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"Tutte le nazioni devono dimostrare alla Corea del Nord che perseguire armi nucleari, come stanno facendo, ha delle conseguenze. I paesi che ospitano lavoratori nordcoreani, forniscono aiuti economici o militari alla Corea del Nord o non attuano pienamente le risoluzioni del Consiglio di sicurezza stanno aiutando e proteggendo un regime pericoloso", ha quindi affermato il segretario di stato.

Seul e Washington hanno confermato che quello lanciato ieri dalla Corea del Nord era un missile balistico intercontinentale. "Gli Stati Uniti condannano decisamente il lancio, da parte della Corea del Nord", ha dichiarato il segretario di stato Rex Tillerson, sottolineando che tale test "costituisce una nuova escalation della minaccia nei confronti degli Stati Uniti, dei nostri alleati e partner, della regione e del mondo". Ed ha aggiunto che serve "una azione globale per fermare una minaccia globale", anticipando una discussione degli ultimi sviluppi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite..

Intanto si apprende che Stati Uniti e Corea del Sud hanno lanciato missili nel Mar orientale, in risposta al test di Pyongyang, come hanno reso noto gli stati maggiori riuniti citati dall'agenzia Yonhap.

La Corea del Nord ha fatto sapere che il nuovo modello di missile testato martedì può caricare una testata nucleare di grandi dimensioni. La rivendicazione è stata riportata dall’agenzia di stampa nord-coreana Korean Central News Agency, che ha affermato che il Paese non intende entrare in negoziati con gli Stati Uniti fino a quando Washington non metterà fine all’atteggiamento ostile nei confronti di Pyongyang. Secondo il regime, il missile è anche in grado di rientrare intatto nell’atmosfera. L’effetto provocato dal lancio è stato salutato con soddisfazione dal leader nord-coreano, Kim Jong-un. "Con un largo sorriso sul volto", scrive l’agenzia nord-coreana, Kim "ha detto a funzionari, scienziati e tecnici che gli Stati Uniti saranno contrariati dal 'pacco regalo' per il Giorno dell’Indipendenza".

E' un'altra pesante violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e costituisce una pericolosa escalation della situazione": e' la "ferma condanna" del segretario generale dell'Onu Antonio Guterres. "La leadership di Pyongyang deve evitare altre azioni provocatorie e rispettare i propri obblighi internazionali", ha avvertito, sottolineando l'importanza che "la comunità internazionale sia unita per affrontare questa sfida".

Gli Usa, che ritengono si tratti di un probabile missile balistico intercontinentale a due stadi e cioè a lunga gittata, hanno chiesto una riunione d'emergenza del Consiglio di Sicurezza Onu.

Il premier giapponese Shinzo Abe ha dichiarato che "il lancio odierno del missile mostra chiaramente come la minaccia di Pyongyang diventi sempre più pericolosa".  Il comando centrale della difesa a Seul ha reso noto che il missile ha volato per 930 chilometri dalla base di Banghyun, nella provincia a nord di Pyongyang, e che ulteriori dettagli, come altitudine e velocità, sono in fase di verifica. Il portavoce del comando sudcoreano ha detto che l'esercito rimane in stato di allerta per far fronte a ulteriori provocazioni della Corea del Nord. L'ultima prova segue il lancio di molteplici missili superficie-aria avvenuta dalla base orientale di Wonsan il mese scorso. In tale occasione la distanza coperta dai missili era stata di 200 chilometri, a dimostrazione delle capacità di colpire unità navali.

Frustrato poi dall'apparente riluttanza di Pechino ad intervenire sulla Corea del Nord, Trump in una telefonata avuta ieri con il presidente cinese Xi Jimping, ha chiarito che gli Usa sono pronti ad agire da soli per fare pressioni contro il programma nucleare militare di Pyongyang. 

Per il vice ministro degli esteri russo Serghei Ryabkov l''ultimo test missilistico della Corea del Nord suscita "preoccupazione" e fornisce "nuovi argomenti a chi cerca pretesti per una nuova escalation delle tensioni". "Ci pare ovvio che non ci sono alternative a una soluzione diplomatica, un piano a tappe, se non vogliamo scivolare verso una situazione incontrollabile e potenzialmente catastrofica", ha aggiunto.

