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Parte oggi la lettera della Commissione Europea al governo italiano in cui si chiederà quali fattori rilevanti giustifichino, secondo l'esecutivo, il mancato rispetto della regola del debito nel 2018, anno in cui il debito pubblico italiano, anziché diminuire in rapporto al Pil, è aumentato dal 132,2%, dal 131,4% del 2017, per via della crescita debole dell'economia italiana. 

Si tratta di un passaggio formale previsto, propedeutico alla redazione di un rapporto ex articolo 126.3, in cui la Commissione valuta le ragioni che spiegano il mancato rispetto della regola del debito, per cui se uno Stato ha un debito superiore al 60% del Pil, come è il caso dell'Italia, deve ridurlo in misura soddisfacente. Il debito italiano, a causa principalmente della frenata dell'economia, è aumentato, anziché diminuire o rimanere stabile in rapporto con il Pil. Oltre all'Italia, anche altri tre Paesi membri riceveranno lettere analoghe, ma il caso dell'Italia è il più importante, vista la dimensione del nostro debito pubblico. La lettera, a differenza dello scorso autunno quando si lavorava su dati previsionali, terrà conto dei dati a consuntivo, certificati da Eurostat in aprile.

Ieri, mentre la finanza spingeva all'insù lo spread, Matteo Salvini ha avvertito le cancellerie europee che a questo giro le minacce non attecchiranno: "Ai signori di Bruxelles dico che è finito il tempo delle letterine e dei richiami, del 'sei stato cattivo e finisci dietro la lavagna'...". A rincarare la dose ci ha pensato oggi facendo notare che "l'equilibrio senza diritti è un freddo e sterile calcolo".

Il pressing sull'Italia è già iniziato La Commissione europea dà, infatti, un paio giorni di tempo al ministro dell'Economia, Giovanni Tria, per rispondere alla lettera che sarà inviata oggi per chiedere informazioni sul mancato rispetto della regola del debito nel 2018.

La lettera della Commissione Ue che chiede chiarimenti all’Italia sul debito pubblico, e Bruxelles darà al Governo 48 ore per rispondere. Secondo quanto si apprende, la risposta italiana deve quindi arrivare entro venerdì. La lettera conterrà l’entità della deviazione dagli impegni 2018 e 2019.  

Nella lettera, come riporta l'Adnkronos, la Commissione europea dovrebbe contestare all'Italia il mancato rispetto nel 2018 della regola del debito e degli impegni sul deficit strutturali sulla base dei dati definitivi certificati da Eurostat. Il fatto che la valutazione sia effettuata su dati definitivi costituisce un elemento aggravante rispetto allo scorso novembre, quando la Commissione aveva minacciato una procedura per deficit eccessivo sulla base di semplici previsioni. "Nel documento - fanno sapere da Bruxelles - non dovrebbero essere contenute raccomandazioni su una correzione dei conti pubblici". La richiesta implicita di una manovra correttiva per evitare la procedura per deficit eccessivo dovrebbe, invece, arrivare il 5 giugno. Da Bruxelles partiranno le lettere anche per altri tre Paesi (la Francia, il Belgio e Cipro). Anche a questi viene contestato il mancato rispetto degli obiettivi sul deficit strutturale, ma la loro situazione è stata giudicata "meno grave" rispetto a quella dell'Italia

"Il confronto con le istituzioni dell'Unione europea - dice il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti - in particolare con la Commissione, costituisce un momento di raccordo nel quale l'Italia non si limita a recepire indicazioni provenienti dall'Ue. Al contrario è l'occasione nella quale le priorità dell'agenda politica italiana vengono coordinate con quelle dell'Unione". "In questo senso il governo potrà aprire un confronto sulla congruità dei vincoli stabiliti rispetto alla situazione concreta", ha aggiunto.

Secondo Bruxelles, tra il 2018 e il 2019 ci sarebbe stato uno scostamento finale dello 0,7% (circa 11 miliardi) rispetto agli obiettivi Ue. E questo a fronte di una richiesta di riduzione del deficit strutturale di 0,6 avanzata a maggio scorso dalla Commissione e di una promessa di taglio dello 0,3% fatta dall'Italia.

La richiesta di una manovra correttiva da parte dell'Ue e insieme l'assedio dei mercati. A urne chiuse, nel bel mezzo di una fase politica di grande fibrillazione, è questo lo scenario che il governo gialloverde si trova ad affrontare. La lettera a Roma che dovrebbe certificare uno scostamento rispetto agli obiettivi europei di ben 11 miliardi. Jean-Claude Juncker lo anticipa a Giuseppe Conte, in un colloquio a margine della cena dei leader Ue, a Bruxelles. Il 5 giugno, con ogni probabilità, verrà richiesta all'Italia una correzione dei conti se vuole evitare che scatti la procedura d'infrazione per debito eccessivo. Il premier, con il ministro Giovanni Tria, proverà a trattare per scongiurarlo. Ma Matteo Salvini parte all'attacco. Chiuse le urne per le europee, i mercati tornano in fibrillazione. Lo spread dell'Italia sfiora i 290 punti, per poi chiudere in leggero rialzo rispetto a lunedì, a 284.

"C'è qualcuno che ha convenienza a tenere il governo italiano vincolato a regole vecchie, che tengono il Paese sotto scacco", attacca Salvini, in una diretta Facebook dal tetto del Viminale. Poi non solo, dando segno di non curarsi della necessità di trovare 23 miliardi solo per evitare l'aumento dell'Iva, rilancia la proposta di una flat tax da ben trenta miliardi. Ma riparte lancia in resta contro le regole europee. Tanto da lanciare la proposta di una "grande conferenza intergovernativa europea su lavoro, crescita, investimenti, debito pubblico e sul ruolo della Banca centrale europea".

