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Gaudì, sagrada Familia 180

La Sagrada Familia di Barcellona, opera architettonica del Servo di Dio Antoni Gaudì (1852-1926) percorre un itinerario con un sistema descrittivo-simbolico ancorato “saldamente a dati teologici, liturgici, di devozione popolare che non hanno uguali” e che ne fa una «summa ammirabile di tecnica, di arte e di fede » (Benedetto XVI). Queste frasi, che descrivono in modo sintetico l’opera dell’architetto spagnolo, sono tratte da un volumetto dedicato alla facciata della Natività (Gaudì, Sagrada Familia. Natività. A cura di Maria Antonietta Crippa, Interlinea, 2014, pagg. 88, Euro 10) unica parte che il Servo di Dio riuscì a completare quasi per intero durante la sua vita dedicata per quarant’anni al cantiere della sua opera. «Gaudí – ha detto Benedetto XVI visitando nel 2010 la basilica catalana – voleva questo trinomio: libro della Natura, libro della Scrittura, libro della Liturgia. E questa sintesi proprio oggi è di grande importanza». Costruenda inoltre Gaudí, propriamente, divenne santo. «Dal momento in cui accettò l’incarico della costruzione di quella chiesa, la sua vita fu segnata da un cambiamento profondo. Intraprese così un’intensa pratica di preghiera, digiuno e povertà […]. Si può dire che, mentre lavorava alla costruzione del tempio, Dio costruiva in lui l’edificio spirituale». E Gaudí corrispondeva alla grazia costruendo un ponte «tra la bellezza delle cose e Dio come Bellezza» (Pannello n. 18 della mostra La via della bellezza. Ragionare sull’arte, a cura dell’Idis, con testi di Massimo Introvigne).

Le scene della facciata, secondo la volontà del suo autore, volevano incuriosire sugli episodi più noti della vita e dell’infanzia di Gesù; ecco allora assieme alla natività, fulcro e centro della rappresentazione con i pastori e Magi, troviamo la stella cometa, il pellicano con i suoi piccoli, la corona e un uovo, la fuga in Egitto, il matrimonio di Maria e Giuseppe e la presentazione di Gesù al tempio. Episodi e simboli affiancati da altre rappresentazioni che si inseriscono in un quadro di fondo, un paesaggio di pietra, ricco di elementi tratti dall’ambiente catalano: animali, fiori, foglie che spuntano dappertutto e non lasciano vuoto nessun punto della ricca facciata. Gesù al lavoro al tavolo da falegname e che parla con un dottore del tempio sono altri due quadri che completano la narrazione della facciata.

L’immagine della Vergine che depone Gesù bambino in una cesta, oggetto tipico della cultura catalana dove venivano deposti i bambini delle famiglie più povere, è quella centrale e che potrebbe essere letta anche al contrario: la Vergine con un velo che lascia in ombra il suo viso mostra, solleva il bambino che è in piena luce e lo mostra ai pellegrini che stanno entrando nella Basilica a significare il suo nascondimento e la centralità della figura del Redentore.

L’opera di Gaudì si presenta, grazie anche a questo agile libretto, impreziosito dalle poesie di Felix Lope de Vega (1562-1635), poeta e drammaturgo spagnolo, come estremamente ricca di elementi di riflessione durante l’anno liturgico e il portale della natività è un bellissimo spunto di meditazione, “non è architettura, è poesia, vuole parlare (…). È un borbottio di pietra che dice: è Natale”.

cop la crisi dell'istruzione occidentale

Per alcune settimane le questioni scolastiche prendono il sopravvento anche grazie al governo Renzi, che ha indetto una consultazione online e offline invitando gli italiani adare consigli e contributi per costruire una “buona scuola”. Al ministero sono euforici perchè hanno messo in moto la più partecipata consultazione in Italia e forse in Europa, anche se molte sono le zone d’ombre, come ha scritto “LaNuovaBQ.it”.

I temi più ricorrenti sono stati quelli sull’organizzazione della nostra scuola:si va dalla valutazione, alla formazione dei docenti, all’allargamento dell’apertura scolastica nel pomeriggio e in estate, agli investimenti. Tutti temi importanti, però, forse, sarebbe stato più utile un’ampia riflessione su quali basi culturali impostare lo studio dei nostri studenti, in particolare delle scuole superiori. A questo riguardo un ottimo contributo di riflessioni potrebbe venire dalla magistrale opera di un grande studioso e accademico britannico, Christopher Dawson, La crisi dell’istruzione occidentale, D’Ettoris Editori (Crotone, 2012). Dawson è uno storico delle civiltà, delle religioni e dell’educazione, autore di numerosi studi.“The Crisis of Western Education”, è stata scritta nel 1961, frutto di numerose conferenze, auspicava la necessità d’introdurre lo studio della cultura cristiana nell’istruzione superiore dei paesi anglosassoni, in particolare negli Stati Uniti. Dawson era convinto che l’ignoranza dei cristiani nei confronti della loro stessa cultura poteva essere uno dei principali ostacoli sulla strada di un serio ecumenismo con i fratelli protestanti, ma anche causa non secondaria del fallimento dell’intero sistema d’istruzione occidentale, nonostante i pretesi progressi nei metodi educativi.

