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Il 20 febbraio 2019, dalle ore 10 alle 12, presso la “Sala Spadolini” del Ministero per i beni e le attività culturali, Il Corriere del Sud presente, in via del Collegio Romano n. 27, con gli indirizzi di saluto introduttivi del Dottor Alberto Bonisoli, Ministro per i beni e le attività culturali e di Sua Eminenza il Cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, si è tenuta la giornata conclusiva del ciclo di conferenze “Beni culturali ecclesiastici, tutela e protezione tra presente e futuro”.

L’iniziativa, promossa dall’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della CEI e il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, è stata organizzata in collaborazione con le Conferenze Episcopali Regionali, le Diocesi e le articolazioni del Ministero per i beni e le attività culturali, al fine di rafforzare la cultura della tutela e la sensibilità nella difesa di uno dei più importanti settori del patrimonio culturale nazionale: quello ecclesiastico.

Con il ciclo di conferenze, che s’inserisce nell’ambito della pluriennale fruttuosa collaborazione tra CEI e MiBAC e nell’alveo della sinergia che, parimenti, caratterizza l’operato delle Soprintendenze, degli Uffici diocesani per i beni culturali e l’edilizia di culto e delle articolazioni territoriali del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, si è inteso focalizzare l’attenzione sul fenomeno dei furti e dei danneggiamenti in danno di chiese e luoghi di culto ove la fragilità del patrimonio culturale è ulteriormente messa a repentaglio dalla fruizione devozionale e liturgica dei beni ecclesiastici.

Grazie alla pluralità di visioni, assicurata da illustri relatori provenienti dal mondo ecclesiastico, giudiziario, ministeriale, accademico e operativo, il tema “Beni culturali ecclesiastici, tutela e protezione tra presente e futuro”, è stato declinato in tutte le sue sfaccettature, con particolare focus sulle buone pratiche e le criticità del settore.

I 19 eventi, tenutisi da Bolzano a Monreale (PA) tra il 10 ottobre 2018 e il 1° febbraio di quest’anno, hanno rappresentato un’ulteriore qualificata occasione per incentivare le attività di catalogazione del patrimonio culturale ecclesiastico, da tempo promosse dalla CEI, e per diffondere i consigli contenuti nella pubblicazione “Linee guida sulla tutela dei beni culturali ecclesiastici” realizzata, nel 2014, dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, in collaborazione con l’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto.

L’esperimento per il reddito di base intrapreso in Finlandia ha aumentato il senso di benessere dei partecipanti, anche se non ha avuto effetti sui livelli occupazionali, ha reso noto in un seminario* il governo presentando i risultati preliminari** del test, alla presenza di Pirkko Mattila (Ministro per gli Affari Sociali e la Salute) ed Anu Vehviläinen (Ministro del Governo Locale e della Riforme Pubbliche).

L'esperimento sul reddito di base non ha aumentato i livelli occupazionali dei partecipanti nel primo anno (2017) dell'esperimento biennale. Ma, alla fine del test, il benessere percepito dai beneficiari era migliore di quello del gruppo di controllo: il gruppo di controllo era composto da coloro che nel novembre 2016 avevano ricevuto un sussidio di disoccupazione ma non erano stati selezionati per l'esperimento.

L'esperimento sul campo, realizzato dall'agenzia finlandese Kela (omologa dell’INPS) aveva selezionato 2000 disoccupati a campione per ricevere 560 euro esentasse ogni mese. I partecipanti potevano lavorare ed anche ricevere i soldi, o anche avviare proprie attività, ma non avrebbero potuto ritirarsi dal test.

"Si può affermare che, durante il primo anno dell'esperimento, i beneficiari del reddito di base non si sono trovati né meglio né peggio del gruppo di controllo nel trovare un impiego sul mercato del lavoro aperto", ha commentato Ohto Kanninen, coordinatore della ricerca presso l'Istituto del lavoro per la ricerca economica, in una dichiarazione del governo.

Meno burocrazia, più felicità

Le persone che percepivano il reddito di base negli ultimi due anni hanno riferito che il beneficio esentasse ha facilitato la creazione di un'impresa e che erano soddisfatti della riduzione della burocrazia.

"Il reddito di base può avere un effetto positivo sul benessere del beneficiario, anche se a breve termine non migliora le sue prospettive di occupazione“ secondo Minna Ylikännö, capo ricercatrice di Kela. “I beneficiari avevano meno sintomi di stress e meno difficoltà di concentrazione e meno problemi di salute rispetto al gruppo di controllo. Erano anche più fiduciosi nel loro futuro e nella loro capacità di influenzare i problemi della società”. Gli effetti dell'esperimento del reddito di base sul benessere sono stati studiati anche attraverso un sondaggio che è stato fatto per telefono appena prima del completamento dell’esperimento.

Il 55% per cento dei partecipanti al reddito di base ed il 46 % del gruppo di controllo intervistati alla fine dello scorso anno percepivano il proprio stato di benessere come buono o molto buono. Nel contempo, il 17 % dei beneficiari di reddito di base e il 25 % del gruppo di controllo dichiaravano invece di aver sperimentato un grado elevato o molto alto di stress negli ultimi due anni. Il tasso di risposta per il sondaggio è stato del 23%.

