Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *
Captcha *
Reload Captcha
Giovedì, 02 Maggio 2024

In città l'ultima tappa d…

Apr 30, 2024 Hits:168 Crotone

Convegno Nazionale per la…

Apr 23, 2024 Hits:383 Crotone

L'Associazione "Pass…

Apr 05, 2024 Hits:832 Crotone

Ritorna Calabria Movie Fi…

Apr 03, 2024 Hits:876 Crotone

La serie evento internazi…

Mar 27, 2024 Hits:1078 Crotone

L'I.C. Papanice investe i…

Mar 01, 2024 Hits:1551 Crotone

Presentato il Premio Nazi…

Feb 21, 2024 Hits:1655 Crotone

Prosegue la formazione BL…

Feb 20, 2024 Hits:1472 Crotone

Arrestato in Sudan il terrorista tunisino Moez Fezzani, conosciuto come Abu Nassim, considerato tra i reclutatori dell'Isis in Italia. Lo si apprende in ambienti dell'antiterrorismo.

Avrebbe fatto parte, tra il '97 e il 2001, di una cellula del 'Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento' con base a Milano che reclutava uomini da inviare nei Paesi in guerra. Nel 2014 è stato condannato definitivamente a Milano per associazione per delinquere con finalità di terrorismo; nel 2012 era stato assolto in primo grado e espulso dall'Italia.

Fezzani era ricercato in base ad un mandato di cattura internazionale, dopo la condanna definitiva a 5 anni e 8 mesi, emesso dalla Procura Generale della Repubblica di Milano per associazione per delinquere con finalità di terrorismo.

Dopo tre anni, nel 2012, fu espulso. Durante il suo trasferimento a Malpensa, Fezzani si lanciò fuori dall'auto della polizia e per qualche giorno riuscì a far perdere le proprie tracce. Ma dopo poco fu scovato a Varese, nascosto nell'abitazione di un amico. Nel 2014 Fezzani è stato condannato definitivamente a Milano per associazione a delinquere con finalità di terrorismo.

PUBBLICITÀ

Secondo un report riservato stilato dai servizi segreti italiani nel gennaio 2015, dopo l'attacco al giornale satirico Charlie Hebdo, Fezzani era inserito in una lista di 25 nomi di persone partite per la Siria a combattere tra le fila dell'Isis. Così veniva definito: "Ex estremista tunisino oggi legato alla formazione terroristica Ansar al Sharia". Lo scorso agosto era stato annunciato il suo arresto (poi smentito) in Libia.

Fezzani sarebbe stato implicato anche nel sequestro dei quattro tecnici italiani della ditta Bonatti, rapiti in Libia il 19 luglio 2015.

E' stato individuato in Sudan grazie al lavoro delle due agenzie di intelligence italiane. Nato a Tunisi nel 1969, Fezzani è considerato militante di Al Qaida in Afghanistan, è noto da oltre un ventennio per le sue attività nell'ambito di una delle formazioni satellite di Al Qaida, Ansar Al Sharia Tunisia (AST). Catturato in Pakistan nel 2002, è stato detenuto nella base statunitense di Bagram e poi estradato in Italia. Nell'aprile 2012, dopo un periodo di detenzione, viene espulso in Tunisia.

Successivamente viene localizzato in Libia, dove gestisce campi di addestramento per aspiranti mujaheddin. Nell'estate 2013, raggiunge la Siria, per poi rientrare nuovamente in Libia nel 2014 dove recluta aspiranti combattenti. Era ricercato dalla Tunisia, per l'organizzazione degli attentati al Museo del Bardo e all'Hotel Imperial di Sousse.

Le Nazioni Unite hanno evocato oggi "dettagli emersi" sull'uso di armi chimiche da parte dei miliziani dell'Isis in Iraq e notizie sullo stoccaggio a Mosul di "grandi quantità" di ammoniaca e zolfo poste in zone dove sono presenti civili. Lo ha detto a Ginevra la portavoce Ravina Shamdasani dell'Ufficio dell'Alto commissario Onu per i diritti umani. 

