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L'argomento potremmo subito chiuderlo o liquidarlo, con la seguente riflessione: ma a chi interessa soprattutto quest'anno festeggiare il 25 aprile quando gli italiani stanno morendo di coronavirus e probabilmente prossimi a morire di pandemia economica, con imprenditori veri, operai, commercianti, lavoratori tutti, che presto saranno sul lastrico e costretti a ritirare il pacco alimentare.

«Eppure per una piccola cricca di giornalisti, di vergatori di romanzetti, di politicanti piddini e 5 stelle, di nani e ballerine del piccolo schermo, tutti firmatari del manifesto dell’Anpi, sembra sia diventata la priorità di questi giorni». Tutti questi «come gli spettri che cercano di ritornare in vita, si agitano. E allora ecco la proposta del 25 aprile virtuale e telematico, con canti di Bella Ciao dai balconi e collegamenti con i vip dalle loro ville in Maremma o a Portofino. Che non si capisce poi cosa ci sia da cantare e da ballare e da schignazzare: sui più di 25 mila morti? Sulla pandemia economica che farà finire in miseria molte più persone? Sul rischio concreto della distruzione della nostra industria e ricchezza nazionali?». (Marco Gervasoni, “25 aprile, la festa degli zombi”, 24.4.2020 in nicolaporro.it)

E il governo rossogiallo sino-madurista che fa, pur di riconoscersi nella narrazione contraffattoria del 25 Aprile ha autorizzato l’Associazione nazionale partigiani d’Italia a partecipare alle celebrazioni per il 75esimo anniversario della Liberazione in deroga al lockdown.  «Nonostante la dottrina comunista sia ormai irrancidita e in uno stato di putrefazione, ancora oggi alcuni suoi residuali epigoni pretendono di leggere la storia con gli occhiali graduati dal dispotismo ideologico, imponendo la versione di una libertà riconquistata con l’esclusivo contributo dei partigiani. Quale anelito di autentica libertà potevano inalare coloro che erano subordinati al liberticida regime sovietico?». (Andrea Amata, “I fanatici che hanno reso il 25 aprile un relitto oideologico”, 25.4.2020, in nicolaporro.it)

E' perplesso anche Marcello Veneziani nel festeggiare una festa che sostanzialmente divide gli italiani e non tanto tra fascisti e antifascisti, ma tra chi ritiene che il mondo ormai non si divide in queste due categorie e chi invece ne è ancora convinto.

«Il fascismo è morto e sepolto e l’antifascismo in assenza di fascismo non ha senso; avrebbe senso una festa della libertà e della democrazia contro tutti i totalitarismi, vecchi e nuovi, ma non questa, così concepita». (Marcello Veneziani, La festa del partesan, 24.4.2020, La Verità)

Veneziani ricorda alcune cose importanti, intanto precisa che la liberazione dal fascismo ci è stata data dagli Anglo-Americani, mentre mezza resistenza partigiana,  sognava l'avvento della dittatura comunista sotto l'Unione Sovietica. Poi citando Fabio Andriola ricorda che «nell’immediato dopoguerra su 650mila presunti partigiani che chiedevano il riconoscimento di stato, ne furono riconosciuti solo 137mila. E altri si sono aggiunti nei decenni, che potremmo definire partesan anziché partigiani, come la differenza che corre tra il parmigiano e il parmesan. Antifascisti posticci, a babbo morto, da remoto». Poi naturalmente Veneziani racconta tante altre interessanti notizie come quel manifesto per il 25 aprile, lanciato da alcuni intellettuali, che distingue in tre categorie, quelli che si sentono ancora in guerra contro l'eterno fascismo, i lottatori continui. Quelli che non si tirano mai indietro dal firmare manifesti, che aderiscono all'antifascismo, come test psicoattitudinale d'ingresso alla democrazia. Infine la terza categoria sono quelli costretti o coscritti antifascisti per campare. Veneziani include il popolo delle Tardine, sardine andate a male.

