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È tensione tra Italia e Turchia

È tensione tra Italia e Turchia. Il premier italiano Mario Draghi, ieri sera, ha condannato in modo netto il trattamento riservato alla presidente della Commissione europea che, martedì scorso, nel sontuoso palazzo presidenziale di Ankara era stata lasciata senza sedia durante il colloquio, cui partecipava anche il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, per far ripartire il dialogo tra la Ue e la Turchia:«Non condivido assolutamente Erdogan — ha detto durante una conferenza stampa —, credo che non sia stato un comportamento appropriato. Mi è dispiaciuto moltissimo per l'umiliazione che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha dovuto subire».

E ha aggiunto: «Con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono, di cui però si ha bisogno, uno deve essere franco nell'esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società; e deve essere anche pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese. Bisogna trovare il giusto equilibrio».

"Piena solidarietà al Presidente Mario Draghi e apprezzamento per il coraggio dimostrato dalle sue parole". Lo dichiara il think tank Lettera 150 relativamente alla polemica su Erdogan. "Il Presidente del Consiglio - prosegue - si muove nel solco della costituzione italiana che riconosce nella democrazia e nei valori di libertà e rispetto dei diritti umani il collante che unisce le millenarie civiltà mediterranee". "Lo sgarbo fatto a Ursula von der Leyen (nella stupefacente indifferenza di Charles Michel) da parte del governo turco rappresenta l'ennesima testimonianza della involuzione politica di una grande nazione che, tradendo l'insegnamento di Kemal Ataturk, sta scivolando verso derive liberticide che colpiscono fra l'altro l'università, il mondo della cultura, la stampa, i diritti delle donne e delle minoranze". "Chiediamo alle forze libere e democratiche d'Europa - conclude Lettera 150 - di fare concreta pressione sul governo turco perché fermi una preoccupante deriva totalitaria

"Il primo ministro Draghi ha ragione, sotto la guida del presidente Erdogan la Turchia si è allontanata dallo stato di diritto, dalla democrazia e dalle libertà fondamentali nell'ultimo decennio". Così il presidente del gruppo del Ppe Manfred Weber in una dichiarazione inviata ai media italiani. La Turchia "non è un Paese libero per tutti i suoi cittadini - ha aggiunto Weber -. Se l'Europa vuole costruire un partenariato costruttivo con Paesi come la Turchia, ed è nel nostro interesse strategico farlo, dovremmo parlare chiaramente e onestamente dei fatti sul campo", ha detto Weber. "È anche il motivo per cui abbiamo chiesto già da anni al Consiglio di chiudere finalmente   la procedura di allargamento della Turchia all'Ue - ha proseguito Weber -. Siamo categoricamente contro una prospettiva di adesione della Turchia all'Ue e finché è sul tavolo ostacola un rapporto più realistico e franco con il Paese".

Proteste e polemiche, al di là di Draghi, infuriano anche in Italia. La condanna dei gruppi parlamentari sul sofa gate è unanime. E a Montecitorio il Partito democratico ha manifestato il suo sconcerto lasciando una sedia vuota al centro dell'emiciclo per denunciare quella che Beatrice Lorenzin ha definito «un'offesa a tutte le donne ed all'Unione Europea»

Intanto, il caso è destinato a finire al Parlamento europeo. Dopo la condanna unanime, dai maggiori gruppi è arrivata la richiesta di un dibattito in plenaria per far luce sull'accaduto.

«La visita ad Ankara avrebbe dovuto rappresentare un messaggio di fermezza e unità dell'approccio dell'Europa alla Turchia. Purtroppo, si è tradotta in un simbolo di disunione, poiché i presidenti non sono riusciti a stare insieme quando era necessario», ha attaccato il presidente del Ppe, Manfred Weber. A sollecitare una discussione con von der Leyen e Michel è stata anche la presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D), Iratxe Garcia Perez, che ha ricordato: «L'unità dell'Unione europea e il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle donne, sono fondamentali».