La Bce, secondo Salvini, deve diventare garante "di benessere", con iniezioni di finanziamenti agli Stati, e "garante del debito". Resta, sottotraccia, la minaccia di rispedire al mittente la richiesta Ue di correggere i conti. Il leader della Lega, che lavora in questi giorni per rafforzare il suo peso nel Parlamento europeo, prova a mettere in primo piano la proposta di cambiare alla radice le regole europee, sapendo di avere contro anche alcuni dei suoi alleati "rigoristi". Silvio Berlusconi, dopo aver incontrato i leader del Ppe, avverte Salvini che, alzando i toni, rischia solo di andare a sbattere: sarà Juncker, attaccato a più riprese dalla Lega, a gestire il dossier italiano almeno fino all'autunno. Pierre Moscovici, che è in contatto continuo con Tria, spiega che "misure aggiuntive potrebbero essere richieste" subito, mentre le sanzioni sono uno scenario che si cerca di evitare. Il commissario preannuncia insomma la richiesta di una "manovrina", che alcune fonti quantificano intorno ai 5 miliardi, con parole che per ora hanno l'effetto di frenare lo spread.

Il premier spiega che rivedere il mandato della Bce "è uno dei dossier aperti". Ci vorrà tempo. Nell'immediato Palazzo Chigi lavora per rispondere alle richieste che arriveranno da Bruxelles. Il presidente del Consiglio lunedì ne ha discusso in una riunione con il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera e il Ragioniere dello Stato Biagio Mazzotta, con Tria collegato in teleconferenza.

Il governo è convinto di aver dato già alcune risposte nel Def: da parte, ricordano dal governo, ci sono ancora i due miliardi congelati dalla manovra e pronti a diventare tagli. In più si sottolineeranno l'andamento dell'economia migliore delle previsioni, i risparmi stimati da misure come il reddito di cittadinanza e quanto si sta facendo su evasione e spending review. Quando arriverà la lettera della Commissione, il governo avrà due giorni per rispondere. Juncker ne anticipa le linee a Conte, nel colloquio di Bruxelles: la Commissione perfezionerà le sue richieste in una riunione prevista nelle prossime ore. Da lì partirà un negoziato che passerà da una possibile correzione dei conti per evitare le sanzioni. Ci lavoreranno Conte e Tria, come per la manovra, ma Salvini questa volta potrebbe rovesciare il tavolo.

Né il vincitore Matteo Salvini, né lo sconfitto Luigi Di Maio - né tantomeno il presunto «mediatore» Giuseppe Conte - hanno avvertito l`esigenza di sentire Sergio Mattarella. Cosa che di per sé potrebbe anche essere una buona notizia, se davvero fosse la conferma che per i due vicepremier niente è cambiato dopo il voto. E che il governo gialloverde è pronto ad affrontare coeso i prossimi temi in agenda, a partire da una legge di Bilancio che richiederà almeno 40 miliardi. O anche 50 se - come ha annunciato ieri, forte del suo 34% - davvero Salvini punta ad una flat tax su redditi di famiglie e imprese fino a 50mila euro, quindi da almeno 30 miliardi.

Nei corridoi del Senato e di palazzo Madama si fa un gran parlare di rimpasto di governo. Perché, come dice Gianluigi Paragone, «Di Maio ha troppi incarichi»: fa il vicepremier, il ministro del Lavoro, quello dello Sviluppo e il capo politico. E perché chi non ha avuto il posto prima, spera di ottenerlo adesso. Così tra i grillini c'è chi si candida a sostituire i ministri invisi a Salvini: Elisabetta Trenta (Difesa), Toninelli (Infrastrutture), Giulia Grillo Sanità. E nella speranza di addolcire l'orco leghista, gli si offre anche la testa di Giovanni Tria, il responsabile dell'Economia. «Potrebbe andarci Garavaglia, sarebbe bravo a gestire la legge di bilancio», dice un grillino di alto rango.

Eppure, se mai volesse mettere mano alla squadra di governo, il vero bersaglio di Salvini sarebbe Alfonso Bonafede. Il capo della Lega, nel suo programma, ha inserito la riforma della giustizia con la revisione del reato di abuso d'ufficio e la separazione delle carriere. Due temi indigeribili per i 5Stelle. Dunque, il Guardasigilli rappresenta un ostacolo obiettivo. Ma Salvini non vuole la crisi, si diceva, e dunque per ora non pensa al rimpasto. «Certo, se poi fossero loro a offrircelo», dice un ministro leghista, «non rifiuteremo di certo. Ora nel Paese il nostro peso è il doppio di un anno fa e avrebbe un senso riequilibrare i pesi nel governo».

Il problema è che presto il governo rischia di non esserci più: «Se Salvini crede che ingoieremo tutte le sue richieste sbaglia», dice un alto esponente grillino, «tra 5 mesi saremmo finiti, non arriveremmo neppure al 10%. Perciò si potrà andare avanti solo se il leghista smette di gonfiare i muscoli e siccome non lo farà...».