Concludendo il giornalista pugliese mette in guardia, dal terribile muro spinato che questi firmatari del Manifesto, vorrebbero dividere «la società in giusti e infami. Chi non ha firmato è iscritto d’ufficio tra i Negativi, magari asintomatici, ma positivi al virus fascista e dunque contagiosi, untori, portatori infami. Criptofascisti, parafascisti, da tenere fuori da ogni contesto, da cancellare».

Una singolare riflessione sul 25 aprile è proposta da Marco Invernizzi, reggente nazionale di Alleanza Cattolica. Invernizzi significativamente parte dal concetto di guerra civile espresso dallo storico tedesco Ernest Nolte (1923-2016). Una guerra che ha insanguinato tutta l'Europa del Novecento, la prima combattuta fra le ideologie (fascismo, nazionalsocialismo e socialcomunismo). Le prime due vengono sconfitte, «inizia la seconda guerra ideologica fra il socialcomunismo da un lato e dall’altro quel mondo anticomunista complesso e variegato dentro il quale si collocano la Destra non fascista, il mondo cattolico e chi a diverso titolo fa riferimento all’ideologia liberale». (Marco Invernizzi, 25 Aprile, il problema è ancora l'odio. Considerazioni su un anniversario che continua a dividere, 24.4.2020, alleanzacattolica.org)

E' la cosiddetta «Guerra fredda», in Italia «si manifesta nella lotta politica e culturale di cui sono espressione significativa le elezioni del 18 aprile 1948, quando la Democrazia Cristiana (DC) ottiene una vittoria politica schiacciante in grado di segnare tutta la successiva storia nazionale». Pertanto per Invernizzi se c'è «un giorno emblematico in cui la maggioranza degli italiani manifesta la volontà di esprimere la propria identità collettiva quel giorno sarebbe dunque il 18 aprile 1948, molto più del 25 aprile 1945. Pochi storici e pochi uomini politici hanno ragionato su questo punto e quindi la riflessione resta ancora oggi soltanto un auspicio, nonostante la fine dell’Unione Sovietica, nel 1991, seguita all’abbattimento del Muro di Berlino nel 1989».

Anche per Invernizzi il 25 Aprile è divisivo. Gli ricorda la violenza verbale e a volte anche fisica delle manifestazioni di piazza che si tenevano quel giorno, che si è voluto chiamare «Festa della Liberazione», ma che in realtà è un giorno segnato dall’odio di chi egemonizzava i cortei commemorativi almeno da un punto di vista culturale.

Invernizzi ricorda i cosiddetti anni di piombo del Sessantotto, del terrorismo, con i cortei nei quali si gridava l’odio nei confronti dei fascisti, della DC e delle forze dell’ordine che li proteggevano. 

«Quel che oggi va rifiutato del 25 Aprile è la sua lettura ideologica, che continua nonostante non ci siano più i partiti della cosiddetta «prima repubblica», e quindi lo scenario politico e culturale sia completamente cambiato dall’epoca successiva alla fine della Seconda guerra mondiale».

Invernizzi sostiene che occorre riprendere la lezione dello storico Renzo De Felice (1929-1996) e riflettere sul lavoro importante da lui compiuto sul fascismo. «Il 25 Aprile termina una guerra civile combattuta in Italia settentrionale da due minoranze, mentre la grande maggioranza della popolazione faceva parte di quella “zona grigia” che si sentiva estranea al conflitto perché non si riconosceva né nel fascismo della Repubblica Sociale Italiana (1943-1945) né nella componente egemone della Resistenza (le Brigate Garibaldi di impostazione socialcomunista)». Sono stati questi italiani i protagonisti che hanno ricostruito il Paese soprattutto con la vittoria del 18 aprile 1948.

