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Il fondo monetario internazionale taglia allo 0,6%, dall'1% di ottobre, la previsione di crescita per l'Italia nel 2019, mantenendola allo 0,9% per l'anno successivo. Lo si legge nell'aggiornamento del World Economic Outlook presentato a margine del Forum economico mondiale di Davos. L'Italia - nel documento - è individuata con la Germania come uno dei fattori la cui frenata a fine 2018 ha fatto rivedere in peggio le stime di crescita per l'Eurozona e comportato un calo dell'euro del 2% fra ottobre e gennaio.  

"Italia minaccia e rischio per l'economia globale? Piuttosto è il Fmi che è una minaccia per l'economia mondiale, una storia di ricette economiche coronata da previsioni errate, pochi successi e molti disastri", replica il ministro dell'Interno Matteo Salvini.  

"All'interno dell'area euro revisioni significative riguardano la Germania, dove le difficoltà di produzione nel settore auto e la domanda esterna più bassa peseranno sulla crescita nel 2019, e per l'Italia, dove il rischio sovrano e quello finanziario, e i collegamenti tra i due, aggiungono venti contrari alla crescita", spiega la capo economista del Fmi, Gita Gopinath. L'Italia è fra i maggiori rischi globali per il nodo spread-banche. Ma non si scherza nemmeno sui timori per la Brexit e il voto alle europee. "Gli spread italiani - si legge al primo punto della sezione sui rischi globali, che evoca anche una Brexit senza accordo - sono scesi dal picco di ottobre-novembre ma restano alti. Un periodo prolungato di rendimenti elevati metterebbe sotto ulteriore pressione le banche italiane, peserebbe sull'attività economica e peggiorerebbe la dinamica del debito".  

La situazione finanziaria dell'Italia, assieme a Brexit, è al primo punto fra i principali fattori di rischio globali indicati dal Fondo monetario internazionale nella versione aggiornata del World Economic Outlook. "In Europa continua la suspence su Brexit, e il costoso intreccio fra rischi sovrani e rischi finanziari in Italia rimane una minaccia", ha detto il direttore della Ricerca del Fmi Gita Gopinath presentando il rapporto  a poche ore dall'inizio del Forum economico mondiale di Davos. 

Meno crescita per l'economia globale nel 2019 e 2020, e con più incognite fra cui una possibile escalation nello scontro Cina-Usa sui dazi e un 'atterraggio duro' dell'economia cinese. E' il quadro delineato dall'aggiornamento del World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale, presentato oggi prima del via al Forum economico mondiale. Le nuove stime del Fmi prevedono una crescita globale del 3,7% nel 2018, come tre mesi fa, ma peggiorano il 2019 (3,5% da 3,7%) e il 2020 (3,6% da 3,7%).  


"Gli spread italiani - si legge al primo punto della sezione sui rischi globali, che evoca anche una Brexit senza accordo - sono scesi dal picco di ottobre-novembre ma restano alti. Un periodo prolungato di rendimenti elevati metterebbe sotto ulteriore pressione le banche italiane, peserebbe sull'attività economica e peggiorerebbe la dinamica del debito". L'analisi dei rischi prosegue poi con l'ipotesi di una "Brexit senza accordo dal carattere dirompente, con contagio all'estero, e un aumentato euroscetticismo intorno al voto europeo di maggio". Rischi anche da una frenata peggiore del previsto in Cina, un'escalation commerciale, uno 'shutdown' prolungato negli Usa.

L'economia globale fronteggia "rischi significativamente più alti, alcuni dovuti alle politiche" intraprese dai governi. L'allarme arriva dal direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, che ha aggiunto: "significa che una recessione globale è dietro l'angolo? No". Lagarde, facendo un'analogia con lo sci da fondo dove "è desiderabile avere visibilità, una leggera discesa, stabilità, pochi rischi e pericoli", ha notato che oggi sciare è diventato più impegnativo invitando le autorità a "tenersi pronte se rischi dovessero materializzarsi".

"Risolvere con la cooperazione, e velocemente, le dispute commerciali": è l'imperativo, pronunciato da Gopinath, a margine del Forum economico mondiale, avvertendo dei rischi di una crisi finanziaria e di un'economia globale già indebolita dalla guerra dei dazi. Gopinath si è soffermata anche su Brexit: "è imperativo risolvere immediatamente" lo stallo, se non si viole continuare a creare incertezze che pesano sulla crescita.

