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La Turchia permette agli USA l'utilizzo delle basi aeree contro l'Isis

La Turchia ha accettato che gli Stati Uniti abbiano accesso alla base aerea a Incirlik, nel quadro della battaglia contro l'Isis, ha riferito un funzionario della Difesa americano.

"I dettagli dell'utilizzo delle basi turche sono ancora in fase di sviluppo", ha detto un funzionario della Difesa americana, che ha voluto mantenere l'anonimato. Gli aerei americani operano già da tempo nella base di Incirlik, dove sono presenti 1.500 uomini. Ma finora i raid portati dagli americani contro lo Stato Islamico sono partiti esclusivamente dalle basi aeree di Emirati Arabi, Kuwait e Qatar.

I miliziani dello Stato islamico (Isis) hanno preso oggi il pieno controllo della regione di Hit, nella provincia di Al Anbar, 150 chilometri a ovest di Baghdad. Lo riferisce la televisione panaraba Al Jazira. L'esercito iracheno, ha detto il corrispondente da Baghdad, ha affermato di avere eseguito una "ritirata strategica", lasciano Hit nelle mani dell'Isis, due settimane dopo l'inizio di un'offensiva jihadista nella regione.

I miliziani curdi che difendono la citta' di Kobane, nel nord della Siria, hanno lanciato oggi un contrattacco contro le forze dell'Isis, riconquistando alcune posizioni grazie al sostegno aereo della Coalizione internazionale guidata dagli Usa che ha effettuato cinque raid aerei. Lo riferisce l'ong Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus). In particolare, le forze curde hanno ripreso il controllo di due postazioni nel sud della citta' uccidendo 13 jihadisti e sono avanzate anche nel settore est

A Kobane, nel Nord della Siria, la battaglia continua strada per strada, ma lo Stato islamico non riesce a sfondare ed è costretto a inviare rinforzi, spostandoli dalla sua "capitale", Raqqa. Una sconfitta sarebbe un disastro sul piano della propaganda jihadista, sul cui fronte l'Isis ora ha persino dichiarato guerra a Twitter, affermando che i suoi dirigenti "devono morire"

Nel quarto numero della sua rivista online, l'Isis sostiene la legittimità del rapimento e della riduzione in schiavitù sessuale delle donne degli "infedeli" in base alla legge islamica, un'interpretazione della sharia respinta dalla stragrande maggioranza del mondo musulmano. La formalizzazione di quella che è diventata una drammatica prassi, riferisce il sito della Cnn, è riportata nella rivista online, "Dabiq".

Piazza San Pietro e l'uccellino blu di Twitter nel mirino dell'Isis. Mentre i miliziani sul terreno assediano Kobane e minacciano anche Baghdad, la propaganda jihadista continua a lavorare a pieno regime, scagliandosi contro i "crociati" e i simboli dell'odiato Occidente. La bandiera dell'Isis che sventola sull'obelisco di piazza San Pietro è l'ultima provocazione dello Stato islamico tramite la sua rivista online "Dabiq". Sulla copertina dell'ultimo numero - diffusa dal Site - campeggia la bandiera nera e il titolo "Crociata fallita", evidentemente con riferimento ai raid della coalizione a guida Usa contro l'Isis.

Non è la prima volta che il Califfo attacca simbolicamente il centro della cristianità. In un recente messaggio dello Stato islamico, il 22 settembre, il portavoce dello Stato islamico Abu Muhammad al Adnani minacciava di "conquistare Roma e spezzare le croci con il permesso di Allah". Roma di solito viene considerata nei messaggi jihadisti più come simbolo dell'Occidente "crociato" che come luogo fisico, ma certo l'allerta resta altissima. Al Baghdadi ha inoltre dichiarato ufficialmente guerra anche a Twitter, affermando che i suoi dirigenti 'devono morire'

Intanto, nell'ennesima provocazione contro «Roma» e «i crociati», lo Stato islamico ha fatto sventolare la sua bandiera nera su piazza San Pietro. Almeno sulla copertina dell'ultimo numero della sua rivista online "Dabiq". Il vessillo nero sull'obelisco di San Pietro è accompagnato dal titolo «Crociata fallita», evidentemente con riferimento ai raid della coalizione a guida Usa contro l'Isis.


Sul terreno, la minaccia mortale dello Stato islamico incombe anche sulla regione occidentale irachena di al Anbar, dove oggi il capo della polizia è rimasto ucciso in un'esplosione avvenuta a Ramadi, e sulla stessa Baghdad, attorno alla quale - secondo fonti locali citate dal Telegraph e da al Arabiya - l'Isis avrebbe radunato «fino a 10mila combattenti», pronti a sferrare un attacco alla capitale.

Nel mirino, secondo il capo di Stato maggiore interforze Usa, generale Martin Dempsey, ci potrebbe essere l'aeroporto della capitale irachena. Di recente, ha rivelato alla Abc, hanno tentato di conquistarlo e sono stati respinti dagli attacchi degli elicotteri Usa. «Erano a circa 20 o 25 chilometri» dallo scalo, ha raccontato, aggiungendo che «se avessero avuto la meglio sull'unità dell'esercito iracheno sarebbero arrivati dritti all'aeroporto» e «non potevamo consentire che accadesse».

Per questo Dempsey continua a insistere sulla necessità di un ruolo «più attivo e diretto» delle forze speciali americane, evocando un coinvolgimento americano sul terreno che tuttavia la Casa Bianca di Barack Obama continua ad escludere. A Kobane intanto, dopo aver conquistato il quartier generale delle forze di autodifesa curde (Ypg), i jihadisti non sono riusciti a conquistare la piazza centrale della cittadina.

Questo anche grazie alle continue ondate di raid aerei condotti dagli Usa e alleati nella zona. Nel corso dell'ultima settimana, a Kobane e dintorni, sono stati almeno 50, ma ora sono diminuiti, perché gli obiettivi nel centro abitato sono diventati più difficili da individuare e colpire senza "danni collaterali" e perchè la zona è avvolta in una tempesta di polvere. «Stiamo facendo quello che possiamo attraverso gli attacchi aerei per far arretrare l'Isis», ha detto il segretario alla Difesa Usa Chuck Hagel, e «in effetti ci sono stati alcuni progressi in questo campo».

La Bbc ha riferito peraltro che un «team di specialisti» formato da 12 militari britannici è in Iraq per addestrare i guerriglieri curdi: i soldati fanno parte dello Yorkshire Regiment e devono istruire le forze curde sull'uso delle mitragliatrici pesanti fornite dal Regno Unito. Finora, la resistenza ha perso circa 50 combattenti. Però «tiene bene», secondo quanto riferito da un rifugiato siriano che è riuscito a parlare con il fratello a Kobane. Tuttavia, ha aggiunto, «se continua così sono pessimista perché i peshmerga hanno bisogno di armi e munizioni. Uccidono molti banditi, ma (i jihadisti) ritornano sempre più numerosi». E un altro appello ad «evitare un massacro di civili» a Kobane è stato lanciato domenica dal segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon, preoccupato per «le migliaia di vite a rischio» a causa dell'assedio dei miliziani di al-Baghdadi. Ma per l'Isis quella di Kobane è «una battaglia cruciale», ha osservato il direttore dell'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) Rami Abdel Rahmane, sottolineando che «se non riescono a prenderla, sarà un duro colpo per la loro immagine».

 

 

 

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