Infine ricordando che bisogna fare buon uso della memoria, cercando di riconciliare le diverse Italie per raggiungere una necessaria armonia sociale che le ideologie hanno sempre rifiutato. Il reggente di Alleanza Cattolica conclude che ora dopo questa catastrofe del coronavirus occorre pertanto fare in modo che l’assenza di verità e il rancore sempre più diffusi non favoriscano la definitiva autodistruzione della patria che tanto amiamo.

Infine mi interessa riportare un interessante riflessione dell'amico professore Fazio, trovata su facebook. Dopo lunghe dissertazioni filosofiche e storiche, giunge puntuale alla solennità dell'ideologia della nuova Italia del 25 aprile. Fazio polemizza con lo Stato, e in particolare con certi “cattolici adulti”. Con questo termine si è voluto raggruppare il fenomeno di quanti, nel mondo cattolico, hanno blindato da un punto di vista teologico il dettato Dpcm addirittura vantando il primato della preghiera individuale su quella comunitaria e sui sacramenti. Pertanto con il suo Dpcm il governo «vieta – ricordiamolo – anche le cerimonie civili, e conferma le celebrazioni pubbliche della solennità laica con tanto di presenza dei tesserati dell’ANPI, veri e propri gendarmi della memoria ideologica».

Per Fazio «a quanto pare il virus si trasmetta solo ed esclusivamente tra i partecipanti alle liturgie cattoliche, vietate anche a Pasqua, e che le cerimonie civili e soprattutto i tesserati ANPI ne siano trionfalmente esenti. Vuoi vedere che la religione statalista produce immunità batteriologica?».

C'è da chiedersi, chissà se «impareranno qualcosa da questo ulteriore“segno dei tempi” i cosiddetti “cattolici adulti”, tanto per intenderci quelli che condannano, senza misericordia alcuna, il povero don Lino Viola e incensano i Dpcm? Quelli ancora che hanno insultato i confratelli “poveracci” che hanno espresso, con timore e tremore, il desiderio di partecipare – con prudenza – alle “cerimonie religiose”?».

Fazio è pessimista, «non lo impareranno! Perché?[...] Da secoli, infatti, una fetta più o meno consistente del cattolicesimo ha scelto anziché l’impegno dell’evangelizzazione del mondo moderno e della fierezza di una proposta, anche sociale, alternativa alle ideologie, la strategia del compromesso e della sottomissione nei confronti delle varie “religioni mondane”. Ecco questi cattolici adulti dovrebbero prendere le distanze da questo Stato che permette il 25 aprile e non le liturgie cattoliche, o la possibilità di assistere ad un funerale. E' probabile che non sarà così «ci toccherà ancora scontare la loro superbia ideologica intraecclesiale. Sottolineo “intraecclesiale”, perché per la divinità-Stato loro sono soltanto dei veri e propri instrumentum regni, o meglio “utili idioti” di leniniana memoria. Usati e poi abbandonati alla loro marginale insignificanza (Daniele Fazio, 25aprile e cattolici adulti (alias “utili idioti”), 25.4.2020).

Io certe trasmissioni di intrattenimento che a getto continuo ci ammanniscono le televisioni non le ho mai guardate anche perché talvolta  veicolano banalità scambiate per cose serie e, viceversa, cose serie scambiate per banalità con ovvia e conseguente confusione mentale di chi è abbonato alla visione e all’ascolto di tali spettacoli. Pertanto, fino a qualche settimana addietro – e mi scuso per l’ignoranza! – non sapevo chi fosse la signora Barbara D’Urso come, del resto, non so di tanti altri personaggi illustri, tipo i cantambanchi frequentatori del “Grande Fratello” e compagnia. Non conoscevo, quindi, l’“incidente” occorso alla presentatrice e all’onorevole Salvini che hanno pregato con una “requiem aeternam” in suffragio delle anime dei Morti del corona virus. Ovviamente approvo tale preghiera anche perché pubblica e sono contento che qualcuno – nonostante il neopaganesimo montante – abbia avuto il coraggio di farla in un luogo inaspettato come la tv. Mi hanno detto, però, delle proteste di ben 400 mila persone – alcune perfino sedicenti “cattoliche”! – che hanno chiesto addirittura le dimissioni della signora, rea di aver mischiato religione e spettacolo!