L'esperimento sociale, lanciato dal governo del primo ministro Juha Sipilä, mirava a verificare come il sistema di welfare della Finlandia si sarebbe potuto adattare ai cambiamenti nella vita lavorativa. L'esperimento, iniziato il 1° gennaio 2017, si è concluso il 31 dicembre 2018 ed era teso a verificare se il labirintico sistema di benefici sociali esistente in Finlandia potesse essere ridisegnato per far fronte a un'economia in evoluzione, dove i lavori permanenti a tempo pieno sembrano diventare un ricordo del passato.

Alcuni studiosi ritengono che l'idea di un pagamento mensile standard sia una buona soluzione per affrontare l'emergente economia dei gig, in cui le persone spesso si destreggiano tra diversi lavori temporanei e part-time, evidenziando come l'attuale sistema di 43 diversi tipi di benefici sia troppo difficile da affrontare e dovrebbe essere semplificato.

Secondo Olli Kangas, professore dell'Università di Turku e capo della ricerca di Kela, l'esperimento dovrebbe già essere considerato un successo, perché la Finlandia sta ponendosi le domande giuste, su come ottimizzare il suo sistema di benefici tentacolare ed incentivare adeguatamente le persone a cercare attivamente il lavoro.

Durante la valutazione dell’esperimento sono stati studiati gli effetti del reddito di base sullo stato di occupazione, su reddito e benessere dei partecipanti. I risultati dei dati registrati  e della ricerca sono stati appena pubblicati. I beneficiari del reddito di base hanno avuto in media 0,5 giorni in più di occupazione rispetto al gruppo di controllo. Il numero medio di giorni di lavoro durante l'anno è stato di 49,64 giorni per i beneficiari del reddito di base e di 49,25 per il gruppo di controllo. La percentuale che aveva avuto guadagni o reddito da lavoro autonomo è risultata essere di circa un punto percentuale più alto per i beneficiari di un reddito di base che per il gruppo di controllo (43,70% e 42,85%). Ancora una volta, l'ammontare dei guadagni e dei redditi da lavoro autonomo è stato in media di 21 euro più basso per i beneficiari di un reddito di base che per il gruppo di controllo (€ 4.230 e € 4.251).

Lo studio degli effetti sull'occupazione dell'esperimento del reddito di base si basa sui dati per il primo anno dell'esperimento ed i dati completi si sono resi disponibili con un ritardo di un anno, il che significa che i risultati per il secondo anno dell'esperimento saranno pubblicati nei primi mesi del 2020. I prossimi risultati seguenti saranno pronti nell'aprile 2019. La valutazione comprende anche uno studio dell'intervista, che sarà effettuato nella primavera 2019.

"Valutazioni attendibili degli effetti dell'esperimento saranno disponibili quando tutti i materiali raccolti saranno stati analizzati tenendo conto dei parametri che costituiscono un quadro per l'esperimento. Successivamente, potremo valutare i possibili effetti dell'introduzione di un reddito di base in Finlandia”, afferma il professor Kangas,

Esperimento eccezionale

L'esperimento del reddito di base è stato un esperimento sociale eccezionale sia a livello nazionale che internazionale in quanto è stato creato come un esperimento sul campo, con campionatura su scala nazionale. La partecipazione all'esperimento non è stata volontaria, il che significa che è possibile trarre conclusioni più attendibili degli effetti dell'esperimento rispetto a precedenti esperimenti basati sulla partecipazione volontaria.

"Le lezioni apprese durante la pianificazione e la realizzazione dell'esperimento forniscono una solida base per la pianificazione di nuovi esperimenti sociali ambiziosi - ad esempio un'imposta sul reddito negativa", sottolinea Kangas.

Secondo il ministro Mattila “Obiettivo dell'esperimento del reddito di base era identificare i modi di semplificare il sistema di sicurezza sociale, eliminando l'eccessiva burocrazia e rimuovendo gli ostacoli agli incentivi”. Aggiungendo che” l'esperimento produce dati unici sui vari fattori che influenzano il comportamento umano, l'occupazione e il benessere. Anche se il modello di reddito di base sviluppato per l'esperimento non sarà probabilmente adottato come tale per un uso più ampio, penso che l'esperimento abbia avuto molto successo. Possiamo utilizzare i dati dell'esperimento per ridisegnare il nostro sistema di sicurezza sociale; quella sarà la prossima grande riforma”. E sulle ripercussioni avute dall’esperimento,il ministro ha concluso che " ha suscitato molto interesse in tutto il mondo e ha avuto un impatto positivo sull’immagine della Finlandia: siamo percepiti come un paese che ha la capacità di guardare le cose da una nuova prospettiva e di raccogliere ulteriori informazioni ". Effettivamente l'attenzione dei media internazionali attorno all'esperimento è stata senza precedenti. Come anche in Italia, anche se, nel nostro paese, fresco di introduzione del RdC (reddito di cittadinanza) su molti media le intitolazioni ed i contenuti sono stati spesso fuorvianti e falsati da comparazioni improbabili e strumentalizzazioni ad uso interno.

