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Il giornalista d'origine armena Hrant Dink (1954-2007)

 

Il 17 settembre è stato finalmente riaperto il processo per l’assassinio del giornalista turco-armeno Hrant Dink, ucciso nel 2007 da un giovane nazionalista turco, del quale ci eravamo occupati a suo tempo anche dalle colonne di questo giornale (cfr. G. Brienza, Dopo Dink, Pamuk, Il Corriere del sud, anno XVI, n. 3, 1°/15 marzo 2007, p. 28). All’entrata del Tribunale di Istanbul erano presenti un centinaio di manifestanti che hanno chiesto alle autorità turche di portare davanti alla giustizia i “veri” assassini del coraggioso giornalista. I manifestanti, tra cui tre deputati curdi, hanno persino sventolato una bandiera con scritto «Arrestate i simulacri, giudicate i veri colpevoli», urlando slogano come «siamo tutti Hrant, siamo tutti armeni».

Dink, all’epoca dell’omicidio direttore del giornale bilingue turco-armeno Agos, aveva più volte denunciato in articoli e interviste la violazione dei diritti dei curdi ed il massacro del popolo armeno. Così esponendosi fu più volte minacciato di morte da parte di estremisti turchi ma, nonostante il grave pericolo che correva per la sua incolumità personale, il regime di Ankara non si preoccupò troppo di proteggerlo. Nel 2010 la Corte Europea dei diritti umani finì persino per condannare la Turchia al risarcimento della famiglia Dink, per una cifra di oltre 100 mila euro, a causa delle mancate misure di sicurezza assunte a protezione del giornalista (cfr. Irene Pasquinucci, Riaperto il processo di Hrant Dink, il giornalista armeno ucciso in misteriose circostanze in Turchia, in Tempi.it, 17 settembre 2013).

Il colpevole dell’omicidio di Dink, un giovane nazionalista di 17 anni, Ogün Samast, è stato condannato nel 2011 a 23 anni di prigione ma, la famiglia Dink, da allora non ha smesso di chiedere che anche i responsabili “politici” dell’assassinio fossero perseguiti della giustizia turca. Il sospetto dei familiari e degli amici di Dink è quello così espresso dal suo legale: «Abbiamo prove forti di un coinvolgimento degli ufficiali dello Stato nella cospirazione, e queste prove sono anche nel rapporto del Procuratore».

Nel 2007 circolò in effetti un video che documentava come l'assassino reo-confesso di Hrant Dink, Ogun Samast, sia stato trattato dalla polizia turca che lo traeva in arresto come una sorta di eroe nazionale (cfr. Viviana Mazza, Video-scandalo: la polizia posa con il killer di Dink, in Corriere della sera, 3 febbraio 2007).

Subito dopo Dink, una vicenda altrettanto rischiosa ma, finora, non sfociata in tragedia, ha coinvolto lo scrittore turco Orhan Pamuk che, recatosi nei giorni successivi all'omicidio Dink a New York per presunte conferenze, ha ritenuto bene di rimanerci, data la "sicurezza" di cui godevano nella sua patria gli intellettuali invisi al governo. Anche Pamuk, infatti, aveva ricevuto minacce e come Dink, lo scrittore turco era stato infatti processato per aver offeso "l'identità turca" in violazione dell'articolo 301 del Codice penale (alla fine fu prosciolto per questioni procedurali).

Così come Dink esortava la gente ad aprire gli occhi sulle uccisioni di massa degli armeni avvenute in Turchia nel 1915-16, che il governo di Ankara rifiuta di riconoscere come genocidio, Pamuk aveva a quel tempo dichiarato ad un giornale svizzero che almeno un milione di armeni erano stati uccisi in Turchia durante la prima guerra mondiale e 30 mila curdi negli ultimi decenni.

Anche di queste vicende occorrerebbe tener conto sui tavoli della Commissione europea per decidere di continuare o meno a valutare il dossier della candidatura dello Stato turco ad entrare nell’UE. A far luce sul tema si consiglia la lettura di un agile volume di Alberto Rosselli, studioso di storia moderna, contemporanea e militare, esperto delle vicende geopolitiche della penisola balcanica, che ormai da anni segue il “caso Turchia” con attenzione. Il testo s’intitola Sulla Turchia e l’Europa (Solfanelli, Chieti 2006, pagine 162, euro 10,00) ed è un’interessante summa dell’attuale stato dell’arte, giuridico e politico, per chi vuol saperne di più sul processo d’integrazione e su un Paese che tanto fa discutere. Ci sembra insomma che il punto nodale sia quello che già un lungimirante pensatore ed uomo d’azione del secolo scorso, il brasiliano Plinio Correa de Oliveira (1908-1995), così aveva brillantemente esposto poco prima della sua scomparsa: “Una volta entrata in Europa, la Turchia si rivelerebbe una “barriera” contro il dilagante fondamentalismo islamico, o non piuttosto un comodo “ponte” per un islam proiettato alla conquista culturale e religiosa del Vecchio Continente che di fatto sembra avere abdicato alla propria civiltà?” (cit. in A. Rosselli, op. cit., pag. 127).

Lo scrittore turco Orhan Pamuk

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