Non credo che le “400 mila” persone abbiano avuto odio  per la Religione, ché l’odio, per quanto sia cosa terribile, è comunque un sentimento “intelligente” e necessita di una sua profondità nell’animo umano, caratteristica, questa, di sicuro estranea a chi ha l’abitudine di seguire certe trasmissioni passatempo; io credo che i veri odiatori siano i pochi “capi” che segretamente dirigono e manovrano i cervelli di “molti” dall’alto della Piramide. Costoro hanno sempre affermato che Dio non esiste e che la Religione è “oppio dei popoli”, “sovrastruttura”, “superstizione” per le “classi subalterne”…, e ancora insegnano – tramite libri, giornali, riviste, tv, spettacoli, scuole e mezzi imponenti di propaganda spesso finanziati da noi cittadini – il modo di abolirla gradualmente dentro e fuori le chiese: purtroppo questi  maestri riescono ad ammaestrare molti discepoli che, come i “400 mila”, all’occorrenza rispondono, magari inconsapevoli, ai loro “ordini”.

Certo, l’abolizione  completa, a cui tali “maestri” tendono da una vita, non è cosa facile, se è vero che, nonostante persecuzioni di regimi totalitari passati e dabbenaggine attuale di molti cattolici spensierati, non gli è ancora riuscita; tuttavia nel frattempo cercano di corrompere e ammaestrare quanti più possono facendo loro credere – ad esempio – che la vera fede è quella che sta nell’intimo del cuore e che, quindi, non ha bisogno di gesti “pubblici” e meno che mai “televisivi”: da qui la sollevazione dei 400 mila “ammaestrati” contro la coraggiosa presentatrice che, a sua maggior condanna, avrebbe confessato pure di pregare ogni sera col Rosario.

Ora, la preghiera individuale, nell’“intimo del cuore”, è una pratica raccomandata dallo stesso Gesù che dice: “Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà”(Mt. 6,6).

Ciò non significa, però, che Egli abbia voluto abolire la preghiera “pubblica” e il culto esterno; ché, se così fosse, la Chiesa Cattolica in 2000 e più anni avrebbe sbagliato tutto, praticando e organizzando tale culto: ha consacrato vescovi, ordinato preti, creato una societas christiana e una civiltà che, nonostante l’accanita opposizione e persecuzione soprattutto negli ultimi tre secoli, in parte durano ancora; una civiltà che ha  costruito chiese meravigliose per radunare il popolo di Dio e custodire e adorare il Santissimo Sacramento, venerato la Madonna e i Santi con statue, dipinti, stendardi, processioni e pellegrinaggi, ha composto musiche e lasciato capolavori che tutti possiamo ancora ammirare…

In realtà i “capi-suggeritori” – questi sì! – odiano Dio e vorrebbero cancellare la sua Religione dalla faccia della terra; ciò non potendo fare subito, spingono a che ad Essa non sia data visibilità e venga relegata, per quanto possibile, nel chiuso delle chiese e delle sacrestie. I “400 mila” quasi di sicuro ignorano questo lungo processo, ecco perché non possono dirsi veri “odiatori” ma solo beoti esecutori di “ordini” di chi li ha spinti a scagliarsi contro due persone ree di aver recitato, in fondo, una semplice preghiera in un momento di grandi emozioni  per la tragedia che stiamo vivendo nella nostra Patria.