 

 

 

Il dossier Tav, che divide il governo Lega-Movimento 5 Stelle, adesso sbarca nelle aule di Palazzo Chigi. Contattato da Adnkronos, Matteo Salvini ha commentato: "Il testo non l'ho ancora letto, spero di poterlo fare oggi". Ieri, il rapporto sui costi-benefici della Tav gli è stato consegnato dal ministro Danilo Toninelli. Salvini è atteso in queste ore a Palazzo Chigi per un vertice della maggioranza.  

L'apertura di quei cantieri a regime determina 50.000 posti". Quei cantieri a cui Vincenzo Boccia si riferisce sono quelli della Tav. Così il presidente di Confindustria commenta l'analisi costi-benefici della Tratta ad alta velocità Torino-Lione, a margine del "Forum permanente sui valori dell'imprenditorialità illuminata dalla fede" dell'Ucid (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti).

"Se per il governo questo basta a noi basta come analisi costo-opportunità in una fase delicata dell'economia in cui va messo al centro occupazione e lavoro. È una grande occasione per dare lavoro a 50.000 persone. Io l'analisi l'ho già fatta. Ho dato solo un dato e a noi basta", ha aggiunto, secco, il numero uno della Confederazione generale dell'industria italiana, dopo che l'analisi degli esperti del ministero dei Trasporti ha bocciato la grande opera, aprendo un nuovo fronte di scontro all'interno della maggioranza giallo-verde.

Boccia, infine, ha chiosato polemicamente: "Se il lavoro non è centrale in questo Paese evidentemente ci sono altri obiettivi, farebbero bene a spiegarlo a tutti gli italiani, non solo a noi".  

Tutto come da copione. È il commento di Sergio Chiamparino all’ analisi costi-benefici sulla Tav finalmente resa nota dal governo. «I numeri negativi dell’analisi costi-benefici non stupiscono - esordisce il presidente della Regione, che in più occasioni aveva sollecitato il ministro Toninelli a non perdere tempo -. Per fare una battuta, considerata la nota predilezione del professor Ponti per il trasporto su gomma rispetto a quello su rotaia, affidargli lo studio è stato un po’ come affidare a Dracula la guardiania della banca del sangue».

Sul sito del ministero delle Infrastrutture è stato pubblicato il testo. "L'analisi condotta - scrivono nelle conclusioni gli esperti del Mit - mostra come, assumendo come dati di input relativamente alla crescita dei flussi di merce e dei passeggeri e agli effetti di cambio modale quelli non verosimili contenuti nell'analisi costi-benefici redatta nell'anno 2011, il progetto presenta una redditività fortemente negativa  

In caso di scioglimento del progetto della Tav il costo massimo tra penali e rimborsi potrebbe raggiungere i 4,2 miliardi. E' quanto è possibile determinare sommando i vari importi contenuti nella Relazione tecnico giuridica collegata all'analisi costi benefici della Tav. Molti sono importi massimi ''difficilmente raggiungibili". Tanto che nella relazione si spiega che "i molteplici profili evidenziati non consentono di determinare in maniera netta i costi in caso di scioglimento". La variabile è dovuta a "più soggetti sovrani" che dovrebbero negoziare gli importi.

Le conclusioni della relazione tecnico giuridica indicano cinque diverse voci che tra penali, rimborsi e possibile richieste dei rivalse. La prima voce è quella relativa degli importi "a titolo di risarcimento per lo scioglimento dei contratti in corso per servizi d'ingegneria e lavori". "Si può ipotizzare - è scritto nelle conclusioni che non indicano alcun tipo di importo - fino ad un massimo del 30% dell'ammontare dell'importo della parte di utile ancora da conseguire al momento dello scioglimento dei contratti, comprensivi dell'alea naturale del contenzioso e tenuto conto dei profili di incertezza in ordine alla normativa di volta in volta applicabile". Nella relazione viene comunque indicato in 9,930 miliardi il costo dell'opera. Il 30 per cento può quindi valere 2,889 miliardi di euro.

Ma come si è detto è solo un calcolo presuntivo ed è l'importo massimo ipotizzabile. Una seconda voce a titolo di risarcimento o 'penalità" è esplicitamente prevista dal Grant Agreement che si verificano solo nell'ipotesi in cui lo scioglimento venisse giudicato alla stregua di una violazione dell'accordo per colpa grave. L'importo tra il 2% e il 10% varia - viene calcolato nel rapporto - tra un minimo di 16 milioni e un massimo di 81 milioni. Il terzo punto, considerato in uno "scenario peggiore", è relativo alla possibile rivalsa da parte dei costi sostenuti dalla Francia. La somma indicata ammonta a circa 400 milioni. Ma "è lecito ipotizzare che la pretesa risarcitoria legittima difficilmente raggiungerebbe l'intero ammontare". Ci sono poi i fondi versati dall'Unione Europea: 535 milioni che potrebbero essere richiesti come restituzione e altri 297 milioni di somme non ancora ricevute in base al 'Grant Agreement'.

