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Giovedì, 02 Maggio 2024

In questi giorni quelli del Governo diffondono appelli alla coesione nazionale, ci chiedono di stare uniti in questo momento di emergenza. Allora voglio chiarire, da cittadino non mi sento assolutamente di accettare questo invito da parte di politici che dopo aver procurato il danno ora vogliono il mio consenso o il mio plauso. Politici, dilettanti allo sbaraglio, che ci hanno «trasformati nella discarica dell'Africa». E che ora noi italiani siamo «additati tutti come infettivi e potenziali portatori di virus letali, al pari degli untori della peste di manzoniana memoria». L'unica cosa che dovrebbero fare è dimettersi e fare silenzio.

Piuttosto mi sento di ringraziare chi veramente sta affrontando l'emergenza e cioè le strutture ospedaliere e sanitarie, i tanti medici, infer.mieri, ricercatori e ricercatrici che stanno lavorando con abnegazione giorno e notte perchè il virus non si espanda. E' a loro che deve andare il nostro ringraziamento e la nostra fiducia. Poi se devo ringraziare qualche politico, io che vivo in Lombardia, mi sento di ringraziare il presidente Attilio Fontana, l'assessore Giulio Gallera che stanno facendo molto in questo momento emergenziale. Probabilmente se si ascoltavano i loro consigli di prevenzione del virus, forse non saremmo in queste disastrose condizioni.

Pertanto, anche in questo momento di grave emergenza sanitaria, per quanto mi riguarda, niente “Oro alla Patria”, io non dimentico! 

Del resto tutti hanno capito cosa bisognava fare andavamo messi in quarantena i cinesi di rientro in Italia quando a Wuhan era già scoppiata l'epidemia che ora sta terrorizzando il nostro Paese. Il governo italiano avrebbe dovuto farlo a febbraio con chi rientrava dalla Cina, ma «non ha avuto il coraggio», ha scritto Antonio Socci su Libero.

Una scelta da mettere in conto alla sinistra italiana, che in parlamento, in piazza, sui social e sui giornaloni "allora si batteva contro il 'razzismo' con l'iniziativa 'abbraccia un cinese' e mangiando involtini primavera ai ristoranti cinesi..". Quanto fosse miope e fuori fuoco quella campagna, aggiungiamo noi, è venuto purtroppo alla luce molto presto: avete visto per caso qualcuno, dalle parti del Pd e LeU, chiedere cene sociali a Codogno o abbracciare un abitante della zona rossa italiana? La risposta è semplice: no.

Questo per quanto riguarda le colpe dei nostri politici, della nostra sinistra, poi c'è da riflettere abbastanza sulle gravi omissioni della Cina del timoniere Xi Jimping. Altro che scuse dovremmo chiedere i danni, scrive il quotidiano online “L'Atlantico”. «Non bisogna dimenticare, quindi, oltre ai gravi errori del nostro governo, che la diffusione del coronavirus si deve ad una catena di omissioni, silenzi e ritardi che viene da lontano, da molto lontano». (Federico Punzi,Coronavirus in Europa già da gennaio: altro che scuse, a Xi dovremmo chiedere i danni”, 2.3.2020, L'Atlantico)

Punzi chiama in causa il governo cinese e la stessa Oms. Nell'articolo si fa riferimento ad alcune testimonianze di medici, esperti impegnati nell'indagine epidemiologica come la dottoressa Francesca Russo, o dell'infettivologo Massimo Galli, primario dell’Ospedale Sacco di Milano, che in una intervista, spiega che “tanti quadri clinici gravi e tutti assieme fanno pensare che l’infezione abbia iniziato a diffondersi nella cosiddetta zona rossa da abbastanza tempo”, forse prima che fossero bloccati i voli dalla Cina. “È verosimile che i ricoverati negli ultimi giorni si siano contagiati da due a quattro settimane fa”. Anche perché, a leggere le anamnesi, osserva Galli, “mi sembra che assomigli alla SARS, anche nelle modalità di decorso, con le manifestazioni più impegnative che in molti casi compaiono 7-10 o più giorni dai primi sintomi”.

