questa sezione.
Nella sezione “Collezionare il Mondo” troviamo oggetti provenienti da mondi lontani. La presenza di questi oggetti nel contesto della Curia papale a partire dal primo Cinquecento mostra quanto lunga e sedimentata fosse la storia di un collezionismo dagli interessi globali che crebbe nel secolo successivo e che si intrecciò con gli studi di antiquaria. Sono esposti in questa sala anche alcuni straordinari parati liturgici in piume di manifattura centro-americana, tra cui la preziosissima Mitra appartenuta a San Carlo Borromeo e donatagli da Papa Pio IV (un prestito eccezionale da parte della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano), o i paramenti sacri provenienti dalla Chiesa di Santa Maria in Vallicella concessi in prestito dalla Confederazione delle Congregazioni dell’Oratorio di San Filippo Neri e dalla Congregazione dell’Oratorio di Roma.La sezione, “Alterità tra immaginazione e letteratura” permette di aprire la prospettiva su una dimensione immaginaria e letteraria dei rapporti transculturali definiti attraverso le arti nella Roma della prima età moderna. Il ritratto di Maria Mancini Colonna travestita da Armida, la maga musulmana della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, dialoga con il Guerriero Orientale dipinto da Pier Francesco Mola (eccezionale prestito concesso dal Musée du Louvre) e con l’Andromeda di Rutilio Manetti.
Appartenuto a Scipione Borghese, questo dipinto riassume una scelta iconografica che, per definire un’idea di bellezza, forzava le circostanze del mito. Andromeda, salvata da Perseo e da questi portata in Grecia, era infatti una principessa etiope, e per questo avrebbe dovuto avere la pelle scura, come infatti scrissero i poeti, da Ovidio a Petrarca. Gli artisti, tuttavia, si immaginarono un diverso ideale di bellezza, e Manetti, come tantissimi altri, riconfigurò il mito secondo un’idea di alterità molto più facile da integrare nei canoni estetici del contesto a lui familiare.
L’ultima sezione - “Roma crocevia di culture” – è dedicata ai ritratti di Robert Shirley, il cattolico inglese Ambasciatore di Persia, e di sua moglie, Teresia Sampsonia, una donna circassa, anch’ella cattolica, sposata da Shirley in Persia. I due straordinari ritratti, dipinti da Anthony Van Dyck a Roma nel 1622 ma mai tornati in Italia prima d’ora, sono un prestito eccezionale del National Trust inglese ed una testimonianza unica di come la pittura sia stata in grado di dare forma e visibilità alle connessioni del mondo globale. Dopo aver attraversato l’Asia e l’Europa, I’Islam e il Cristianesimo, i due si legarono indissolubilmente a Roma ed il giovane Van Dyck seppe infondere nelle loro effigi quell’amore per la città che li accolse proprio in quanto crocevia di culture.
Il percorso della mostra si conclude con il dipinto Annibale che attraversa le Alpi di Nicolas Poussin (1630 circa) che narra una storia tutta romana, eppure eminentemente transnazionale. Anche quest’opera, tornata per la prima a volta nella città dove venne realizzato, va in realtà considerata come un ritratto: rappresenta infatti l’effige dell’elefante Don Diego che, nato in India, attraversò due continenti per giungere fino a Roma. Ospitato a Palazzo Venezia dove attirò folle curiose di spettatori (fu il primo esemplare di elefante ad approdare a Roma dopo più di un secolo), Don Diego divenne un vero e proprio generatore di immaginazione esotica, evocatore di terre lontane e di relazioni mediate dai commerci e dalle missioni, dando corpo ai racconti dei viaggiatori e alle lettere degli emissari. Il dipinto di Poussin, realizzato per Cassiano dal Pozzo, rappresenta un unicum nella sua produzione, condividendo più analogie con le innumerevoli immagini di animali esotici che enciclopedicamente popolavano i volumi della letteratura scientifica – preciso interesse del committente - piuttosto che con i dipinti di storia classica che il pittore francese realizzò a Roma e nell’arco di tutta la sua carriera di pittore.
“Il mondo a Roma negli affreschi al Quirinale” Per generosa iniziativa del Segretariato Generale, la Presidenza della Repubblica ha organizzato, a partire dal 4 aprile, il programma “Il mondo a Roma negli affreschi al Quirinale”, serie di visite speciali collegate alla mostra “Barocco globale” e principalmente dedicate a uno degli ambienti più importanti del Palazzo presidenziale, il Salone dei Corazzieri (già Sala Regia), dove si potrà ammirare lo straordinario ciclo di affreschi del 1616 nel quale furono immortalati – ad opera di Agostino Tassi, Giovanni Lanfranco, Carlo Saraceni ed altri - gli ambasciatori provenienti dall’Africa, Asia e Vicino ed Estremo Oriente, ricevuti a Roma da papa Paolo V nei primi anni del Seicento. Tra questi, oltre all’effigie dell’ambasciatore congolese Antonio Manuel Ne Vunda, anche quella, particolarmente approfondita dagli studi, dell’ambasciatore nipponico Hasekura Tsunenaga che ricevuto dal papa al Quirinale solo pochi mesi prima della realizzazione degli affreschi.
Matteo Lafranconi, Direttore Scuderie del Quirinale: “Con questa mostra, interamente dedicata alla dimensione globale delle politiche pontificie nel Seicento, le Scuderie del Quirinale intendono contribuire alla programmazione culturale della città nell’anno del Giubileo, proponendo una lettura della missione universale e cosmopolita della Città Eterna in grado di valicare i compartimenti della storia e, insieme, di farsi prezioso elemento di riflessione per il presente”.
La città del Papa, delle feste sontuose e delle processioni solenni , dei palazzi e della vita isordinata degli artisti caravaggeschi, rivela una prospettiva nuova, quella di una città veramente globale in cui gli artisti guardano al mondo che si dispiega sotto i loro occhi, grazie alla continua presenza di ambascerie straniere, dal Giappone, dalla Persia e dal Congo, all’arrivo di materiali preziosi da ogni parte del mondo.
Francesco Freddolini, Curatore della mostra: "Le opere che abbiamo raccolto ci proiettano in una storia che attraversava confini culturali, politici, religiosi, e allo stesso tempo convergeva alla corte dei Papi. Esplorare questa storia, con gli occhi di Bernini, Van Dyck, Poussin, degli altri artisti e del loro pubblico apre uno squarcio nuovo su Roma e il mondo e sul mondo a Roma”.