L'Onu ha inoltre denunciato l'affiorare di nuove prove di fosse comuni, sullo sfruttamento sessuale di donne e bambine, torture e uccisioni, reclutamento di bambini e altre gravi violazioni da parte di miliziani dell'Isis in Iraq. L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Ra'ad Al Hussein ha esortato a un'azione immediata per garantire i diritti ed i bisogni delle vittime, assicurare la giustizia e riferire la situazione in Iraq alla Corte penale internazionale.

Ed e questo lo scenario lasciato a risolvere il nuovo inquilino della Casa Bianca che sta lavorando alla sua squadra di governo. Il transition team avrebbe già delineato una 'short-list' per le posizioni chiave, con i fedelissimi del presidente eletto in pole position e nessuna donna in corsa. Dopo anni lontano dal 'potere' di Washington a causa della crisi economica, Wall Street potrebbe tornare protagonista, con l'amministratore delegato di JPMorgan JAMIE DIMON papabile per il Tesoro, incarico per il quale girano anche i nomi dell'ex di Goldman Sachs STEVE MNUCHIN e l'investitore CARL ICAHN.

Anche se i giochi restano aperti, con Trump che avrà l'ultima parola, il nome di RUDY GIULIANI, l'ex sindaco di New York braccio destro di Trump che ha appoggiato fin dall'inizio della campagna, è in corsa per varie posizioni. Con i suoi trascorsi e il pugno duro usato negli anni '90 nella Grande Mela, Giuliani sembra favorito per il ruolo di segretario alla Sicurezza nazionale o direttore della Cia. Un'altra ipotesi per Giuliani è quella di ministro della Giustizia, ruolo per cui è in corsa anche CHRIS CHRISTIE.

Fedelissimo di Trump dopo aver accantonato le aspirazioni presidenziali, Christie è di recente più defilato dopo i problemi giudiziari sullo scandalo del George Washington Bridge, che ha portato alla condanna di due assistenti del governatore del New Jersey. Per la sicurezza nazionale un'ipotesi, anche se poco probabile, e' quella di SARAH PALIN. L'ex governatore dell'Alaska non ha mai nascosto che sarebbe stata interessata a un posto nell'amministrazione, ma le sue chance per il ministero degli interni sembrano limitate. A Palin potrebbe andare la guida dell'agenzia per le risorse naturali. Il neurochirurgo pediatrico BEN CARSON, ex rivale alla Casa Bianca di Trump, potrebbe approdare alla Sanità, divenendo così il protagonista di una delle prime battaglie di Trump, l'abolizione dell'Obamacare, che ha promesso nei primi 100 giorni.

A capo dello staff Trump valuta il numero uno del Republican National Committee RIENCE PRIEBUS, ma anche NEWT GINGRICH, l'ex speaker della Camera che ha aspirato alla Casa Bianca nel 2012. Gingrich è in corsa anche per la posizione di segretario di Stato.

Per il dopo John Kerry, Trump valuta anche i senatori dell'Alabama JEFF SESSION o del Tennessee BOB CORKER, ma anche il presidente del Council on Foreign Relation RICHARD HASS. Nella short list per la Difesa ci sarebbero oltre al senatore Session, il parlamentare della California DUNCAN HUNTER e JIM TALENT, dell'American Enterprise Institute.

Alla Casa Bianca come consigliere è quasi certo arrivi KELLYANNE CONWAY, la manager di origini italiane della campagna di Trump, che ha ammesso si aver ricevuto un'offerta per un posto. Per la comunicazione sono in corsa JASON MILLER e HOPE PICKS, che ha fatto da portavoce per la campagna di Trump dopo aver lavorato nelle public relation della società di Ivanka Trump.