Ma Matteo Salvini si allarga le braccia. Il capo della Lega in giornata ha rinnovato «completa fiducia a Conte», ha detto e ripetuto che «per andare avanti basta rispettare il contratto». Ma Luigi Di Maio e Giuseppe Conte a suo giudizio «fuggono». E fuggono «perché non hanno seri problemi a rispettare gli impegni». Dal via libera al decreto sicurezza, all'inizio della discussione sulla flat tax, dal sì alla riforma dell'autonomia regionale alla Tav. Il problema è che monta anche l'irritazione di Conte. Il premier ha confidato di sentirsi tra due fuochi e di non voler stare sotto il ricatto quotidiano di elezioni da parte di Salvini: «Vanno create le condizioni per poter andare avanti», ha confidato, «oppure meglio lasciare perdere, io un lavoro ce l'ho, non resto a ogni costo». E ha detto di volere un vertice con i due vicepremier quanto prima. Da vedere quale sarà la reazione di Salvini

Però, Salvini a questo governo ci tiene, non fosse altro perché in un anno gli ha fatto raddoppiare i voti, non calca i toni. Non si arrabbia perché il Consiglio dei ministri previsto per oggi slitta e dunque il suo decreto sicurezza-bis dovrà ancora attendere. Non risponde neppure alle «provocazioni» di Di Battista.

Stesso schema sul caso di Edoardo Rixi. E' bastato che il capogruppo leghista Massimiliano Romeo dicesse ciò che pensa il grande capo e cioè che il viceministro alle Infrastrutture «non si deve dimettere e non si dimetterà» in caso di condanna, per scatenare la reazione irata del solito Di Battista e di Stefano Buffagni. Con tanto di minacce di crisi.  A dire che la questione verrà affrontata quando (domani) si presenterà. «Bisogna stare calmi, non offrire il destro alle provocazioni», è stata la spiegazione del vicepremier leghista ai suoi, «è comprensibile che siano nervosi e sotto choc...».

Quello di Salvini è un garbo che durerà poche ore. Il leader leghista già va come un treno sulla flat tax e contro i parametri Ue, mettendo in serio imbarazzo Conte impegnato a Bruxelles. Martella sulla Tav. Picchia come un fabbro sull'autonomia. Detta, come aveva promesso, l'agenda. «Del resto dove vanno i grillini.....Se rompono c'è la crisi, si va alle elezioni, perdono stipendio e onori e al prossimo giro in Parlamento ne torna meno di un terzo», osserva il luogotenente di Salvini alla Camera Igor Iezzi, «noi invece eleggeremmo il doppio dei parlamentari».

In questo clima surreale, i 5Stelle alzano un muro di gomma. In attesa di riorganizzarsi, rinviano il Consiglio dei ministri. Provano a bloccare la Tav. Frenano sull'autonomia: «Ci sono grossi problemi...». E, soprattutto, litigano sul destino di Di Maio.

 

I leader di Francia e Germania escono indeboliti da questa tornata elettorale. Lo fanno dal punto di vista interno, visto che in entrambi i Paesi crescono partiti che contrastano l’idea che l’asse franco-tedesco possa rafforzarsi in questi termini Rassemblement national e Verdi in primis, e nel frattempo crolla la popolarità dei due leader, ai minimi termini e con partiti che ottengono o sconfitte eclatanti o vittorie di Pirro

Dall’Europa mediterranea, l’immagine dell’assedio arriverebbe dall’Italia, con la vittoria della Lega e la sostanziale maggioranza dei partiti contrari all’asse franco-tedesco che di fatto consegna un Paese pienamente avverso all’alleanza fra Berlino e Parigi. L’Italia, da tempo emarginata dai due leader di Francia e Germania, non può che sperare nella fine del sodalizio così palese tra le due potenze europee. Matteo Salvini è stato da sempre uno dei leader più attivi nello scontro con la politica economica, industriale e strategica di Macron e Merkel. L’Italia non può chiaramente sfidare entrambi: ma l’ascesa di un alleato della Lega in Francia e la divisione tra i due Stati può aiutare l’inserimento di Roma per spezzare un’alleanza che ha una chiara visione anti-italiana.

Altro colpo arriva dall’Europa orientale. Il Gruppo di Visegrad colpisce duro l’Unione europea a trazione franco-tedesca con il guanto di sfida rivolto soprattutto verso la Francia. Viktor Orban ha iniziato la sua campagna elettorale per le europee rivolgendosi apertamente contro Emmanuel Macron. E questo per almeno due ragioni: l’Ungheria è vincolata a livello economico con la Germania; Angela Merkel è il leader della Cdu che è il partito più forte del Partito popolare europeo, lo stesso di Fidesz.

Proprio per questo motivo, se Orban ha attaccato la Merkel ma senza mai affondare troppo l’acceleratore, su Macron ha espresso sempre giudizi molto duri, addirittura evocando una grande alleanza europea proprio contro il presidente francese. In ogni caso, obiettivo di Orban è anche quello di scardinare quell’asse. E lo stesso vale per tutta l’Europa orientale, che in ogni caso sfida l’asse franco-tedesco sia in chiave politica che in chiave strategica, privilegiando la Nato rispetto all’Europa. In questo senso, l’Alleanza atlantica non rappresenta solo un sistema avverso alla Russia, ma anche all’idea di Europa compattata sotto Francia e Germania per ciò che concerne la difesa.

L’asse Berlino-Parigi appare quindi circondato. Si salva per ora nella solo Spagna, che conferma il flebile sostegno ai socialisti di Pedro Sanchez e a una linea fondamentalmente legata all’Unione europea a trazione franco-germanica  

Intanto tornando in Italia Il Colle avvisa i vicepremier «chiaritevi», manda a dire Sergio Mattarella. Fissate presto il vostro incontro di maggioranza, guardatevi negli occhi, accertate la possibilità di proseguire l'alleanza, riprendete in mano i dossier rimasti aperti, concludete la stesura dei decreti lasciati a metà. In una parola, se siete ancora in grado, governate, perché l'Italia ha bisogno urgente di essere guidata.

