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Quando la Polonia salvò l'Europa dal Comunismo

C’è una pagina di Storia del primo Novecento completamente sconosciuta, si tratta della resistenza del popolo polacco all’avanzata degli eserciti bolscevichi russi del 1920. Una storia che viene proposta nell’ultimo numero dalla rivista Cristianità. La Rivoluzione bolscevica guidata da Lenin, dopo aver conquistato la Russia, già nel novembre 1918 il Consiglio dei Commissari del Popolo (il governo bolscevico), aveva preso la decisione di portare la Rivoluzione in Europa e nel mondo. Due anni dopo a Smolensk, il 10 marzo 1920, ci fu una riunione dei capi dell’Armata Rossa e dei commissari comunisti, fra cui anche il segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, “Stalin”. In quell’occasione fu deciso di attaccare la Polonia e poi tutta l’Europa.

Nell’estate del 1920, l’Armata Rossa avanza minacciosamente verso Varsavia. Di fronte a questa drammatica situazione è la Chiesa polacca a mobilitarsi a invitare il popolo alla resistenza. I vescovi si rivolgono al Papa Benedetto XV chiedendo preghiere e benedizioni per la Polonia minacciata dai bolscevichi. “La lettera dei vescovi di tutto il mondo, del mese di luglio, è di grande importanza, perché analizza l’ideologia che i comunisti volevano imporre all’Europa e al mondo con le armi già soltanto tre anni dopo la Rivoluzione d’Ottobre”. (Wlodzimierz Redzioch, “Quando la Polonia salvò l’Europa dal comunismo”, luglio-agosto 2020, n.404, Cristianità)

In quell’occasione i vescovi chiariscono che il bolscevismo non intendeva conquistare solo la Polonia, ma tutto il mondo. “Oggi tutto è già preparato per la conquista del mondo. Le schiere organizzate in tutti i paesi aspettano soltanto la parola d’ordine per iniziare la battaglia; dappertutto si preparano continuamente scioperi per paralizzare la vita organica delle nazioni”.

I vescovi volevano far capire che la Polonia era rimasta l’ultimo baluardo che impediva la marcia trionfale del bolscevismo su tutta l’Europa. La Chiesa era consapevole che il bolscevismo era il primo nemico, perché “porta nel suo petto un cuore pieno di d’odio. Il suo odio si rivolge prima di tutto contro il Cristianesimo, del quale è la vera negazione: si rivolge contro la croce di Cristo e contro la sua Chiesa […]”.

In questa situazione la Chiesa polacca svolge un ruolo determinante. La gente dopo l’appello si arruola massicciamente nell’esercito. Anche i sacerdoti sono al fianco dei soldati polacchi, uno di loro è diventato un eroe, don Ignacy Skorupka, cappellano del 236° reggimento di fanteria, don Skorupka, partecipa alla battaglia di Varsavia sempre con la talare, si ritrova da solo a comandare circa duecentocinquanta soldati: “con la croce in mano (come il cappuccino Marco d’Aviano a Vienna nel 1683) come unica arma guida i giovani volontari al contrattacco contro le linee nemiche e muore in combattimento”.

Tuttavia, parlando della battaglia di Varsavia bisogna nominare l’artefice della vittoria polacca, il maresciallo Jozef Klemens Pilsudski (1867-1935), un grande statista che si rende conto della natura della battaglia in corso. Di fronte a due milioni di bolscevichi elabora un piano rischioso quanto geniale, perché non previsto dai comandanti russi. Esce fuori dalla capitale e attacca il fronte scoperto dell’Armata bolscevica, che sorpresa da questo audace attacco, si ritira, perdendo terreno e viene sconfitta senza potersi riorganizzare. In questo modo Pilsudski consegue la vittoria passata alla storia come “il miracolo della Vistola”.

A questo punto l’intervento della rivista pone una interessante domanda: come mai il papa Pio XI ha voluto decorare la propria cappella privata nella nuova residenza di Castel Gandolfo con i quadri attinenti la storia della Polonia con il Miracolo sulla Vistola che raffigura il valoroso don Skorupka mentre, con la croce in mano, guida i soldati all’attacco?

Redzioch fa intendere che il motivo è dovuto al fatto che Pio XI, aveva legami stretti con la Polonia, è stato visitatore apostolico, poi nunzio, infine nominato arcivescovo consacrato proprio a Varsavia con la partecipazione del popolo polacco, Per questo motivo, mons. Ratti, poi Pio XI, si sentiva “un vescovo polacco”.

Tra l’altro nell’estate del 1920 con i bolscevichi a pochi chilometri da Varsavia, mons. Ratti svolge un ruolo importantissimo. È l’unico diplomatico che non lascia la capitale polacca, mentre tutto il corpo diplomatico fugge spaventato. “Mons. Ratti partecipa alle preghiere organizzate durante la battaglia sulla Vistola. Compie anche un gesto molto coraggioso e simbolico, che solleva il morale dei combattenti: si reca a Radzymin, a nord-est di Varsavia, sulla linea del fronte, per far sentire la propria vicinanza ai soldati”. Il monsignore era consapevole che in quella battaglia si stava decidendo le sorti dell’intera Europa, di fronte a un nemico spietato.

Successivamente da Papa, non dimenticherà mai la Polonia, che rimarrà sempre nel suo cuore. Soprattutto “quell’epico scontro fra i bolscevichi russi e i polacchi, che salvarono l’Europa dal comunismo e di cui fu testimone oculare”.

Comunque, Benedetto XV invierà un’epistola, “Cum de Polonia”, l’8 settembre, per la cessazione delle ostilità, indirizzata al cardinale Aleksander Kakowski, arcivescovo di Varsavia e a tutti gli altri vescovi della Polonia. Pertanto ricordando il centesimo anniversario del Miracolo della Vistola, Redzioch pubblica l’importante e poco conosciuta lettera del Papa Benedetto XV.

A cento anni di distanza anche Papa Francesco, ha inteso ricordare ai fedeli polacchi “il centenario della storica vittoria dell’esercito polacco, chiamata ‘Miracolo sulla Vistola’, che i vostri avi attribuirono all’intervento di Maria”.

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