Mosca e Pechino rilanciano "l'iniziativa congiunta" sul 'doppio congelamento' - l'attività missilistica nucleare della Corea del Nord e le esercitazioni massicce degli Stati Uniti e della repubblica Coreana - e chiedono a tutte le nazioni coinvolte di mostrare "moderazione e rinunciare alle provocazioni e alla retorica bellica".

Intanto "C'è stato un malinteso", ha detto oggi il cancelliere austriaco Christian Kern, "Non stiamo dispiegando blindati al Brennero e posso sottolineare ancora una volta che la cooperazione con l'Italia è veramente buona. In questo momento non ci sono indicazioni secondo cui le autorità italiane non hanno il controllo della situazione al confine".

Cosi l'esercito austriaco fa dietrofront: Vienna non schiererà più - come aveva minacciato ieri - i carri armati al Brennero per evitare che i migranti attraversino il confine dall'Italia verso l'Austria.

Da Palazzo Chigi arriva la soddisfazione per la decisione di Vienna. "La collaborazione tra le forze di polizia produce ottimi frutti e si basa sul rispetto da entrambe le parti delle regole europee, senza alcun bisogno di truppe o mezzi militari da schierare alla frontiera", spiegano alcune fonti, aggiungendo che questa mattina il premier italiano, Paolo Gentiloni, aveva sentito al telefono Kern.

«C'è un disegno contro l'Italia». Certe Ong che operano con le loro navi nel Mediterraneo fanno gli interessi di chi le finanzia, per questo il governo italiano vuole chiudere i porti. «Il problema va risolto in Africa dall'Onu e dall'Unione europea». 

"Nel Mediterraneo - spiega l'ammiraglio - ci sono organizzazioni che con la scusa di essere non governative, si lasciano guidare da uno spirito anarchico. Potrebbero presentarsi davanti a un porto francese o spagnolo o perfino del Nord Europa. Sono navi che in teoria non hanno uno Stato di riferimento, ma chi le finanzia, e i finanziatori spesso non sono italiani. Chi vuol creare difficoltà all'Italia? Da un lato le Ong seguono proprie logiche, dall'altro sottostanno a interessi finalizzati a ostacolare il nostro Paese". Una delle chiavi è il fallimento degli accordi bilaterali firmati a suo tempo con i Paesi nordafricani per limitare i flussi. "Hanno smesso di funzionare dopo la guerra in Libia, destabilizzata da Paesi come Francia e Gran Bretagna per non lasciare all'Italia il petrolio libico".

Secondo l'ammiraglio Alessandro Picchio, già consigliere militare dei governi di Silvio Berlusconi e Mario Monti, la questione è torbida. "C'è un disegno contro l'Italia", spiega al Messaggero puntando il dito contro quelle Ong che fanno gli interessi non dei migranti, ma di chi le finanzia. "Il problema va risolto in Africa dall'Onu e dall'Unione europea". 

Oggi come allora, cambiano i soggetti ma la regia sembra sempre la stessa, così come il fine: mettere in difficoltà il nostro Paese. "Se salvo gente in mare in teoria devo portarla nel porto più vicino, cioè in Tunisia o a Malta o nel porto verso cui sono diretto. Le Ong non possono sempre sbarcare negli stessi porti che neppure sono i più vicini. Altrimenti c'è un disegno. Non è un caso che le Ong sbarchino sempre da noi. Le nostre difficoltà fanno comodo a certi cari cugini". Serve l'intervento di Francia e Germania, dunque, decisive nell'Ue e nell'Onu: "Se lo vuole un gruppo di Stati importanti, le decisioni vengono prese e le missioni finanziate", assicura Picchio, che poi ipotizza anche interventi militari: "La stabilizzazione della Libia dovrebbe farla l'Italia, che sa parlare e trattare con tutte le tribù. Un intervento militare si può invece fare nei Paesi dell'Africa subsahariana dai quali i profughi provengono".