Lo “scandalo” ha pesato di più anche perché co-protagonista del “requiem televisivo” è stato il politico on. Salvini. Sono sicuro che se fosse stato un altro, magari dell’area della maggioranza, la cosa sarebbe scivolata senza tanto strepito. L’onorevole, infatti, non è nuovo a tali manifestazioni di religiosità pubblica e “popolare”: come è noto egli talvolta nei comizi ha mostrato il Rosario, lo ha baciato, ha invocato la Madonna e i Santi, con ciò provocando la riprovazione non solo degli “ammaestrati”, come i suddetti “400 mila”, ma pure di parecchi “chierici”; questi ultimi forse non hanno ancora capito che in Italia esiste un popolo silenzioso e sommerso di fedeli cattolici di “periferia” che, nel vuoto e nel disorientamento attuali di cui sono responsabili in minima parte, amano sentire, possibilmente anche fuori delle chiese, il suono – almeno quello! – di certe “antiche” parole e preghiere e approvano, quindi, le devozioni e le esternazioni “religiose” di un Matteo Salvini qualsiasi che magari  protervamente le pronuncia: ciò al di là della sua più e meno retta coscienza che, ovviamente, solo Domineddio può giudicare!

È quel popolo che male ha sopportato la frettolosa chiusura ermetica dei “luoghi di culto” perfino nella notte e nel giorno della Santa Pasqua, cosa che mai era accaduta nella Cristianità dall’epoca dell’Editto di Milano del 313…; è quel popolo che, non potendo far altro, ha spalancato di forza le chiese mettendo in mezzo alla porta le statue dei Santi come San Rocco, protettore contro la peste, a Mìlici, o ha esposto sui muri delle case e al balcone del municipio le gigantografie della Madonna di Lourdes a Rodì (sono i due borghi che compongono il mio comunello di origine in provincia di Messina, davanti al mare delle Eolie) o come è avvenuto in innumerevoli centri dell’Italia profonda che a suo modo ha riscoperto nel momento del bisogno le vere radici.

Bene, dunque, ha fatto il Sindaco di Venezia che si è inginocchiato in Santa Maria della Salute, bene l’Arcivescovo di Milano che è salito sul tetto del Duomo per invocare la “Madunina” col sonoro dialetto milanese; bene ha fatto il Sindaco di Rozzano a piantare, il Venerdì Santo, una Croce in una piazza in ricordo di quella che San Carlo portò nelle strade di Milano mentre imperversava la peste (“per urbem circumtulit, grassante lue”, c’è scritto), benissimo il Parroco don Roberto che, la vigilia di Pasqua, è passato col megafono nelle strade a dire una preghiera pubblica e ricordare a tutti la Festa più importante di noi cristiani. È meglio, quindi, lasciar perdere le critiche che certi soloni, seguiti da tanti inconsapevoli, potrebbero fare alle forme di religiosità tradizionale come il “requiem televisivo”, visto che loro –  onniscienti – non sanno ancora rispondere a noi poveri se il virus sia venuto dai serpenti o dai pipistrelli o è sfuggito da qualche alambicco di laboratori della Cina comunista e perché abbia colpito soprattutto la nostra Lombardia…

Infine, e in margine, avrei anche qualcosa da obiettare e domandare, magari sottovoce visto il momento drammatico che stiamo vivendo, intorno all’unanime compianto per la “strage” di tanti anziani: con qual faccia la nostra società compiange questi Morti se proprio per gli anziani, che ormai siamo moltissimi, essa prepara l’eutanasia? Sì, certo, lo so bene: questa, ovviamente, avverrà per gradi, prima  “libera” e “volontaria” e solo per alcuni casi, con dei “paletti precisi” (sembra crederci anche “Avvenire” del 23-XI-2019 che titolava: “Eutanasia, i paletti della Consulta”); poi sarà per altri casi e poi per altri ancora…fino a quando il varco diverrà voragine. La mia non è fantasia a  buon prezzo perché ciò che immagino e pavento è già avvenuto con la “legge” 194 del 1978 nel cui titolo i “manovratori” di allora – ma sono gli stessi di ora! –, apposero addirittura la frase “tutela della maternità”; quella “legge”, infatti, doveva servire per i casi che coloro dissero “necessari” e invece ha prodotto a tutt’oggi quasi 7 (sette) milioni di vite umane eliminate prima di nascere.

