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La Lega, secondo i dati definitivi del voto, ha ottenuto il 36,9% (il 14% in più delle precedenti regionali), Fratelli d'Italia il 10,4% (era al 6,2) e Forza Italia il 5,5 (era all'8,5). Nella coalizione Bianconi, il Pd si è attestato al 22,3 % (35,8 nella precedente consultazione) e il M5s al 7,41 (era al 14.6).

Donatella Tesei è, dunque, formalmente la nuova presidente della Regione Umbria. E' infatti terminato lo scrutinio nelle mille e 5 sezioni, con il ministero degli Interni che ha ufficializzato il risultato. Tesei ha ottenuto il 57,55% dei voti, Vincenzo Bianconi, candidato presidente per il patto civico Pd-M5s il 37,48%. Una vittoria quella del centrodestra, quindi, con 20,07 punti di vantaggio.  

Avvocato cassazionista, nata a Foligno il 17 giugno del 1958, Donatella Tesei, che si avvia ad assumere la carica di presidente della Regione Umbria, alla guida della coalizione di centrodestra, vive a Montefalco dove è stata sindaco per due mandati, dal 2009 (eletta con la lista civica di centrodestra "Gruppo Montefalco") al 2014 e dal 2014 al 2019, quando venne riconfermata con il 63% dei consensi. Nel marzo del 2018 è stata eletta al Senato della Repubblica nel collegio uninominale (sostenuta dal centro destra) e presiede la Commissione Difesa. E' inoltre membro del consiglio di amministrazione della Bonifica umbra, coordinatore regionale delle Città del Vino dell'Umbria, vice presidente nazionale dell'associazione Città per la fraternità e consigliere del Gal Valle Umbra e Sibillini. "Ho sempre vissuto in Umbria" è scritto sul suo sito.

"Dal liceo classico alla laurea in Giurisprudenza a Perugia - aggiunge -, dalle esperienze professionali come avvocato ai successivi incarichi professionali. Sotto i miei occhi ho visto la mia terra impoverirsi e una burocrazia asfissiante soffocare imprese e realtà commerciali. Mi considero una donna pragmatica, più attenta ai fatti che alle parole". Come candidata presidente della Regione è stata sostenuta da cinque liste: Lega Salvini Umbria, Giorgia Meloni per Tesei, Forza Italia Berlusconi per Tesei, Tesei presidente per l'Umbria Civica presidente.

"Gli umbri hanno dimostrato che gli italiani hanno voglia di votare", aveva sottolineato Salvini a Perugia commentando a caldo i dati delle regionali.   "Festeggio anche una grande affluenza - ha sottolineato ancora Salvini - perché di solito commentiamo sempre un calo". Il candidato del centro sinistra Vincenzo Bianconi ha telefonato alla senatrice Donatella Tesei  "per congratularsi" per la vittoria alle elezioni regionali in Umbria.  

Intanto botta e risposta sulle possibili conseguenze sul governo tra Matteo Salvini e il premier Giuseppe Conte dopo il trionfo del centrodestra. Il leader della Lega è andato all'attacco sottolineando la valenza nazionale di queste elezioni.  "E' un voto che ha anche una valenza nazionale - dice Salvini - Conte continua con la sua arrogante distruzione dell'Umbria, sbagliare è umano ma perseverare è diabolico...ogni giorno si apre un problema nuovo". L'esito delle elezioni  in Umbria è "un test da non trascurare affatto" - dice Conte - ma "noi siamo qui a governare con coraggio e determinazione, il nostro è un progetto riformatore per il Paese. Un test regionale non può incidere, se non avessimo coraggio e lungimiranza sarebbe meglio andare a casa tutti", afferma il presidente del consiglio a margine della seconda edizione di "Sindaci d'Italia", organizzata da Poste Italiane.

Alla luce del risultato elettorale, frena sull'alleanza col Pd il leader M5s, Luigi Di Maio, sostenendo, tuttavia, che il governo va avanti. "Quello in Umbria, ha detto, era un esperimento. Non ha funzionato. Tutta la teoria per cui si diceva che se ci fossimo alleati con un'altra forza politica saremmo stati un'alternativa non ha funzionato", ha affermato intervistato a Sky Tg24 parlando di "strada impraticabile" per il patto Pd-M5s. "Abbiamo bisogno che il governo sia migliorato e innovato", ha aggiunto Di Maio. "Sto lavorando affinché questo governo porti a casa il programma nei prossimi tre anni - ha rilevato -, e poi si faccia valutare dagli italiani. Il voto arriverà e sarà il momento in cui valutare se abbiamo fatto bene o male".