L'Onu non prevede un calo del flusso misto di migranti e rifugiati che giungono in Europa via mare: "le indicazioni di cui disponiamo non denotano un rallentamento degli arrivi in Libia, il che significa che un più ampio numero di persone potrebbe continuare a provare di lasciare il paese tramite la rotta del Mediterraneo centrale". Lo ha detto l'inviato speciale dell'Unhcr per il Mediterraneo centrale, Vincent Cochetel, ricordando che dall'inizio dell'anno 84.830 migranti e rifugiati sono giunti in Italia via mare con un aumento del 19% rispetto all'anno scorso.

Tensione in Europa sui migranti, con i governi di Francia e Spagna contrari all'idea di permettere lo sbarco delle persone soccorse nel Mediterraneo centrale nei loro porti e l'Austria che minaccia di schierare l'esercito al Brennero se "l'afflusso di migranti dall'Italia non diminuirà. Il ministro della Difesa austriaco Hans Peter Doskozil ha annunciato che "molto presto saranno attivati controlli alle frontiere e ci sarà bisogno di un dispiegamento dell'esercito  fino a 750 uomini - indispensabile se l'afflusso di migranti dall'Italia non diminuisce". 

In quest'ambito, sono già stati portati al Brennero quattro mezzi corazzati Pandur delle Forze armate austriache che potrebbero essere impiegati nelle operazioni di controllo sull'immigrazione. Come scrive l'agenzia austriaca Apa, il dispositivo potrebbe essere attivato nel giro di tre giorni e comprende 750 militari, 450 dei quali saranno messi a disposizione da reparti stanziati nella regione del Tirolo, mentre i restanti verrebbero dal comando militare della Carinzia.

"A seguito delle dichiarazioni del governo austriaco circa lo schieramento di truppe al Brennero, il Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale, Amb. Elisabetta Belloni, ha convocato stamane alla Farnesina l'Ambasciatore austriaco a Roma, René Pollitzer", comunica il ministero degli Esteri in una nota.

Il nìministro degli esteri austriaco Kurz chiarisce: "I preparativi per i controlli alla frontiera con l'Italia non sono solo giusti ma anche necessari. Noi ci prepariamo e difenderemo il nostro confine del Brennero se ciò sarà necessario". In dichiarazioni riportate dall'agenzia austriaca Apa l'atteggiamento dell'Austria viene definito da Kurz un chiaro messaggio nei confronti di Bruxelles e di Roma sul fatto che nessuno può rivolgere accuse all'Austria: "Abbiamo accolto più persone di quanto non abbiano fatto gli altri stati europei". Secondo Kurz, l'Unione Europea deve chiarire che un soccorso attuato nel Mediterraneo non è un ticket per l'Europa e i profughi vanno respinti, oppure vanno fermati alle frontiere esterne e vanno portati su isole come Lampedusa.

Oim, 101.000 arrivi via mare in Europa, 2.247 morti  - Il numero di migranti e rifugiati giunti in Europa via mare dall'inizio dell'anno ha superato la soglia dei 100 mila, come ha riferito l'Organizzazione
internazionale per le migrazioni (Oim). Dall'inizio del 2017 al 3 luglio scorso, un totale di 101.210 migranti e rifugiati ha attraversato il Mediterraneo, quasi l'85% è giunto in Italia (85.183), mentre il resto degli arrivi è suddiviso tra Grecia (9.290), Cipro (273) e Spagna (6.464). L'Oim stima a 2.247 il numero di persone morte in mare nello stesso periodo.

Il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, alla seduta plenaria del Parlamento europeo, ha sottolineato che con quanto la Commissione europea delibererà oggi in materia di migrazioni "dimostreremo con i fatti che vogliamo rimanere solidali, soprattutto con l'Italia che dimostra un atteggiamento eroico. La solidarietà è d'obbligo". Oggi è in programma una riunione del collegio dei commissari dove si parlerà appunto di gestione delle migrazioni, in vista dell'incontro informale dei ministri dell'Interno Ue di domani a Tallin. 