Anche Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, ha osservato ieri, durante il punto stampa alla Protezione civile, che i primi casi positivi risalgono“all’inizio di febbraio, ma l’infezione già circolava in Italia nella seconda metà di gennaio”.

«Ciò che qui si vuole sottolineare, continua Punzi - però, è che se il virus è presente, almeno in Europa, da così tanto tempo, da metà gennaio e forse anche da prima, i ritardi per negligenza o dolo nel dare l’allarme, i silenzi e le omissioni, sia da parte di Pechino che dell'Oms assumono una gravità ancora maggiore. Risale al 31 dicembre scorso, per esempio, il primo comunicato della Commissione municipale per la salute di Wuhan, nel quale per la prima volta si parla ufficialmente di una nuova letale forma di polmonite, riferendo di 27 casi, di cui 7 critici, ma negando che fosse riscontrata una trasmissione “da uomo a uomo”, come nei giorni successivi la stessa Oms avrebbe ripetuto».

Sempre sullo stesso quotidiano online Enzo Reale scrive, «Dal 27 dicembre all’11 gennaio, sia la popolazione cinese che la comunità internazionale sono state tenute all’oscuro dal governo di Pechino dell’esistenza, delle caratteristiche e del pericolo di diffusione del nuovo coronavirus. Il Partito Comunista ha deliberatamente deciso di occultare gli avvertimenti degli specialisti e i risultati delle prove effettuate. Quindici giorni probabilmente decisivi per il contenimento dell’epidemia, durante i quali un problema locale si è trasformato in fenomeno globale, per la manifesta volontà di insabbiamento e disinformazione delle autorità».

Nel frattempo, scrive Reale: «secondo i dati ufficiali, più di tremila operatori sanitari hanno contratto il virus in Cina e una decina di medici sono morti. Chi ha provato a denunciare l’opera di manipolazione e propaganda del regime (avvocati, professori e attivisti per i diritti umani) è stato arrestato o ridotto al silenzio». (Enzo Reale, Coronavirus, cronaca di un insabbiamento: un manipolo di giornalisti coraggiosi inchioda Pechino. 2.3.2020, L'Atlantico)

Reale nel suo intervento, cita Jian, scrittore dissidente proibito in Cina, ha scritto sul Guardian, «Negli ultimi 70 anni, il Partito Comunista Cinese ha condannato il suo Paese a una serie di catastrofi provocate dall’uomo, dalla Grande Carestia, alla Rivoluzione Culturale, al massacro di Piazza Tiananmen, alla forte repressione dei diritti a Hong Kong e in Tibet, all’internamento massivo di Uiguri nello Xinjiang. L’omertà e la corruzione ufficiali hanno moltiplicato il numero delle vittime di calamità naturali, dal virus Sars al terremoto del Sichuan».

Intanto l’agenzia statale di notizie Xinhua invece celebra la pubblicazione di un libro in cui si sottolineano “la dedizione, la missione, la visione strategica e la leadership” di Xi Jinping nella “battaglia contro i Covid-19, che si dà già per vincente.

Ma anche da noi c’è chi esalta l’esempio cinese come modello di gestione delle crisi e delle emergenze, ignorandone le responsabilità, le omissioni e le reiterate violazioni dei codici di condotta. “Qual è il costo della menzogna?”, si chiedeva l’ex membro dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica Valery Legasov a proposito del disastro di Chernobyl? Aggiungerei altre domande: qual è il costo del relativismo morale, della connivenza ideale con le dittature, del masochismo intellettuale delle democrazie, dell’incultura delle nostre classi dirigenti e delle nostre opinioni pubbliche?».