Il Fondo monetario internazionale mantiene una previsione di crescita per gli Usa del 2,5% quest'anno e dell'1,8% il prossimo. Ma riduce le attese per l'Eurozona nel 2019, portandole a 1,6% (da 1,9%) e mantiene il 2020 a 2,7%. Negli Usa, la crescita "è attesa in calo" con il venir meno dello stimolo fiscale e con i tassi Fed in rialzo, ma è sostenuta da "forte domanda interna". Nell'Eurozona pesano, invece, la frenata del Pil italiano e tedesco (1,3% per il 2019) e quella della Francia (1,5%) fra le proteste dei gilet gialli.

Tra il 2014 e il 2017 l’Italia, che corrisponde al 12% della popolazione europea, ha accolto quasi 700 mila migranti, pari al 70% degli arrivi via mare in Europa. Ad oggi, gli immigrati giunti in Italia con Salvini al Viminale (quindi dal luglio 2018) sono 6.793, con un calo del 90% rispetto al 2015. Tanto che nel 2018 l’Italia è scesa al terzo posto in Europa per arrivi: prima è la Spagna del socialista Sanchez con 65mila, seguita dalla Grecia di Tsipras con 32mila.

Quest’azione efficace, che ha fortemente arginato il fenomeno migratorio, sta premiando la Lega nei sondaggi. Secondo quello realizzato da Europe Elects, che ha calcolato quanti parlamentari avrebbero i partiti nell’emiciclo dell’Europarlamento, la Lega di Matteo Salvini sarebbe infatti il primo partito d’Europa con 26 eletti, superando la Cdu tedesca ferma a 24. Staccati di qualche seggio i grillini (22 eurodeputati), poi ci sarebbe il partito di Marine Le Pen (20) e a seguire tutti gli altri.

Negli Stati Uniti, continua il braccio di ferro tra Donald Trump e il Congresso  sui fondi per il muro con il Messico che ha portato gli Usa a proseguire lo shutdown, il più lungo della storia. “La costruzione del muro con il Messico farà calare il tasso di criminalità nell’intero Paese”, ha scritto su Twitter il presidente. Trump vuole superare l’ostracismo dell’opposizione democratica ricorrendo, se necessario, alla dichiarazione di emergenza nazionale che gli consentirebbe di superare il veto del Congresso e di stanziare 5,7 miliardi di dollari per il completamento della barriera con il Messico.

Sebbene per la maggior parte degli americani non esista una vera e propria emergenza,  secondo un recente sondaggio il 42% degli intervistati afferma di sostenere il muro, rispetto al 34% dello scorso gennaio. Una leggera maggioranza di americani (54%) si oppone all’idea, in calo rispetto al 63% di un anno fa. L’aumento del supporto è più forte tra i repubblicani, il cui sostegno alla promessa di vecchia data della campagna di Trump è salito di 16 punti nell’ultimo anno, dal 71% all’87%. Il supporto del Gop non solo è aumentato, ma si è anche rafforzato. Oggi, il 70% dei repubblicani afferma di sostenere fortemente il muro, con un aumento di 12 punti registrato dal gennaio 2018. 

William Kilpatrick, giornalista statunitense, ha sostenuto di recente che Bergoglio non ha ben chiaro il rischio apportato dal numero di parrocchie che vengono sigillate in Europa per mancanza di fedeli: “Così come ha poca ansia per l’ondata di chiusure delle chiese – ha scritto, come riportato su Facebook da un altro giornalista, che è Giulio Meotti – , Papa Francesco sembra avere poca ansia riguardo all’islamizzazione dell’Europa. E come dimostra il suo incoraggiamento alle migrazioni di massa, sembra non avere obiezioni all’islamizzazione”.

E mentre la linea del Governo sul immigrazione e ferma e molto simile a quella di Trump ed e ,olto vincente e gradita dai elettori fa discutere, specie tra le frange più conservatrici qualcuno direbbe “tradizionaliste”, è il simbolo selezionato per il ventiseiesimo viaggio apostolico del pontefice della Chiesa cattolica: una croce posizionata all’interno di un’altra immagine religiosa: la mezzaluna musulmana. Qualcuno ha osato evidenziare la differenza di grandezza che intercorre tra le due: troppo piccola – sostengono – la croce di Cristo, troppo risaltata – di rimando – la mezzaluna islamica. Quasi come se il vescovo di Roma e le gerarchie vaticane avessero avallato una sorta di subordinazione. Quasi, ancora, come se la Santa Sede, a questo giro, si considerasse ospite in casa altrui.