E il senso è appunto questo: fate «chiarezza» e fatela in fretta, perché il Paese non può sopportare un altro lungo periodo di immobilismo e di conflittualità. La situazione economica può precipitare, i mercati sono in allarme, lo spread si alza, incombe la lettera di richiamo di Bruxelles sul debito e i conti pubblici. A proposito, che idee avete per la prossima Finanziaria?

L'invito del Colle è in attesa di risposta. La palla ora è in mano ai partiti e si prevede che i tempi di replica «non saranno strettissimi». Mattarella, come prevede il suo ruolo, lavora per la stabilità, non spinge certo per accelerare un'eventuale crisi anche perché, se cade Conte, sarà difficile evitare le elezioni anticipate. Intanto si prepara alle prossime difficili settimane. Le opinioni e le mosse del presidente, fanno sapere dal Quirinale, «dipenderanno dagli orientamenti delle forze politiche e di governo». Cioè, il capo dello Stato si regolerà a seconda dello scenario che verrà fuori al termine dell'atteso vertice di maggioranza. Si è trattato, spiegano, di elezioni europeo perciò se i partiti non chiedono cambiamenti, il presidente «non entra nemmeno in campo».

Lega, Forza Italia e Fdi valgono insieme il 49,6% dei voti. Di fatto, si dovesse tornare al voto in tempi brevi, la certezza di una vittoria netta. Basti pensare che una simile coalizione sarebbe destinata a vincere la quasi totalità dei 232 collegi uninominali.

Già domenica sera abbia deciso di mettere sul tavolo quelli che per il Carroccio sono i tre dossier chiave: Tav, autonomia regionale e, soprattutto, flat tax. Tutte questioni su cui in questi mesi il M5s ha nicchiato, mentre Salvini ha saputo pazientare. Da ieri, però, lo spartito non può che cambiare. Perché il ministro dell'Interno non avrà più l'alibi di un governo i cui rapporti di forza sono tutti a favore del M5s e nel quale è dunque costretto ad accettare compromessi. Se non numericamente in Consiglio dei ministri o in Parlamento, infatti, politicamente Salvini è da ieri il dominus indiscusso dell'esecutivo. Il che significa che d'ora in poi sarà suo il merito dei successi ma anche la colpa degli insuccessi.

Di Maio ai suoi, dice che il governo gialloverde, per il momento, va avanti, anche se l'ipotesi di staccare la spina e stata messa sul tavolo: «Lo volete o no?». La risposta è stata no. Per ora.

Al momento, la giocata che avrebbe più possibilità di riuscita porta il nome di Giuseppe Conte, nelle ultime settimane al centro di rilevazioni e sondaggi di popolarità da parte degli uomini più fidati di Davide Casaleggio. Il premier è graditissimo al figlio del guru e fondatore del M5s.

Ma, almeno ad oggi, la maggior parte delle fonti smentiscono sia un'implosione interna, sia una caduta del governo. La mina sul campo di Palazzo Chigi, ascoltando i grillini, potrebbe essere la prossima manovra: «Se non riusciamo a superare lo scoglio, allora sì che potremmo andare a votare». Magari sperando in un risultato migliore.

Lo strabiliante 34% incassato dalla Lega alle elezioni europee non racconta tutto il successo di Salvini al termine di una campagna elettorale violentissima, segnata da colpi bassi e attacchi sproporzionati.

Sentire i soliti radical chic alla Roberto Saviano, tutto il Paese stava dalla parte di Lucano. Per lui la sinistra aveva organizzato manifestazioni e sit in, Fabio Fazio gli aveva messo a disposizione i microfoni di Che tempo che fa e l’intellighenzia rossa aveva speso fiumi di parole in sua difesa.

A farne le spese, scrive  Andrea Indini però, sono stati quelli che hanno pestato più duramente contro il vice premier leghista. Come, i fan dell’accoglienza e i professionisti dell’immigrazione. Tutti a bocca asciutta. Lo dimostrano i numeri a Riace e a Lampedusa. Nella terra di Mimmo Lucano, il sindaco finito a processo per aver fatto carte false per far restare in Italia stranieri senza permesso di soggiorno, il 30,75% degli aventi diritto ha barrato il simbolo del Carroccio, mentre nell’isola “frontiera d’Europa”, simbolo degli sbarchi sulle coste italiane, si arriva addirittura al 46%. Percentuali bulgare se si pensa che dei 1.361 consensi espressi, ben 410 sono andati al vice premier leghista. A riprova del fatto che, come fa notare lui stesso, “la richiesta di una immigrazione limitata e controllata non è solo un capriccio di Salvini”.

Un vero e proprio abbaglio. Che si riflette nella “tranvata” presa a Capalbio dove la Lega ha incassato il 47,25% dei voti. Più del doppio rispetto al Pd che ha dovuto accontentarsi del 21,45%. Un voto che, sebbene arrivi da una realtà piccola, ha un alto valore simbolico. E non certo perché qui è solito trascorrere le proprie vacanze estive il segretario piddì Nicola Zingaretti. Anche in quella che è da sempre la culla del progressismo italiano, lo spaccamento tra élite e popolo è ormai netto e consolidato. Nessuno ha creduto alla panzana dell’onda nera, nessuno ha abboccato all’allarme del populismo anticamera del nazismo. E così anche lì i dem sono rimasti col cerino in mano. Come è successo nelle periferie d’Italia dove erano scoppiate le rivolte contro i rom e contro i migranti. Anche in Val Susa, dove gli antagonisti scendono in piazza un giorno sì e l’altro pure, il partito più votato è la Lega col 33,48. Ancor più del Movimento 5 Stelle, che ha fatto della battaglia No Tav una delle proprie bandiere, e del Partito democratico, che a Torino ha arruolato le madamin contro il governo.

