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In guerra contro il passato

La più stupida guerra è quella contro il passato, lo scrive Paolo Mieli nel suo “In guerra con il passato”. Sottotitolo: “Le falsificazioni della storia”. A che cosa porta questa guerra contro il passato? A confondere le idee sul presente.

“Se vogliamo essere in pace con il passato dobbiamo essere disposti a rivedere qualcosa di importante, anche pezzi della memoria collettiva a cui siamo legati”. Ma non basta dobbiamo anche“essere disponibili a una rivisitazione – in positivo o in negativo – dei grandi del passato. Personaggi che possono – anzi, devono – essere oggetto di un continuo riesame”.

La pacificazione con il passato ci impone di riconoscere gli errori di qualunque parte e soprattutto di non andare a cercare nella storia antefatti alle prospettive politiche del tempo presente.

Nel libro Paolo Mieli ricorda la beatificazione prima da San Giovanni Paolo II e la canonizzazione dopo ad opera di Papa Francesco del gesuita Junipero Serra, nato nel 1713 a Maiorca e trasferitosi nel continente americano, nel settecento aveva evangelizzato la California. Contro questa canonizzazione si è elevato il presidente della tribù Amah Matsun, Valentin Lopez:“Canonizzando Junipero Serra, il papa avvalla e, addirittura, celebra l'uso dell'incarcerazione e della tortura per convertire al cristianesimo gli indiani della California”. Inoltre secondo Ron Andrade, dell'American Indian Commission di Los Angeles, Serra trasformò le missioni in campi di concentramento; in conseguenza del suo operato i nativi furono decimati passando da trecentomila, quanti erano nella seconda metà del Settecento, a centomila, quanti se ne contavano nel 1850. Pertanto, “la sua canonizzazione equivarrebbe alla 'celebrazione del genocidio'”. Papa Francesco, intanto nega e sostiene che fu soltanto un grande evangelizzatore. Peraltro la figura del gesuita è clamorosamente balzato alla cronaca di questi giorni, in merito alla guerra delle statue negli Usa. I militanti indianisti hanno imbrattato la statua del santo.

Un altro tema da rivisitare che Mieli affronta nel libro, è la questione dell'arretratezza del Sud italiano. Alla fine del Medioevo la Sicilia fu motore economico dell'Italia, produttrice di grano e materie prime indispensabili alla sopravvivenza del Nord.

Lo sostiene David Abulafia, nel testo, “Regni del Mediterraneo occidentale dal 1200 al 1500”. In questo studio Abulafia capovolge i termini della questione meridionale. L'autore, docente di storia del Mediterraneo, all'università di Cambridge, è considerato uno dei massimi studiosi dell'Italia medievale.“ Retrodatare”, la divisione tra Nord e Sud ai secoli XIII e XIV è un grave errore per Abulafia, una prova che i pregiudizi culturali contemporanei possono offuscare anche la visione di esperti in buona fede.

Tuttavia, “il Sud di questo periodo è in realtà molto ricco, produce ampie quantità di cibo che sono indispensabili per la sopravvivenza delle regioni settentrionali. Il commercio tra il Nord e Sud Italia è fiorente e le regioni settentrionali dipendono dal Sud per la fornitura di cibo e materie prime. I mercanti del Nord devono recarsi in Campania e in Sicilia per procurarsi cotone e seta”. Certo se noi guardiamo il passato con gli occhi degli abitanti del XX secolo, riteniamo che sia meno importante la produzione agricola, rispetto agli scambi finanziari. Ma in quel periodo i campi e la produzione di materie prime giocavano un ruolo fondamentale nella vita della società. A questo punto Mieli propone la fatidica domanda:“A quando allora va fatto risalire il divario economico tra Nord e Sud?”.  Secondo l'ex direttore del Corriere della Sera, ai secoli XVI e XVII, quando l'Italia meridionale e la Sicilia caddero sotto il dominio spagnolo, incentrato attorno a uno sfruttamento coloniale di queste terre. Gli spagnoli secondo Mieli erano interessati a ricavare dal Sud grano e materie prime, piuttosto che promuovere la vita economica e culturale della regione. Inoltre non vennero mai gettati semi per costruire grandi città come avvenne al Nord.

Altro tema caldo che Mieli affronta è quello de “L'invenzione delle crociate” dal titolo del libro di Christopher Tyerman, dove si denuncia “il vizio di guardare le crociate attraverso il filtro della propria mente e cultura”.

Manipolazione e contraffazione sono le armi più comuni con le quali si combatte questa guerra al passato.

Il libro consta di quattro capitoli: 1. In guerra con la storia tramandata. 2. In guerra con le religioni armate. 3. In guerra con i miti della guerra. 4. In guerra con i grandi della storia. L'autore ha fatto una selezione, forse per lettori specialisti, di alcuni episodi storici particolari, dove sono protagonisti alcune figure celebri della storia: da Cicerone ad Augusto. Andrea Doria, Enrico di Valois, Mazzarino Lincoln Bismarck, D'Annunzio.

Alessandro Barbero presentando il libro di Mieli, scrive:“è una ricognizione puntuale, erudita e divertita, di questa che è, ripetiamolo, la condizione normale della storiografia. È una rassegna bibliografica che in ogni capitolo, e ce ne sono ben 27, propone un tema storico su cui credevamo di sapere tutto e presenta al lettore gli studi più recenti che ne hanno rinnovato l’interpretazione. Verre era davvero quel politico corrotto che ci presenta Cicerone? Con quali mezzi Augusto arrivò al potere? I martiri di Otranto morirono davvero per la fede? Lincoln fece davvero la guerra per abolire la schiavitù? La Seconda Guerra Mondiale è davvero finita nel 1945? La collusione fra Stato e mafia, in Italia, è davvero una novità della Prima Repubblica?” (A. Barbero, “Non fidatevi della Storia, racconta bugie da millenni”, 27.10.16, La Stampa)

Secondo Barbero, Mieli non può essere ascritto ai revisionisti, infatti non nomina mai la parola “revisionismo”. Invece lo studio di Mieli fa parte,“della naturale dinamica degli studi storici, per cui ogni storico che affronta un argomento anche già molto studiato può sempre aggiungere un punto di vista nuovo, può talvolta scovare nuove fonti, e può spesso modificare l’interpretazione del passato”.

Mentre in un'altra interessante recensione, Angelo Panebianco, citando Benedetto Croce, che sosteneva che la Storia, è sempre “storia contemporanea”, però lo è in due modi diversi.“Lo è perché il passato viene sempre inevitabilmente riletto alla luce delle preoccupazioni del presente. Ma lo è anche perché la storia viene usata, manipolata, semplificata eccessivamente, banalizzata e anche falsificata per piegarla alle esigenze delle polemiche dell’oggi, per farne uno strumento utile ai nostri scopi, più o meno partigiani, del momento”. Pertanto, siccome, “il futuro è incerto e largamente imprevedibile, non ci limitiamo a cercare nel passato lumi per comprendere cosa sia meglio fare nel presente (e questo è certamente un modo sano e corretto di fare i conti con la storia), ma ce ne serviamo come arma polemica per imporre, contro le resistenze altrui, la nostra visione delle cose presenti, per spingere gli altri a fare scelte che consideriamo giuste o per noi convenienti, e anche per giustificare scelte già fatte, per esempio per conferire legittimità a un nuovo regime politico”. (A. Panebianco, La storia falsa dei banalizzatori non ci aiuta a capire il presente, 7.10.16, Corriere della Sera)

 

 

 

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