Il libro pubblicato dalla battagliera casa editrice D’Ettoris di Crotone, viene proposto al pubblico italiano da due studiosi, Paolo Mazzeranghi e da Lorenzo Cantoni. L’ampiezza e la ricchezza dei temi trattati dal testo di Dawson non permettono facili sintesi, pertanto è parso interessante proporre qualche riflessione della seconda parte: “La condizione dell’istruzione cristiana nel mondo moderno” e della terza parte: “L’uomo occidentale e l’ordine tecnologico”.

Nella prima parte Dawson, studia “La Storia dell’istruzione umanistica in Occidente”, otto capitoli dove percorre il processo educativo e culturale trasmesso alle varie generazioni presenti in un territorio preciso: l’Europa, il cosiddetto Occidente, quindi anche alle Americhe, fino a raggiungere quell’unità culturale che ha prodotto la civiltà cristiana, la cristianità, anche se poi interrotta dalla cosiddetta Riforma di Lutero. E’ bello come Dawson descrive la civiltà occidentale, “è come una cattedrale gotica, un complesso meccanismo di pressioni contrastanti che raggiunge la sua unità mediante l’equilibrio dinamico di spinta e controspinta”. Christopher Dawsonè convinto che proprio oggi di fronte alla crisi dell’istruzione dell’Occidente occorre ritornare allo studio di quella cultura che ha costruito la nostra civiltà: “Uno dei principali difetti dell’istruzione moderna è stato il non riuscire a trovare un metodo adeguato per lo studio della nostra civiltà”. Nella vecchia istruzione umanistica, con tutti i suoi difetti, si studiava la cultura classica come un tutto, l’istruzione moderna ha perso questa unità formale.

Dawson è convinto che “qualunque possa essere il suo futuro politico e per quanto buie possano essere le sue prospettive economiche, l’Europamantiene la sua posizione storica di sorgente della civiltà occidentale, e questo è destinato a influenzare il futuro altrettanto che il passato(…)”. Dunque per lo scrittore britannico, è importante “comprendere la natura della civiltà occidentale e come accadde che questo gruppo relativamente minuscolo di Stati europei giunse a trasformare il resto del mondo e cambiare l’intero corso della storia umana”.Queste riflessioni peraltro acquistano grande rilievo ogni volta che assistiamo a notizie di massacri ad opera del fondamentalismo islamico come in questi giorni nella scuola di Peshawar in Pakistan.

Dunque studio della civiltà occidentale senza però separarlo dallo studio della civiltà cristiana, come ha ben sostenuto il grande storico delle civiltà Arnold Joseph Toynbee.

Al capitolo X, Dawson spiega perché bisogna introdurre lo studio della cultura cristiana nelle nostre scuole, e non solo nei college e università cattoliche, anche se questo può sembrare sorprendente. Ma soprattutto individua gli ostacoli allo studio della cultura cristiana, che secondo lui, non viene da pregiudizi religiosi o secolaristi, ma da ostacoli di natura culturale. Infatti, secondo Dawson, gli ostacoli ebbero origine “dall’idealizzazione dell’antichità classica da parte degli studiosi e degli artisti umanisti dei secoli XV e XVI.” Pertanto il periodo storico fra la caduta di Roma e il Rinascimento, viene identificato in maniera dispregiativa come “età di mezzo”, “una sorta di vuoto culturale fra due età di successo culturale(…)”. Un giudizio negativo, trasmesso dal Rinascimento all’Illuminismo del secolo XVIII e quest’ultimo alle ideologie secolariste moderne, che peraltro ignora l’esistenza della cultura cristiana.

Dunque per il grande scrittore storico, “è necessario che gli educatori compiano uno sforzo esplicito per esorcizzare il fantasma di questo antico errore e per dare allo studio della cultura cristiana il posto che merita nella moderna istruzione”. Questo lavoro non può essere lasciato solo ai medievalisti, anche perché la cultura cristiana non può essere limitata alla cultura medievale. La cultura cristiana è nata prima del Medioevo.