Lo stesso Juncker ha avuto uno scontro con il presidente del Parlamento europeo Tajani, a causa delle poche presenze in aula di europarlamentari. "Siete ridicoli", ha attaccato Juncker, subito ripreso da Tajani. "Moderi i termini - l'ha interrotto - è la Commissione sotto il controllo del Parlamento non il contrario".

"Il fatto che c'è solo una trentina di deputati presenti dimostra che il Parlamento europeo non è serio. Se ci fossero stati Angela Merkel o Macron e non un piccolo Paese come Malta non sarebbe stato così. Non parteciperò più a riunioni di questo tipo", ha detto ancora Juncker prima di interrompere bruscamente il suo intervento con un brevissimo ringraziamento al premier maltese Joseph Muscat per il suo lavoro durante la presidenza di turno del Consiglio. Tajani l'ha ripreso per una seconda volta. Poi il dibattito è proseguito con gli interventi degli eurodeputati.

"La nostra priorità è lavorare a monte per ridurre il flusso di migranti verso l'Italia ed evitare tragedie nel Mediterraneo": lo dice il commissario europeo Dimitris Avramopoulos in un'intervista al quotidiano francese Le Figaro in edicola il 4 luglio. "Oggi l'Italia - dice Avramopoulos - si trova in una situazione delicata e noi la aiuteremo. E' quello che già facciamo politicamente, finanziariamente, materialmente. Abbiamo ottenuto risultati, ma dobbiamo raddoppiare gli sforzi per ridurre significativamente il flusso".

Sui migranti "la Francia si è mostrata molto responsabile fin dall'inizio, ed è anche sotto pressione, in particolare a Calais. Ma può impegnarsi di più": così il commissario Ue rispondendo alla domanda se la Francia deve aprire i propri porti. "La situazione è insostenibile - ha detto - urgono risposte". Per i contributi al fondo per l'Africa, ha poi aggiunto, Roma ha sbloccato 4 milioni di euro, la Germania 50 milioni e la Francia solo 3. E' una cifra troppo bassa".

L'accordo anticipa di pochi giorni il summit di Tallin, l'Italia incassa la "piena intesa", di Francia e Germania sulla questione migranti. Primo esito tangibile dell'incontro voluto dal ministro dell'Interno Marco Minniti con i colleghi tedesco e francese, Thomas de Maziére e Gerard Colomb, e con il commissario europeo per gli Affari interni Dimitri Avramopoulos, un documento su più punti che si sta mettendo a punto e che l'Italia presenterà giovedì in Estonia all'incontro dei ministri degli Interni di tutti e 28 i paesi Ue.

"L'iniziativa italiana ha prodotto dei primi risultati - ha detto Gentiloni - e mi auguro che generino effetti concreti. L'Italia intera - ha aggiunto - è mobilitata per far fronte ai flussi e chiede una condivisione Ue che è necessaria se si vuole tener fede alla propria storia e ai propri principi. E' necessaria per l'Italia per evitare che i flussi diventino insostenibili alimentando reazioni ostili nel nostro tessuto sociale". 

Al vertice di Parigi  è stata espressa una forte solidarietà all'Italia che fa fronte ad un numero crescente di arrivi". Francia e Germania hanno assicurato inoltre "il loro impegno per accrescere i loro sforzi in tema di relocation". 

Il centrodestra trionfa ai ballottaggi delle comunali, piazzando i suoi candidati in 16 città, mentre il centrosinistra riesce a vincere solo in 6 comuni capoluogo. Cadono roccaforti rosse come Genova e Pistoia. Parma conferma Pizzarotti. Renzi sconfitto è sotto assedio ma tira dritto e se il M5s parla di 'Caporetto per il Pd', il segretario Matteo Renzi posta un grafico per dare la sua lettura: '67 a 59 per il centrosinistra'.

Berlusconi, forte del risultato ottenuto dal centrodestra, frena Salvini e invoca una coalizione con profilo liberale-moderato: "Da questi risultati il centro-destra può partire in vista della sfida decisiva per tornare a guidare il paese, sulla base di un programma condiviso, che in larga parte già abbiamo, e di una coalizione fra forze politiche diverse, caratterizzata da un chiaro profilo liberale, moderato, basato su radici cristiane, secondo il modello di centro-destra vincente in tutt'Europa e oggi anche in Italia".  