E altra domanda: come fa questa società “giovanilistica” a piangere i nonni quando opera tutto l’opposto all’esempio di dedizione alla Famiglia vera e alla Vita che loro ci hanno lasciato? Non pensano i ragazzi “legislatori” improvvisati di oggi che siedono in Parlamento – intendo i molti che vogliono la “maternità surrogata”, il “matrimonio egualitario”, le adozioni “per tutti e per tutte”, l’“utero in affitto” con compravendita di corpi di donne e bambini, i figli a cui sarà negato il sacrosanto diritto di conoscere il proprio padre, l’ “omotransfobia”, quelli che io riassumo nel “cartello” blasfemo che una autorevole signora sciorinava a Verona (8-III-2019) “Dio, patria, famiglia: che vita de mer...”, quelli che già preparano la “pedofilia” e ad altre mostruosità per il  futuro... – non pensano, dico, costoro che stanno facendo una violenza alla memoria di quei nonni Morti che codeste cose sicuramente rifiutavano e a noi ancora vivi?

Qualcuno può rispondere a noi che siamo  nati nella prima metà del secolo scorso e pretendiamo il diritto di rifiutare il mondo che questi “ammaestratori” stanno già preparando per quando sarà passata l’attuale tempesta?

Domenica scorsa ho assistito alla S. Messa in Tv celebrata da Papa Francesco per la festa della Divina Misericordia presso la Chiesa di Santo Spirito in Sassia a Roma.  Destino vuole che proprio in quel momento stavo leggendo il 6° capitolo“Miseria e misericordia”, del libro di Rodney Stark, “Il trionfo del Cristianesimo”, pubblicato da Lindau (2012).

Il testo di Stark si interroga come la religione di Gesù ha cambiato la storia dell'uomo ed è diventata la più diffusa al mondo. Nelle pagine del 6° capitolo troviamo delle osservazioni interessanti sul comportamento dei primi cristiani nel mondo pagano che stava per scomparire. Il sociologo americano sottolinea le risposte della fede cristiana alle varie sofferenze e miserie del tempo. Stark ironizza sugli atei che amano ridicolizzare la fede cristiana perchè promette che le sofferenze di questa vita saranno ricompensate nell'altra. Per questi atei la ricompensa è una pia illusione.

Invece Stark puntualizza, che il Cristianesimo, «rende la vita migliore qui e ora» e non solo nell'aldilà. Tra l'altro uno studio sulle antiche lapidi tombali si stabilisce che i primi cristiani vivevano più a lungo dei loro contemporanei pagani. «Ciò dimostra che i cristiani ebbero una migliore qualità di vita».

Nel testo Stark dopo aver descritto come si svolgeva la vita sociale nelle città antiche e in particolare in quelle romane. Frequentemente era presente la sporcizia, la perenne mancanza di acqua, i crimini e i disordini sempre presenti per la vita miserevole. Faceva notare che la Roma di allora «era infestata da ladri d'appartamento, borsaioli, piccoli ladruncoli e rapinatori».

Infine c'erano le malattie, le persone tendevano a morire molto di più di altri periodi storici, i malanni e le afflizioni fisiche erano probabilmente all'ordine del giorno. Le donne soffrivano molto a causa della maternità e alle diffuse pratiche abortive svolte con metodi brutali e non igienici.

«In mezzo allo squallore, alla miseria, alla malattia e all'anonimato delle antiche città, il cristianesimo creò un'isola di misericordia e sicurezza». Stark non manca di citare le celebri parole di Gesù dal Vangelo di Matteo: «Perchè ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere...» (Mt 25,35-36,40) e poi quelle dell'apostolo Giacomo che esprime concetti simili(2,15-17).