Le modalità che papa Francesco ha individuato per la dialettica col mondo musulmano non soddisfano chi ritiene che l’islamizzazione del Vecchio Continente stia mettendo in discussione la nostra stessa identità. Chiedetevelo leggendo Michel Houellebecq. Chi volesse approfondire il fatto che in Europa siano state chiuse centinaia di chiese solo nel corso di questi ultimi anni, può invece approfondire la visione del cardinale Eijk.

Tra i più critici c’è la dottoressa Silvana de Mari, la cui riflessione, che è stata pubblicata dal quotidiano La Verità, può essere sintetizzata così: “Eppure – ha scritto – la nuova Chiesa 2.0 adora dialogare, adora dire a tutti che, certo, avete proprio ragione, tutte le religioni portano a Dio, che è assolutamente lo stesso…”. Il primato gerarchico del cattolicesimo, riscontrabile nella Buona Novella, sparito dai radar: questa è la tesi della De Mari

E mentre tutti cercano di fermare questo fenomeno Papa Francesco continua : «Le migrazioni arricchiscono, anche Gesù fu profugo» centinaia le esortazioni a favore dei migranti che Papa Francesco in questi quasi 6 anni di pontificato ha rivolto ai governi, alle chiese, alle comunità e alle persone di buona volontà. Il Vaticano le ha raccolte in un libro che è stato presentato stamattina e diffuso in diverse lingue, a sottolineare la necessità da parte della Chiesa a non deflettere sulla linea dell'accoglienza e delle porte aperte. Le migrazioni per il pontefice sono un diritto

Ed ecco un altra questione importante : Islam, ora il Consiglio d'Europa vuole sdoganare la sharia il dibattito promosso dall’organizzazione internazionale che si occupa di difendere i diritti umani e la democrazia in Europa servirà a chiarire se gli Stati membri della convenzione possano essere contemporaneamente firmatari della dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam. Un documento adottato nel 1990 in risposta alla Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite, che individua la sharia come unica fonte del diritto. In altre parole, la dichiarazione garantisce quasi tutti i diritti riconosciuti nella dichiarazione dell’Onu, ma li sottopone ai limiti della legge islamica.

Non è escluso che il dibattito delle prossime settimane possa concludersi con una, seppur velata, apertura nei confronti della legge islamica che continua ad imporre le sue regole anche sul continente europeo.

In questo quadro, secondo il rapporto del deputato spagnolo, “bisogna sforzarsi di riconciliare le varie posizioni e creare una base d’intesa tra la sharia e la Convenzione europea sui diritti umani”, a patto che tutti accettino il fatto che la Convenzione è uno strumento legalmente vincolante, mentre la dichiarazione del Cairo non lo è. Una sfida a dir poco ardua per l’organizzazione, che alcuni considerano addirittura persa in partenza. Per il deputato conservatore olandese, Pieter Omtzigt, ad esempio, membro del Partito Popolare Europeo e della commissione Affari giuridici e Diritti umani dell’APCE, la dichiarazione del Cairo non sarebbe affatto compatibile con la Convenzione europea sui diritti dell’uomo. Pertanto, gli Stati che hanno sottoscritto la prima non dovrebbero far altro che ritirarsi, visto che la seconda risulta legalmente vincolante nei loro confronti. Insomma, per il deputato olandese, non ci sarebbe un granché da discutere: i diritti umani non possono essere regolati dalla sharia.

Un approccio che viene definito “problematico” nel rapporto stilato sul tema dal deputato socialista spagnolo, Antonio Gutiérrez. Il punto è che nonostante i dettami della sharia neghino alcuni diritti fondamentali alle donne o ai membri di altre religioni, contemplando in alcuni casi, come quello della blasfemia, anche la pena di morte, alcuni Stati membri del consiglio d’Europa, come Albania, Turchia e Azerbaigian, risultano tra i firmatari della dichiarazione sui diritti umani nell’Islam. Non solo. 