Ribatte la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni: "La moderazione è una categoria che in politica non esiste più: a me non interessano le etichette, mi interessano i contenuti. Parliamo di quelli e da quelli voglio partire per costruire la coalizione di centrodestra". 

"Serve il centrosinistra, dicono. Avessimo vinto tutti i ballottaggi, avrebbero detto che serve il centrosinistra. Avendone persi alcuni, è sempre la dimostrazione che serve il centrosinistra. Amici e compagni, ve lo dico con affetto, non funziona così. Serve il modello Pisapia sennò si perde, dicono. Peccato che la sconfitta peggiore l’abbiamo subita a Genova”, scrive su Facebook il presidente del Pd Matteo Orfini

"Non capisco neanche Gentiloni che non è salito al Quirinale a consegnare le dimissioni". Per Salvini la sola strada percorribile è quella del voto. "Questa è la terza sfiducia dopo il referendum del 4 dicembre e il primo turno - spiega - c'è modo e modo di vincere, per me la politica è sudore, ascolto, passione e consumarsi la suola delle scarpe e non solo tv o Facebook. Qualcuno ha vinto o perso le elezioni senza fare un comizio - incalza l'europarlamentare lumbard - Renzi probabilmente sarà il conduttore di 'Chi l'ha visto?' l'anno prossimo". Adesso il suo orizzonte sono le elezioni dell'anno prossimo. Prima si va al voto, meglio è. "Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno - spiega da via Bellerio - se dopo decenni abbiamo vinto in città come Genova e Sesto San Giovanni, vuol dire che possiamo farlo anche a livello nazionale".

Nelle prossime ore Salvini sentirà Berlusconi. "Ci vedremo, ci sentiremo e ragioneremo", assicura in conferenza stampa in via Bellerio. Sul tavolo il programma da sottoporre agli elettori alle politiche dell'anno prossimo. "Ho proposto diciotto volte di fare le primarie, non solo sul leader ma anche sul programma - chiarisce il segretario leghista - mi è stato detto di 'no' diciotto volte, non mi incaponisco su questo". In questo momento per Salvini la priorità è fare "una legge elettorale di cinque righe e votare subito""Laleadership - assicura - è l'ultima delle mie preoccupazioni"

La mappa di Renzi su Twitter? Questa è la vecchia politica democristiana di chi voleva rottamare. Se perdi a Sesto e a Genova, hai fallito". Dal quartier generale della Lega Nord, Matteo Salvini replica duramente a Renzi che si vanta di aver vinto le comunali e dà l'avviso di sfratto al premier Paolo Gentiloni. "Non capisco come il segretario del primo partito italiano possa aver festeggiato. Veramente il caldo fa brutti scherzi", tuona al leader del Carroccio che ora guarda alle elezioni politiche del 2018. Da qui ad allora c'è ancora un po' di strada da fare. Per questo, già nei prossimi giorni sentirà Silvio Berlusconi.

I giudici di pace incrociano di nuovo le braccia contro la riforma della magistratura onoraria che dovrebbe tornare a breve al Consiglio dei ministri. Lo sciopero inizierà lunedì prossimo e durerà tre settimane. Tra i rischi legati alle nuove norme, denunciati dalle associazioni di categoria (Angdp, Unagipa e Cgdp), ci sarebbe anche il blocco delle convalide delle espulsioni degli immigrati clandestini che sono sbarcati in Italia e a cui è stato rifiutato lo status di rifugiato.

Ancora sbarchi, ancora emergenza e ancora polemiche politiche. Con i porti siciliani e campani ormai allo stremo da mesi, continua inarrestabile l'ondata di arrivi di migranti sulle coste italiane. Ma, se nei giorni scorsi il ministro dell'Interno Marco Minniti aveva ventilato l'ipotesi di chiudere i porti italiani alle navi straniere, oggi il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio ha subito congelato l'idea del blocco navale. "Nessun porto chiuso - ha spiegato in una intervista al Corriere della Sera - lo dico da responsabile della Guardia costiera e delle operazioni di soccorso ai migranti. Non stiamo rinunciando a quei princìpi di umanità che l'Italia ha messo in campo con Renzi e Gentiloni".