Intanto non solo i parlamentari: a schierarsi contro la posizione di Luigi Di Maio c'è anche Beppe Grillo. Come riportato da La Repubblica, il comico genovese avrebbe detto a gran voce: "Non gli consentirò di far saltare l'alleanza con il Pd". Fonti del M5S hanno però smentito: "Si tratta di una frase assolutamente inventata e frutto della fantasia di Repubblica". Pure Roberto Fico si è smarcato: "Guai a fermare la costruzione dell'alleanza con il Pd". Il presidente della Camera si è sfogato: "Dovevamo grillizzare il sistema, invece il sistema ha normalizzato noi".

Non mancano poi le molteplici anime dissidenti causate anche dalle mancate nomine di sottogoverno: la resa dei conti per Di Maio è vicina. Lui smentisce: "Non mi risulta". Ma in realtà ci sono diversi esponenti grillini sul piede di guerra: da Alessandro Di Battista a Gianluigi Paragone, passando per Barbara Lezzi e Danilo Toninelli. A questo si aggiunge che alcuni senatori starebbero lavorando a un documento per mettere Luigi a un bivio: "O fai il capo politico o il ministro".

Non è un mistero che durante la formazione del governo io fossi abbastanza perplesso". Luigi Di Maio prova così a mettere le mani avanti dopo l'umiliante sconfitta rimediata nelle elezioni Regionali in Umbria, in cui il Movimento 5 Stelle ha subito un drastico calo dei voti: "Tutte le analisi di voto dicono che la metà dei nostri elettori si è astenuta a causa della coalizione con il Pd

Il capo politico del M5S ha ribadito che "l'esperimento in Umbria non ha funzionato" e dunque si deve "guardare avanti". Ma da parte di Giuseppe Conte è arrivato un invito a riflettere sulle prossime mosse. Il presidente del Consiglio si è schierato a favore di nuove alleanze territoriali, ma l'ex vicepremier gli ha risposto: "Dopo uno tra i nostri minimi storici alle Regionali, direi che può considerarsi una esperienza chiusa". Nelle prossime ore ci sarà un incontro con gli eletti di Calabria ed Emilia-Romagna, e si è detto sicuro di una cosa: "Nessuno mi chiederà di allearci con il Pd dopo il dato umbro".  

Matteo Renzi, leader di Italia Viva che non era andato all'incontro conclusivo con gli altri componenti della maggioranza di governo , parla di "una sconfitta scritta figlia di un accordo sbagliato nei tempi e nei modi. Lo avevo detto, anche privatamente, a tutti i protagonisti. E non a caso Italia Viva è stata fuori dalla partita. In Umbria è stato un errore allearsi in fretta e furia, senza un'idea condivisa, tra Cinque Stelle e Pd. E non ho capito la 'genialata' di fare una foto di gruppo all'ultimo minuto portando il premier in campagna elettorale per le Regionali". Così Matteo Renzi a Bruno Vespa per il libro "Perché l'Italia diventò fascista (e perché il fascismo non può tornare)".

La replica di Franceschini arriva via Twitter: "Non mi sembra particolarmente acuta l'idea che poiché anche presentandoci insieme abbiamo perso l'Umbria, è meglio andare divisi alle prossime regionali. L'onda di destra si ferma con il buon governo e con l'allargamento e l'apertura delle alleanze, non di certo ridividendoci".

Conte ha avvertito: "Quanto accaduto in Umbria non deve replicarsi necessariamente a livello nazionale. Decidi tu, ma pensaci un attimo prima di mandare tutto all'aria con il Pd. Commetteresti un errore storico". E ha rilanciato una possibile alleanza in Emilia-Romagna: "Possiamo vincere e cambierebbe tutto". La risposta di Di Maio sarebbe netta: "Io non posso passare per quello di sinistra. Perdo voti a favore della Meloni, lo capisci?". E rivela anche l'intenzione di spostarsi più a destra: "I flussi dicono

Cosi le Cinque stelle che sono a rischio di estinzione non solo a Perugia e Terni, ma anche in tante altre parti d'Italia. Ecco perché ieri il capo politico Luigi Di Maio è tornato alla carica elencando vari punti della manovra su cui l'M5s intende discutere. «Per noi la lotta all'evasione non è criminalizzare commercianti, artigiani e professionisti con pos, carte di credito e abolizione del regime forfettario», ha dichiarato il ministro degli Esteri su Facebook. 