Dawson insiste sull’importanza dello studio della cultura cristiana che ci permette di comprendere come nacque la cultura occidentale e quali sono i valori essenziali che rappresenta. E polemicamente scrive: "non vedo ragione di supporre, come qualcuno ha argomentato, che tale studio avrebbe un effetto limitante e paralizzante sulla mente dello studente. Al contrario, è eminentemente uno studio liberale e liberalizzante, poiché ci mostra come mettere in relazione la nostra esperienza sociale contemporanea con le più ampie prospettive della storia universale. Dopotutto - scrive Dawson – la cultura cristiana non è qualcosa di cui ci si debba vergognare”.

Qualsiasi studioso anche non cattolico non può avere un ruolo importante nella vita moderna senza avere chiaro il senso della natura e delle conquiste della cultura cristiana, deve conoscere “come la civiltà occidentale divenne cristiana, fino a che punto sia cristiana oggi e in che modi abbia cessato di essere cristiana; in breve, una conoscenza delle nostre radici cristiane e degli elementi cristiani durevoli della cultura occidentale”.E qui Dawson citando Toynbee, spiega che il termine cultura viene visto come unità storica, però che ha “un’estensione nello spazio e nel tempo molto maggiore di una qualsiasi unità puramente politica(…)”. Dawson spiega bene come questa unità è durata per più di mille anni, “dalla conversione dell’impero romano fino alla Riforma, i popoli d’Europa furono consapevoli della loro appartenenza alla grande società cristiana e accettarono la fede e la legge morale cristiane come il vincolo primario dell’unità sociale e come la base spirituale del loro modo di vivere. Tuttavia anche se questa unità è stata infranta dalla Riforma luterana, la tradizione della cultura cristiana sopravvive ancora nelle istituzioni dei differenti popoli europei, anche nella nostra cultura secolarizzata.

Una cosa è certa, per lo studioso britannico, “chiunque, cristiano o no, desideri comprendere la nostra cultura quale esiste oggi non può dispensarsi dallo studio della cultura cristiana. Questo studio è anzi in qualche modo più indispensabile per il secolarista che per il cristiano, perché gli manca la chiave ideologica per la comprensione del passato che ogni cristiano deve possedere”.

 

 

Cardinal Fiorenzo Angelini (1)

È morto nella notte fra il 21 ed il 22 novembre, a Roma — dov’era nato 98 anni fa — il cardinale Fiorenzo Angelini, presidente emerito del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari. Unico cardinale romano, era nato il 1° agosto 1916 nel rione Campo Marzio. Le esequie saranno celebrate lunedì 24 novembre, alle 15, nella basilica vaticana, dal cardinale decano Angelo Sodano. Al termine Papa Francesco, che proprio nella mattina di sabato 22 ha voluto ricordarlo durante l’udienza alla conferenza internazionale promossa dal Pontificio consiglio per gli operatori sanitari, presiederà i rito funebri finali.

Una storia SACERDOTALE all’insegna dI Papa Pacelli.

La storia "sacerdotale" del Cardinal Angelini è legata singolarmente alla figura del Venerabile papa Pio XII. Compiuti gli studi filosofici presso la Pontificia Università Lateranense, conseguito il Baccellierato in Filosofia, la Licenza in Teologia sempre alla Lateranense e laureatosi infine in Teologia con specializzazione in Mariologia nella Pontificia Facoltà Teologica Marianum, Fiorenzo Angelini fu ordinato sacerdote nel 1940, poco prima che l'Italia entrasse in guerra.

Il giovane prete fu inviato quindi ad aiutare il Parroco di San Michele Arcangelo, una parrocchia dell'estrema periferia di Roma, a Pietralata, dove più dure si mostravano le conseguenze della guerra. Lì c'era infatti bisogno di tutto e nessuno era in grado di fornire il minimo di assistenza. Monsignor Angelini si rimboccò allora le maniche e, per venire incontro alle esigenze della sua gente incanalò le varie attività di soccorso in un Segretariato di Assistenza al popolo.

Nelle file dell'Azione Cattolica Italiana di Gedda.

Il suo notevole impegno sociale non passò inosservato, tanto che fin dal 1945 fu chiamato ad essere l'Assistente Ecclesiastico Nazionale degli Uomini di Azione Cattolica. Il momento più esaltante di questo suo incarico lo visse nel 1947, quando con il Professor Gedda organizzò quella che al tempo fu definita <<la più grande adunata di popolo>>: portò infatti duecentocinquantamila uomini di Azione Cattolica in Piazza San Pietro per un grande incontro con Pio XII. Fu la prova generale per lo storico raduno del 18 aprile del 1948. Alla guida spirituale degli uomini di Azione Cattolica restò sino al 1959.