Minniti non ha usato mezzi termini, ieri mattina, per descrivere la situazione italiana. "Molti leader europei dicono che il tema che poniamo è giusto - ha detto - bene, ai temi giusti si risponde con i fatti. Il tempo delle parole purtroppo si è consumato". Negli ultimi tre giorni l'Italia ha avuto un picco particolarmente alto con un affollamento delle navi delle organizzazioni non governative, delle missioni europee e della Guardia costiera che facevano avanti e indietro dalle coste libiche ai porti italiani. "In 25 porti del nostro Paese stiamo facendo assistenza a queste navi - ha riferito nelle scorse il titolare del Viminale - è uno sforzo straordinario".

Delrio ha assicurato in una intervista al Corriere della Sera che "non verrà chiuso alcun porto". "La nostra fermezza e la protesta di queste ore - ha aggiunto il ministro delle Infrastrutture - è per chiedere che l'Inno alla gioia si suoni anche quando sbarcano le navi dei migranti e non solo per celebrare il sogno europeo. 

Intanto un affollamento delle navi delle organizzazioni non governative, delle missioni europee e della Guardia costiera che facevano avanti e indietro dalle coste libiche ai porti italiani. "In 25 porti del nostro Paese stiamo facendo assistenza a queste navi - ha riferito nelle scorse il ministro dell'Interno Marco Minniti - è uno sforzo straordinario". A "subire" il maggior impatto è il porto di Augusta, in provincia di Siracusa. Dall'inizio dell'anno e a mercoledì 28 giugno sono stati ben 13.000 i migranti sbarcati sul numero complessivo di quasi 77.000 arrivati in Italia dal primo gennaio scorso. Come dire che quasi il 15% del totale dei profughi che ce l'hanno fatta a superare il Mediterraneo sono transitati da Augusta. A questi bisogna aggiungere i clandestini rintracciati a terra. E con questi il numero lievita ancora.

Questo per la fase di sbarco. Ben diversa è, invece, la situazione per la fase successiva, cioè la distribuzione dei migranti sul territorio nazionale, regione per regione. In testa c'è la Lombardia con il 13% di arrivi. Quindi, ci sono Lazio e Campania con il 9% a testa, il Piemonte, l'Emilia Romagna e Veneto con l'8% ciascuno, la Toscana, la Puglia e la Sicilia con il 7% a testa, la Calabria con il 4% del totale e Liguria, Sardegna, Marche e Friuli Venezia Giulia con il 3% a testa. Quindi Abruzzo, Molise, Umbria e Trentino-Alto Adige con il 2% a testa. La Basilicata ospita l'1% degli immigrati. Fanalino di coda la Valle d'Aosta che accoglie lo 0,2% del numero totale di migranti distribuiti sul territorio nazionale.

Arrivano principalmente in Sicilia, ma non solo. Anche la Calabria, la Puglia, la Campania e la Sardegna sono prese d'assalto senza sosta. I migranti partiti dalle coste settentrionali dell'Africa sbarcano in tutti i porti italiani. Quelli delle regioni del Sud sono, ovviamente, le prime mete dei barconi dal momento che sono i più prossimi alle zone di mare aperto dove gli scafisti si avventurano e sono anche quelli più comodi da raggiungere per le navi delle Ong o per le unità militari del sistema Frontex

