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Chiedo di andare domani in Parlamento per ascoltare, modificare, suggerire, emendare, collaborare. La storia insegna: in Gran Bretagna, durante la Seconda Guerra Mondiale, visto che c'era un nemico, il virus di allora si chiamava nazismo, si istituì un gabinetto di guerra dove tutti furono coinvolti e tutti fecero la loro parte, tutti furono ascoltati, finita la guerra ci si dimise, si andò a votare e il popolo scelse". Così Matteo Salvini a Rtl 102.5.

"Oggi conto di avere, a nome di tutto il centrodestra, una risposta per un incontro positivo e costruttivo. La nostra voglia è quella di collaborare, di metterci a disposizione, di andare in Parlamento che è il nostro luogo di lavoro, come il supermercato per le cassiere. Di ascoltare in Parlamento i ministri, il Presidente del Consiglio, di poter fare suggerimenti, proposte migliorative".  

In queste ore si sente molto parlare di Mes e di Eurobond, o meglio Covidbond. Oltre alle misure già messe in campo dall'Unione, il Movimento 5 Stelle concorda rispetto all'eventuale emissione di bond europei che consentano la suddivisione del rischio e la distribuzione solidale del debito, appoggiandosi al bilancio europeo. Ma non accetteremo mai che quei bond si trasformino in una forma di condizionamento, anche indiretta, sulle scelte di politica economica del nostro Paese, o penalizzanti per i nostri titoli».

«Non siamo disposti ad accettare l'idea di emissione di titoli 'senior', cioè di titoli che prevedono priorità assoluta nel rimborso, perché metterebbero sotto forte pressione i nostri Btp, sollecitando lo spread e condizionando profondamente il nostro Paese. Se dietro le varie proposte di utilizzo del Mes si dovesse annidare questa strategia, noi ci opporremo sia all'emissione di titoli 'senior' sia a qualunque forma di condizionalità».

«Questa emergenza non riguarda solo l'Italia, ma è comune a tanti Paesi europei e del mondo. Un'emergenza che ha drammaticamente svelato tutta la fragilità di quegli strumenti che erano stati pensati dalle economie forti per controllare le politiche economiche dell'Unione. Stiamo affrontando una crisi globale: o ci salviamo tutti insieme, o affonderemo tutti insieme. Mi auguro che questo sia chiaro a tutti. E se qualcuno pensa di riuscire a salvarsi da solo, non andrà lontano. Mi fa sinceramente piacere, infine, che anche il presidente dell'Europarlamento David Sassoli abbia riconosciuto quanto le condizionalità del Mes siano state spesso odiose. Occorre trovare nuovi strumenti, più efficaci e condivisi. Solo così riusciremo a costruire insieme la migliore comunità europea possibile, che metta finalmente al centro i diritti e le esigenze dei cittadini». Lo scrive su Facebook il capo politico del Movimento 5 Stelle Vito Crimi, facendo riferimento a un appello pubblicato sulla rivista Micromega e rivolto ai vertici della UE e alla BCE.  
 
"Tutti litigano sulla chiusura delle fabbriche: sindacati contro industriali, governo contro regioni. Ma la vera sfida dell'Italia è chiarirsi bene su come e quando RIAPRIRE. Nulla sarà più come prima: ci giochiamo tutto. Spero che il Parlamento possa almeno discuterne COVID19". Così su Fb il leader di Iv Matteo Renzi.

"Le misure restrittive introdotte ci costringono a modificare le nostre più consolidate abitudini di vita. Incidono sulle nostre libertà più amate. Stiamo vivendo un esperimento del tutto inedito nelle democrazie occidentali. Stiamo seguendo un percorso graduale e condiviso per resistere a questa emergenza, senza stravolgere i nostri valori, rispettando i nostri presidi democratici. Teniamo costantemente informate le forze di opposizione e in questi giorni sarò in Parlamento per riferire in dettaglio". Lo dice in un'intervista a La Stampa il presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Quando finirà questa crisi? "È presto per dirlo. Questi saranno i giorni più difficili perché non abbiamo raggiunto la fase più acuta del contagio e i numeri cresceranno ancora. Siamo in attesa, nei prossimi giorni, degli effetti delle misure adottate", aggiunge il premier. "Lo avevo detto da subito che non si sarebbero visti nell'immediato". "Molto dipende dal comportamento responsabile di ciascuno di noi: se tutti, e ribadisco tutti, rispettiamo i divieti, se ognuno fa la propria parte, usciremo prima da questa prova difficilissima".