Questo significa, da un lato, che i pentastellati non vogliono perdere contatto con il mondo delle pmi rendendo meno invasiva la lotta al contante e, dall'altro, che vorrebbero estendere la platea della flat tax. Mancano le risorse: il contrasto all'evasione cifra 3,3 miliardi e punta tutto sulla limitazione delle transazioni e sull'obbligo di utilizzo delle carte. L'introduzione di paletti molto stretti sulla flat tax al 15% per chi ha ricavi fino a 65mila euro nasce da analoghe esigenze di taglio alla spesa per cui, nella versione prevista dal documento programmatico di Bilancio, viene resa inaccessibile a coloro che detengono beni strumentali di valore superiore a 20mila euro e a chi eroga compensi a collaboratori e dipendenti superiori a 20mila euro. Anche in questo caso si parla di centinaia di milioni di euro

«Questo testo deve definire dove vanno i soldi per le famiglie che fanno i figli, quale sia lo strumento per erogare le risorse», ha aggiunto Di Maio. In pratica, il leader grillino ha lamentato pubblicamente la mancanza di un sussidio per i nuclei familiari numerosi che non sarebbero coperti dalla dotazione unica di 400 euro al mese per i genitori con redditi bassi. Allo stesso modo, M5s vorrebbe garantire continuità tanto al reddito di cittadinanza quanto a quota 100 (per non perdere la sfida populista con la Lega), quest'ultima destinata a esaurirsi nel 2021. Ma proprio quest'ultimo punto rischia di aprire un nuovo fronte con Italia viva.

Un altro riguarda le tasse, in generale. «Sono d'accordissimo con la sugar tax e la plastic tax, ma altri meccanismi vanno discussi nelle prossime settimane», ha precisato. La tassazione «etica» sta attirando molte antipatie a M5s e, dunque, all'occorrenza, Di Maio è disposto a venire meno a questi principi pur di non consegnare argomenti ai propri avversari (non ultimo quello di una perdita di potere d'acquisto indotta dalle tasse sui beni di largo consumo). I renziani, invece, puntano sullo stop all'incremento al 12,5% della cedolare secca sugli affitti a canone concordato.

Ieri, invece, il premier Giuseppe Conte ha ricordato i 110 milioni annui garantiti ai Comuni al Fondo di ristoro per il minor gettito di Imu e Tasi, finora erogati a intermittenza. Il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, invia ogni giorno segnali di fumo alle forze politiche ricordando loro che con 23,1 miliardi di clausole Iva da bloccare non ci sono possibilità di incrementare le voci di spesa perché le coperture sono già risicate. Anche una spesa di 300 milioni potrebbe far crollare questo castello di carte. E non è un caso che la Commissione europea ieri abbia fatto sapere di essere pronta a dare l'ok preliminare al Documento programmatico di Bilancio. Un modo come un altro per fermare l'assalto alla diligenza.

"In democrazia conta il voto, non ci sono spallate. Se quello che scrive il Financial Times fosse solo parzialmente vero in qualsiasi Paese ci sarebbero le dimissioni tre minuti dopo". Così il leader della Lega Matteo Salvini a Perugia, nella conferenza stampa sul voto in Umbria.

"Un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano al centro di un'indagine sulla corruzione finanziaria era alla base di un gruppo di investitori che assunse Giuseppe Conte -ora primo ministro italiano- per lavorare su un accordo perseguito poche settimane prima che assumesse la carica". 

"Se un giornale autorevole come il Financial Times ipotizza dubbi, ombre o conflitti di interesse, mi aspetto che il presidente del Consiglio corra in Parlamento a riferire. Se non ritenesse di farlo lui, già oggi stesso glielo chiederemo noi", aggiunge Salvini rispondendo alla domanda se il gruppo parlamentare della Lega chiederà formalmente al premier Conte di riferire sui fatti contestati dal Financial Times. E sottolinea: "Dovrebbe farlo senza che la Lega glielo chiedesse".

Scrive il Financial Times : "Il collegamento con Conte rivelato in documenti esaminati dal Financial Times probabilmente attirerà un ulteriore esame sull'attività finanziaria del Segretariato di Stato vaticano, la potente burocrazia centrale della Santa Sede, che è oggetto di un'indagine interna su transazioni finanziarie sospette". E ancora: "Conte era un accademico di Firenze poco conosciuto quando è stato assunto a maggio 2018 per fornire un parere legale a favore di Fiber 4.0, un gruppo di azionisti coinvolto in una lotta per il controllo di Retelit, una società italiana di telecomunicazioni lo scorso anno. L'investitore principale in Fiber 4.0 è stato il Athena Global Opportunities Fund, finanziato interamente per 200 milioni di dollari dal Segretariato Vaticano e gestito e di proprietà di Raffaele Mincione, un finanziere italiano".