IL LIBRO “La mia strada”.

Di questi anni così importanti per la storia della Chiesa e dell'Italia uscita dalla guerra il cardinale ci parla in un libro autobiografico uscito nel 2004 per la Rizzoli (La mia strada, con una Presentazione di Andrea Riccardi, pp. 391, euro 19), che è la testimonianza diretta del percorso tracciato da un servitore della Chiesa che ha conosciuto da vicino e collaborato strettamente con cinque pontefici, da Pio XI a Giovanni Paolo II. Gli abbiamo così rivolto nei suoi uffici di via della Conciliazione sede dell'Istituto Internazionale di Ricerca sul Volto di Cristo, da lui fondato nel 1997 e per il quale si è speso generosamente fino agli ultimi anni della sua vita.

 

L’INTERVISTA.

In occasione di un incontro avuto a Roma, il 2 novembre 2005, presso la sede della Congregazione Benedettina delle Suore Riparatrici del Santo Volto in via della Conciliazione, nel quale mi consegnò la Prefazione al mio libro Identità cattolica e anticomunismo nell’Italia del dopoguerra. La figura e l’opera di mons. Roberto Ronca (D’Ettoris Editori, Crotone 2008, pp. 244), gli rivolsi le domande che seguono.

D. Qual è il suo ricordo di Luigi Gedda e dell'indimenticabile epopea dei Comitati Civici?

R. Ho avuto l'onore di conoscere il prof. Gedda avendo vissuto per molti anni a stretto contatto con lui ed essendo stato anche uno dei co-fondatori dei Comitati Civici. Era una grande leader ma essenzialmente è sempre rimasto un uomo di apostolato, e ciò inteso in senso stretto, rigoroso, lavorando sempre a stretto fianco della Chiesa. Ed infatti egli è stato prima uomo legato a Pio XI, poi profondamente a Pio XII, lavorando quindi solo ed esclusivamente al servizio del Papato. Quelli che hanno così immaginato un Gedda capo di un partito politico hanno sbagliato. Anche perché i Comitati Civici non sono mai stati un partito politico, bensì la chiamata a raccolta delle forze cattoliche ed anticomuniste, anche se questo si dimentica di solito.

D. Ai Comitati civici aderirono anche personalità non appartenenti al mondo cattolico?

R. Certamente, vi aderirono non solo liberali ma anche a volte non cattolici. Ma si trattò in fondo di piccole frange, perché il grosso dei Comitati fu rappresentato dall'Azione Cattolica Italiana.

D. Mons. Roberto Ronca, Prelato di Pompei e fondatore di un movimento come "Civiltà Italica" che affiancò i Comitati civici nella loro attività anticomunista, è stato il Rettore che l'ha condotta all'ordinazione sacerdotale nel 1940 non è vero?

R. Sì, mons. Ronca è stato rettore durante tutto il corso della mia formazione al Seminario Maggiore di Roma, perciò l'ho conosciuto bene e per lui ho una stima, o meglio, una venerazione grandissima. Io sono infatti diventato sacerdote con lui, che mi ha voluto molto bene, mi ha stimato e mi ha seguito. Anch'egli, però, come d'altro canto lo stesso Gedda, era una personalità eccezionale e, come tutte le personalità eccezionali, si riscontrano nel loro carattere per così dire delle "lacune", che non li rendono facilmente familiari a quanti hanno un rapporto con loro. Quindi potrei dire che, nella storia della Chiesa italiana del secondo dopoguerra, monsignor Ronca è stato un "pezzo a sé", un personaggio si potrebbe dire a sé stante, a motivo del suo temperamento, della sua formazione, della sua intelligenza e, quindi, anche delle sue particolari vedute politiche.

D. Nella fulminea carriera ecclesiastica che mons. Ronca fece al Seminario maggiore, c'è da vedersi anche una stima personale da parte di Pio XII?

R. Si tenga conto che mons. Ronca fu nominato rettore del Seminario maggiore dal Cardinal Vicario Marchetti Selvaggiani, che era stato compagno di studi all'almo Collegio Capranica di papa Pacelli. I due si stimavano moltissimo conoscendosi personalmente da sempre e, quindi, la scelta del primo fu agevolmente avallata dal secondo. L'averlo messo giovanissimo a capo del "Seminario del Papa" fu un atto di grandissima stima per Ronca sia da parte del cardinal Vicario, che dello stesso Pio XII, dal quale, come noto, dipendeva direttamente il Romano, a differenza degli altri Collegi ecclesiastici che, invece, dipendevano da quella che veniva allora chiamata la Congregazione dei Seminari.