«Mi riservo di vedere nel dettaglio i numeri, ma dalle prime indicazioni mi sembra che dalla farsa si è passati alla truffa». Il Commissario Straordinario per l'Asse Ferroviario Torino-Lione, Paolo Foietta, commenta così l'analisi costi benefici del governo sulla Tav. «È una analisi truffa realizzata per far quadrare i conti in base a quello che vuole il padrone», denuncia sostenendo che «i costi sono ampiamente gonfiati, mentre c'è una enorme sottovalutazione dei benefici ambientali e sociali».

«Dalla prima lettura rilevo anche una grave sottovalutazione dei traffici, sui quali l'analisi prende una cantonata colossale. C'è poi la questione delle accise e del mancato introito per lo spostamento dei traffici dalla gomma alla rotaia: è contro ogni logica e buon senso calcolare tutto questo come una negatività, va contro qualunque linea guida sulle analisi costi-benefici». I numeri «veri», secondo Foietta, sono quelli dei Quaderni dell'Osservatorio, dodici in tutto, «già pubblicati e messi a disposizione del governo».

I tecnici del ministero hanno utilizzato due scenari. Il primo si basa su stime di traffico di merci e passeggeri che sono stata stilate dall'Osservatorio sulla Tav di Palazzo Chigi, a partire dal 2011. Nel secondo scenario, invece, le stime, che risultano più ottimistiche, le stime sono riviste con scenari "più realistici". Ma comunque negativi. Anche partendo dal presupposto che servano 1,5 miliardi per il ripristino dei luoghi dei cantieri e per la modernizzazione della vecchia linea del Frejus, il risultato resta negativo per 5,7 miliardi.

"I molteplici profili non consentono di determinare in maniera netta i costi in caso di scioglimento: su tale calcolo insiste principalmente la variabile costituita dall'esistenza di più soggetti sovrani che dovrebbero inevitabilmente considerare in sede negoziale le rispettive posizioni. Con tale riserva, le voci e gli importi oggetto di discussione possono essere indicati solo in via puramente ipotetica, tenendo presente che tutti andrebbero eventualmente fatti oggetto di dimostrazione alla luce di tutte le circostanze che hanno influenzato l'evoluzione dell'opera in questione. Pertanto, nell'enunciare tali voci deve essere tenuto presente che l'importo relativo potrebbe essere addebitato solo all'esito di un procedimento complesso il cui risultato è del tutto impredicibile". È questo che si legge nella relazione tecnico-giuridica sulla Tav. Per gli esperti, gli elementi di valutazione vanno intesi come "coordinate" in uno spazio di forte aleatorietà.  

Secondo quanto rivelato dalle analisi del ministero, i costi sono elevatissimi. Mentre i benefici ottenuti dalla realizzazione dell'opera sarebbero quasi inesistenti. Secondo Il Fatto Quotidiano, il documento degli esperti del ministero delle Infrastrutture spiega che i costi dell'opera sono pari a 12 miliardi. Mentre i benefici ottenuti dall'alta velocità Torino-Lione sarebbero praticamente fermi a 800 milioni di euro.

Sempre secondo il testo, nel migliore dei casi vi sarebbe un effetto negativo, cioè uno sbilancio fra costi e benefici, di 5,7 miliardi. Nella peggiore delle ipotesi, invece, lo sbilancio potrebbe anche arrivare a 8 miliardi. Nel mezzo, invece, vi sarebbe l'ipotesi più realizzabile, che comunque appare decisamente negativa, con un effetto negativo di 7 miliardi.

Per la Tav, si tratta evidentemente di una bocciatura. Gli esperti del ministero hanno sostanzialmente stroncato il progetto, non solo per i costi, ma anche perché non sembra esserci una reale domanda di traffico su quella tratta. Per gli esperti, per sostenere l'utilità dell'opera le merci dovrebbero essere 25 volte di più rispetto a quelle previste.

Come affermato da fonti del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, "si precisa che il professor Pierluigi Coppola non ha partecipato, in specifico, alla stesura della relazione sulla analisi costi-benefici Torino-Lione".  

Pertanto, il documento del gruppo di lavoro è stato firmato da cinque membri su sei. A firmarlo sono stati Marco Ponti, Paolo Beria, Alfredo Drufuca, Riccardo Parolin e Francesco Ramella. Un fatto che ha già scatenato l'opposizione. Davide Gariglio, deputato Pd in Commissione Trasporti alla Camera ha dichiarato: "L'analisi costi benefici pubblicata oggi dal ministero dei Trasporti è palesemente un atto fazioso senza alcun valore giuridico, legale, tecnico ed amministrativo e non può essere quindi utilizzata per valutare l'opera. Il documento non è infatti stato sottoscritto da tutti i componenti dell'indagine: manca la firma di Pierluigi Coppola, l'unico esperto neutrale presente tra i commissari scelti da Toninelli".

