Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha avuto oggi una conversazione telefonica con il Presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, sugli ultimi sviluppi della situazione in Siria.
Il colloquio ha permesso al Presidente Meloni di ribadire l’importanza di preservare l’unità e l’integrità territoriale della Siria e di assicurare una transizione pacifica e inclusiva che possa anche contribuire alla stabilità regionale.
Il Presidente del Consiglio ha inoltre sottolineato l’assoluta necessità di garantire l’incolumità dei civili e di tutelare tutte le minoranze presenti in Siria, inclusa quella cristiana.
Alla luce della rapida evoluzione della situazione sul terreno, i due leader hanno concordato di mantenersi in stretto raccordo.
Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha dichiarato che il nuovo governo siriano dovrà essere inclusivo e riflettere la volontà del popolo siriano, chiamato a plasmare il futuro del Paese dopo la caduta di Bashar al-Assad ad opera delle forze ribelli.
Parlando al Forum di Doha, Fidan ha sottolineato che il regime di Assad è ormai crollato e il potere è passato in nuove mani. «Questo non è accaduto dall'oggi al domani. La Siria è in crisi da 13 anni», ha osservato, sottolineando la necessità di stabilità e di un approccio ponderato.
Collaborazione internazionale per la ricostruzione
Fidan ha evidenziato che il popolo siriano non può affrontare da solo l’enorme compito della ricostruzione. «Le forze internazionali e regionali devono collaborare per preservare l'integrità territoriale del Paese e impedire alle organizzazioni terroristiche di approfittare della situazione», ha dichiarato, con un riferimento specifico allo Stato Islamico e al PKK.
Il ministro turco ha sottolineato l'importanza di mantenere operativi i meccanismi istituzionali dello Stato siriano e ha invitato le forze di opposizione a unirsi immediatamente per garantire una transizione ordinata verso una nuova era.
I curdi e la posizione della Turchia
Riguardo agli sviluppi nella Siria nord-orientale, dove predominano i curdi delle Forze Democratiche Siriane (SDF), Fidan ha chiarito che la Turchia non li considera una legittima opposizione nei negoziati per il futuro del Paese. Ha inoltre sottolineato che Ankara sta collaborando strettamente con gli Stati Uniti per assicurarsi che nessuna organizzazione terroristica sfrutti la situazione.
Ritorno dei rifugiati e ricostruzione
Fidan ha espresso la speranza che «milioni di siriani costretti a lasciare il proprio Paese possano ora tornare nelle loro case». La Turchia, ha aggiunto, continuerà a collaborare con i Paesi vicini e con il nuovo governo siriano per la ricostruzione, utilizzando tutti i mezzi disponibili.
Appello alla stabilità
Concludendo, il ministro degli Esteri turco ha invitato gli attori regionali e internazionali ad agire con prudenza per evitare ulteriore instabilità nella regione. «La Siria sta entrando in una nuova fase, ed è fondamentale garantire che questa transizione porti pace e progresso», ha affermato.
Sembra un’operazione di rebranding di successo quella del leader dei cosiddetti “ribelli” islamisti in Siria. Dopo la caduta del regime di Assad, infatti, gli Stati Uniti stanno valutando la possibilità di cancellare la taglia di 10 milioni di dollari su Ahmed Husayn al-Sharaa, meglio noto come Abu Muhammad Al Julani, leader del gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), evoluzione di Jabhat al-Nusrah, o “Fronte al-Nusra,” l’ex ramo di al-Qaida in Siria. La notizia arriva da un alto funzionario arabo informato dagli americani, come riportato da Middle East Eye.
Al Julani, 42 anni, ha celebrato la vittoria dei ribelli islamisti nella storica Moschea degli Omayyadi a Damasco domenica, consolidando il suo ruolo di figura chiave nella transizione della Siria dopo 54 anni di dominio della famiglia Assad. “Oggi, la Siria viene purificata,” ha dichiarato davanti a una folla di sostenitori aggiungendo: “Questa vittoria nasce dal popolo che ha sofferto nelle prigioni e dai mujahideen (combattenti) che hanno spezzato le loro catene”.