"Con Trump perderemo due anni: il tempo che faccia il giro del mondo che non conosce": lo ha detto il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker rispondendo alle domande dei ragazzi alla Corte di Giustizia Ue a Lussemburgo. "Gli americani in generale non hanno attenzione verso l'Europa", ha detto Juncker secondo quanto riporta il giornale lussemburghese Le Quotidien. "Riguardo a Trump, credo di capire che lui pensi che il Belgio sia un villaggio da qualche parte nel nostro continente... In breve, dovremo mostrargli e spiegare cos'è l'Europa".

"E' vero che l'elezione di Trump comporta dei rischi di vedere gli equilibri intercontinentali disturbati sui fondamentali e sulla struttura", visto che "ho una lunga vita politica, ho lavorato con quattro presidenti Usa e ho constatato che tutto quello che si dice in campagna elettorale è vero un po' per tutti purtroppo", ha detto ancora il presidente della Commissione Ue rispondendo agli studenti alla Corte di Giustizia a Lussemburgo.

Sinceramente da vecchio cronista non ci riesco a capire queste manifestazioni contro il nuovo Presidente eletto democraticamente da la maggioranza degli Americani : Non si placano le proteste negli Stati Uniti contro l'elezione alla Casa Bianca di Donald Trump. La polizia di Portland, in Oregon, ha sparato pallottole di gomma e usato spray al peperoncino per disperdere una manifestazione anti-Trump degenerata in rivolta: 29 persone sono state arrestate. 

"Ci uniremo tutti e ne saremo orgogliosi": così su Twitter Donald Trump lancia un appello alla luce delle proteste esplose in molte città americane contro la sua elezione. "Amo il fatto - aggiunge il neo presidente su Twitter - che i piccoli gruppi di manifestanti la scorsa notte abbiano mostrato passione per il nostro grande Paese".

 

   

Un appello all'unità. Ma soprattutto una mano tesa agli ultimi, a quegli americani che l'amministrazione Obama ha dimenticato. Il discorso del nuovo presidente americano, Donald Trump, è un proposito a fare "l'America di nuovo grande", proprio come recita lo slogan che lo ha portato alla Casa Bianca. 

''E' una notte storica. Gli americani hanno parlato, e hanno eletto il loro campione'', ha detto Mike Pence, il candidato alla vice presidenza di Trump, salendo sul palco allestito all'Hilton con la sua famiglia.

Affiancato dall'uomo che sarà il suo vice, il governatore dell'Indiana Mike Pence, che lo presenta parlando di "una notte storica" e ringraziando gli americani per la fiducia accordata, Trump fa presente ai suoi che la Clinton lo ha appena chiamato per ammettere la sconfitta. E dopo settimane e mesi in cui l'ha chiamata "crooked Hillary", la corrotta, e "nasty woman", donna cattiva, cambia completamente registro e usa toni decisamente più concilianti."Vi prometto che non vi deluderò - assicura - faremo un lavoro eccellente". La speranza è che, alla fine dei quattro anni ("e forse anche otto anni"), gli americani possano dire che "veramente valeva la pena lavorare per questo" e che saranno "orgogliosi" di ciò che è stato fatto. "La campagna è terminata - conclude il taycoon - ma il nostro lavoro è appena all'inizio".

Trump ha vinto nettamente, e il Partito Repubblicano, che pure dall’ascesa di Trump era stato sconvolto e umiliato, ha ottenuto la maggioranza al Senato (51 seggi contro 47) e alla Camera dei Rappresentanti (236 seggi contro 191). Dopo otto anni di un potere democratico peraltro poi dimezzato (il Congresso Usa era già a maggioranza repubblicana) si passa a un Presidente che ha rivoltato il partito come un calzino al cui fianco ci sarà un Congresso repubblicano