 

 

La Grecia ha impedito che 4 mila migranti in arrivo dalla Turchia entrassero "illegalmente" nel Paese e dunque in Europa. Lo ha reso noto il premier del governo Ellenico Kyriakos Mitsotakis che ha convocato un gabinetto di emergenza dopo che si sono registrati scontri nella notte, al confine terrestre con la Turchia e anche nelle isole di Lesbo e Chios, tra migranti e polizia. L'allarme è cominciato con il bombardamento nella città siriana di Idlib che ha ucciso 33 soldati turchi, un attacco che ha portato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, a minacciare l'Ue che la Turchia non può più fermare la spinta verso l'Europa degli sfollati e di chi è in fuga dai combattimenti nel Nord-Ovest della Siria.

"La Grecia ha dovuto affrontare questi giorni  tentativi organizzati, di massa e illegali di violare i nostri confini e l'ha sventato", ha spiegato il portavoce del governo, Stelios Petsas. "Abbiamo protetto i nostri confini e quelli dell'Europa. Abbiamo impedito oltre 4.000 tentativi di ingresso illegale nei nostri confini".

Quanto sta accadendo ai confini tra Grecia e Turchia rappresenta una grave minaccia ma anche un'opportunità per l'Europa. Una minaccia perché Recep Tayyp Erdogan torna ad usare (dopo i flussi del 2015 di oltre in milione di immigrati illegali lungo la “rotta balcanica”) l’arma dei migranti per colpire la Ue e punire la Grecia che la scorsa settimana ha posto il veto a un documento della NATO che esprimeva solidarietà e sostegno ad Ankara impegnata nella guerra di aggressione in Siria.

Al di là della storica e sempre più accesa rivalità tra i due Stati membri della NATO, la ragione è evidente: la scorsa settimana solo il veto della Grecia ha impedito che l'Alleanza Atlantica approvasse una risoluzione di solidarietà e pieno sostegno ai turchi per i militari uccisi in Siria.

Le autorità greche hanno sparato gas lacrimogeni e granate stordenti per respingere i tentativi dei migranti di attraversare il confine terrestre dalla Turchia, dopo che la Turchia ha dichiarato che i confini con l'Europa erano aperti a chiunque volesse attraversarli..

Nel frattempo, la Repubblica Ceca, l'Ungheria, la Polonia e la Slovacchia si sono impegnate ad aiutare la Grecia a gestire le pressioni lungo il suo confine.

Parlando con le sue controparti degli altri tre paesi, il primo ministro ceco Andrej Babis ha affermato che la situazione è grave e che l’UE deve proteggere i suoi confini.
“Siamo pronti ad aiutare“, ha detto Babis.

Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha dichiarato che il suo paese è pronto a schierare guardie al confine greco-turco, mentre il suo omologo slovacco Peter Pellegrini ha affermato che il crescente numero di migranti “rappresenta una minaccia alla sicurezza non solo per la Grecia“.

Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha dichiarato che ci sono circa 130.000 migranti in movimento che l’UE deve fermare ai suoi confini e che “l’Ungheria svolgerà un ruolo attivo nel farlo“.

E assurdo voler credere che i siriani siano arrivati a piedi al confine greco da Idlib distante 1.500 chilometri. Meglio invece ricordare che da oltre due anni dopo ogni battaglia vinta dalle truppe di Bashar Assad i ribelli che accettavano di cessare il fuoco venivano condotti con le loro famiglie nella “sacca di Idlib”.

Per questo tra i siriani che fuggono da quella provincia è molto probabile vi siano un gran numero di jihadisti con i loro famigliari: veterani di diversi movimenti islamisti che Erdogan non intende ospitare in Turchia per ovvie ragioni di sicurezza e che sarebbe stoltezza suicida far entrare in Europa

Anche per questo l’impiego di masse umane quelle che Kelly Greenhill chiamò nel suo libro del 2010 “armi di migrazione di massa” da parte della Turchia non rinnova solo il ricatto finanziario nei confronti della Ue che in 5 anni ha già sborsato 6 miliardi di euro in cambio dell’impegno di Erdogan a tenere chiuse le sue frontiere ma rappresenta un vero attacco all’Europa nel momento in cui è più debole, non solo politicamente ma anche sul piano sociale a causa del dilagare del Coronavirus, con l’obiettivo di indurre l’Occidente a intervenire in Siria o quanto meno di pagare ad Ankara i costi di quella guerra.