La notizia è che da martedì Camera e Senato saranno riuniti. Comicia l'iter del decreto Cura Italia in commissione Bilancio a Palazzo Madama, Salvini e Meloni dedichino il loro tempo a migliorare i provvedimenti per gli italiani, invece che a raccontare fake news. Il Parlamento fa il suo lavoro".Lo afferma il capogruppo dei senatori Pd Andrea Marcucci

Intanto come sottolinea il Giornale, il Nyt inchioda il sedicente avvocato del popolo: "Venerdì, gli stretti collaboratori di Conte hanno concesso un’intervista al premier a condizione che potesse rispondere alle domande per iscritto. Una volta inviate le domande, tra cui ve ne erano alcune in merito alle prime dichiarazioni del Primo Ministro, si sono rifiutati di rispondere". Ecco, non proprio una bella figura. Anzi.

Nell’articolo, dunque, si legge: "La tragedia che l’Italia sta vivendo rappresenta un monito per gli altri Paesi europei e per gli Stati Uniti, dove il virus sta arrivando con la stessa velocità. Se l’esperienza italiana ha qualcosa da insegnare è che le misure per isolare le aree colpite e per limitare gli spostamenti della popolazione devono essere adottate immediatamente, messe in atto con assoluta chiarezza e fatte rispettare rigorosamente".

Cosa che nel Belpaese non è avvenuta: è passato sostanzialmente più di un mese dalla nascita del focolaio di Codogno alla serrata del Paese, scrive il giornale, che comunque continua a rimanere parziale, visto che sono ancora decine le categorie di attività "essenzial" che hanno il diritto di rimanere aperte. "Nei primi fondamentali giorni dell’epidemia, Conte e altri alti funzionari hanno cercato di minimizzare la minaccia, creando confusione e un falso senso di sicurezza che ha permesso al virus di diffondersi", scrive il New York Times, e nel pezzo si legge anche: "Nonostante siano state attuate alcune delle misure più restrittive al mondo, all’inizio del contagio, il momento chiave, le autorità italiane annaspavano tra queste stesse misure, cercando di salvaguardare le libertà civili fondamentali e l’economia del Paese".

Quindi, il Nyt parla di opportunità mancate e passi falsi, che l'Italia sta pagando in toto: "Nei suoi tentativi di interrompere il contagio, adottati uno per volta, (isolando prima le città, poi le regioni, quindi chiudendo il Paese in un blocco intenzionalmente permeabile) l’Italia si è sempre trovata un passo indietro rispetto alla traiettoria letale del coronavirus". E ancora: "Anche dopo aver deciso di ricorrere a un blocco generale per sconfiggere il virus, il governo italiano non è riuscito a comunicare l’entità della minaccia con una forza sufficiente a convincere gli italiani a rispettare le norme, formulate in modo da lasciare grande spazio ai fraintendimenti nella popolazione". Fraintendimenti che continuano, alla pari dei passi falsi (mediatici e non) del premier, a farla da padrone.

Intanto in una nota congiunta i parlamentari del Movimento 5 Stelle delle commissioni Affari Esteri di Camera e Senato dichiarano :    Rivolgiamo un accorato appello alla comunità internazionale, Stati Uniti in testa, per l'adozione di una moratoria umanitaria delle sanzioni economiche che impediscono ai governi di diverse nazioni di fronteggiare adeguatamente l'emergenza Coronavirus, provocando morte e sofferenza evitabili e creando focolai pericolosi per tutto il mondo. Vanno immediatamente sospese le sanzioni nei confronti dell'Iran, in piena crisi pandemica, della vicina Siria, già in ginocchio per la guerra e a rischio ecatombe in caso di contagio, del Venezuela, dove i casi sono in rapido aumento, di Cuba, che nonostante l'embargo si prodiga per aiutare altri Paesi come l'Italia, e anche della Corea del Nord, dove il regime nega un contagio che non sarebbe in grado di fronteggiare».