E Raffaella Paita, capogruppo dem in commissione, riafferma: "Il professor Coppola deve essere audito in Commissione il prima possibile, per capire come e con quali criteri sia stata svolta un'analisi costi benefici che, da quel che si capisce, fa acqua da tutte le parti. A meno che il metodo seguito non sia stato in realtà quello dei costi e pregiudizi".

Intanto sono arrivate le critiche delle opposizioni. Mara Carfagna, su Twitter, ha espresso la posizione di Forza Italia: "Perdita di benessere a causa della Tav? Alle balle di Toninelli non ci crede più nessuno. Chi sta attentando al benessere degli italiani sono proprio i Cinquestelle, che hanno portato il Paese in recessione e falcidiato i posti di lavoro, colpiscono le famiglie con più tasse e hanno riempito di debiti le prossime generazioni".

L'Unione europea, per ora, evita di commentare i numeri espressi nell'analisi costi-benefici. Fonti della Commissione europea contattate da Agi hanno detto: "Stiamo ancora esaminando il documento che ci è stato inviato dal governo. Ci sono alcuni aspetti del documento che dovranno essere chiariti con le autorità italiane".

Il ministro Toninelli ha commentato così i dati degli esperti: "I numeri dell'analisi economica e trasportistica sono estremamente negativi, direi impietosi: stiamo parlando di costi che, su un trentennio di esercizio dell'opera, superano i benefici di quasi 8 miliardi, tenendo conto del solo esborso per il completamento. Una cifra che scende appena a 7 miliardi se si considera uno scenario più 'realistico' di crescita dell'economia, dei traffici e di cambio modale". Il titolare del Mit conferma: "La decisione finale, come è naturale che sia, spetta ora al Governo stesso nella sua piena collegialità". "È la prima analisi costi-benefici realmente indipendente, lo ribadisco, per cui abbiamo evitato finalmente di chiedere all'oste se il vino è buono", ha continuato il ministro.

Intanto un risultato disastroso che adesso agita i pentastellati dà fiato alla fronda che spinge per la rottura con Salvini. Sono tante le voci critiche all'interno del Movimento che criticano la linea di Di Maio troppo filogovernativa e sdraiata sulle posizioni della Lega e l'eccessiva esposizione mediatica di Di battista che da urlatore da opposizione non ha aumentato i consensi per i pentastellati. La tentazione del Movimento è quella di fare implodere il governo. 

Un incidente di percorso che blocchi l'attività dell'esecutivo per poi dare il via alla vera e propria rottura senza però restare col cerino in mano. Anzi, secondo quanto riporta ilCorriere, il piano dei Cinque Stelle è quello di portare la Lega sul baratro magari con un cambio di linea sull'autorizzazione a procedere su Matteo Salvini nel caso Diciotti. Un incidente su questo piano potrebbe di fatto segnare la fine dell'esperienza di governo.

Ma attenzione: dalle parti del Movimento si ragiona anche sui rischi di una operazione del genere. La rottura del governo potrebbe concedere ulteriore spazio alla Lega che avrebbe tutto il tempo per ricostruire un centrodestra vincente e indicare i 5 Stelle come forza "irresponsabile". E su questo punto è fitto il "carteggio" tra Grillo e Casaleggio. L'idea è quella di ricandidare tutti in blocco in caso di elezioni anticipate. Un'altra deroga a quel vincolo di due mandati che ormai, come tutte le regole grilline, è diventato solo una promessa da marinaio...

 

 

Il presidente della Giunta, Maurizio Gasparri, ha presentato, come relatore, la sua proposta: il no all'autorizzazione a procedere. Per Gasparri i fatti della Diciotti erano "parte di un tentativo strategico dell'Esecutivo di risolvere in maniera strutturale il problema dell'immigrazione irregolare". E per questo la Giunta "non può che limitarsi al riscontro delle finalità indicate dalla legge costituzionale, senza estendere la propria valutazione alla scelta dei mezzi per conseguirle. L'autonomia della funzione di governo presuppone anche autonomia nella scelta dei mezzi e non solo quindi dei fini da perseguire".

Oggi i senatori sono chiamati a valutare la memoria trasmessa dal ministro sulla vicenda dei 177 migranti trattenuti per diversi giorni sulla nave della Guardia Costiera.

E oggi l'organismo parlamentare che valuta le richieste di autorizzazione a procedere nei confronti di deputati e senatori ha deciso di inviare a Catania pure i documenti che Conte, Di Maio e Toninelli hanno allegato alla difesa di Salvini per rivendicare un'azione unitaria dell'intero governo. La richiesta era arrivata dall'ex presidente del Senato, Pietro Grasso, e dall'ex M5S Gregorio De Falco, secondo cui i giudici etnei devono valutare anche la posizione del premier e degli altri ministri prima che la Giunta prenda una posizione.

