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Elezioni Americane: il tycoon sarebbe in vantaggio con il 46% delle preferenze su Clinton

A pochi giorni dal voto negli Stati Uniti, la gara tra Hillary Clinton e Donald Trump sembra più che mai aperta. Il tycoon repubblicano che aspira alla Casa Bianca, avrebbe recuperato consensi in Florida, Stato cruciale e indispensabile per vincere le elezioni. E proprio dal 'sunshine Statè'  Hillary ha ribadito a gran voce che no, non è il momento di distrarsi, che l'importante è rialzarsi, ogni volta. Ma i responsabili della sua campagna elettorale spingono per avere chiarimenti sulla bufera scatenata dalle email spedite dalla posta privata.

Eppure stando ai primi sondaggi condotti dopo la 'sorpresa di ottobre’ piombata sulla corsa di Hillary Clinton, il 63% dell'elettorato ritiene che le nuove indagini non cambieranno la loro decisione sul voto. 

È però il monitoraggio sulla Florida targato New York Times che balza in particolare agli occhi: il tycoon sarebbe in vantaggio con il 46% delle preferenze su Clinton, che si attesta al 42%. Dato cruciale: un'eventuale elezione di Trump alla presidenza non può prescindere dalla vittoria in Florida. 

Pochi pero sanno che giorni fa Kissinger è stato nominato membro del Accademia Russa delle scienze, un riconoscimento che viene attribuito ad eccellenze nel proprio campo, russe o straniere, assumendo parte attiva nelle discussioni dell’Accademia, con diritto di voto non vincolante. Kissinger si è rivelato un importante peso sulla bilancia delle relazioni tra USA e URSS, fu infatti insignito del Premio Nobel per la Pace proprio per le sue strategie di distensione nei confronti del regime comunista sovietico, sebbene si sia macchiato di altre azioni decisamente meno pacifiste nel corso del suo mandato di consigliere per la sicurezza di Nixon e successivamente come Segretario di Stato

Dunque si potrebbe ipotizzare che l’anziano diplomatico americano stia lavorando alle relazioni tra Washington e Mosca ancora una volta. Provando a proiettare tali schemi sulla real politik, la spada di Damocle potrebbe pendere sulla testa del tycoon americano candidato tra le fila dei repubblicani. Donald Trump ha, a più riprese, sostenuto la necessità di distendere i rapporti con la Russia, in un’ottica di allontanamento degli Stati Uniti dall’Europa nelle spoglie logore dell’Alleanza Atlantica. Riducendo la presenza americana sul Vecchio Continente di certo le tensioni con il Cremlino calerebbero sensibilmente, vista l’attuale spinta verso i confini orientali della NATO volti ad arginare una sedicente minaccia russa.

Trump ha inoltre ribadito una certa tolleranza nei confronti di due regimi che attualmente dialogano con Mosca: la Turchia di Erdogan e la Repubblica Araba siriana di Bashar al Assad. Nel primo caso, osserviamo come le dichiarazioni del candidato repubblicano abbiano sottolineato la comprensione per le azioni da portare avanti dal Sultano in seguito al coup d’etat perpetrato ai suoi danni lo scorso luglio, apprezzando per giunta la qualità della sua risposta, sostenendo che il tutto non fosse stato organizzato ad hoc per poter completare le operazioni di pulizia della dissidenza. Altresì ha espresso un parere assai controcorrente rispetto alla linea della politica estera americana sulla Siria. Nella logica del male minore, ha sostenuto che Assad deve restare al suo posto, in quanto il vero nemico è il terrorismo internazionale e la lotta di Assad, affiancato da Russia e Iran, è da sostenere nell’ottica dell’eliminazione di un nemico comune.

Il canovaccio della politica estere trumpiana dunque sembra distaccarsi notevolmente dal piano statunitense per il Medio Oriente inaugurato dai presidenti Bush e Obama, e sarebbe in netta antitesi rispetto al suo avversario democratico. Ci sarebbe dunque da aspettarsi un meccanismo anti-mainstream che si è attivato per portare contrastare l’establishment americano di cui la Clinton sarebbe la naturale continuazione. E questo movimento potrebbe avere un nome più che autorevole.