Per gli Usa, Julani è un terrorista non da oggi, ma dal 2013 mentre l’organizzazione islamista da cui capeggiata, HTS, è stata dichiarata organizzazione terroristica dall’amministrazione Trump nel 2018. Per anni, HTS ha tentato di ottenere la rimozione della sua classificazione terroristica, ma senza successo, essendo rimasta confinata a governare una piccola area nel Nord-Ovest della Siria. Tuttavia, la recente avanzata fulminea dei miliziani jihadisti, che ha posto fine al regime di Assad, starebbe convincendo Washington a rivalutare il modo in cui interagire con HTS.
Gli stessi Usa parlano di un curriculum di “violenza e terrorismo”. Sotto la sua guida, infatti, al-Nusra ha condotto numerosi attacchi terroristici in Siria, colpendo spesso i civili. Tra gli episodi più noti: il rapimento di circa 300 civili curdi presso un checkpoint e la rivendicazione del massacro di 20 residenti nel villaggio druso di Qalb Lawzeh, nella provincia di Idlib. “La figura di Al Julani rimane centrale nel panorama del terrorismo jihadista in Siria. Gli attacchi perpetrati dal Fronte al-Nusra sotto il suo comando e il suo ruolo di leader nell’affiliazione ad al-Qaida lo rendono uno degli obiettivi principali della lotta contro il terrorismo”, sottolinea il programma Reward for Justice.
Con la caduta di Assad, l’operazione di rebranding attuata da Al Julani e iniziata anni fa con il divorzio da al-Qaeda in Siria e proseguita anche con un nuovo look – da jihadista radicale a rivoluzionario, come notato dalla Cnn – potrebbe finire con la rimozione della taglia che pende sulla sua testa. Il che porterebbe, per l’ex miliziano dell’ISIS, al tanto agognato riconoscimento ufficiale. Non più nemico pubblico ma interlocutore.
Intanto Netanyahu, nel video registrato sul Monte Bental, nel Golan, al confine con la Siria, ha dichiarato anche che “si tratta di una svolta storica per il Medio Oriente, che offre grandi opportunità”. Sulla specificità di tali vantaggi, Bibi non è entrato nei dettagli, ma vale la pena riportare quanto scrive la BBC, ovvero “Israele, dopo appena 14 mesi di guerra in Medio Oriente, ha già le mani piene”. Sempre a tal proposito, Zein Basravi, di Al Jazeera, scrive: “Ciò che sta accadendo è sicuramente a beneficio del Governo israeliano. Stanno ottenendo ciò che hanno sempre detto di volere: vicini più deboli, in modo da poter espandere le loro mire regionali”.
140 tra bombe ad alta precisione e missili hanno colpito 75 bersagli in Siria: gli Usa, in un raid approvato dal presidente Joe Biden, hanno utilizzato i bombardieri B-52, i caccia F-15E Stike Eagles e gli aerei da attacco A-10 Thunderbolt II per colpire, ha ricordato Defense One, la regione di Badiya, l’ampia fascia desertica tra Siria, Giordania, Iraq e Arabia Saudita dove l’Isis cercava di riorganizzarsi. E in cui la presenza di campi di dimensione tutt’altro che ridotta di jihadisti mostra quanto poroso fosse il controllo nominale sul Paese da parte di Assad.
La dimostrazione di forza degli Usa non mira unicamente a mostrare bandiera, ma è anche una presa d’atto del nuovo corso della Siria e delle linee operative su cui si indirizzerà Washington per gestire il futuro del Paese levantino. Se, ad esempio, Israele colpendo depositi di armi e artiglieria ha voluto fissare il suo vantaggio tattico mostrando a ogni milizia, a partire da Hay’at Tahrir al-Sham di non voler barattare la Siria degli Assad con una Siria forte, al contrario gli Stati Uniti sembrano aver mandato un messaggio di maggiore apertura. Attaccare l’Isis mentre Hts, l’Esercito Nazionale Siriano, i ribelli del Fronte Sud e le milizie minori si prendono la Siria mostra a tutti che la comune lotta allo Stato Islamico è ritenuta una conditio sine qua non dagli Usa per ottenere legittimazione nel nuovo Governo