Intanto l’ambasciatore italiano ad Ankara, Massimo Gaiani, è stato  convocato dal viceministro degli Esteri con delega agli Affari Ue, Faruk Kaymakci, che gli ha espresso la «forte condanna» della Turchia per le «brutte e sfacciate affermazioni» di Draghi. E il capo della diplomazia turca Mevlut Cavusoglu, ha alzato il tono dello scontro: «Il premier italiano, nominato, ha rilasciato una dichiarazione populista e inaccettabile nei confronti del nostro presidente della Repubblica, che è stato scelto attraverso elezioni». «Condanniamo con forza le parole riprovevoli e fuori dai limiti», ha aggiunto. In una nota il ministero degli Esteri di Ankara ha chiesto anche «l’immediato ritiro» delle dichiarazioni sul presidente turco Recep Tayyip Erdogan, «che non sono conformi allo spirito di amicizia e di alleanza tra Italia e Turchia».

Le parole del premier Mario Draghi su Erdogan hanno suscitato in Turchia un'ondata di reazioni politiche. "Caro Draghi da noi non c'è alcun dittatore. Se vuole vedere un dittatore guardi alla storia del suo Paese, guardi Mussolini", ha twittato il capogruppo in parlamento del partito Akp di Erdogan, Numan Kurtulmus.

Pina Picierno parlamentare europea del pd, ha scritto questa lettera al quotidiano Avvenire : "Gli uomini offendono o per paura, o per odio". Credo sia tutta in questa valutazione sulle virtù o i limiti del Principe elaborata da Machiavelli la traccia di discussione sulle relazioni tra Ue e Turchia, che ha trovato rappresentazione e sintesi nella ormai famosa fotografia irrituale che ritrae Ursula von der Leyen costretta alla seduta sul sofà, ai margini del palcoscenico riservato a Erdogan e Michel. Non a caso uso le parole rappresentazione e sintesi, perché onestamente meraviglia ci si potesse aspettare altro dalle relazioni tra Ue e Turchia se non l'offesa, lo “schiaffo” diplomatico e cerimoniale. Ma veniamo ai fatti, che contano sempre più delle polemiche.

Negli scorsi mesi abbiamo assistito al perseguimento di una linea di politica estera Ue, di Commissione e Consiglio, e delle relazioni con la Turchia improntata alla de-escalation. La giusta preoccupazione per l'aggressività di Erdogan nel Mediterraneo orientale ha suggerito una fase di dialogo per evitare che quell’aggressività potesse portare a tensioni non più controllabili, in un'area già calda. La Nato stessa ha perseguito l’obiettivo di raffreddare quelle tensioni. Così come era necessaria almeno una revisione e un adeguamento delle intese per il “contenimento” del fenomeno migratorio in particolare dalla Siria, sulle rotte balcaniche ed egea.

La presunta de-escalation, però, è stata condotta unilateralmente dalla Ue, confondendo aggressore con aggredito, parte lesa con parte offesa, con l'unico obiettivo di ridimensionare le tempeste che Erdogan scatena ciclicamente per propaganda interna e per stringere un cappio liberticida su oppositori, minoranze etniche, studenti e donne, in un delirio di protagonismo della Turchia nel Mediterraneo e in Medio Oriente che non trova fondamento né nella sua forza economica né in quella militare. Quel protagonismo è esattamente il punto di crisi della politica estera Ue. Quella sedia mancante ne è la rappresentazione. Continuare a confinare il Mediterraneo nell’angusta strettoia del fenomeno migratorio che, inutile nasconderselo, è per varie ragioni l'unica ossessione delle cancellerie europee, dimostra il fallimento della Ue, come potenza globale e, ancora più gravemente, persino come potenza regionale. E questo non è l'unico punto, né il principale.

Europeismo e atlantismo, quante volte ne sentiamo parlare? Nel corso della seconda metà del secolo scorso, pur tra non poche contraddizioni, questi due concetti, queste due coordinate geopolitiche, sono servite a indicare una scelta di fondo inequivocabile: lo sviluppo della democrazia e dei diritti umani e politici nella storia dell'umanità. La stessa ragione fondativa dell’Europa comunitaria non può che essere ricercata in questo spirito. Perché se la democrazia non si esporta, non può nemmeno essere merce di scambio di interessi particolari. E io continuo a pensare, per intenderci, che fermare i migranti alle frontiere non valga un solo minuto di galera di un oppositore a un regime.

Insomma, nessuna offesa può essere più subita. Né per odio, né per paura. Se europeismo significa ancora qualcosa, oggi, la sedia da occupare è quella lasciata libera nel Mediterraneo dalle nostre stesse paure e dalla nostra mancanza di visione.



 

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