Lo schiaffo più forte, però, secondo Indini lo hanno preso probabilmente certi vescovi che sotto il vessillo della Cei hanno condotto una strenua campagna elettorale contro Salvini. Non accettavano che esibisse i simboli religiosi. In un’Europa, che ha fatto del laicismo il proprio motto e che ha cancellato le proprie radici cristiane per non fare torto alla minoranza islamica, la scelta di Gualtiero Bassetti & Co. è stata a dir poco inappropriata. Lo hanno fatto per colpire il leghista che aveva chiuso i porti e i rubinetti dei fondi per l’accoglienza. E così, dopo essere rimaste a bocca asciutta le varie Caritas locali, è toccato ai porporati. “Ringrazio chi c’è lassù e non aiuta Matteo Salvini e la Lega, ma aiuta l’Italia e l’Europa”, ha detto ieri notte in conferenza stampa ricordando di aver affidato al “cuore immacolato di Maria non un voto ma il destino di un Paese e un continente”.

Le lenzuola calate dai balconi. Gli antagonisti e i centri sociali in piazza a prendersela con le forze dell’ordine. I progressisti nei talk show a lanciare l’allarme fascismo. Le élite europeiste a fare appelli per fermare l’avanzata populista. E i vescovi dai pulpiti a tuonare contro chi affida la propria campagna elettorale al sacro rosario. Tutti contro Matteo Salvini. E tutti con le ossa rotte all’indomani delle elezioni europee.

 

 

 

 

Matteo Salvini porta la Lega a stravincere le elezioni europee incassando un risultato storico.La nuova Lega di Matteo Salvini  e un partito nazionale, non solo risultando il primo partito in queste europee, con il 33,34% dei consensi, ma aumentando sensibilmente anche nel centro e al Sud, dove M5s rimane il partito più votato, pur dimezzando i voti. Il Movimento di Davide Casaleggio e Luigi Di Maio si ferma al 17,07% e rispetto alle politiche ribalta in negativo i rapporti di forza con l'alleato di governo e in più subisce il sorpasso da parte del Pd allargato di Nicola Zingaretti, che ottiene un 22,70% dal significato a doppia lettura. 

E' l'esito delle elezioni europee, con Salvini che annuncia di non voler "ricontrattare" i vincoli di Bilancio con i partner europei, conferma "lealtà" al governo ma chiarisce che il mandato "a fare ora è chiaro" dall'Autonomia alla Tav. La Lega compie un exploit sia rispetto alle Europee del 2014 quando ottenne poco più del 6%, sia rispetto alle politiche del 2018, in cui si attestò al 17,35. Anche in termini di voti reali il balzo è indubitabile dal 1.686.556 voti del 2014 e dai 5.698.687 del 2018 ai 9.151.468 di ieri.

C'è "il tema delle regole e di vincoli fiscali, una riduzione della pressione fiscale è un dovere, è prevista nel contratto di governo", lavoro per una manovra che abbia "uno choc fiscale positivo"

Il successo, ha detto il ministro dell'Interno, farà sì che i cavalli di battaglia della Lega siano portati avanti a livello di governo: taglio delle tasse, autonomia, lotta all'immigrazione. A livello europeo, Salvini ha detto di aver sentito Marine Le Pen e Orban come possibili partner e ha detto di auspicare che il Ppe dialoghi con le forze sovraniste e non con i socialisti, per i futuri assetti europei. Quanto alla vittoria a Lampedusa e a Riace, significa per il ministro dell'Interno che sull'immigrazione "gli italiani ci hanno dato ragione".

Il Partito di Casaleggio e Di Maio subisce un drastico ridimensionamento, un dimezzamento, nel Sud dove un anno fa aveva superato il 40% in tutte le Regioni, con punte del 45%. Il Sud rimane tuttavia la zona dove il Movimento mantiene un suo appeal: a Napoli e provincia, per esempio, è al 39,15%. E dimezzato risulta anche il consenso nel Nord Italia. "Oggi Radio Maria e Canti Gregoriani", è il tweet "penitente" di Beppe Grillo mentre i vertici del Movimento tacciono per tutta la mattinata. Il Pd di Nicola Zingaretti più che il partito delle Regioni Rosse dell'Appennino è il partito delle grandi città: è infatti il più votato a Torino, Milano, Genova, Firenze, Bologna, Roma. 

Anche in altre grandi città dove è secondo come Verona o Napoli ottiene percentuali maggiori che non nella provincia o nella Regione. Ma, osserva il vicesegretario Andrea Orlando, non è tempo "di festeggiare ma di costruire" anche perchè se ci sarà crisi di governo il Pd chiederà le elezioni. Nel centrodestra Forza Italia, con l'8,79%, deve constatare un nuovo arretramento sia rispetto alle Europee di cinque anni fa (allora il 16,83%), sia rispetto alle ultime politiche (il 14%), subendo l'onta del sorpasso da parte di Fdi in alcune aree un tempo feudo di Silvio Berlusconi, come nel Nord. In crescita Fdi: cinque anni fa il partito sfiorò il quorum del 4% e oggi con il 6,46% manderà alcuni parlamentari a Strasburgo. "Siamo la sorpresa delle europee, un'altra maggioranza c'è e noi siamo pronti", esulta Giorgia Meloni guardando alle mosse della Lega. Niente quorum per +Europa (3,09%), Verdi (2,29%) e la Sinistra inchiodata all'1,74%, che cinque anni fa aveva superato il 4% e ottenuto 3 eletti.