 
 
 

Oxford Economics, che nel suo ultimo report sullo stato dell’economia globale ha lanciato l’allarme per la possibilità che per Paesi come Grecia e Italia il proseguimento della crisi possa trasformarsi in un dissesto economico di ampia portata.  

Il grave problema politico-economico causato dal coronavirus rischia di colpire, una volta di più, con viva forza i Paesi dell’Europa mediterranea, già duramente messi in ginocchio dalla Grande Recessione e dalla crisi dei debiti sovrani del 2010-2012.

il nostro Paese, che fino ad ora sta subendo le conseguenze peggiori dall’epidemia in termini sanitari, rischia un duro contraccolpo. Per Roma la caduta del Pil nell’anno in corso potrebbe toccare i 2-3 punti percentuali. Il governo di Giuseppe Conte ha messo sino ad ora sul campo 25 miliardi di euro per tamponare gli effetti della crisi in termini di sostegno al reddito, congedi, misure fiscali. Tuttavia, vi sono ancora numerosi scenari aperti. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri non ha spiegato come si movimenterà la massa di risorse fino a 350 miliardi da raggiungere con l’effetto leva senza investimenti di ampio respiro e non sono state date risposte a figure come i lavoratori autonomi e gli imprenditori individuali, potenziali vittime del tributo più salato della crisi  

Il Consiglio Fiscale di Atene ha recentemente stimato che la crescita, nel 2020, è destinata a essere sforbiciata al 2,54 per centro contro il 2,8 per cento presentato come obiettivo dal governo di Kyriakos Mitsotakis. Scenari più foschi prevedono una sforbiciata al +2,1% o addirittura al +1,8%, che se si considerano le ampie problematiche accumulate da Atene negli anni passati può rappresentare una differenza tale da decidere le prospettive reali di ripresa del Paese.

Il tempo stringe e Grecia e Italia devono mettere in campo adeguate misure connesse a investimenti produttivi, stimoli economici e reti di protezione sociale per evitare che il riflusso economico in corso si trasformi in una vera e propria rotta. Le criticità sistemiche dei due Paesi, a cui si aggiunge l’aumento della volatilità degli spread che rende più costosi gli interessi sul debito pubblico in questa fase, possono esplodere o, al tempo stesso, essere sanate con un’efficace politica economica. Capace di anticipare, piuttosto che rimediare, le conseguenze della crisi su produzione, lavoro, servizi essenziali. A patto di agire strategicamente.  

Giuseppe Conte ha chiesto all'Ue di usare "tutta la potenza di fuoco" del fondo di salvataggio da 500 miliardi di euro per affrontare la crisi economica del continente. Non solo per l'Italia, ma per tutti i Paesi colpiti dal coronavirus. "La politica monetaria da sola - spiega in un colloquio con il Financial Times - non può risolvere tutti i problemi. Dobbiamo fare lo stesso sul fronte di bilancio e, come do detto, il tempismo è essenziale.

La strada da seguire è aprire le linee di credito del Mes a tutti gli stati membri per aiutarli a combattere le conseguenze dell'epidemia Covid-19". Il passo fatto dall'Italia arriva il giorno dopo la mossa a sorpresa della Bce, con l'Europa che guarda sollevata alla reazione dei mercati che provano il rimbalzo dopo il profondo rosso dei giorni scorsi. Ma è un sollievo più che temporaneo: tutti, dai Governi alle istituzioni comunitarie, sono consapevoli che Christine Lagarde ha soltanto comprato loro un po' più tempo per decidere i prossimi passi e mettere a punto una strategia credibile ed efficace che non si aspettano solo le Borse.  

L'intervento di Francoforte, che ha annunciato 750 miliardi di nuovi acquisti per tamponare gli effetti negativi a livello economico e monetario del coronavirus sui mercati continentali, ha dato un bello scossone alle Borse del Vecchio Continente, che – non a caso – nella giornata di ieri e in quella di oggi hanno aperto – e proseguito – nel segno della positività.  

