Quando le imbarcazioni umanitarie non sono in acque Sar libiche o, comunque, a zonzo nelle vicinanze e pronte a intervenire, praticamente nessun migrante viene messo in mare. E su questo, fanno sapere fonti vicine al Viminale, si sta indagando da tempo. Ciò che accadde il 6 novembre 2017, quando nel tentativo di raggiungere a nuoto la nave di Sea Watch, cinque migranti annegarono, descrive bene ciò che succede.
In quel momento stava intervenendo, per recuperare gli immigrati che erano in navigazione su un barcone, una motovedetta libica, all'epoca già in servizio attivo dopo gli accordi con Tripoli del ministro Marco Minniti. L'equipaggio dell'imbarcazione Ong invitò gli extracomunitari a salire a bordo, nonostante la Guardia costiera stesse cercando di fare il suo lavoro. Da lì la tragedia. Insomma, gli immigrati non vogliono essere riportati indietro, ma sperano nel traghettamento sicuro di quelli che, ormai, sono veri e propri taxi del mare. Certo, i numeri non sono quelli di un tempo, proprio grazie alle azioni che si stanno mettendo in campo e al fatto che entrare in Italia è ora molto più difficile del passato. Ma i trafficanti di esseri umani sanno perfettamente che quando le navi delle Ong sono in mare basta segnalare la presenza del gommone affinché i volontari dei recuperi partano.
Laddove i dubbi insistano, resta la granitica certezza dei dati, che parlano chiaro. L'ultimo recupero in mare risale al 19 gennaio ed è quello a cura di Sea Watch 3, che ieri ha fatto scendere i 47 migranti che aveva a bordo, a Catania, dopo giorni di tira e molla tra Ong e governi europei. Una sola partenza, su due gommoni, è avvenuta dalla Libia in questi dodici giorni ed è quella del 22 gennaio, quando la Guardia costiera libica ha salvato un totale di 332 immigrati. Eppure, fatta eccezione del 23 e dei giorni successivi, in cui c'è stato maltempo, le condizioni meteo non erano così sfavorevoli da impedire le partenze. Da inizio anno sono sbarcati in Italia 155 migranti, ovvero il 96,29 per cento in meno rispetto allo scorso anno e il 96,53 per cento in meno rispetto al 2017. La maggior parte di questi è stata recuperata dalle Ong o grazie a una segnalazione delle stesse. Quasi tutte le chiamate di soccorso da parte dei migranti partono da un Alarm Phone gestito da Organizzazioni non governative.
L'intelligence italiana starebbe indagando sugli affondamenti di alcuni gommoni. È vero che sono fatti di materiale fragile, ma non tutti devono necessariamente sgonfiarsi facendo naufragare gli occupanti. Perché i video realizzati dall'equipaggio delle navi del soccorso mostrano quasi tutti gommoni che stanno affondando?
Guardando ai dati del passato i conti tornano tutti. Nel 2017, ad esempio, i recuperi avvenuti grazie alle Ong furono 6.609, contro i 3.485 delle navi dell'operazione Sophia.
Quando al fatto dei «poveri migranti che scappano dalla guerra», sono ancora i dati a smontare le fandonie di chi tenta di riempire l'Italia di clandestini. Su 155 sbarcati quest'anno, 57 vengono dal Bangladesh, 38 dall'Iraq, 31 dalla Tunisia, 13 dall'Iran, 9 dall'Egitto e le altre nazionalità a seguire. Di libici, invece, in Italia non ne è sbarcato neanche uno.
I tecnici del Ministero sono già al lavoro e sarebbero partiti dalla Convenzione Onu sui diritti della navigazione e in particolare dall'articolo 19 secondo cui il passaggio di una nave in acque territoriali "pregiudizievole se la nave è impegnata in attività di minaccia o impiego della forza contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dello Stato costiero". E poi c'è l'articolo 17 che "vieta il passaggio in caso di carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero e ogni altra attività che non sia in rapporto diretto con il passaggio".
Una volta approvata la nuova normativa, per farla rispettare l'Italia potrà schierare i pattugliatori per bloccare le navi "vietate" che puntano verso le nostre coste già in acque internazionali. Se un'imbarcazione dovesse sfuggire ai controlli ed entrare in acque territoriali, le motovedette della Guardia costiera potranno scortarle fuori dai confini.
Non solo: l'idea è anche quella di inserire nel decreto una norma che preveda l'applicazione dell'articolo 650 del codice penale che punisce chi non rispetta il provvedimento. In questo modo gli equipaggi non potrebbero più farla franca e tornare in mare. Proprio come è accaduto con la Sea Watch.
Intanto la Guardia costiera, ha rilevato nella sua ispezione alcune criticità che impediscono all'imbarcazione di riprendere il mare per "pattugliare" le coste libiche in attesa di avvisitare gommoni e barconi in difficoltà. Sono state individuate una serie di "non conformità" relative sia alla sicurezza della navigazione sia al rispetto della normativa in materia di tutela dell'ambiente marino. E fino a che non saranno risolte "anche con l'intervento dell'amministrazione di bandiera, cioè l'Olanda, in cooperazione con gli ispettori specializzati" la nave "non potrà lasciare il porto di Catania".
Già ieri da Sea Watch si erano lamentati di non poter ripartire subito: "Costretti a rimanere a Catania per la notte, il cambio di equipaggio previsto ci è stato negato", spiegavano dalla ong, "A bordo continuano le richieste di informazioni da parte della polizia. Nel frattempo il Mediterraneo rimane senza navi civili di soccorso". E oggi torna ad attaccare:
"Le autorità, sotto chiara pressione politica, sono alla ricerca di ogni pretesto tecnico per fermare l'attività di soccorso in mare", scrivono sulla pagina Twitter italiana della Ong tedesca, confermando che la loro nave battente bandiera olandese - la Sea Watch 3 - è in stato di fermo.
Peccato che il "pretesto tecnico" sia ben altro. E a spiegarlo è Danilo Toninelli che in un post su Facebook spiega il perché del fermo amministrativo: "Stiamo parlando di una imbarcazione registrata come pleasure yacht, che non è in regola per compiere azioni di recupero dei migranti in mare", spiega il ministro dei Trasporti, "E mi pare ovvio, visto che è sostanzialmente uno yacht. In Italia questo non è permesso. Se tu, milionario, compri uno yacht, vai in navigazione per piacere, non per sostituirti alla Guardia Costiera libica o di altri Paesi. Voglio ringraziare le Capitanerie di Porto per il loro grande lavoro sul fronte della legalità. Ma soprattutto mi chiedo: il governo olandese non ha nulla da dire rispetto a una imbarcazione di una Ong tedesca che chiede e ottiene la bandiera dei Paesi Bassi per scorrazzare nel Mediterraneo agendo fuori dalle regole?".