Una pericolosa follia che incoraggerebbe i flussi illegali e soprattutto mostrerebbe l’irresponsabile stoltezza di un’Unione incapace di individuare e difendere gli interessi dei suoi popoli.

Innanzitutto i “poveri migranti”, con il solito “scudo” di donne e bambini, lanciano pietre e molotov contro i poliziotti greci che difendono il diritto di Atene di impedire l’accesso illegale al suo territorio.

Tra i milioni di migranti che dalla Turchia premono sul confine greco e bulgaro vi sono pachistani, afghani, irakeni e appartenenti a molte altre nazionalità asiatiche che nulla hanno a che fare con la guerra in Siria.

L’attuale scenario costituisce però anche una opportunità, forse l'ultima che ha l’Europa per smentire il vecchio adagio che la vuole “nano politico e verme militare”.

Certo sulla Ue non ci si può fare nessuna illusione e già si moltiplicano le pressioni dell'ampio fronte “immigrazionista” che vorrebbe accogliere i migranti che premono alla frontiera greca sospinti verso ovest dai poliziotti turchi.

Per ora la Commissione sembra tenere duro nel respingere il ricatto turco e nel sostenere la Grecia, anche perché neppure la Germania potrebbe reggere un altro milione o due di clandestini ma Erdogan minaccia di mandarne 4 milioni in arrivo dai Balcani, ma la pressione politica del nutrito fronte immigrazionista non tarderà a farsi sentire se la crisi sul confine terrestre e nelle isole greche si dovesse prolungare.

Se si ripetesse l’esodo del 2015 molte nazioni d'Europa esigerebbero muri ancora più alti lungo i propri confini, annientando definitivamente ogni ipotesi di iniziative comuni: sarebbe il colpo di grazia al progetto europeo e il più grande successo per Erdogan e i movimenti islamisti.

L'unica alternativa ai muri lungo le frontiere interne europee è riposta oggi nell’erigere e difendere tutti insieme, al fianco dei greci, il muro lungo il confine esterno oggi più esposto, quello con la Turchia di Erdogan. Se la parola “Europa” ha ancora un significato occorre dimostrarlo oggi, se ne siamo capaci, sulle rive del fiume Evros.

Intanto la Russia e la Turchia hanno raggiunto un'intesa per lavorare per ridurre le tensioni ad Idlib. E' quanto ha dichiarato oggi il ministero degli Esteri russo a seguito di colloqui tra delegazioni dei ministri degli Esteri e della Difesa dei due Paesi. "Entrambe le parti hanno confermato l'obiettivo di ridurre le tensioni sul terreno continuando la guerra ai terroristi riconosciuti come tali dal Consiglio di Sicurezza" si legge nella dichiarazione del ministero russo. Viene inoltre sottolineata la necessità di "proteggere i civili all'interno ed all'esterno della zona di descalation e portare assistenza umanitaria di emergenza a tutti quelli che ne hanno bisogno".

Ma il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha sospeso l’esame delle richieste di asilo invocando il comma 3 dell’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, il principale trattato dell’Unione. L’articolo prevede che «qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi», l’Unione può adottare speciali «misure temporanee».

L’articolo è assai vago: in passato è stato attivato per giustificare il meccanismo di ricollocamento dei richiedenti asilo da Grecia e Italia, mentre ora la Grecia sembra averlo tirato in ballo per sospendere l’esame delle richieste d’asilo. Ci sono diversi dubbi sul fatto che possa farlo davvero – il diritto d’asilo e di non respingimento è protetto da diverse altre leggi internazionali, come la Convenzione europea per i diritti dell’uomo – ma proprio per l’ambiguità della norma difficilmente la Grecia subirà conseguenze legali, almeno all’interno dell’UE.