Però, secondo l'ex ministro dell'Economia e delle Finanze nel secondo, terzo e quarto governo Berlusconi, intervistato da Il Sole 24 Ore, si è trattata solamente di una mossa per guadagnare tempo nell'immediato, a corta gittata: "Quella della Bce stata un'azione en subite. Più che di un ritrovato slancio europeo, si è trattato di paura per un rischio bancario parigino. Insomma, di positivo, ma non so quanto, si sta solo comprando tempo. La promessa d'acquisto di 750 miliardi significa per l'Italia qualcosa più di 100 miliardi. Ecco, peccato però che noi dobbiamo emettere quest' anno oltre 400 miliardi di titoli…".  

Nel prosieguo della chiacchierata con il quotidiano economico, il tre volte ex titolare del Mef punta il dito contro la finanza in senso stretto invocando la necessità della politica di recuperare il suo primato, affrancandosi – appunto – dallo strapotere dei mercati. E a tal proposito, il giudizio di Tremonti è assai caustico, visto che parla del "decennio perduto, dal 2009 a oggi, in mano alla finanza". Dieci anni persi, dice, "non per colpa dei governi. Perchè il Quantitative easing ha oppiato la politica, ma la colpa è di chi fuma l'oppio o di chi lo spaccia? Come minimo, di entrambi…".

Ed è qui che l'accademico scrive il Giornale torna a battere con forza su una questione a lui molto cara e che potrebbe aiutare la politica (economica) a tornare alla realtà: "Una via potrebbe essere quella degli Eurobond. Che ora sembrano avere molti tifosi ma non sono un'invenzione di oggi. L' idea era nel piano Delors del 1994, poi nel programma della presidenza italiana dell'Unione nel 2003, respinto dalla commissione Prodi, e rientrano nel dibattito con l' articolo che ho firmato nel 2009 sul Financial Times insieme all' allora presidente dell' Eurogruppo Jean-Claude Juncker. Un articolo che non era una presa di posizione estemporanea, ma rifletteva le discussioni che allora si svolgevano nelle lunghe e gotiche notti dell'Eurogruppo".

Poi però cosa è successo? E qui Tremonti chiosa con un attacco agli alti papaveri dell'Ue: "Poi tutto è crollato con la Grecia, e al posto degli Eurobond arriva la Trojka con Christine Lagarde e soci. Ma gli Eurobond non sono decollati perché il muro del Nord Europa si è rivelato insuperabile. Pensate forse che Jean-Claude Juncker rappresentasse il Sud Europa?".

REF Ricerche rivede nettamente al ribasso la stima sulla contrazione del Pil italiano nel primo semestre -8% dal -1/-3% indicato in precedenza. La caduta -si legge nella nota del centro di ricerche - riguarda con questa intensità solamente l'ultima parte del primo trimestre, che potrebbe chiudere con un possibile decremeto del 3 per cento sul quarto 2019, e manifestarsi pienamente nel secondo, quando la caduta sarebbe di un altro 5 per cento sul primo trimestre".  Un rimbalzo è possibile, secondo il Ref, a partire dal terzo trimestre.  

Il ministro dell'Economia francese, Bruno Le Maire, ha avvertito che se l'Unione europea abbandona l'Italia, l'Ue "non si riprenderà più". Intervistato dalla tv Lci, Le Maire ha lanciato un appello ai Paesi Ue a "essere uniti" per far fronte al Coronavirus. "Se sarà ognun per sé" - ha ammonito - se si abbandonano alcuni Stati, se ad esempio si dice all'Italia 'cavatevela da soli', l'Europa non si riprenderà".

Le modalità con cui si può fare un'operazione di questo genere sono legate alla discussione su questi eurobond, cioè su strumenti che si costruiscono sul mercato e sono a disposizione per tutti i Paesi": lo ha detto il commissario agli affari economici Paolo Gentiloni a Radio Anch'io. Gentiloni ha sottolineato che la crisi "riguarda tutti", e che visto che abbiamo strumenti coordinati dobbiamo provare ad usarli".