La clamorosa ma non imprevedibile vittoria elettorale di Donald Trump lascia attoniti i faziosi ma offre infiniti spunti di riflessione ai laici veri, a quelli che non hanno paura della realtà né di farsi interrogare da essa. Uno di questi spunti è questo. Barack Obama lascia la Casa Bianca dopo otto anni molto discutibili ma che non hanno particolarmente scosso il suo prestigio personale. Tutti i sondaggi del 2016, l’anno del suo passo d’addio, gli hanno regalato risultati non malvagi. Il 57% di approvazione (con il 17% di indecisi) secondo Gallupp, il 52% (e 6%) secondo Rasmussen Reports, il 52% (e 5%) secondo Fox News e così via. La candidata del Partito democratico, Hillary Clinton, aveva lavorato con lui al Dipartimento di Stato e si presentava in linea di continuità con la sua politica. Non parliamo, poi, dell’appoggio offerto alla causa democratica dall’alta finanza, dal complesso militar-industriale, dal mondo dello spettacolo, da quasi tutti i media.

Una rivoluzione, insomma. Che nessuno aveva visto o voluto vedere. Da questo si possono trarre conclusioni. Una quanto abbiamo visto succedere con Trump è solo la replica di quanto era già successo con la Brexit. Qualunque sia l’opinione in proposito, è innegabile che l’ipotesi di una vittoria del “Leave” al referendum del giugno scorso è stata a lungo schernita, scartata. E considerata con stupore misto a panico solo nelle ultimissime ore prima del voto.

Chi ha qualche anno in più ricorderà il 1994, l’anno della discesa in campo di Silvio Berlusconi contro la “gioiosa macchina da guerra” della sinistra. Anche allora, risatine e qualche pernacchia. Fino allo scrutinio dei voti.

È un meccanismo che si ripete implacabile 

E due, scontata e poco interessante, è che con la maggior parte dei giornali ci si può ormai al più incartare il pesce. Sono diventati, ormai e quando va bene, gli house organ di questa o quella lobby. Faziosi e pallisti. Inaffidabili.

Cosi flop della Clinton - dunque - che lo chiama e gli concede la vittoria. Trump vince in quasi tutti gli 'swing state', tra gli altri Florida, Ohio, Virginia, Iowa e Nevada.

L'elezione del candidato Repubblicano pesa sui mercati ma il paventato panico non c'è.

Il tycoon, tra l'altro, lancia messaggi rassicuranti. "Sarò il presidente di tutti gli americani", ha promesso Trump.  ''Cercheremo alleanze, non conflitti, nel mondo'', dice ancora Trump, sottolineando che gli Stati Uniti "andranno d'accordo con tutti coloro che vorranno andare d'accordo con noi".

"Che bella e importante serata! Gli uomini e le donne che sono stati dimenticati non lo saranno più. Saremo tutti più uniti che mai". Così Trump sul suo profilo Twitter, 'President-elect of the United States'.

Il presidente americano Barack Obama si è congratulato con Donald Trump per la sua vittoria alle elezioni e lo ha invitato alla Casa Bianca domani. Lo riferisce la stessa Casa Bianca

Agli antipodi l'atmosfera tra i fan di Clinton, che hanno lasciato il Javits Center tra le lacrime. "Andate a casa, non avremo niente da dire stasera", dice John Podesta, il manager della campagna di Hillary Clinton, intervenendo al Javits Center.

DONALD JOHN TRUMP. Nato a New York, nel Queens, il 14 giugno del 1946 (70 anni), viene soprannominato The Donald e ama farsi definire tycoon. Non si è fatto proprio da solo. Suo padre Fred era un facoltoso investitore da cui ha ereditato un'impero immobiliare.

Nel 1959 per problemi comportamentali lascia il liceo ed entra nella New York Military Academy. Dal 1966 comincia a lavorare nell'azienda di famiglia e nel 1968 si laurea alla Wharton School of Finance and Commerce, in Pennsylvania, dove ha studiato economia e real estate.

Nel 1971 è a capo della Trump Organization con sede a Manhattan che possiede quasi 20 mila edifici ed appartamenti in tutta New York. Nel 1977 sposa la prima moglie, Ivana Zerlnickova, da cui ha tre figli: Donald jr., Eric e Ivanka.