«Il messaggio che arriva dalla Grecia e dall’Unione Europea è rivolto ai richiedenti asilo: non avrete protezione, i confini sono chiusi», ha scritto il giornalista del New York Times Patrick Kingsley.

Al momento non c’è alcun piano per ammettere nei confini europei anche solo una parte dei migranti che si trovano sul confine con la Turchia. Nelle dichiarazioni dei leader europei non c’è traccia né di soluzioni di medio-lungo termine – che in passato erano comunque fallite per l’opposizione degli stati nazionali: sia il meccanismo di ricollocamento dei richiedenti asilo sia la riforma del regolamento di Dublino – né delle sofferenze dei migranti. Soltanto il presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto di evitare una nuova crisi «umanitaria e migratoria».

Gli sviluppi dei prossimi giorni dipendono soprattutto dalla Turchia. Se il governo turco continuerà a tenere aperti i propri confini, migliaia di altri migranti potrebbero decidere di raggiungere la zona del fiume Evros, e aumentare ulteriormente la pressione nei confronti della Grecia e degli altri paesi europei. Per non parlare dei profughi che potrebbero scappare da Idlib ed essere incoraggiati dal governo turco a raggiungere i confini europei.

 

 

 

 

 

Basta! Anche dopo le tante segnalazioni ricevute da voi, abbiamo deciso di denunciare il presidente della Toscana (PD)". Scrive così il leader della Lega Matteo Salvini sul tweet in cui attacca il presidente della regione Toscana Enrico Rossi. Ma questo è solo uno dei messaggi apparsi sui social che riaccende la polemica sulla necessità di imporre un periodo di quarantena alle persone che arrivano dalla Cina. Una polemica che era esplosa all'indomani della fine dei festeggiamenti del capodanno cinese, quando diversi esponenti della regione Veneto cercarono di opporsi al rientro a scuola dei bambini tornati dal paese asiatico.

"Non vorrei le polemiche, non penso ai barconi e ai barchini, ma penso ai controlli su chi entra ed esce dall'Italia: evidentemente qualcosa non funziona"..Così Matteo Salvini commenta il primo caso di contagio da coronavirus in Italia, a Codogno (Lodi), in Lombardia.

Il segretario della Lega ha parlato agli organi di stampa a Casaleggio di Reno, in provincia di Bologna, dove si è recato questa mattina in provinciaper sostenere l'amministrazione locale e la polizia nella battaglia per scongiurare la chiusura della caserma della Stradale. A margine della puntata in Emilia-Romagna per esprimere solidarietà alle forze dell'ordine, l’ex titolare del Viminale si è espresso sull’emergenza del virus cinese.

Queste le sue parole in merito: "Non do colpe a tizio e caio, però è fondamentale che, da oggi se non l’hanno già fatto ieri, chiunque entri in Italia, con qualunque mezzo di trasporto, dalla zattera all'aeroplano, venga controllato. E, se viene da alcune zone, venga isolato per quindici giorni. Come fanno altri paesi. Se sono tre casi, sono tre casi, ma noi abbiamo visto che purtroppo questa bestia è virale". Il governo italiano, ricordiamolo, aveva proclamato lo stato di emergenza sanitaria, chiudendo il traffico aereo con la Cina. Ma, a quanto pare, le misure non sono bastate: il coronavirus è arrivato anche in Italia.

Al capannello di giornalisti, il leader leghista ha aggiunto: "Adesso rientro velocemente a Milano per l'emergenza coronavirus, farò un salto in Regione, a ora di pranzo, perché la situazione è preoccupante, perché, non sta a me dirlo, non c'è un contagiato ma più di uno, tutti localizzati nella stessa località e il problema è che erano in giro da giorni, in Lombardia e non solo…".

Dalla Corea del Sud all’Iran, da Israele alla Russia: adesso l’emergenza coronavirus è diventata a tutti gli effetti globale. I focolai del Covid-19 si moltiplicano giorno dopo giorno, superano i confini nazionali ed eludendo misure di controllo più o meno ferree.