scrive il giornale ricorda che "la fonte finale dei fondi di Mincione non è mai stata dichiarata nella battaglia degli azionisti per il controllo di Retelit ed era sconosciuta prima che la polizia vaticana questo mese facesse irruzione negli uffici del Segretariato per sequestrare documenti e computer a causa della preoccupazione per un affare di proprietà di lusso a Londra stretto con Athena". Oltre a ripercorrere le recenti vicende giudiziarie interne al Vaticano sulla vicenda, il quotidiano rileva che "Conte è balzato dall'essere un politico sconosciuto a guidare un governo populista italiano nel giugno 2018" e ripercorre le tappe della crisi d'agosto e del nuovo esecutivo da lui presieduto con Pd e M5S. Si ricorda, inoltre, che "ha già affrontato accuse di conflitto di interessi in relazione all'accordo Retelit, dopo aver emanato un decreto basato sul cosiddetto 'golden power' che favorito i suoi clienti di una settimana prima di diventare primo ministro. Ha negato ogni conflitto di interessi ma è verosimile che debba affrontare nuovi approfondimenti sui suoi legami con la transazione e il coinvolgimento del Vaticano"

La vittoria del centrodestra in Umbria è stata netta, incontestabile, nei numeri superiore alle aspettative della vigilia: Donatella Tesei ha vinto con il 57,55 per cento rispetto al 37,49 per cento racimolato dal candidato del patto tra M5S e centrosinistra Vincenzo Bianconi. E guardando al risultato delle singole liste, è chiara ed evidente anche l’affermazione della Lega di Matteo Salvini che arriva al 37 per cento, mentre per contro il suo ex alleato di governo Luigi Di Maio vede il simbolo delle Cinque Stelle precipitare al 7,41 per cento. Dalle urne, quindi, esce un verdetto che apre tanti interrogativi sul fronte politico nazionale, con le possibili ricadute sul governo e nei rapporti tra i partiti che lo sostengono. Ma vediamo in rapida sintesi cosa ha detto il voto in Umbria.

Matteo Salvini ha «vendicato» la traumatica fine del governo gialloverde. Alle Regionali umbre ha dedicato il massimo impegno, ha battuto città e paesi per tre settimane, riempiendo ovunque le piazze. Sapeva di giocarsi molto, soprattutto per cancellare i dubbi di chi gli imputava di essersi fatto sfilare la poltrona di ministro dell’Interno per una ingenuità. Ha imposto la sua candidata e a colpi di comizio, tweet, dirette Facebook l’ha portata al trionfo, espugnando per la prima volta una Regione rossa.

Botta e risposta tra Matteo Salvini e il premier Giuseppe Conte dopo il voto in Umbria che ha visto il trionfo del centrodestra. Il leader della Lega è andato all'attacco sottolineando la valenza nazionale del voto.  "E' un voto che ha anche una valenza nazionale - dice  Salvini - Conte continua con la sua arrogante distruzione dell'Umbria, sbagliare è umano ma perseverare è diabolico...ogni giorno si apre un problema nuovo". Il voto in Umbria è "un test da non trascurare affatto" - dice Conte - ma "noi siamo qui a governare con coraggio e determinazione, il nostro è un progetto riformatore per il Paese. Un test regionale non può incidere, se non avessimo coraggio e lungimiranza sarebbe meglio andare a casa tutti". Lo dice il premier Giuseppe Conte a margine della seconda edizione di "Sindaci d'Italia", organizzata da Poste Italiane.

La Lega, secondo i dati definitivi del voto, ha ottenuto il 36,9% (il 14% in più delle precedenti regionali), Fratelli d'Italia il 10,4% (era al 6,2) e Forza Italia il 5,5 (era all'8,5). Nella coalizione Bianconi, il Pd si è attestato al 22,3 % (35,8 nella precedente consultazione) e il M5s al 7,41 (era al 14.6).

"E' un voto che ha anche una valenza nazionale, Conte continua con la sua arrogante distruzione dell'Umbria, sbagliare è umano ma perseverare è diabolico...ogni giorno si apre un problema nuovo". Così il leader della Lega Matteo Salvini a Perugia, nella conferenza stampa sul voto in Umbria.  "Chi semina tradimento raccoglie tradimento, lascio a Di Maio, Conte e Zingaretti i loro dubbi, noi andiamo avanti".

Donatella Tesei è, dunque, formalmente la nuova presidente della Regione Umbria. E' infatti terminato lo scrutinio nelle mille e 5 sezioni, con il ministero degli Interni che ha ufficializzato il risultato. Tesei ha ottenuto il 57,55% dei voti, Vincenzo Bianconi, candidato presidente per il patto civico Pd-M5s il 37,48%. Una vittoria quella del centrodestra, quindi, con 20,07 punti di vantaggio.