La prima cosa che balza agli occhi è che Fratelli d'Italia non si dà limiti da oggi, visto questo risultato». L'ha detto la presidente di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni nel suo comitato elettorale a Roma. «La seconda è che c'è un'alternativa possibile, questo gli italiani hanno detto - ha aggiunto - Lega e FdI rappresentano una maggioranza alternativa. Questo è il segnale che hanno dato gli italiani facendo crescere Lega e FdI. Poi spetterà a ciascuno degli attori in campo seguire le indicazioni degli italiani oppure no».  

L'appuntamento più importante è quello della legge di Bilancio. I Cinque spingono per il salario minimo, gli obiettivi della Lega sono altri. E alla luce del risultato delle Europee la linea leghista acquista vigore tra le mura del palazzo di governo. E così il leader della Lega afferma: "Lavoro lavoro lavoro e il lavoro passa da una riduzione delle tasse. La manovra economica di autunno la vogliamo improntare al taglio elle tasse". La flat tax dunque torna al centro dell'agenda leghista come anche la Tav, l'opera che più di ogni altra viene ostacolata dai 5 Stelle. Con la vittoria di Cirio in Piemonte cambia radicalmente l'orientamento sulla Torino-Lione e Salvini rilancia: "Va fatta e subito". Stesso scenario per l'Autonomia che Salvini rivendica e pone sul tavolo del governo.

Poi affronta il tema migranti e ribadisce la sua linea dei porti chiusi che può portare a una messa in discussione delle regole comunitarie: "Riace e Lampedusa vedono la Lega primo partito. Segno che la richiesta di immigrazione limitata controllata non è solo un capriccio di Salvini ma la chiedono gli italiani ed è una delle prime battaglie che andremo a vincere nella nuova Europa". 

 
Insomma flat tax, immigrazione e Tav sono in cima alla lista del programma che la Lega si appresta a declinare nei prossimi mesi. Ma Salvini sa bene che l'esecutivo di fatto dovrà affrontare un altro braccio di ferro con l'Ue per i conti. E qui arriva una vera e propria "dichiarazione di guerra" a Bruxelles: "So che è in arrivo una lettera da parte della Commissione europea sull’economia. Penso che sia il maturo il momento per rivedere dei parametri vecchi e superati che hanno fatto male all’Europa altrimenti un voto come questo non si spiegherebbe. È un momento maturo per leader europei per ridiscutere parametri bilancio". Insomma la sfida con l'Europa riparte già da questa mattina. Ma stavolta Salvini si gioca il suo 34 per cento sul tavolo delle trattative. Il Def e la legge di Bilancio dunque sono il terreno di battaglia su cui si gioca il futuro del governo e della maggioranza gialloverde

Cosi a queste elezioni Europee a farne le spese è Luigi Di Maio che vede il Movimento 5 Stelle sbriciolarsi e farsi addirittura superare da Nicola Zingaretti e dai democrat. Nell'esecutivo si ribaltano così i rapporti di forza tra i due alleati che da domani torneranno ad affrontarsi dopo essersi divisi su qualsiasi misura da approvare. "Questo risultato - fanno subito notare i big del Carroccio - ci dà più forza per mettere al centro dell'agenda politica le nostre proposte".

"Una sola parola - scrive Salvini su Facebook mentre lo spoglio è ancora in corso - grazie Italia". Con una fortissima crescita rispetto alle elezioni politiche dell'anno scorso, la Lega ha raddoppiato i propri voti arrivando a prendere oltre il 34%. Un vero e proprio balzo in avanti rispetto alle elezioni politiche del 4 marzo del 2018 quando alla Camera aveva incassato il 17,4%. "È chiaro che gli italiani si aspettano che ora il pallino sarà in mano alla Lega e starà a Salvini decidere", mettono le mani i vertici di via Bellerio. E, sebbene si affrettino tutti ad assicurare che "nom è all'ordine del giorno chiedere poltrone né cambiare il premier", qualcosa stanotte si è rotto nel governo. 
 
Perché, in poco più di un anno, a bruciare una valanga di voti è stato il M5s a guida Di Maio che, dopo aver portato a casa il 32,7% dei consensi alle ultime elezioni politiche, quasi dimezzato i propri consensi sprofondando al 17,1%. Una vera e propria emorragia di voti che ha portato i dem guidati da Zingaretti a superare i grillini incassando il 22,7% delle preferenze. Fonti accreditate del Nazareno sottolineano che, dopo cinque anni, "si è invertita la tendenza" e il Pd "è tornato a crescere". E adesso preme per tornare alle urne.

Dalle europee emerge un centrodestra sicuramente rafforzato. E Forza Italia, che ha incassato l'8,8%, rimarca che questa è la sola "alternativa al governo gialloverde". Una soluzione auspiacata anche Fratelli d'Italia che alle elezioni politiche dell'anno scorso aveva il 4,3% delle preferenze e ora è salita al 6,5%. "I patrioti italiani sbarcano nel parlamento europeo", commenta con soddisfazione Giorgia Meloni. 
 