Poi da non sottovalutare, in entrambi i casi, la possibilità che l’epidemia possa portare a un dissesto del sistema di welfare a causa dello sbilanciamento tra nuove spese e minori entrate: proprio per questo motivo per i due Paesi, e soprattutto per l’Italia, è vitale ritrovare in tempi rapidi il sentiero della crescita con opportune manovre anticicliche.

Anche la tutela delle fasce più deboli della popolazione, soprattutto gli anziani, potrebbe essere una priorità capace di richiedere ampie, per quanto assolutamente doverose, risorse di bilancio in maniera tale da anestetizzare gli effetti dell’isolamento sociale e dell’impoverimento che le misure di quarantena e contenimento del Covid-19 inevitabilmente provocheranno. La Grecia ha circa il 21,5% della popolazione oltre i 65 anni, in Italia questa percentuale sale al 22,8%. In terra ellenica, anziani e pensionati sono stati tra le prime vittime delle durissime misure di austerità imposte dalla Troika, che hanno condotto allo smantellamento del sistema sociale e delle misure pensionistiche di sussistenza; in Italia rappresentano la fascia più colpita dalla pandemia del Covid-19, e dunque quella nei cui confronti servirà una più attenta riprogrammazione del sistema sanitario nazionale capace di rafforzarlo adeguatamente.

"Gli strumenti ci sono e li useremo tutti", dice il responsabile dell'euro Valdis Dombrovskis, rassicurando chi teme che l'Ue brancoli nel buio. Ma il presidente dell'Eurogruppo Mario Centeno ammette che si stanno esplorando anche altre strade oltre a quelle esistenti, "per rafforzare la risposta", perché non tutti sono d'accordo che quello che c'è a disposizione sia sufficiente: una frase che letta alla luce della richiesta del premier italiano sembra prefigurare l'ipotesi di un utilizzo del Mes. Intanto la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ribadisce che all'Italia sarà concessa "massima flessibilità" sulla spesa e sugli aiuti di Stato. E che le saranno lasciati 11 miliardi di euro di fondi strutturali che avrebbe dovuto restituire a Bruxelles, perché inutilizzati.

La situazione in questi giorni cambia così rapidamente che la Ue non riesce nemmeno a fissare i propri appuntamenti. Già un Ecofin, previsto per domani, è saltato. Grazie alla mossa di Francoforte i ministri non avevano più urgenza di lanciare un nuovo segnale per rassicurare i mercati, e hanno deciso di prendersi più tempo per disegnare la strategia che porterà al riparo l'economia europea. Probabilmente si vedranno - sempre in teleconferenza - in formato Eurogruppo esteso lunedì. Ovvero sempre a 27, ma con Centeno che guida la riunione e decide l'agenda.

Questo anche perché sul tavolo è ora un tema del Fondo Salva-Stati, il Mes, che all'Eurogruppo è nato, e solo in quel contesto può svilupparsi. Centeno ricorda che proprio il Consiglio ha dato mandato ai ministri di esplorare tutte le strade per salvare l'economia europea, incluso il Mes. Al momento, sarebbe lo strumento più semplice da utilizzare: è già pronto ad intervenire ed ha una capacità residua di 410 miliardi di euro. Mettere a punto qualcosa di simile, come alcuni Governi lasciano intendere, sarebbe troppo laborioso. L'impiego del Mes ha però un limite 'politico': se uno Stato chiedesse il suo aiuto, arriverebbe vincolato a condizioni stringenti.

Finora si è trattato di riforme strutturali e risanamento forzato dei conti, come per la Grecia. Si potrebbe però lavorare per rendere più accettabile il suo impiego. Ad esempio, la condizionalità potrebbe essere legata ad interventi per il sistema sanitario oppure per le emergenze legate alla crisi epidemica. E il 'paracadute' potrebbe aprirsi per più Stati o addirittura per tutti, così da evitare stigmatizzazioni di chi lo utilizza. Il dibattito sul Mes però, per ora non è nemmeno iniziato ufficialmente. I dubbi sono molti, e altrettanti sono quelli sull'idea lanciata da Francia, Italia e Portogallo di creare i 'corona bond', che farebbero nascere gli eurobond a cui finora la Germania si è sempre opposta.