Il rapporto mette in guardia anche sulla presenza nella patria del diritto e della libertà per antonomasia, il Regno Unito, di almeno 85 tribunali islamici informali, deputati a risolvere dispute familiari o personali sulla base proprio della sharia. Anche in Grecia la minoranza musulmana preferisce rivolgersi ai muftì locali piuttosto che ai tribunali, per dirimere le controversie che riguardano questioni matrimoniali o di eredità. Accade lo stesso anche nel territorio della Federazione Russa, che è membro del Consiglio d’Europa dal 1996. Nelle regioni russe a maggioranza musulmana, come Cecenia, Inguscezia, Dagestan e Tatarstan, le liti vengono spesso giudicate secondo i dettami della sharia. Come probabilmente succede pure nelle enclavi musulmane presenti nelle più grandi città europee.

Succedeva nel 2016 : Le più alte cariche del Fondo monetario internazionale hanno ingannato il proprio board, fatto una serie di clamorosi errori di giudizio sulla Grecia, sposato incondizionatamente la causa dell’euro, ignorato tutte le avvisaglie di un’imminente crisi e trascurato un aspetto di base delle unioni monetarie.

Questo è il verdetto lacerante dell’Independent Evaluation Office (IEO), un organismo indipendente all’interno dell’istituto di Washington, sulla disastrosa gestione della crisi dell’euro da parte del Fondo. Il rapporto di 650 pagine dell’IEO rivela «cultura della compiacenza», incline all’analisi «superficiale e meccanicista», e un sistema di governance apparentemente fuori controllo.

L’ufficio di valutazione indipendente del fondo è autorizzato a passare sopra la testa del direttore generale, Christine Lagarde, e risponde unicamente al consiglio dei direttori esecutivi, molti dei quali – in particolar modo quelli provenienti dall’Asia e dall’America Latina – sono furiosi per il modo in cui alcuni ufficiali dell’UE hanno utilizzato il Fondo per salvare la propria unione monetaria ed il proprio sistema bancario.

I tre salvataggi della Grecia, del Portogallo e dell’Irlanda sono stati senza precedenti per dimensioni e carattere. Ai tre paesi è stato permesso di prendere in prestito oltre il 2,000% della loro quota allocata – più di tre volte il limite normale –, pari all’80% di tutti i prestiti del Fondo tra il 2011 ed il 2014.

In un’ammissione sorprendente, il rapporto dice che i propri investigatori non sono stati in grado di accedere a documenti chiave o di gettare luce sulle attività della «task-force segreta» assegnata ai salvataggi. Nessuna accusa di ostruzionismo è stata rivolta alla Lagarde.

«Molti documenti sono stati preparati al di fuori dei canali prestabiliti; la documentazione scritta relativa alle questioni più delicate è irreperibile. L’IEO in alcuni casi non è stato in grado di determinare chi ha preso certe decisioni o quali informazioni fossero disponibili, né è stato in grado di valutare i ruoli giocati dal management e dallo staff del Fondo», si legge nel rapporto.

Il rapporto afferma che l’intero approccio del Fondo alla zona euro è stato caratterizzato dal “pensiero di gruppo”. Non esistevano piani di riserva su come affrontare una crisi sistemica nella zona euro – o su come gestire la politica di un’unione monetaria multinazionale – perché era stato escluso a priori che ciò potesse accadere.

Succede oggi  : “Non siamo stati sufficientemente solidali con la Grecia e con i greci” durante la crisi del debito, è stata la dichiarazione testuale. Non solo: Juncker ha anche riconosciuto che durante la crisi del debito “c’è stata dell’austerità avventata, ma non perché volevamo sanzionare chi lavora e chi è disoccupato: le riforme strutturali restano essenziali”. E si è rammaricato che la Commissione abbia “dato troppa importanza all’influenza del Fondo monetario internazionale” perché “al momento dell’inizio della crisi molti di noi pensavano che l’Europa avrebbe potuto resistere all’influenza del Fmi”. A lui ha replicato direttamente il vicepremier M5s Luigi Di Maio: “Le lacrime di coccodrillo non mi commuovono”, ha scritto sul Blog delle Stelle. Mentre la capadelegazione M5s in Europa Laura Agea ha attaccato: “Autocritica ipocrita da chi prende uno stipendio da nababbi”.