A conti fatti fatti la coalizione, che tiene in pugno la maggior parte delle Regioni del Nord Italia e governa in altrettante nel resto d'Italia, potrebbe contare, in caso di elezioni anticipate, su un tesoretto di voti che si aggira tra il 45 e il 50% delle preferenze. 
 
"La sfida adesso è quella di un governo sovranista", commenta il capogruppo di FdI alla Camera, Francesco Lollobrigida, invocando elezioni anticipate. Per il momento, però, sembra che Salvini non abbia intenzione di staccare la spina al governo: "Per me a livello nazionale non cambia nulla". E già rilancia sulla flat tax al 15%. "Ovviamente non subito per tutti, ma la priorità è questa".

Per Matteo Salvini è l'esempio di come i progressisti abbiano creato, intorno all'immigrazione clandestina, un vero e proprio business che va contro le leggi dello Stato. Una convinzione, quella del vice premier leghista, che è stata corroborata dall'inchiesta "Xenia" che l'anno scorso aveva scoperchiato il sistema messo in piedi da Mimmo Lucano per far entrare gli stranieri illegalmente nel nostro Paese. Per mesi i vari Roberto Saviano, Laura Boldrini e compagnia cantante hanno sempre difeso il sindaco ultrà dell'accoglienza, ma ieri gli elettori di Riace e di Lampedusa hanno mandato agli ultrà del'accoglienza un segnale netto votando in massa per la Lega.

Ieri, a Riace, non si votata soltanto per eleggere i deputati da mandare all'Europarlamento di Strasburgo. Il Comune è andato alle urne anche per rinnovare il primo cittadino. Dopo tre legislature, segnate da violenti scontri per sostenere a tutti i costi l'accoglienza degli immigrati e soprattutto da pesanti inchieste che hanno portato almeno una trentina di persone agli arresti, Lucano non si è potuto ripresentare alla guida del Comune. 
 
Ha comunque corso come candidato consigliere nella lista "Il Cielo Sopra Riace", che ha come candidato sindaco Maria Spanò, suo ex assessore. Una sfida dai contorni inediti, quella di Lucano, ancora sottoposto al divieto di dimora a Riace dopo il suo coinvolgimento nelle indagini della procura di Locri sulle irregolarità nella gestione dei progetti per l'accoglienza. Nei giorni scorsi la sinistra ha organizzato marce per sostenerlo, la Sapienza lo ha invitato a parlare davanti agli studenti e il Tar ha addirittura ripristinato il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) facendo così tornare a scorrere nelle casse del municipio i finanziamenti pubblici destinati all'accoglienza.

Lucano, che è stato rinviato a giudizio proprio nelle scorse settimane, si è dovuto recare davanti ad un funzionario dell'ufficio elettorale del Comune di Stignano, centro che dista pochi chilometri da Riace, per formalizzare gli adempimenti burocratici legati alla sua candidatura a consigliere comunale. "Riace ha potuto trasmettere al mondo un messaggio di umanità che resterà per sempre. Questo è quello che ci rende orgogliosi", ha detto l'ex sindaco nei giorni scorsi quando dopo otto mesi era rientrato in paese. "Sono qui - ha continuato - anche per chiedere scusa degli errori che ho potuto fare, perché operando si può sbagliare". In realtà, Lucano non ha mai fatto mea culpa per aver violato un'infinità di leggi per far arrivare in Italia gli immigrati che non aveva le carte in regola restare.

Lo spoglio per il Comune inizierà nel pomeriggio , ma un'indicazione gli abitanti di Riace l'hanno già data. Ieri alle elezioni europee hanno, infatti, votato in massa la Lega. D'altra parte, qualche giorno fa, parlando proprio delle "disavventure" giudiziarie di Lucano, Salvini aveva fatto notare ai cronisti: "Quando vado in Calabria la gente mi chiede più lavoro, non più immigrati". 
 
E, infatti, ieri il 30,75 degli abitanti di Riace ha votato il Carroccio (qui i risultati). Una percentuale impressionante che, però, impallidisce se confrontata con quanto il partito del ministro dell'Interno ha incassato a Lampedusa. Nell isola "frontiera d'Europa", evocativo simbolo degli sbarchi, il Carroccio ha, infatti, incassato quasi il 46% delle preferenze doppiando il Pd che si è fermato al 21%. Dei 1.361 consensi espressi, ben 410 sono andati al vice premier leghista. "È il segno che la richiesta di un'immigrazione limitata e controllata non è solo un capriccio di Salvini - ha rivendicato il capitano - ma la chiedono gli italiani ed è una delle prime battaglie che andremo a vincere nella nuova Europa". Con buona pace di Lucano che per mesi è andato in giro a dire che era il male assoluto.

Intanto cinquant’anni fa in Francia si viveva quel Maggio che avrebbe cambiato per sempre il movimento del ’68. Oggi, sempre a maggio, la Francia vive un’altra piccola rivoluzione: il Rassemblement National di Marine Le Pen ha battuto alle europee La Republique en Marche di Emmanuel Macron. La destra dell’ex Front National ha battuto il partito del presidente. E all’Eliseo non si tratta più di allarme generale: è un dramma.