La Merkel è infatti la più fredda sull'idea, consapevole che mettere in comune i debiti non avrebbe l'ok del Bundestag. La riflessione dell'Ue prosegue nei prossimi giorni, in vista dell'Eurogruppo e di un nuovo vertice Ue la prossima settimana. In quell'occasione la Commissione dovrebbe proporre di attivare la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità, che sospenderà gli aggiustamenti di bilancio. Ma anche su questo punto le posizioni non sono unitarie, perché c'è chi vorrebbe attivarla subito e chi fare un'altra discussione in sede di Ecofin prima del via libera.

L'Unione europea ha chiuso i suoi confini e sospeso Schengen per 30 giorni

Il trattato è una delle conquiste più importanti dell’Unione europea da quando è entrato in vigore, nel 1985. Vi aderiscono 26 stati (22 membri altri 4 non membri) e crea una zona di libera circolazione dove i controlli alle frontiere sono aboliti. Concretamente, quindi, all’interno di questa zona nel perimetro degli stati membri i cittadini e le merci possono muoversi in piena autonomia. In circostanze eccezionali, il trattato può prevedere delle deroghe o può essere sospeso per un massimo di due mesi. Le prime sono state ampiamente impiegate per contrastare la minaccia terrorismo, aumentando i controlli delle persone in transito nell’area. Per la prima volta si è presentata la seconda opzione, riportando il continente indietro di 35 anni  

La Commissione europea pare irremovibile sul punto, e preme affinché le restrizioni temporanee all’ingresso dell’Unione Europea a causa del Coronavirus “non si applichino alle persone che hanno bisogno di protezione internazionale”. Adalbert Jahnz, polacco, portavoce della Commissione Europea sui temi dell’immigrazione, risponde alle domande dei giornalisti che si interrogavano sul punto, ovvero se il divieto di ingresso nell’Ue si applicasse anche ai richiedenti asilo: “Ogni restrizione deve essere bilanciata con il principio di non respingimento e gli obblighi del diritto internazionale”, ha risposto Jahnz.

E’ appena di ieri la notizia del primo immigrato positivo al coronavirus in Italia, uno dei  Paesi (insieme alla Grecia) che subiscono di più l'”assalto” dei richiedenti asilo, nonché la Nazione con il maggior numero di infettati e di morti per coronavirus. Il primo positivo al coronavirus è stato confermato in un centro di accoglienza per immigrati di Milano. Il contagiato è ospite della struttura di via Fantoli, in zona Mecenate. Si tratterebbe di un giovane, che non presenta sintomi gravi, ed è ora in isolamento. Stessa sorte è toccata ai compagni di stanza dell’infetto. Immediata l’attivazione dei protocolli del caso e delle procedure di emergenza, che prevedono, come detto, l’isolamento, la sanificazione dei locali e il trasferimento di parte dei 160 residenti in una palazzina poco distante dalla struttura originaria

L’emergenza sanitaria per la diffusione del virus Sars-Cov-2 è arrivata in Europa al suo punto di svolta, forse quello più critico. Il presidente francese Emmanuel Macron, durante un discorso ai cittadini francesi sui nuovi provvedimenti anti contagio, ha annunciato la decisione dell’Unione europea di chiudere le frontiere dell’area Schengen. A partire dalle 12 di oggi, martedì 17 marzo, per i seguenti 30 giorni “tutti i viaggi tra i paesi non europei ed europei saranno sospesi”. Fanno eccezione – come ha aggiunto, in seguito, la presidentessa della commissione europea Ursula von der Leyen – i cittadini europei che si mettono in moto per tornare a casa, il personale sanitario e  i ricercatori, così da “non appesantire ulteriormente i sistemi sanitari”.