Intanto lo scontro è aperto.Uno non ha i numeri in Parlamento e l'altro non ha la forza di imporsi se non mettendo a rischio il governo. Sulla Tav si consuma la paralisi perfetta. Un gioco di interdizione tra M5S e Lega che sulla carta rappresenta una sorta di pareggio che potrebbe tornare utile in vista delle elezioni europee. D'altra parte per mettere la parola fine alla Torino-Lione occorrerebbe presentare in Parlamento un disegno di legge in grado di cancellare la legge obiettivo del gennaio 2017 che recepì il trattato siglato con la Francia. Da Torino i grillini in consiglio comunale proprio questo chiedono quando, con la capogruppo Valentina Sganga, invitano il governo «a mettere da parte i tatticismi» «fermando definitivamente tutti gli appalti» attraverso una «legge che cancelli i trattati internazionali». Ma Luigi Di Maio non ha i voti per tentare il blitz e Salvini non ha intenzione di affondare il coltello mettendo sul piatto le percentuali abruzzesi.

Di Maio è in forte difficoltà soprattutto nel Movimento, «ma prima di suicidarsi o di essere suicidato - assicurano i suoi - è pronto ad indossare la cintura esplosiva» per tirare giù il vicepremier leghista e il premier Conte. I rapporti tra Di Maio e Conte sono da qualche settimana molto complicati anche per i sospetti che viaggiano tra i grillini sul conto del premier e di un suo futuro impegno diretto in politica. Fatto sta che ieri Salvini ha difeso Conte dagli attacchi ricevuti a Strasburgo. Il M5S non è andato oltre il seppur stimato capogruppo Francesco D'Uva.

La Lega, così come le opposizioni in coro, contestano le modalità di realizzazione dell'analisi da parte del Mit. "Chi l'ha già letta - spiegava ieri sera Salvini - mi dice che ci sono dati un po' strani che ci confermano l'idea di andare avanti". Alcuni aspetti lasciano dubbiosi i leghisti, "come l'aver inserito i mancati introiti per le accise e i pedaggi", spiega Edoardo Rixi, viceministro ai Trasporti. Le politiche nazionali ed europee, infatti, "puntano a una riduzione delle emissioni e non possiamo certo oberare i viadotti e la rete autostradale con altro carico veicolare". "Questa è un'analisi economica e non politica", si difende però il professor Marco Guido Ponti, membro della commissione, chiamato in audizione in Parlamento. "Ha tutti i vizi e le virtù di un'analisi economica - insiste - ma pretendere la perfezione per una cosa che tende al futuro è impossibile". Ma per Elena Maccanti (Lega) nel testo risalta "l'assenza della voce benefici": "La Bocconi - dice - ha già calcolato 9 miliardi di ricadute per l’indotto", senza contare "i livelli di inadeguatezza della linea ferroviaria esistente".

Il governo si trova ad un bivio. Ora che l'analisi costi-benefici è (finalmente) arrivata, i gialloverdi dovranno prendere una decisione in un senso o nell'altro. Un modo per uscire dall'impasse potrebbe essere la consultazione popolare. Per Rixi infatti il vero tema è "se si vuole fare l'opera oppure no". Se l'obiettivo è concluderla, allora i modi per risparmiare quei miliardi di troppo "ci sono". Ad esempio, dice il leghista, "si può usare la Relazione Ponti per far capire all'Europa che c'è bisogno di più risorse europee", oppure per rivedere il "sovra-finanziamento da parte italiana". Poi "si possono risparmiare circa 1,5 miliardi di euro su opere in territorio italiano e si potrebbero investire altri 2 miliardi su altre opere nel quadrante nordovest". Diverso è se l'obiettivo grillino è quello di non realizzare l'opera a tutti i costi. In questo caso, se il M5S facesse muro, la Lega pensa di puntare tutte le proprie fiches sul referendum: "Sono sempre stato favorevole", fa sapere Salvini. Che in attesa della Tav intanto sale sui trenini per bambini.

Andrea Giuricin, professore associato di Economia dei trasporti all'Università di Milano Bicocca, secondo il quotidiano il Giornale è convinto che la politica abbia evitato di assumersi una propria responsabilità nascondendosi dietro le cifre. Ma ci sono alcuni bug nell'intero impianto della relazione pubblicata ieri che si possono evidenziare.

«Fare un'analisi costi-benefici su un'opera così duratura nel tempo», spiega Giuricin,al quotidiano il Giornale, ha un'efficacia limitata perché «le considerazioni sono in gran parte basate sui valori attuali che vengono proiettati sull'orizzonte di durata dell'opera» che si può stimare in 100-150 anni. Ma in questo periodo «il progresso tecnologico è difficilmente calcolabile». Ad esempio, le perdite stimate in termini di minor gettito delle accise e dei pedaggi autostradali con il ricorso alla ferrovia potrebbero non essere tali se la mobilità su gomma si spostasse tutta sull'elettrico, «a meno che non si inventi una tassa sull'elettricità».

I minori introiti per lo Stato sono cifrati in media a 1,6 miliardi di euro, ma - come osservato dal professor Massimo Tavoni del Politecnico di Milano - non c'è univocità sull'adozione di questo parametro come «esternalità negativa» o costo di un'opera pubblica. In ogni caso, ha osservato Tavoni, «correggendo per le accise, il valore attuale netto si dimezza e se si fa lo stesso anche per i pedaggi, diventa positivo».