Di Maio ha replicato sul Blog delle Stelle: “Juncker e tutti i suoi accoliti hanno devastato la vita di migliaia di famiglie con tagli folli mentre buttavano 1 miliardo di euro l’anno in sprechi come il doppio Parlamento di Strasburgo. Sono errori che si pagano”, ha scritto. “Dopo anni in cui ha benedetto i tagli in nome dell’austerità adesso parla di ‘austerità avventata’ e di aver dato ‘troppo influenza al Fondo Monetario Internazionale’ e ‘poca solidarietà nei confronti della Grecia’. Insomma l’austerità è stata fatta per sbaglio, è stata avventata ‘non certo perché volevamo colpire chi lavora o chi è disoccupato’. Invece è proprio quello che hanno fatto con le loro politiche economiche scellerate e ingiustificate”. 

Poco prima era intervenuta anche la capadelegazione del M5s al Parlamento Ue Agea: “Juncker, dall’alto del suo stipendio da nababbo di 27.000 euro al mese, non è credibile quando parla di austerità”, ha detto in una nota. “La sua ipocrita autocritica è uno schiaffo agli oltre 100 milioni di poveri europei. La Commissione europea in questi anni ha imposto i vincoli di bilancio. Con la manovra del cambiamento abbiamo già cambiato registro: dopo le elezioni europee rimetteremo mano a Trattati e regolamenti europei che penalizzano lavoratori, disoccupati e imprese. Il cambiamento è vicino e partirà dal taglio degli stipendi dei Commissari europei”.

Oggi la Grecia un Paese "massacrato" dal austerita dalla troika del UE dai sbagli del FMI dicono che sarebbe un successo con  il programma di prestiti internazionali  terminato da agosto, ma l'ombra di un quarto memorandum è dietro l'angolo viste le intenzioni di Syriza di distribuire bonus senza riforme condotte con un piglio professionale bensì aumentando solo la pressione fiscale. Le banche continuano a licenziare, mentre le manifestazioni non cessano, come gli insegnanti precari, scesi in piazza nel giorno della visita ad Atene della cancelliera Merkel.

In ballo c'è anche la sopravvivenza del sistema bancario ellenico, i nuovi bonus che il governo sta distribuendo in vista delle urne, la geopolitica dei gasdotti e il futuro ruolo dello stesso premier, che pare sia molto vicino ad ottenere un incarico internazionale se perdesse le elezioni.

Cosi oltre la crisi economica dietro l angolo l'accordo in Macedonia manda in crisi il governo greco  il caso macedone è solo la punta di un iceberg ben più grande: il Parlamento di Skopje ha approvato definitivamente la modifica costituzionale per il nuovo nome «Repubblica della Macedonia settentrionale», chiudendo la disputa con Atene, ma aprendo un fronte interno che si affianca alla geopolitica. 

La Grecia sta diventando un hub gas significativo per il Mediterraneo, grazie al gasdotto Tap e all'Eastmed che sarà il più lungo del mondo, da Israele all'Italia: i maggiori players energetici che vi operano stanno determinando le future policies dell'Ue quanto ad approvvigionamento energetico e nuove partnership. 

Dopo quattro anni termina così l'alleanza «fascio/comunista» che ha guidato la Grecia fuori dal memorandum, ma non fuori dalla crisi enorme economica le elezioni anticipate sono scontate, probabilmente in maggio con le europee. Ma prima ci sarà il voto di fiducia chiesto da Tsipras per giovedì prossimo, che potrebbe sì sancire la fine ufficiale della legislatura ma anche fruttare una incredibile marcia indietro di entrambi gli alleati protagonisti, di una trovata pubblicitaria per tentare di recuperare di fronte ad un elettorato sempre più deluso.

Per cui se da un lato Kammenos ha confermato «le differenze inconciliabili» con il premier che ha accettato le dimissioni, dall'altro ci sono i sondaggi ad inchiodare entrambi i partiti al governo: per Anel è debacle sotto il 3%, quindi nessun rieletto, per Syriza un calo di almeno dieci punti. Tutto a vantaggio del candidato liberal-conservatore-popolare di Nea Dimokratia Kyriakos Mytsotakis, affiliato al Ppe. Il suo programma: zone tax free in Grecia per attrarre nuovi investimenti, smart city, riforma del sistema bancario, privatizzazioni che portino un plus ai conti del paese e non siano svendite.

 

 

 

 

 

 

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