In questo complicato quadro politico ci sono in gioco gli interessi di tre paesi: Siria, Russia e Turchia. La Turchia chiede l’appoggio dell’Unione Europea e per farlo, come detto, utilizza i migranti. Il messaggio è chiaro: se l’Europa continua a rimanere fuori dalle azioni militari in Siria, la Turchia non rispetterà più gli accordi sul blocco dei flussi migratori. La prima a rispondere è stata la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen: “La Commissione” – ha twittato sul suo profilo ufficiale – “sta seguendo con grande preoccupazione e da vicino la situazione. La nostra priorità di assicurare che Grecia e Bulgaria abbiano il nostro pieno supporto in questo momento”.

il motivo dell’apertura della frontiera è tutto politico: Erdogan, in cerca di fondi e alleati per continuare la sua campagna in Siria, cerca di fare la voce grossa minacciando di riversare milioni di persone alla frontiera con l’Europa (che nel 2016 ha siglato un accordo bilaterale con la Turchia per l’esternalizzazione del controllo dei suoi confini: in sostanza, dei migranti della rotta si sarebbe dovuta occupare Ankara, e ora Erdogan lamenta che la Ue non avrebbe mantenuto le sue promesse in cambio di questo ruolo). L’equilibrio di questa zona appare, ora più che mai, precario e sta esplodendo in quella che potrebbe diventare la più grave crisi umanitaria degli ultimi anni.

Il confine tra Turchia e Grecia è stato chiuso da recinzioni di filo spinato e controllato costantemente dai militari ellenici per impedire che altri rifugiati raggiungano l’Europa. Le autorità greche hanno già respinto 10mila migranti, e il premier ellenico Kyriakos Mītsotakīs ha annunciato che non verranno accettate nuove domande di asilo per il prossimo mese. I profughi sono stati invitati  a “non tentare di entrare illegalmente in Grecia perché saranno respinti”, e ai cellulari che si agganciano alle celle intorno al confine vengono inviati sms che invitano a tornare indietro.

il “sultano”, come ripicca per il mancato appoggio dell’Ue nei confronti di Ankara nell’ambito della battaglia di Idlib, ha annunciato di non voler più fermare i migranti che vogliono raggiungere il confine greco per raggiungere il territorio comunitario. Da allora, migliaia di persone hanno iniziato ad affollare i punti di frontiera e le coste dirimpettaie alle isole elleniche dell’Egeo.

La tensione lungo il fiume Evros in queste ore è dunque molto alta: adesso da entrambi i lati dei confini sono presenti le rispettive forze dell’esercito e di sicurezza, schierate le une di fronte alle altre con l’obiettivo di respingere o far passare con la forza i migranti. Questi ultimi dunque, molti dei quali, a differenza di quanto affermato da Erdogan, non coinvolti dalla battaglia di Idlib ed illusi dal governo turco di trovare le frontiere aperte con l’Europa, si ritrovano adesso in mezzo allo scontro politico aperto tra Atene ed Ankara.

Un massiccio schieramento di forze di sicurezza lungo i due fronti del confine tra Grecia e Turchia non lo si vedeva da tempo: anche questo è un segno di come la tensione, ora dopo ora, potrebbe essere destinata ad aumentare inesorabilmente.

“abbiamo inviato lungo il fiume Meric mille membri delle forze speciali di polizia – ha dichiarato il ministro degli interni turco Suleyman Soylu – completamente equipaggiati, per impedire loro di respingere i migranti”. Il fiume a cui fa riferimento il ministro è quello che in greco è conosciuto come Evros, il quale funge da confine naturale tra Grecia e Turchia.  

Le parole del rappresentante del governo di Ankara, suonano come un nuovo pericoloso guanto di sfida lanciato sia ad Atene che a Bruxelles: le autorità turche infatti, potrebbero a questo punto dispiegare le forze speciali per impedire fisicamente che dall’altra parte della frontiera si continui a respingere.

“Il confine è stato controllato con gli elicotteri – ha aggiunto il ministro Soylu – e non abbiamo intenzione di lasciare più ostacoli al passaggio di migranti”. Quest’ultima frase conferma quindi quelle che appaiono come le vere intenzioni di Ankara: far di tutto pur di vedere approdare migliaia di migranti in Grecia e poter quindi tornare a ricattare l’Europa.