"È un'impresa storica - ha detto la Tesei - è importantissima per questa regione che ha saputo dimostrare una grande forza e determinazione di credere, questa volta, in un progetto di cambiamento". E ha aggiunto: "dedico questa vittoria all'Umbria, ai cittadini che hanno saputo dimostrare di avere una dignità e di saperla difendere".

Avvocato cassazionista, nata a Foligno il 17 giugno del 1958, Donatella Tesei, che si avvia ad assumere la carica di presidente della Regione Umbria, alla guida della coalizione di centrodestra, vive a Montefalco dove è stata sindaco per due mandati, dal 2009 (eletta con la lista civica di centrodestra "Gruppo Montefalco") al 2014 e dal 2014 al 2019, quando venne riconfermata con il 63% dei consensi. Nel marzo del 2018 è stata eletta al Senato della Repubblica nel collegio uninominale (sostenuta dal centro destra) e presiede la Commissione Difesa. E' inoltre membro del consiglio di amministrazione della Bonifica umbra, coordinatore regionale delle Città del Vino dell'Umbria, vice presidente nazionale dell'associazione Città per la fraternità e consigliere del Gal Valle Umbra e Sibillini. "Ho sempre vissuto in Umbria" è scritto sul suo sito.

"Dal liceo classico alla laurea in Giurisprudenza a Perugia - aggiunge -, dalle esperienze professionali come avvocato ai successivi incarichi professionali. Sotto i miei occhi ho visto la mia terra impoverirsi e una burocrazia asfissiante soffocare imprese e realtà commerciali. Mi considero una donna pragmatica, più attenta ai fatti che alle parole". Come candidata presidente della Regione è stata sostenuta da cinque liste: Lega Salvini Umbria, Giorgia Meloni per Tesei, Forza Italia Berlusconi per Tesei, Tesei presidente per l'Umbria Civica presidente.

"Gli umbri hanno dimostrato che gli italiani hanno voglia di votare", ha sottolineato Salvini a Perugia commentando a caldo i dati delle regionali. Per il segretario della Lega la vittoria che si delinea "è evidente e clamorosa". "Festeggio anche una grande affluenza - ha sottolineato ancora Salvini - perché di solito commentiamo sempre un calo". Il candidato del centro sinistra Vincenzo Bianconi ha telefonato alla senatrice "per congratularsi" per la vittoria alle elezioni regionali in Umbria.


"Una sconfitta scritta figlia di un accordo sbagliato nei tempi e nei modi. Lo avevo detto, anche privatamente, a tutti i protagonisti. E non a caso Italia Viva è stata fuori dalla partita. In Umbria è stato un errore allearsi in fretta e furia, senza un'idea condivisa, tra Cinque Stelle e Pd. E non ho capito la 'genialata' di fare una foto di gruppo all'ultimo minuto portando il premier in campagna elettorale per le Regionali". Così Matteo Renzi a Bruno Vespa per il libro "Perché l'Italia diventò fascista e perché il fascismo non può tornare".

No comment di Conte che cita Modugno - "La conoscete la canzone di Modugno? Il sole, il cielo...", è la battuta con cui il premier Giuseppe Conte replica ai cronisti che gli chiedevano un commento sulle elezioni umbre. "Si sente in discussione", gli chiede una cronista e, subito, un altro cronista gli domanda: "Ci commenti almeno questo sole...". A quel punto Conte replica citando il brano "Meraviglioso", di Domenico Modugno.

"La sconfitta alla Regione Umbria dell'alleanza intorno a Vincenzo Bianconi è netta e conferma una tendenza negativa del centrosinistra consolidata in questi anni in molti grandi Comuni umbri che non si è riusciti a ribaltare. Il risultato intorno a Bianconi conferma, malgrado scissioni e disimpegni, il consenso delle forze che hanno dato vita all'alleanza". Lo dichiara in una nota il segretario Pd Nicola Zingaretti.

"Dalla formazione del primo esecutivo ci è stato subito chiaro che stare al Governo con un'altra forza politica - che sia la Lega o che sia il Pd - sacrifica il consenso del Movimento 5 Stelle. Ma noi non siamo nati per inseguire il consenso, bensì per portare a casa i risultati, come il carcere per gli evasori di questa settimana e il taglio dei parlamentari della settimana precedente", scrive in un post su facebook il M5S.

Altissima l'affluenza, al 64,4%, nove punti in più rispetto al 2015. Del resto, nel Giardino d'Italia ci hanno messo la faccia tutti i leader nazionali e, sul finale della campagna, anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, protagonista della foto di Narni con Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti e Roberto Speranza. Una reunion che, evidentemente non ha pagato.