Ed e noto ai più che l’ex Segretario di Stato americano, Henry Kissinger, abbia un ottimo rapporto di amicizia con il Presidente russo Vladimir Putin. I due, dallo scoppio della crisi in Ucraina si sono visti o sentiti telefonicamente almeno cinque volte, in via ufficiale. Negli ultimi incontri l’ex guru della diplomazia americana si era espresso proprio in merito alle vicende diplomatiche che contornano l’affaire ucraino, nonché sul terreno di attrito del conflitto siriano, suggerendo a Putin e ad Obama un possibile indirizzo da intraprendere per la risoluzione della tensione.

Ma Il profilo Twitter dell'Fbi ha annunciato la pubblicazione delle 129 pagine sulle indagini sulla grazia concessa nell'ultimo giorno di Clinton alla Casa Bianca. Nel mirino la decisione dell'allora presidente americano di graziare l'imprenditore Marc Rich....Rich, morto nel 2013, era fuggito dagli Stati Uniti nel 1983 dopo essere stato accusato di legami con il crimine organizzato e di aver evaso oltre 48 milioni di dollari di tasse, così come di aver comprato illegalmente petrolio dall'Iran durante la crisi degli ostaggi del 1979. La grazia concessa da Clinton scatenò grandi polemiche, anche perché la moglie di Rich era donatrice del partito democratico.

Intanto sta di fatto che questi ultimi dati non tengono conto degli sviluppi dell'email gate, tanto più che cominciano solo adesso ad emergere le prime indicazioni utili a ricomporre il quadro.

Un sondaggio Abc/Washington Post, condotto tra venerdì 28 ottobre (il giorno dell'annuncio di Comey) e sabato 29 con focus sulla reazione al 'nuovo emailgatè sottolinea comunque che il 34% dei potenziali elettori si ritiene meno incline a votare per Clinton dopo gli ultimi sviluppi, mentre il 2% si dice più favorevole a votare per la candidata democratica. Non si specifica tuttavia quali fossero le intenzioni di voto prima dell'annuncio di venerdì del direttore dell'Fbi. Stando poi all'aggiornamento sulle preferenze a livello nazionale effettuato dagli stessi sondaggisti tra giovedì 27 e venerdì 28, Clinton e Trump sono rispettivamente al 46% e al 45%, confermando la tendenza rilevata nello stesso precedente studio realizzato tra il 24 e il 27 ottobre (47% a 45%).

Comey resta al centro della bufera e adesso sembra emergere che forse si sarebbe potuta evitare una tempistica potenzialmente così deleteria: secondo il Washington Post, che cita fonti informate, gli agenti dell'Fbi impegnati nell'inchiesta sull'uso di mail e server privati da parte di Hillary Clinton erano a conoscenza già all'inizio di ottobre che il nuovo materiale emerso da indagini separate poteva essere attinente all' inchiesta sull'emailgate.

Secondo John Podesta, presidente del Comitato della Clinton, il direttore dell'Fbi James Comey dovrebbe spiegare quella decisione «senza precedenti» con cui di fatto ha annunciato la riapertura dell'inchiesta sulle mail a soli 11 giorni dal voto, consegnando una nuova speranza a Trump. A complicare la situazione è il gran numero di messaggi di posta elettronica da analizzare: sono 650mila la mail da leggere, un'impresa, per la quale l'Fbi ha ricevuto il via libera, e che probabilmente durerà settimane se non di più, ben oltre la chiusura delle urne l'8 novembre.

Intanto il lavoro degli inquirenti procede e si prospetta gigantesco, visto che sono circa 650mila le mail contenute nel laptop di Anthony Weiner, marito della più stretta collaboratrice di Hillary Huma Abedin, che gli agenti federali si apprestano a esaminare per determinare quante siano legate all'inchiesta sull'uso di mail e server privati da parte di Hillary Clinton quando era segretario di Stato, come scrive il Wall Street Journal. Da parte sua Huma ha detto di non sapere come le nuove mail trovate dall'Fbi siano finite sul computer del marito (sequestrato per via del 'sexting'), sostiene di non averlo utilizzato regolarmente e per questo non era stato preso in considerazione quando aveva consegnato al dipartimento di Stato il materiale richiesto per l'inchiesta dell'Fbi su Hillary Clinton chiusa lo scorso luglio. Sul fronte democratico poi si serrano i ranghi e si prepara la graticola per Comey: il leader al Senato Harry Reid scrive al capo del bureau per dirgli che la sua è stata «un'azione di parte» e quindi potenzialmente in violazione della legge federale (Hatch Act) che vieta a funzionari governativi di utilizzare la propria posizione per influenzare un'elezione.

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