Invece nel mondo pagano, soprattutto tra i filosofi, sottolinea Stark, «la misericordia era considerata un difetto del carattere e la pietà un'emozione patologica: siccome la misericordia include il dono di un aiuto o di un sollievo immeritato, essa è considerata contraria alla giustizia».

Per il cristianesimo la misericordia era una delle principali virtù. Il Dio misericordioso richiede agli uomini di essere misericordiosi, per i pagani questo era bestemmia. Amarsi a vicenda, é un «un principio veramente rivoluzionario era che l'amore cristiano e la carità dovevano estendersi oltre i confini della famiglia e persino della congregazione, per rivolgersi a tutti i bisognosi». Per i cristiani bisognava fare del bene a tutti, non solo ai propri fratelli. Stark chiarisce che queste non erano solo belle parole per i primi cristiani. Su questo Paul Johnson, scrive: «i cristiani […] gestivano uno stato sociale in miniatura all'interno di un impero che in gran parte era privo di servizi sociali». Poi Tertulliano spiega come questo stato sociale funzionava.

Tuttavia per Stark tutte le attività caritative dei primi cristiani erano possibili, «solo perchè il cristianesimo creò le congregazioni, una vera e propria comunità di credenti che organizzavano la loro vita intorno alla loro affiliazione religiosa».

Sostanzialmente tutto questo proteggeva i cristiani, quando arrivava qualche calamità, c'erano persone che si prendevano cura dei bisognosi, avevano quel preciso compito. Come è sottolineato nelle Costituzioni Apostoliche, «Ogni congregazione aveva decani il cui compito principale era il sostegno dei malati, degli infermi, dei poveri e dei disabili».

Rodney Stark, illustra gli immensi benefici che la vita cristiana ha saputo dare alle due grandi piaghe pestilenziali che colpirono l'impero: la prima nell'anno 165 d.C., una devastante epidemia che si diffuse durante il regno di Marco Aurelio. Sembra che si sia trattato del vaiolo, un morbo che si dimostrò letale, come tutte le malattie contagiose. E mentre oggi stiamo combattendo la nostra battaglia contro il coronavirus, è straordinariamente interessante leggere ripercorrere gli eventi che hanno colpito le popolazioni di allora.

In quindici anni di diffusione dell'epidemia, un quarto e forse un terzo della popolazione rimase uccisa dal morbo. «Al culmine dell'epidemia - scrive Stark - la mortalità era così elevata in molte città che l'imperatore Marco Aurelio (che successivamente morì di questa malattia) scrisse di carovane di carri e vagoni che portavano via i morti».

Dopo un secolo arrivò un'altra piaga, sempre nel mondo greco-romano. Da ogni parte familiari, amici e vicini morivano in modo orribile. Nessuno sapeva come curare le persone colpite. Durante la prima piaga, il famoso medico classico Galeno, fuggi da Roma, per rifugiarsi nella casa di campagna e qui rimase finchè il pericolo non cessò.

Chi invece non poteva fuggire, l'unica alternativa, «era cercare di evitare ogni contatto con i malati, perché ci si era resi conto che la malattia era contagiosa». Praticamente quello che stiamo facendo noi su indicazione dei nostri governanti con il coronavirus. Altro che pratiche medievali, come hanno scritto certi giornalisti, abbiamo attuato pratiche da tardo impero romano.

Continuando la descrizione sulle modalità dei romani ad affrontare il letale virus, Stark precisa :«le persone venivano spesso buttate in mezzo alla strada, dove i morti e i moribondi erano ammucchiati», oggi, noi non siamo arrivati a questo, grazie alle nostre strutture sanitarie efficienti, ma in Cina si è assistito alle stesse scene di duemila anni fa. Lo studioso americano per supportare la sua descrizione cita il vescovo Dionisio che descriveva la seconda epidemia (del 251 d.C.): «alle prime avvisaglie della malattia, i [pagani] cacciavano i sofferenti e fuggivano via dai loro cari, scaraventandoli in strada prima che fossero morti e trattavano i cadaveri insepolti come immondizie, sperando in questo modo di scongiurare la diffusione e il contagio della malattia mortale [...]».