"Il primo voto vero ha dimostrato che gli italiani non apprezzano il tradimento. Qualcuno al governo deve ritenersi abusivo già questa notte", attacca Salvini bollando come un "omino" Conte per aver, a parere del leader della Lega, minimizzato l'importanza del voto in Umbria dicendo che non è un test per il governo. "Il centrodestra ha il diritto e il dovere di governare il Paese", gli fa eco Silvio Berlusconi mentre Giorgia Meloni incalza: "fossi in Conte rassegnerei le dimissioni più velocemente della luce. Se avessero un po' di dignità non arriverebbero a domattina".

La sconfitta rischia di pone di fatto una pietra tombale sulla l'alleanza M5S-Pd. Il governo non è in discussione, e ciò viene ribadito sia dai Dem sia dal Movimento. Ma sulle Regionali 2020 la sensazione è che Di Maio voglia tornare all'antico, a cominciare da Emilia Romagna e Calabria. Anche perché l'alleanza con il Pd non ha pagato né per la coalizione di governo né per il Movimento che ha preso meno della metà dei voti dei Dem. "Il patto civico per l'Umbria lo abbiamo sempre considerato un laboratorio, ma l'esperimento non ha funzionato. E questa esperienza testimonia che potremo davvero rappresentare la terza via solo guardando oltre i due poli contrapposti", si legge in un post del M5S su facebook che assicura, comunque, come al governo "si rispetteranno gli impegni".

Esce con le ossa rotte dal confronto elettorale umbro è il Movimento 5 Stelle e il suo capo politico. Il risultato finale è pesantissimo, con quel 7 per cento che vede i pentastellati finire dietro anche Fratelli d’Italia (impensabile fino a poche settimane fa). A caldo le analisi portano a ritenere un errore lì'alleanza, mascherata da accordo civico, con il Pd, ma approfondendo l’analisi non è difficile rintracciare altri motivi che portano alla clamorosa sconfitta, a partire dalle feroci divisioni interne sempre più evidenti.

Certo, anche il Partito democratico non ha proprio nulla da esultare. Ha sempre governato la Regione ed ora si vede ridotto al 22 per cento. Paga lo scandalo che ha portato alle elezioni e che ha visto coinvolta la presidente uscente. ma sicuramente deve riflettere sulla sostenibilità di una alleanza con il Movimento 5 Stelle che gli elettori, almeno quelli umbri, hanno dimostrato di non gradire.

Nel campo del centrodestra, detto della forte affermazione della Lega, ha motivo di stappare bottiglie di spuntante anche Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni va in doppia cifra e conquista il 10 per cento arrivando quasi a doppiare Forza Italia (ferma al 5,5 per cento).

 

 

 

Gli Stati Uniti hanno messo l’Italia nel mirino. E i nostri servizi segreti, forse mai come quest’anno, sono al centro di una delle più importanti indagini della storia repubblicana americana, quel sistema di inchieste e contro-inchieste racchiuso nella grande galassia del Russiagate e che vede a Roma uno dei suoi centri nevralgici. Tra università, incontri, professori misteriosi, viaggi di delegati americani a Roma e incontri ad alto livello delle intelligence Usa e italiane, a Roma si gioca una partita fondamentale del Russiagate. E l’audizione di Giuseppe Conte al Copasir è la prova che questo sistema di inchieste incide (e molto) anche sulla stessa capacità di resistenza del governo italiano.

Convoca i giornalisti a Palazzo Chigi il premier Giuseppe Conte, subito dopo l'audizione al Copasir durata due ore e mezza, per raccontare la sua verità sui due viaggi di Barr in Italia e sgombrare il campo dalle "ricostruzione fantasiose" apparse sui media, che "rischiano di gettare ombre sul nostro operato istituzionale, cosa che non possiamo permetterci". L'affaire Russiagate ha comunque fatto emergere alcune criticità nei servizi, che il presidente si propone di affrontare a breve.  