Secondo i dati dell'Epa, agenzia Ue per la protezione dell'ambiente, nel comparto del trasporto merci i camion emettono 10 volte più anidride carbonica rispetto ai treni. «A questo - osserva Giuricin - bisogna aggiungere che l'incidentalità è 36 volte più bassa». Ammesso che le accise siano un costo, argomenta, «bisogna fare una scelta politica accettando un'eventuale perdita perché le vite umane sono più importanti dell'introito del pedaggio» e perché una strategia positiva è «un network europeo che funziona bene con treni lunghi e pesanti».

«Le scelte politiche sono distorte dalla scelta di un singolo metodo di analisi che, probabilmente, non è il migliore e danneggia l'ambiente», aggiunge Giuricin rilevando come nel dossier non si utilizzi il parametro del costo per chilometro dei treni. Probabilmente, si intuisce, ne evidenzierebbe la competitività. Anche Tavoni aveva evidenziato come apparissero sottostimati sia i benefici della minor congestione stradale che del minor tempo per trasportare le merci.

Tra i metodi di valutazione citati da Giuricin c'è quello comunemente definito «costo del non fare». Si basa sull'impatto economico dell'opera sulla catena del valore. Sebbene anch'esso parziale, fornisce una prospettiva differente. All'uopo si può citare lo studio del gruppo Clas firmato da Lanfranco Senn e Roberto Zucchetti della Bocconi. La Tav Torino-Lione apporterebbe 10,6 miliardi di valore aggiunto ripartiti tra 3,6 di cantiere, 3,7 tra aziende e fornitori e 3,2 tra salari, nuova forza lavoro e giro d'affari. L'infrastruttura creerebbe 52mila posti di lavoro (il 76% nel comparto edile) e nel periodo 2020-2028 Dal 2020 al 2028, a fronte di una spesa annua di 350 milioni per i lavori, genererebbe un aumento di Pil annuo di 1,32 miliardi con un saldo positivo di 970 milioni. Si tratta dei dati che il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha citato come condizione sufficiente per non fermare la Tav.

«C'è un elemento reputazionale - conclude Giuricin al quotidiano il giornale - derivante non solo dal pagamento delle penali, ma anche dall'impatto economico sui player che non investirebbero più in Italia per l'inaffidabilità dei governi: vale qualche miliardo».

Per l’Italia terminare la Torino-Lione costerebbe ancora 4,7 miliardi: 3 per la tratta internazionale e 1,7 miliardi per la parte domestica. Nell’ipotesi suggerita dalla Lega di congelare gli investimenti sulla tratta italiana si scenderebbe a 3. Bloccare l’opera e scegliere di non realizzarla, costerà invece, 3,2 miliardi: 1,7 per risarcimenti e penali imposte da Francia e Unione europea; 1,5 per riammodernare il vecchio tunnel del Frejus. La scelta che il governo ha di fronte a sé è questa, per come emerge dall’analisi consegnata dal professor Ponti e dalla valutazione giuridica dell’avvocato Pasquale Pucciariello.

Quando le imbarcazioni umanitarie non sono in acque Sar libiche o, comunque, a zonzo nelle vicinanze e pronte a intervenire, praticamente nessun migrante viene messo in mare. E su questo, fanno sapere fonti vicine al Viminale, si sta indagando da tempo. Ciò che accadde il 6 novembre 2017, quando nel tentativo di raggiungere a nuoto la nave di Sea Watch, cinque migranti annegarono, descrive bene ciò che succede. 

In quel momento stava intervenendo, per recuperare gli immigrati che erano in navigazione su un barcone, una motovedetta libica, all'epoca già in servizio attivo dopo gli accordi con Tripoli del ministro Marco Minniti. L'equipaggio dell'imbarcazione Ong invitò gli extracomunitari a salire a bordo, nonostante la Guardia costiera stesse cercando di fare il suo lavoro. Da lì la tragedia. Insomma, gli immigrati non vogliono essere riportati indietro, ma sperano nel traghettamento sicuro di quelli che, ormai, sono veri e propri taxi del mare. Certo, i numeri non sono quelli di un tempo, proprio grazie alle azioni che si stanno mettendo in campo e al fatto che entrare in Italia è ora molto più difficile del passato. Ma i trafficanti di esseri umani sanno perfettamente che quando le navi delle Ong sono in mare basta segnalare la presenza del gommone affinché i volontari dei recuperi partano.