Un vero e proprio esodo, a cui però Atene ha risposto con una certa risolutezza: blindati i confini, il governo greco guidato da Kyriakos Mitsotakis ha inviato mezzi e uomini per fronteggiare la situazione e respingere tutti coloro che hanno iniziato, dopo gli annunci di Erdogan, a premere per oltrepassare le barriere.

La stessa Ue ha parlato di Grecia come “scudo” dell’Europa: per adesso gli interventi voluti dall’esecutivo ellenico hanno impedito un nuovo massiccio afflusso di migranti verso la rotta balcanica, la stessa da cui tra il 2015 ed il 2016 più di un milione di persone sono arrivate nel nord del vecchio continente.

In poche parole, le misure prese da Atene hanno impedito al ricatto turco di attuarsi. Ma adesso da Ankara potrebbero tornare a rilanciare: in particolare, dalla capitale turca hanno fatto sapere che si è pronti a spedire le forze speciali verso il confine greco per impedire i respingimenti.

Il governo greco però, ha un altro motivo per provare a bloccare il flusso di profughi diretto verso le proprie frontiere. L’imperativo al momento è quello di non dare modo ad Erdogan di vincere e di ridimensionare le portate delle sue minacce. Grecia e Turchia non hanno mai goduto di ottimi rapporti e questo sia a livello storico che politico. Oggi Atene ed Ankara sono rivali in tanti dossier non indifferenti, a partire da quello energetico: Erdogan rivendica il diritto di trivellare nelle acque attorno a Cipro, la Grecia al contrario sostiene ovviamente le ragioni dei “cugini” di Nicosia in quella che ha tutto l’aspetto di essere la più importante partita del Mediterraneo orientale.

Un contrasto, quello tra greci e turchi, che ha sullo sfondo l’intera politica energetica da attuare in questa parte del Mediterraneo. E che adesso potrebbe vedere nella crisi migratoria innescata dalle frasi di Erdogan un nuovo importante round, che Atene non può permettersi di perdere. Costi quel che costi, anche se il rischio è quello di farsi carico in solitaria del problema migratorio.

La vera battaglia Ankara la sta combattendo a suon di trivellazioni. Nelle acque antistanti l’isola di Cipro infatti, vengono scoperti dei giacimenti di idrocarburi tra i più grandi e potenzialmente importanti dell’intero Mediterraneo. Un’occasione troppo ghiotta per Erdogan per implementare la sua politica in questo versante: poter avere anche una minima parte di quei giacimenti, darebbe alla Turchia una forte influenza in questa zona strategica del Mediterraneo. Per farlo, Ankara tira fuori la questione cipriota: sull’isola, come si sa, dal 1974 vi è la presenza militare turca che favorisce pochi anni dopo la creazione di uno Stato turcofono riconosciuto però solo dal paese anatolico. La comunità internazionale invece, ha rapporti con il governo grecofono che in realtà ufficialmente rappresenta l’intero territorio cipriota ed è un membro dell’Ue. La presenza però dello "Stato" turcofono, pone Erdogan nelle condizioni di rivendicare, tramite il governo di Cipro del Nord, una parte dei giacimenti che diventano subito oggetto di contrasti con l’Europa.

Secondo la Turchia, anche i turco ciprioti devono partecipare allo sfruttamento delle risorse attorno all’isola e dunque Ankara da alcuni mesi invia navi per trivellare ed esplorare i vari giacimenti. Dal canto suo, né il legittimo governo cipriota e né l’Ue sono ovviamente d’accordo con la visione di Erdogan. L’invio di navi turche nell’area è considerato illegale, Nicosia ed Atene sollecitano Bruxelles ad intervenire. Anche perché altri paesi, quali Italia e Francia, vedono compromessi in questo momento propri interessi: l’Eni, che con il governo cipriota stringe accordi per l’esplorazione di alcuni lotti dei giacimenti, si vede respingere nel 2018 la nave Saipem 1200 da parte della marina turca, anche la Francia con la Total ha analoghi problemi.

La risposta europea è però piuttosto blanda: vengono introdotte in estate alcune sanzioni, che da Ankara sono considerate però poco importanti e giudicate come non meritevoli nemmeno di considerazione..

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