La prima richiesta secondo l Ansa di informazioni dagli Stati Uniti, nell'ambito dell'inchiesta "preliminare" ("se invece era un'inchiesta giudiziaria sarebbe scattato un altro binario, la cooperazione giudiziaria, la rogatoria", precisa Conte) che Barr e il procuratore speciale John Durham stanno conducendo sulle origini del Russiagate (in pratica sugli stessi investigatori Usa che hanno indagato sui legami tra Trump e la Russia) arriva a giugno, informa il premier. Per il tramite dell'ambasciata italiana a Washington, "non a me direttamente. Io non ho mai parlato con Barr", puntualizza. E l'attorney general, rileva, "è anche il responsabile dell'Fbi, che si occupa in particolare di controspionaggio ed agisce anche all'estero". Barr chiedeva uno "scambio preliminare di informazioni con la nostra intelligence" per "verificare l'operato di agenti americani" in Italia nel 2016. In particolare, l'oggetto di interesse era Joseph Mifsud, il docente maltese di stanza in quel periodo alla Link Campus University e che ha agganciato George Papadopoulos, consulente dell'allora candidato alle presidenziali Trump, per passargli la notizia che i russi avevano email hackerate ad Hillary Clinton. E' uno dei punti di partenza del rapporto Mueller che ha fatto emergere contatti tra lo staff di Trump ed i russi. Per il presidente Usa Mifsud era un agente provocatore che voleva incastrarlo dimostrando che si era avvalso dell'aiuto di Mosca per essere eletto  

L'interlocuzione con l'attorney general americano William Barr, che voleva avere notizie sull'operato di agenti dell'intelligence Usa in Italia nella primavera-estate del 2016, è avvenuta "in piena legalità e correttezza"; è risultata acclarata "l'estraneità della nostra intelligence" e con il presidente Donald Trump "non abbiamo mai parlato di questa vicenda": dice dunque il "falso" chi parla di collegamenti con "il suo tweet di sostegno nei miei confronti" ad agosto.

'Complotto' in cui settori dell'intelligence americana avrebbero coinvolto anche loro colleghi occidentali, in Inghilterra, in Australia e magari anche in Italia, vista la presenza di Mifsud a Roma. Ecco il motivo dei due viaggi italiani di Barr. Il primo a Ferragosto, quando ha incontrato il direttore del Dis, Gennaro Vecchione, "è servito - ricostruisce il premier - a definire il perimetro della collaborazione e chiarire le informazioni richieste. Poi c'è stato il secondo il 27 settembre, alla presenza anche dei direttori di Aise ed Aisi. Abbiamo chiarito, alla luce delle verifiche fatte, che la nostra intelligence è estranea a questa vicenda; estraneità che ci è stata riconosciuta dai nostri interlocutori che non avevano elementi di segno contrario". In sostanza, non risulta che agenti italiani hanno collaborato con colleghi americani per 'gestire' Mifsud e poi farlo sparire. E, inoltre, osserva, "se ci fossero state attività illecite che coinvolgevano nostri agenti avremmo avuto obbligo di segnalarlo all'autorità giudiziaria".

Quanto alle accuse di aver tenuto nascosto sia ai membri del Governo che al Copasir i contatti con Barr, Conte ricorda che "il premier ai sensi della legge ha l'alta direzione e responsabilità politica dell'intelligence; non la divide con nessun ministro o leader politico. Se avessi informato persone non legittimate a ricevere queste notizie avrei violato la legge. Ed il Copasir ha diritto e dovere di verificare e controllare, ma a posteriori". "Se tornassi indietro - prosegue - non potrei fare diversamente, perchè l'indagine di Barr è una tipica attività d'intelligence. Se ci fossimo rifiutati di sederci al tavolo con loro avremmo recato danno alla nostra intelligence e ci saremmo macchiati di una grave slealtà nei confronti di un alleato storico". Nelle prossime settimane il Copasir sentirà i direttori di Dis, Aise ed Aisi, cui verranno chieste ulteriori informazioni sulle visite di Barr in Italia.

Secondo il quotidiano il Giornale la questione per Washington è fondamentale. Lo hanno chiarito non solo le inchieste della giustizia statunitense, ma anche i viaggi “politici” tra le autorità dei due Stati. Donald Trump ha ricevuto a Washington sia Giuseppe Conte che Sergio Mattarella, con il presidente della Repubblica che si è trasformato suo malgrado in una pedina di un gioco dei servizi segreti che ha irritato molto gli uffici del Quirinale e lo stesso presidente. Così come è chiaro il motivo per cui il presidente americano abbia voluto inviare Mike Pompeo a Roma, potente segretario di Stato ma soprattutto ex direttore Cia, nel bel mezzo dello scandalo, quando in Italia iniziavano a uscire le prime informazioni sugli incontri tenuti nel nostro Paese tra le agenzie americane e italiane.

Tutti viaggi che hanno un solo scopo: Trump vuole certezze. E queste certezze significano che per la Casa Bianca è essenziale chiarire quali siano i rapporti tra i servizi segreti italiani e quella che Trump e il suo entourage ritengono sia stato un enorme complotto internazionale teso a screditare la sua candidatura e la sua presidenza favorendo, di fatto, Hillary Clinton. Un’ipotesi che da anni circola negli uffici della Casa Bianca e che vede nell’intelligence italiana un nodo cruciale dell’inchiesta, soprattutto per i dubbi che gravitano intorno agli esecutivi a guida Pd, in particolare di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni.

