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L’Italia ha scelto: fra Stati Uniti e Unione europea, preferisce i primi

L’amministrazione Trump garantisce pieno sostegno al governo italiano, in particolare alla sua ala sovranista, mentre Bruxelles ha da tempo avviato una politica del tutto conflittuale con Palazzo Chigi, colpevole di aver sfidare le regole e i vincoli europei, ma anche di aver messo in dubbio la bontà dell’asse franco-tedesco.

Così, Roma ha deciso di spostare il suo asse verso l’Atlantico. E questa mossa sta cambiando e non poco le strategia italiane da un punto di vista economico, commerciale ma anche militare. Chiaramente nulla è gratuito. Come confermato anche dal viaggio di Giancarlo Giorgetti negli Stati Uniti – preceduto dal tour del sottosegretario Guglielmo Picchi sempre oltreoceano -, Washington ha chiesto a Palazzo Chigi garanzie politiche e strategiche. Ma i colossi italiani possono avere degli ottimi guadagni, a partire dall’industria bellica, anche nel settore della cyber-sicurezza.  

La conferma arriva in queste ore non solo dal tour Usa di Giorgetti, ma anche dalle mosse di Angelo Tofalo, sottosegretario alla Difesa, e Leonardo. Il sottosegretario interverrà domani all’apertura del workshop “Cybersecurity, challenges and opportunities for Italy and the Usa”. Un incontro importante perché, come sottolineato dallo stesso Tofalo: “Il tema della sicurezza cibernetica è di interesse nazionale. Non ci sono Paesi che possono sentirsi al sicuro dagli attacchi cibernetici. È compito dello Stato affrontare le sfide del futuro e cogliere le opportunità del quinto dominio”.  

Pero l’Italia è uno dei Paesi maggiormente coinvolti nella Nuova Via della Seta, il progetto con cui la Cina cerca di costruire il suo modello di globalizzazione. E il nostro Paese appare come quello del G7 più direttamente coinvolto nell’iniziativa. Tanto che, come riporta il Financial Times, è possibile che il governo italiano firmi il memorandum d’intesa con Pechino già a fine marzo, quando il presidente Xi Jinping arriverà a Roma in visita ufficiale.

Le pressioni americane, in questo senso, sono fortissime. Garrett Marquis, portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca ha dichiarato al Financial Times che “la Via della seta è un’iniziativa fatta dalla Cina, per la Cina”. Ma ha che lanciato un monito diretto nei confronti di Roma: “Siamo scettici che l’adesione del governo possa portare benefici economici durevoli al popolo italiano e nel lungo periodo potrebbe finire per danneggiare la reputazione globale del Paese”.  

A Washington non è piaciuta la mossa del governo italiano di pensare alla concessione della rete a un colosso cinese come Huawei. E questo problema è stato sollevato anche durante il viaggio di Giancarlo Giorgetti negli Usa, dove, fra New York e Washington, gli è stato anche segnalato che il Pentagono e la Casa Bianca sono molto preoccupati da quanto deciso nelle stanze di Palazzo Chigi.

Ma per l’Italia è anche un altro discorso. Roma è parte del G7, è uno dei partner principali della Nato, Napoli è l’hub dell’Alleanza atlantica nel Mediterraneo, e Donald Trump ha stretto ottimi rapporti con il governo giallo-verde. Insomma, l’Italia non è un Paese come gli altri per Washington. Ed è per questo che da parte americana sono già arrivate indicazioni specifiche sulla scelta di Palazzo Chigi di essere coinvolti pienamente nell’iniziativa della Nuova Via della Seta.  

Gli Stati Uniti non vogliono che il futuro delle telecomunicazioni sia in mano cinese, un Paese considerato un avversario da parte di Washington. Ci sono problemi di natura commerciale,m ma soprattutto di natura strategica. L’intelligence americana non ha intenzione di vedere le reti europee e dei partner internazionali in mano a un governo con cui conduce una vera e propria guerra economica ma anche politica.