I primi Paesi caduti in questo circolo vizioso non potevano che essere gli Stati asiatici, cioè quelli più vicini alla Cina, epicentro del contagio. Il caso che sta facendo più scalpore è quello relativo alla Corea del Sud. Fino a pochi giorni fa sembrava che Seul fosse immune alla psicosi che stava iniziando a prender piede in Estremo Oriente.

Certo, la Casa Blu doveva fare i conti con alcune persone infette ma nelle ultime ore è arrivata la doccia fredda: cento nuovi casi da aggiungere in una volta sola ai precedenti, per un totale di 204 pazienti contagiati. Calcolatrice alla mano, la Corea del Sud è diventata di colpo il secondo Paese per incidenza della malattia dietro la Cina.

Per il momento, nel complesso, la situazione nella nostra penisola appare sotto controllo, i pericoli in previsione futura non sono certamente da considerarsi ridimensionati. Anche perché se nella provincia cinese di Hubei, epicentro dell’epidemia, i contagi sono iniziati a diminuire e l’emergenza forse ha iniziato ad attenuarsi, dalla Corea al Giappone, passando per Singapore ed Hong Kong, adesso è fuori dalla Cina che i numeri potrebbero farsi più preoccupanti.

La vera sorvegliata speciale però è l’Africa. Nei giorni scorsi si è verificato un primo caso nel continente nero, con il virus scoperto in un paziente ricoverato in Egitto. E gran parte degli specialisti sono stati concordi nel ritenere positiva la circostanza che ha visto il primo caso africano di coronavirus palesarsi proprio nel paese delle piramidi. Questo perché il sistema sanitario egiziano è considerato molto affidabile, i suoi standard sono tra i più elevati nel continente ed in tutta la regione mediorientale. Ed infatti le autorità sanitarie de Il Cairo sono riuscitie ad isolare il paziente e ad evitare altri contagi.

Il problema non può dirsi però superato. A spiegare il motivo è stata nelle scorse ore, con un’intervista su La Stampa, la ricercatrice italiana Vittoria Colizza. Assieme ad un team composto in gran parte da italiani ma operante a Parigi, all’interno dell’istituto francese di sanità e ricerca medica, l’esperta specializzata in epidemiologia da settimane sta studiando modelli matematici sulla diffusione del coronavirus.

"Sono sei i casi di positività al coronavirus" in Lombardia: lo ha spiegato l'assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera. "Il paziente ricoverato al Sacco sta bene" e la situazione della moglie del primo ricoverato "è positiva". "Il messaggio che diamo a chi abita in questi paesi è di rimanere a casa - ha spiegato l'assessore Gallera Chiediamo di rimanere al proprio domicilio e a chi è stato in contatto con questi casi di chiamare il 112. La situazione è estremamente nuova, particolare per il nostro paese, invitiamo alla calma".

Ed è risultato negativo al tampone il dipendente della Mae di Fiorenzuola d'Arda (Piacenza), attualmente isolato all'ospedale Sacco di Milano: lo afferma la Regione Emilia-Romagna in una nota. "Nonostante l'esito negativo che attesta l'assenza di infettività secondo il principio della massima precauzione, sono in corso ulteriori ricerche per capire se può essere risultato infetto nei giorni passati". Con il dipendente della ditta piacentina ha cenato il 38enne lodigiano risultato positivo al Covid-19.

È ricoverata in isolamento nel reparto di Malattie Infettive dell'Ospedale di Piacenza una donna, sintomatica, collega del paziente positivo al coronavirus alla Unilever di Lodi, spiega la Regione Emilia-Romagna in una nota. Di questa paziente è atteso l'esito del tampone esaminato presso il laboratorio di riferimento regionale del Sant'Orsola.

"Stiamo indagando, sono 3 persone che si sono presentate con quadro clinico di polmonite all'ospedale di Codogno, stiamo cercando di capire se ci sono stati contatti con i primi 3 casi", ha aggiunto la dottoressa Maria Gramegna, dirigente dell'assessorato al Welfare, che ha parlato di sintomi "importanti di polmonite".