Scrive il Giornale : Trump vuole vederci chiaro e non sembra intenzionato a mollare. Il rapporto di William Barr può essere fondamentale per capire passato e presente (e forse futuro) dell ramo italiano del Russiagate. Ma può soprattutto essere un punto di svolta estremamente importante nei rapporti tra Italia e Stati Uniti, visto che da tempo Washington ha messo nel mirino Roma come Paese sempre più importante all’interno del suo sistema di alleanze. Washington vuole certezze. Le vuole soprattutto Trump e la sua amministrazione, che considera Roma qualcosa di più un semplice partner e che teme pericolose “deviazioni” da parte dei governi italiani rispetto alla linea che invece l’attuale amministrazione vorrebbe seguisse. E non è un caso che il governo statunitense abbia chiesto informazioni all’Italia al pari di Australia, Regno Unito e Nuova Zelanda: Paesi di estrema rilevanza per l’America, visto che essi sono tutti inclusi all’interno dei quella che viene chiamata l’alleanza dei Cinque occhi, i Five Eyes.

Questo sistema secondo inside over è una delle più importanti, potenti e meno conosciute coalizioni del mondo, poiché è un accordo di condivisioni di informazioni e di intelligence che di fatto considera l’anglosfera come parte di un sistema unitario in cui c’è la massima capacità di condivisomi dei rapporti di intelligence. In questo club non c’è l’Italia. Ma l’impressione è che l’attenzione di Washington su Roma sia indice di una volontà di portare altri Paesi in un sistema di informazioni sempre più stretto e con meno libertà di manovra, a tal punto che il governo americano ha chiesto più volte a quello italiano il conto dei suoi servizi segreti. Tanto che c’è chi ritiene che lo stesso (ormai famoso) endorsement di Trump nei confronti di Conte sia stato in realtà non tanto un endorsement politico quanto legato proprio a quanto potesse rivelare il governo da lui presieduto sugli intrighi di Roma che coinvolgevano uomini contrari alla sua presidenza.

Trump secondo Lorenzo Vita del Inside over vuole che l’Italia sia qualcosa di più di un partner. E lo dimostra il fatto che sia uno dei Paesi su cui ormai da mesi si concentrano le attenzioni dei suoi strateghi. Lo conferma il Russiagate, che è il nodo cruciale dell’amministrazione repubblicana e che è la vera spada di Damocle che pende sulla testa di The Donald. Ma lo confermano anche diversi punti del programma americano nel Mediterraneo e in Europa e che vedono sempre l’Italia al centro delle attenzioni strategiche statunitensi.

È stata proprio l’Italia, continua il Giornale ad esempio, il Paese su cui si è scatenata l’ira del governo statunitense per ciò che riguarda i rapporti economici con la Cina quando il governo italiano ha firmato il memorandum sulla Nuova Via della Seta. Mentre gli Stati europei si sono legati a doppio filo con Pechino stringendo accordi economici di vastissima scala, l’Italia ha subito un vero e proprio assedio mediatico e politico, in cui Washington ha ovviamente fatto il possibile per chiedere a Conte e ai suoi ministri di evitare di abbracciare l’iniziativa cinese. Il governo statunitense ha chiesto a Roma garanzie soprattutto legate all’intelligence, con Huawei indiziata speciale di un possibile ingresso della Cina nei sistemi di telecomunicazioni italiane (e quindi europee a euro-atlantiche).

Ma non va dimenticato anche l’interesse Usa nei confronti dei rapporti dell’Italia con la Russia, che sono da sempre estremamente forti e sui cui i falchi americani hanno spesso avuto da ridire. Trump ha considerato per molto tempo il precedente esecutivo (quello composto da Lega e Cinque Stelle) come un possibile tramite politico e strategico tra il suo governo e la Russia, ma l’intelligence e il Pentagono hanno sempre avuto grossi timori nei confronti delle politiche romane. A tal punto che appena confermato Conte alla guida di Palazzo Chigi, il premier ha dovuto fare due cose: blindare la rete Tlc con il golden power e fermare un r cittadino russo sospettare di essere una spia all’aeroporto di Napoli. L’alleanza con Trump e con gli Usa costa: ma adesso sempre poche per l’Italia ci sia un passo in avanti. Un salto di qualità che potrebbe includere Roma nel sistema degli occhi. Non più dei 14, come è adesso, ma dei cinque. O forse, sottotraccia, dei sei.

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