Stark fa emergere la drammaticità di quei momenti, cercando di descrivere lo stato d'animo dei parenti: «deve aver causato enorme dolore e afflizione dover abbandonare le persone amate in quel modo. Ma cos'altro potevano fare?».

Un po' come oggi. Tra l'altro, i romani di allora non potevano neanche pregare gli dei, anche perchè credevano che gli dei non si curassero minimamente di loro. E lo sottolinea bene Tucidite quando parla della piaga di Atene: «Morivano senza nessuno intorno che si curasse di loro, e davvero c'erano molte case in cui gli abitanti morivano per mancanze di cure […] Quanto agli dei - scrive Tucidite - sembrava del tutto uguale venerarli o meno, quando uno vedeva i buoni e i cattivi morire in modo indiscriminato». Per questo motivo i filosofi classici davano la colpa della morte al destino. «Mentre una piaga mortifera devastava l'impero […] i sofisti cianciavano di esaurimento della virtù in un mondo che invecchia». La Storia si ripete in maniera eccezionale.

Di fronte a tutto questo i cristiani affermavano di avere le risposte giuste. Intanto credevano che la morte non fosse la fine e che la vita fosse un tempo di prova. A questo proposito Stark cita Cipriano, vescovo di Cartagine, presente nella seconda piaga, dove spiega al suo popolo che il virtuoso non ha niente da temere.

Non solo ma «i cristiani onorano l'obbligo di prendersi cura dei malati, invece di abbandonarli, e dunque salvarono moltissime vite umane!».

Ancora una lettera pastorale del vescovo Dionisio inviata ai suoi membri, loda coloro che avevano curato i malati e soprattutto quelli che avevano perso la vita nel fare questo. «Sprezzanti del pericolo, si sono fatti carico dei malati[...] attirando su di sé la malattia dei loro prossimi e accettando caritatevolmente i loro dolori. Molti, accudendo e curando altre persone, hanno trasferito la morte di queste su di sé, morendo al posto loro[...]». Penso ai tanti medici che hanno perso la vita per curare i malati, ma anche ai sacerdoti morti che non si sono risparmiati per assistere gli ammalati come medici delle anime.

Alla fine il sociologo americano citando un noto studio,“La peste nella storia” di William H. McNeill, scrive che probabilmente bastavano poche ed elementari cure, come garantire cibo e acqua, per salvare tante persone. Pare che i cristiani abbiamo sensibilmente contribuito a ridurre la mortalità di almeno due terzi. «Il fatto che molti cristiani colpiti sopravvivevano non passava inosservato, conferendo grande credibilità alla 'fucina di miracoli' cristiana». Tuttavia Stark fa emergere chiaramente che i cristiani in larga parte sarebbero cresciuti in modo sostanziale. «Avendo fondato delle comunità di misericordia e mutuo soccorso, i cristiani vivevano davvero un'esistenza più lunga e migliore». Secondo Stark, i cristiani vivevano più a lungo e trascorrevano un'esistenza più confortevole perché imitavano Cristo.

Stark racconta che quando l'imperatore Giuliano esortava il sommo sacerdote della Galizia a distribuire grano e vino ai poveri, lamentando che gli empi cristiani lo fanno. Queste proposte non ottengono risposta, perché i sacerdoti pagani non erano abituati e non esistevano dottrine o pratiche per fare opere caritatevoli. Sostanzialmente scrive Stark, «un sacerdote pagano non poteva predicare che le persone con poco spirito di carità rischiavano la salvezza». Per i pagani non esisteva alcuna salvezza, alcuna via d'uscita dalla mortalità. «Mentre i cristiani credevano nella vita eterna, i pagani credevano al massimo in un'esistenza poco attraente nell'oltretomba». La fede fa la differenza, uno come Galeno, non poteva rimanere a Roma era impossibile.

 

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