Subito dopo Augusta c'è Catania con 9.620 migranti sbarcati. È più o meno il 12% del totale. In questa classifica che rimanda a drammi umani e all'emergenza che oggettivamente si crea sul territorio ci, poi, sono Pozzallo (in provincia di Ragusa) con 7.161 immigrati sbarcati e Palermo con 5.799 tratti in salvo in mare. In questa classifica dell disperazione Reggio Calabria è il primo porto non siciliano, con 5.606 sbarcati. Segue, quindi, Vibo Valentia con 5.229 immigrati salvati. Si torna, quindi, nei porti siciliani con, nell'ordine, Lampedusa (5.168), Trapani (4.742) e Messina (3.902). Di nuovo un porto calabrese, quello di Crotone (3.224), quindi la Campania con Salerno (2.896). Cagliari è l'unico porto sardo coinvolto in questa drammatica statistica nazionale, con finora 2.734 migranti sbarcati. Tocca, poi, a Napoli con i 1.443 immigrati sbarcati dalla nave di Medici senza frontiere quando era in corso il G7 di Taormina e gli scali siciliani erano off limits. Seguono Taranto con 1.419, di nuovo la Calabria con Corigliano Calabro dove sono sbarcati 1.197 migranti, Porto Empedocle (Agrigento) con 750 sbarcati e nuovamente la Puglia con i porti di Brindisi (539) e di Bari (248).

l'Italia è rimasta vittima dell'egoismo europeo. Dei 160mila richiedenti asilo da redistribuire entro settembre i trasferimenti dal nostro Paese si sono finora fermati a poco più di duemila. Colpa dei veti dei Paesi del blocco dell'Est, ma anche dei criteri penalizzanti fissati da Bruxelles che ha previsto la ricollocazione di eritrei e siriani: nazionalità che tra gli sbarchi italiani si contano in percentuali irrilevanti. Infatti, a differenza del resto d'Europa, i migranti che chiedono asilo qui provengono da Nigeria, Pakistan e Gambia. A Berlino in cima ci sono invece Siria, Afghanistan e Iraq.

Per una rete di accoglienza, quella italiana, tarata su 200mila stranieri, il ritmo degli approdi degli ultimi giorni ha reso evidente il rischio di un collasso imminente. Ecco perché «tutti i Paesi devono solidarizzare con l'Italia, in quanto Commissione Ue siamo pronti a fare la nostra parte. Non possiamo restare a braccia conserte», ha detto il commissario agli Affari Interni Dimitri Avramopoulos.

Ma nel quadro migratorio, il report Ocse registra altri due record tricolore: nel 2015 159 mila stranieri extra Ue hanno ottenuto la cittadinanza italiana, tre volte di più rispetto al 2011. E l'Italia, a sua volta, ha scalato la classifica degli Stati fabbrica di emigrati. Sono sempre più gli italiani che se ne vanno: 171 mila nel 2015, erano 154 mila nel 2014. Il 2,5% del totale nell'area Ocse.

 

Un esercito di 509.000 connazionali si è cancellato dall'anagrafe per trasferirsi all'estero per motivi di lavoro nel periodo 2008-2016. E' quanto risulta dal rapporto "Il lavoro dove c'è" dell'Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro, presentato questa mattina, a Roma. La prima meta degli italiani è stata la Germania, dove nel solo 2015 in 20.000 hanno trasferito la residenza; al secondo posto, "in forte crescita", la Gran Bretagna (19.000) e, in terza posizione, la Francia (oltre 12.000).

Dal 2008 al 2015 la disoccupazione nel Mezzogiorno "ha prodotto un aumento di 273.000 residenti al Nord e di 110.000 al Centro", con un totale di 383.000 persone andate via dalle regioni del Sud. I flussi migratori più intensi da Campania (-160.000 iscritti all'anagrafe dei comuni), Puglia e Sicilia (-73.000). Le regioni che hanno ricevuto il numero maggiore di cittadini: Lombardia (+102.000), E.Romagna (+82.000), Lazio (+51.000) Toscana (+54.000). Risulta dall' Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro.

Intanto la Grecia si tinge di colore giallo : La Cina ha iniziato da molto tempo un piano d’investimenti nei confronti della Grecia che porta nelle casse di Atene soldi che servono per pagare gli stipendi, mantenere le infrastrutture e reggere la forza d’urto dei piani di rientro del debito oltre che gli interessi. La Cina secondo il Giornale ha capitali da investire, empori commerciali da far nascere e una Nuova Via della Seta da strutturare. 