Il dramma non è tanto nei numeri o in una futura vittoria di Rn alle presidenziali. Perché in Francia è difficile prevedere l’elettorato ma è altrettanto risaputo che il richiamo alle forze costituzionali premia in ogni caso caso i moderati. Nella tradizione del voto utile francese, chiunque è considerato meglio di un candidato della destra radicale. E alle prossime elezioni potrebbe vincere ancora un candidato di centrodestra o di centro

Per Macron si tratta di una sconfitta clamorosa non solo per l’affermazione di Rn, che in ogni caso è uno schiaffo senza precedenti, ma è soprattutto perché è stato sconfitto tutto un sistema politico, culturale, sociale ed economico che ha provato in tutti i modi a far apparire la Francia diversa da quello che è nella realtà. 

Quella Parigi che è rimasta paralizzata e ferita dalla violenza dei gilet gialli è la stessa che si è presentata alle urne alle europee: tra astensione, voto anti Ue, sovranismo e pochi moderati, la Francia ha certificato quello che le proteste avevano fatto capire in maniera violenta. C’è una parte del Paese completamente disillusa e che non vota. Un’altra parte si blinda nel sovranismo della Le Pen come ultimo treno euroscettico e critico verso l’establishment francese rivolto a Bruxelles. Pochi che votano per Macron più per disperazione che per reale convincimento, perché oltre al re non c’è nulla. E con quel sentimento di rabbia che coinvolge tutto il Paese, da sempre baluardo del nazionalismo e dell’euroscetticismo. Anche quando viene governato da un cosiddetto europeista che in realtà non fa altro che governare seguendo l’interesse del sistema della grande industria francese in coordinamento con la Germania.

Difficile dire quale sia la conseguenza politica nel breve termine. È chiaro che la richiesta di Le Pen di sciogliere le Camere perché Macron non ha più la maggioranza elettorale è un’invocazione più di propaganda che altro. Ma da un punto di vista d’immagine, l’Eliseo ha subito una sconfitta colossale che conferma il totale distacco del popolo con le élite che lo governa. Chiaramente si tratta di europee: le nazionali sono un’altra cosa. Ma il maggio francese del 2019 consegna un’immagine molto diversa rispetta a quella che Macron avrebbe voluto dare del suo Paese. La Francia non è con lui, lo respinge. E in Europa trionfa la parte più critica del Paese: quella dei sovranisti. A dimostrazione che i francesi tutto sono fuorché pro-Ue.
 
E cambiata anche la Grecia politicamente parlando che va in elezioni anticipate, il partito di Tsipras perde nei confronti del centro destra con 10 punti di differenza per la nuova democrazia mentre Alba dorata sta quasi a nove punti.

È chiaro, infatti, che daoggi il governo diventa nei fatti a guida Salvini. E Di Maio non potrà più obiettare che il M5s ha la maggioranza in Consiglio dei ministri, dato ormai solo numerico ma di nessun peso politico. La Lega, infatti, presenterà subito il conto ai Cinque stelle sui tre dossier chiave per il Carroccio: flat tax, autonomia e, soprattutto, Tav. Tema su cui nelle prossime settimane Palazzo Chigi dovrà pronunciare una parola definitiva e su cui Salvini - forte anche della vittoria in Piemonte del candidato del centrodestra Alberto Cirio - non farà alcuno sconto. Starà a Di Maio - o più esattamente alla Casaleggio associati - decidere se e fino a che punto chinarsi alle richieste dell'alleato. Che, con ogni probabilità, spingerà il piede sull'acceleratore come mai ha fatto prima.  

La Lega di Matteo Salvini stravince la tornata elettorale, Ne è ben consapevole lo stesso presidente del Consiglio, che ieri sera sul punto non ha avuto esitazioni. «Se Luigi non lavorerà a trovare dei compromessi con Salvini, se non saprà adeguarsi ai nuovi equilibri, non farà altro - confidava in privato ai suoi ieri notte - che dargli il pretesto per rompere. Io, per quanto mi riguarda, non ho alcuna intenzione di farmi massacrare».

Salvini, è vero, sfondando il muro del 30% è il solo vincitore di queste elezioni. Allo stesso tempo, però, da oggi perdono di forza le sue obiezioni e le sue prudenze davanti alle perplessità di molti big del Carroccio che da mesi gli chiedono di mettere fine all'alleanza con il M5s e tornare alle urne. Forte del voto di ieri, o il vicepremier riesce a capitalizzare in termini di riforme oppure non avrà più alibi di fronte al pressing che gli arriva dal territorio Veneto e Lombardia in particolare.
 
Insomma, o si portano a casa subito flat tax, autonomia e Tav oppure è meglio tornare subito alle urne e dar vita ad una maggioranza di centrodestra. D'altra parte, stando alle proiezioni Forza Italia si assesta intorno al 9% e Fratelli d'Italia al 6. Tutta la coalizione, la cui leadership a questo punto è saldamente nelle mani di Salvini, si attesta quindi intorno al 45% con Lega e FdI che accarezzano la tentazione di essere autonomi.

Il leader della Lega, è noto, non è troppo incline a riallacciare i rapporti con Forza Italia. Ma è pur vero che la prossima legge di Bilancio si annuncia lacrime e sangue e con un Europa che non sarà affatto accondiscendente. Per quanto siano andati male, infatti, i partiti filoeuropeisti continueranno a dare le carte a Bruxelles e non faranno sconti all'esecutivo Conte. Caricarsi una manovra da oltre 30 miliardi, dunque, potrebbe essere rischioso, soprattutto con un governo che naviga a vista. Mentre altra cosa - ed è lo scenario a cui in Lega guarda chi teorizza un ritorno nel centrodestra - è affrontare una legge di bilancio così difficile all'inizio di una legislatura e con una prospettiva di cinque anni davanti. In quel caso, ovviamente, con Salvini che siederebbe a Palazzo Chigi.
 
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