E questo “warning” americano è arrivato anche a Roma. Tanto che si iniziano a muovere i servizi segreti. Come riportato da Ansa, il Copasir il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha chiesto in questi giorni un incontro con il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, proprio per discutere del dossier 5G, che rappresenta lo standard futuro per tutte le reti di comunicazione mobile. Un tema particolarmente delicato, complesso e dai forti rischi, tanto che Luciano Carta, direttore dell’Aise, ne ha parlato in audizione al Comitato.

Per l’intelligence italiana, il rischio di concedere in mano straniera la rete non è un problema secondario. Huawei e Zte, i due colossi cinesi che provano a spartirsi le reti mondiali del 5G, continuano a ribadire che dietro la loro politica commerciale non ci sia alcun tentativo di conquistare reti strategiche occidentali. Ma gli Stati Uniti hanno già messo in chiaro che la questione non sia affatto da sottovalutare.

Intanto Il governo giallo-verde ha presentato il suo piano sulla immigrazione, ma l'Ue non è riuscita a trovare un "accordo" a livello internazionale. E così, mentre i governi si fronteggiano barricati sulle proprie posizioni, la crisi continua. Gli sbarchi sono diminuiti ma - Avramopoulos dixit - la situazione in Libia resta "molto caotica" e presto potrebbero ricominciare ad arrivare altri immigrati.

Per gestire i flussi di migranti, l'Italia chiede "una pre-distribuzione", in modo che "più Stati europei possano condividere l'onere di fare tutte le verifiche". In sostanza i richiedenti asilo andrebbero "subiti distribuiti su più paesi", senza far ricadere tutto il peso sui Paesi di primo approdo. Il motivo? "Nella maggior parte dei casi - spiega Moavero - le persone migranti non cercano l'isola greca, l'Italia o la Spagna: stanno cercando una vita diversa e un rifugio in Europa. Secondo noi la questione è profondamente europea".

A rendere noto lo stallo delle trattative in Europa è stato il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi. Il titolare della Farnesina nel corso di un'audizione davanti al comitato parlamentare Schengen ha spiegato chiaramente l'idea del governo nostrano: "Le persone, in particolare quelle che vengono salvate in mare" dovrebbero "essere sbarcate anche per ragioni umanitarie, ma dovrebbero essere sbarcate in zone franche rispetto all'applicazione delle regole di Dublino". Questo piano è stato portato avanti a livello Ue, ma a fronte delle belle parole di solidarietà di molti Stati alla fine "quando si va alla fase operativa" il dialogo "finisce col bloccarsi".    

Fino ad oggi, infatti, le norme di Dublino costringono i Paesi di primo approdo a farsi carico della domanda di asilo. Cioè devono verificare se i migranti sono davvero in fuga dalla guerra e se hanno le carte in regola per ottenere protezione internazionale. La pratica è lunga e per due anni gli immigrati si trasformano un onere insostenibile per Grecia, Italia e Spagna. Se, invece, come vorrebbe Roma, i migranti venissero distribuiti subito, allora sarebbero tutti gli Stati Ue a "dividersi" il compito delle verifiche. Alleggerendo così il carico per i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

Per ora, però, non è ancora stato trovato un accordo. Per questo oggi la Commissione europea ha spiegato che finché il regolamento non verrà modificato si potrà proseguire con "disposizioni temporanee relative agli sbarchi". Tradotto: ogni volta che una nave carica di migranti chiederà dove approdare, i governi dovranno trovare accordi mirati per la redistribuzione. In pratica si ripeterà quanto successo, in alcuni casi, negli ultimi mesi. 

Per la Commissione "sulla base dell'esperienza acquisita con le soluzioni ad hoc nell'estate 2018 e nel gennaio 2019, le disposizioni temporanee possono fornire un approccio più sistematico e coordinato a livello dell'UE in materia di sbarco" "Tali disposizioni - continua l'Ue - metterebbero in pratica a livello dell'UE i principi di solidarietà e responsabilità, e servirebbero come meccanismo ponte fino al completamento della riforma del regolamento Dublino". Ma per una soluzione definitiva ci sarà ancora da attendere. E chissà quanto.

 

 

 

 

 

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