Ed uno dei terminali di questo canale di investimenti è proprio la Grecia.Come riferisce il Giornale nel 2015, il colosso cinese Cosco ha comprato la maggior parte del porto del Pireo per un totale di 368,5 milioni di euro, di cui 280 milioni sono stati incassati subito da Atene per il 51% dell’area portuale e gli altri 88 milioni saranno dati dopo cinque anni per l’acquisizione di un ulteriore 6%, ma soltanto a investimenti obbligatori infrastrutturali conclusi. Il 17 giugno, sempre con riferimento al porto del Pireo, la società Cosco, l’ente portale del Pireo e quello del porto di Shangai hanno concluso un accordo che prevede una vasta collaborazione tra il porto cinese e quello ellenico, di fatto trasformando il Pireo in un hub dei cargo provenienti dal gigantesco porto dell’Estremo Oriente.

Gli interessi cinesi in Grecia sono molti, e la crisi non può che aiutare gli investimenti abbassandone i costi. I fondi di Pechino sono interessati in settori strategici dell’economia greca che, per le aziende cinesi, rappresentano asset molto allettanti, dove c’è poca competizione locale a causa della devastazione del sistema statale greco e dall’impoverimento dell’imprenditoria locale. Dalla nautica, al turismo, alle reti stradali e portuali, al settore immobiliare, ovunque le grandi imprese cinese e i fondi derivanti dallo Stato centrale possono trovare un settore in cui inserirsi e diventarne leader. Dalian Wanda, uno dei colossi degli investimenti cinesi, è interessato in molti settori dell’economia greca, ed è pronto a investire anche in settori meno strategici ma altrettanto proficui, come quello calcistico. Basti pensare che lo stesso fondo è proprietario di un terzo dell’Atletico Madrid.

Secondo il quotidiano il Giornale a firma di Lorenzo Vita : con la crisi del debito, che ha flagellato l’economia greca lasciando sul lastrico non solo lo Stato ma anche milioni di persone, il governo di Atene ha cercato per molto tempo di chiedere maggiore flessibilità in ambito europeo, fallendo miseramente. L’Unione europea, pur limando alcune richieste nei confronti del governo di Tsipras, non ha mai posto in discussione la logica di austerità del piano di aiuti e di risanamento dei conti pubblici. Negli anni, la ricetta di Bruxelles ha fallito. E per questo motivo, la Grecia è stata costretta a rivolgersi non più ai suoi presunti alleati europei, ma ad altre potenze che, per motivi sicuramente non umanitari ma comunque ragionevoli, hanno avuto gioco facile nel proporre soluzioni utili a tutti. È così che è nata quella comunione d’intenti che oggi lega in modo profondo e saldo la piccola Grecia con il colosso cinese. Un’alleanza che si confronta su campi molto diversi, dai trasporti, al credito, all’energia, e che ha reso Atene una vera e propria testa di ponte tra la Cina e l’Unione europea.

A conferma di quanto detto, sottolinea il quotidiano Italiano il Giornale è giunta la notizia che il governo greco, la scorsa settimana, ha posto il veto a una dichiarazione dell’Unione europea nei confronti della Cina, con la quale si chiedeva di condannare Pechino, a livello di Nazioni Unite, per la repressione del dissenso. Una decisione molto importante e che ha inciso non poco sulle dinamiche tipiche di questi rapporti sui diritti umani, in cui da sempre gli Stati Membri dell’Unione europea hanno trovato un quadro di riferimento comune. Questa volta, invece, per la prima volta, l’Europa fallisce nell’intento di trovare l’unità di fronte a una questione “umanitaria” e lascia intravedere le crepe di una crisi interna che non è soltanto una questione legata al fantomatico populismo. La Grecia, con quest’azione, ha mostrato in realtà ben più concretamente di tante parole, cosa vuol dire avere una politica estera autonoma rispetto ai rigidi protocolli di Bruxelles. E l’ha fatto non perché ignara dei problemi legati alla libertà di espressione, ma perché più attenta ai rapporti internazionali che a quelli con l’Europa. Tra Cina e Ue, Atene ha preferito Pechino, consapevole che, mentre da parte europea sono arrivate nel tempo direttive lacrime e sangue e minacce di fallimento ed esclusione dall’Unione, da parte cinese arrivano soldi, tecnologie e interessi nazionali sia cinesi che greci.

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