D. Secondo Lei mons. Ronca ebbe fin dal periodo da Rettore una "vocazione" alla politica?

R. Non credo che mons. Ronca ebbe una vocazione alla politica, perché non gli apparteneva la mentalità ed il modus operandi del politico. Definirlo un "prete politico" significherebbe svisarne la figura, e significherebbe peraltro farlo apparire come un uomo fallito, perché in campo politico-partitico egli non è riuscito ad ottenere granché. Ronca era infatti, come Gedda, un leader, e se gli altri lo seguivano bene, altrimenti andava avanti ugualmente senza preoccuparsi di mediazioni o compromessi. Per questo ha agito facilmente da solo. Si occupò di politica perché gli si aprì durante l'occupazione di Roma quella strada nuova che le vicende storiche gli diedero. L'attività "politica", quindi, fu per lui una scelta logica, naturale. Ma non fu una politica "di settore", di settarismo. Il fatto di aver ospitato il CLN l'ha portato automaticamente a vivere un certo tipo di vita politica, nel senso della polis, dell'interessamento al bene comune.

D. Durante la battaglia per le elezioni del 18 aprile 1948, ci furono contatti e collaborazioni fra i Comitati civici di Gedda e l'attività svolta da mons. Ronca con "Civiltà Italica"?

R. Certamente ci sono state ma, seppur le attività di Civiltà Italica furono significative e meritorie, non raggiunsero certo l'eco e la consistenza della enorme mobilitazione che riuscì a suscitare l'eccezionale dinamicità ed intelligenza operativa del prof. Gedda.

D. Lei conobbe personalmente anche un altro grande protagonista dell'Italia del secondo dopoguerra, il gesuita padre Riccardo Lombardi non è vero?

R. Il gesuita è stato un grandissimo personaggio, è stato l'uomo di un Papa. Pio XII se ne è avvalso infatti per ottenere delle finalità, degli scopi precisi, e padre Lombardi è riuscito a catalizzare nelle sue attività l'attenzione del mondo intero. Basti pensare che almeno la metà dei padri che parteciparono al Concilio Vaticano II sono passati per il suo "Centro per un Mondo Migliore" in Rocca di Papa, a prendere ispirazione per quello che avrebbero fatto nei lavori conciliari. Anche se il gesuita fu poi quasi messo da parte nel prosieguo del pontificato di Giovanni XXIII, in seguito ad un articolo che sembrò sconfessarlo uscito sull'Osservatore romano. Roncalli comunque, da Patriarca di Venezia, aveva partecipato anche lui ad un corso di Esercizi spirituali predicato da padre Lombardi. Quando divenne papa, però, si trovò a dissentire dai suoi metodi e dalle attività del movimento da lui fondato.

D. A suscitare costanti discussioni e polemiche intorno alle attività di padre Lombardi contribuì anche la sua spregiudicatezza ed intraprendenza?

R. Le osservazioni critiche che furono rivolte al gesuita durante la sua vita sono naturali se si considera che durante il pontificato di Pio XII padre Lombardi fu un vero e proprio "battitore libero", godendo della fiducia assoluta del papa. Egli agiva quindi in maniera del tutto autonoma, non ricevendo perciò il consenso di tutti.

D. Nel giugno prossimo festeggerà i suoi 50 anni di episcopato. A chi vorrebbe, fra le tante persone che ha conosciuto ed amato durante la sua lunga missione pastorale, tributare un riconoscimento in particolare?

R. Le persone che dovrei ricordare sono tante, ma innanzitutto il mio pensiero va al grande papa che mi ha fatto prete e vescovo, cioè Pio XII. Io mi sento e mi sentirò sempre orgoglioso di essere un prete e un vescovo "di Pio XII". Ed a questo proposito ci tengo a dire che le difficoltà che ancora sono accampate per la sua beatificazione non sorgono certo a mio avviso da chissà quali motivi, per ammirarne infatti la spiritualità e le virtù occorrerebbe solo conoscerne a fondo la vita e le opere. Poi sento di dover tributare la mia riconoscenza a Giovanni Paolo II, che mi ha stimato e creato cardinale. Dopo cinquant'anni di servizio pastorale desidero infine ricordare tutti quei laici, da cui ho imparato tantissimo, che ho sempre frequentato tanto fin da quando ho avuto la possibilità di operare in parrocchia. Laici noti come Renato Guttuso, o Giuseppe Capogrossi, ma anche molte persone semplici e ricche d'insegnamenti ed umanità. Anche per questo amo tanto la parrocchia, e sono convinto che il sacerdote è veramente tale soprattutto quando è in mezzo alla gente.

 

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