Laddove i dubbi insistano, resta la granitica certezza dei dati, che parlano chiaro. L'ultimo recupero in mare risale al 19 gennaio ed è quello a cura di Sea Watch 3, che ieri ha fatto scendere i 47 migranti che aveva a bordo, a Catania, dopo giorni di tira e molla tra Ong e governi europei. Una sola partenza, su due gommoni, è avvenuta dalla Libia in questi dodici giorni ed è quella del 22 gennaio, quando la Guardia costiera libica ha salvato un totale di 332 immigrati. Eppure, fatta eccezione del 23 e dei giorni successivi, in cui c'è stato maltempo, le condizioni meteo non erano così sfavorevoli da impedire le partenze. Da inizio anno sono sbarcati in Italia 155 migranti, ovvero il 96,29 per cento in meno rispetto allo scorso anno e il 96,53 per cento in meno rispetto al 2017. La maggior parte di questi è stata recuperata dalle Ong o grazie a una segnalazione delle stesse. Quasi tutte le chiamate di soccorso da parte dei migranti partono da un Alarm Phone gestito da Organizzazioni non governative.  

L'intelligence italiana starebbe indagando sugli affondamenti di alcuni gommoni. È vero che sono fatti di materiale fragile, ma non tutti devono necessariamente sgonfiarsi facendo naufragare gli occupanti. Perché i video realizzati dall'equipaggio delle navi del soccorso mostrano quasi tutti gommoni che stanno affondando?  

Guardando ai dati del passato i conti tornano tutti. Nel 2017, ad esempio, i recuperi avvenuti grazie alle Ong furono 6.609, contro i 3.485 delle navi dell'operazione Sophia.

Quando al fatto dei «poveri migranti che scappano dalla guerra», sono ancora i dati a smontare le fandonie di chi tenta di riempire l'Italia di clandestini. Su 155 sbarcati quest'anno, 57 vengono dal Bangladesh, 38 dall'Iraq, 31 dalla Tunisia, 13 dall'Iran, 9 dall'Egitto e le altre nazionalità a seguire. Di libici, invece, in Italia non ne è sbarcato neanche uno. 

I tecnici del Ministero sono già al lavoro e sarebbero partiti dalla Convenzione Onu sui diritti della navigazione e in particolare dall'articolo 19 secondo cui il passaggio di una nave in acque territoriali "pregiudizievole se la nave è impegnata in attività di minaccia o impiego della forza contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dello Stato costiero". E poi c'è l'articolo 17 che "vieta il passaggio in caso di carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero e ogni altra attività che non sia in rapporto diretto con il passaggio".

Una volta approvata la nuova normativa, per farla rispettare l'Italia potrà schierare i pattugliatori per bloccare le navi "vietate" che puntano verso le nostre coste già in acque internazionali. Se un'imbarcazione dovesse sfuggire ai controlli ed entrare in acque territoriali, le motovedette della Guardia costiera potranno scortarle fuori dai confini.

Non solo: l'idea è anche quella di inserire nel decreto una norma che preveda l'applicazione dell'articolo 650 del codice penale che punisce chi non rispetta il provvedimento. In questo modo gli equipaggi non potrebbero più farla franca e tornare in mare. Proprio come è accaduto con la Sea Watch.

Intanto la Guardia costiera, ha rilevato nella sua ispezione alcune criticità che impediscono all'imbarcazione di riprendere il mare per "pattugliare" le coste libiche in attesa di avvisitare gommoni e barconi in difficoltà. Sono state individuate una serie di "non conformità" relative sia alla sicurezza della navigazione sia al rispetto della normativa in materia di tutela dell'ambiente marino. E fino a che non saranno risolte "anche con l'intervento dell'amministrazione di bandiera, cioè l'Olanda, in cooperazione con gli ispettori specializzati" la nave "non potrà lasciare il porto di Catania".

Già ieri da Sea Watch si erano lamentati di non poter ripartire subito: "Costretti a rimanere a Catania per la notte, il cambio di equipaggio previsto ci è stato negato", spiegavano dalla ong, "A bordo continuano le richieste di informazioni da parte della polizia. Nel frattempo il Mediterraneo rimane senza navi civili di soccorso". E oggi torna ad attaccare:

"Le autorità, sotto chiara pressione politica, sono alla ricerca di ogni pretesto tecnico per fermare l'attività di soccorso in mare", scrivono sulla pagina Twitter italiana della Ong tedesca, confermando che la loro nave battente bandiera olandese - la Sea Watch 3 - è in stato di fermo.

Peccato che il "pretesto tecnico" sia ben altro. E a spiegarlo è Danilo Toninelli che in un post su Facebook spiega il perché del fermo amministrativo: "Stiamo parlando di una imbarcazione registrata come pleasure yacht, che non è in regola per compiere azioni di recupero dei migranti in mare", spiega il ministro dei Trasporti, "E mi pare ovvio, visto che è sostanzialmente uno yacht. In Italia questo non è permesso. Se tu, milionario, compri uno yacht, vai in navigazione per piacere, non per sostituirti alla Guardia Costiera libica o di altri Paesi. Voglio ringraziare le Capitanerie di Porto per il loro grande lavoro sul fronte della legalità. Ma soprattutto mi chiedo: il governo olandese non ha nulla da dire rispetto a una imbarcazione di una Ong tedesca che chiede e ottiene la bandiera dei Paesi Bassi per scorrazzare nel Mediterraneo agendo fuori dalle regole?".

 

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