"Ancora non sappiamo da chi si è diffuso il virus, potrebbe non essere da caso zero ma potrebbe anche essere che è guarito. Non abbiamo la certezza di quale sia il caso indice", ha spiegato l'assessore Gallera. "Abbiamo recuperato il caso indice, tornato dalla Cina il 21 gennaio, ora al Sacco. Ha fatto subito i controlli, sta bene e non ha avuto sintomi, salvo una leggera febbre", precisa. Come ha precisato anche Maria Gramegna, della direzione generale Welfare, è risultato negativo al test: "Il problema che possa essere negativo il caso indice è che a un certo punto il virus viene eliminato, quando la persona guarisce. Il test quindi potrebbe non trovarlo più". Per questo motivo i suoi campioni sono stati inviati all'Istituto Superiore di Sanità (Iss) a Roma, "per cercare gli anticorpi al virus". Potrebbe essere, ha aggiunto Gallera, "che non sia lui il caso zero o che sia guarito. Non abbiamo certezza di quale sia il caso zero".

"A oggi abbiamo un numero cospicuo di persone su cui stiamo intervenendo, a oggi circa 250 persone sono in isolamento e a cui faremo il tampone", ha spiegato l'assessore regionale al Welfare Giulio Gallera.

"I casi segnalati in Lombardia sono i primi che si sono verificati sul territorio italiano e ci fanno entrare in una fase nuova": così Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Spallanzani di Roma. "Per la prima volta - precisa - siamo passati da casi di importazione a casi di circolazione locale del virus".
Intanto il ministro della Salute Roberto Speranza è in partenza per la Lombardia. Con lui è anche il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri.

Dopo la notizia del 38enne lombardo positivo al coronavirus il livello di allerta si alza e la paura che il virus si diffonda in Italia aumenta. "Le ultime notizie mi portano a ripetere per l'ennesima volta l'unica cosa importante- scrive Burioni sulla sua pagina Facebook- Chi torna dalla Cina deve stare in quarantena. Senza eccezioni". E aggiunge: "Spero che i politici lo capiscano perchè le conseguenze di un errore sarebbero irreparabili

Secondo il virologo, la quarantena rappresenta "l'unica misura" ad oggi possibile per fermare il diffondersi del nuovo coronavirus. E ricorda ad AdnKronos Salute: "La chiedo dal 25 gennaio". Numerosi, infatti, gli appelli di Burioni, per inserire la quarantena tra le misure necessarie contro il Covid-19. Pochi giorni fa si era rivolto alla Regione Toscana, che inteva accogliere migliaia di persone di ritorno dalla Cina, senza sottoporle all'isolamento, dato che non presentavano i sintomi tipici della malattia: il rischio sarebbe stata "una pericolosissima catena di contagi". Burioni specifica: "La quarantena non è discriminazione o razzismo, ma l'unica difesa contro questo virus".

Sul virus, spiega il virologo, "sappiamo due cose: gli asintomatici possono contagiare, e la quarantena è l'unica difesa". Proprio ieri, infatti, Burioni ha confermato la possibilità di contagio senza sintomi, citando due casi, studiati dai ricercatori. Nel primo caso era stata presa in considerazione una famiglia di Shangai, in cui la prima persona a manifestare in sintomi era stato il membro più anziano, che non si era mai mosso da casa: "I due che erano stati a Wuhan non manifestavano sintomi chiari, ma, ciononostante, avevano trasmesso l'infezione in forma grave al più debole della propria famiglia". Il secondo caso, invece, riguardava due persone rimpatriate dalla Cina in Germania, che avevano superato tutti controlli: "Il virus che si trovava nella gola di questi due soggetti, completamente sani, era in grado di infettarne altri. Anche qui il cerchio si chiude: niente sintomi, ma infezione e trasmissione possibili. La cosa ancora più preoccupante, ovviamente non per i due soggetti interessati, è che nessuno dei due ha poi sviluppato sintomi chiari".

 

 

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