Dalla fine degli anni '70 comincia la sua scalata personale, che lo porterà a costruire diversi grattacieli con il suo nome a New York e in giro per gli Usa, oltre ai casinò di Atlantic City e ai resort come quello di Palm Beach in Florida.

Nel 1992 divorzia dalla prima moglie e l'anno dopo sposa Marla Maples (da cui divorzia nel '99) dopo la nascita di Tiffany.

Nel 2004 diventa una star tv con il reality 'The Apprentice', e nel 2005 sposa una modella slovena, Melania Knauss, da cui nasce Barron William.

Nel 2015 annuncia la sua candidatura alla Casa Bianca dopo essersi battuto per dimostrare (invano) che Barack Obama era nato in Africa.

Le reazioni alla vittoria di Donald Trump secondo le agenzie di stampa Italiane oscillano tra la soddisfazione e la preoccupazione.

"I legami tra Ue e Usa sono più profondi di qualsiasi cambiamento politico. Continueremo a lavorare insieme, riscoprendo la forza dell'Europa". Così l'Alto commissario Federica Mogherini su Twitter dopo l'elezione di Donald Trump.

NATO. "La Nato è importante per la sicurezza collettiva in Europa, ma lo è anche per quella degli Stati Uniti" perché "l'unica volta che è stato invocato l'art.5" per la difesa collettiva l'Alleanza "è stato dopo l'attacco agli Usa" del 9/11 con l'intervento in Afghanistan. Lo ha detto il segretario generale Jens Stoltenberg dopo essersi "congratulato con Donald Trump" per l'elezione aggiungendo di "non vedere l'ora" di discutere col nuovo presidente, ricordando che "l'impegno alla difesa collettiva" è "assoluto e garantito". 

RUSSIA. Vladimir Putin. "Abbiamo sentito le dichiarazioni elettorali dell'allora candidato alla Casa Bianca Donald Trump mirate a ripristinare i rapporti fra la Russia e gli Usa. Noi capiamo e ci rendiamo conto che sarà un percorso difficile dato il deterioramento in cui si trovano le nostre relazioni. La Russia è pronta a far la sua parte e desidera ricostruire i rapporti a pieno titolo con gli Usa".  Putin si è "congratulato" con Donald Trump per la vittoria e si augura che i "rapporti russo-americani possano uscire dalla crisi". Il presidente russo - che ha inviato un telegramma al nuovo presidente Usa - si dice "sicuro" che il dialogo fra Mosca e Washington, basati sul rispetto reciproco, rispondano "agli interessi dei due paesi". Lo fa sapere il Cremlino citato dalla Tass.

Tra i primi a parlare i russi con il presidente delle Commissione Affari Esteri del Senato Konstantin Kosachev: si "concretizza una piccola speranza" per migliore i rapporti russo-americani, anche se Trump "sarà frenato dal Congresso a trazione repubblicana".  "Ma - aggiunge - meglio rispetto alla disperante prospettiva di un'America guidata dalla Clinton", ha aggiunto. 

EUROPA. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e quello della Commissione Jean Claude Juncker si sono congratulati con Donald Trump in una lettera congiunta. "Oggi - scrivono - è più importante che mai rafforzare le relazioni transatlantiche. Non dovremmo risparmiare alcuno sforzo per assicurare che i legami tra noi restino forti e duraturi". Nella missiva, Tusk e Juncker hanno anche invitato Trump a visitare l'Europa per un summit Ue-Usa appena possibile.
Poi sempre Tusk: "Questa mattina ci siamo congratulati con il presidente eletto Donald Trump ma, nonostante sia una scelta democratica dei cittadini americani, siamo consapevoli delle nuove sfide che porta", di cui la prima è "l'incertezza delle nostre relazioni transatlantiche". Tusk ha quindi rivolto un "appello", dopo quello all'unità Usa da parte di Trump, "all'unità Ue e transatlantica", ricordando le "origini comuni" dovute agli immigrati europei in Usa e l'aiuto Usa per costruire l'Ue.
Il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ha affermato che con Donald Trump presidente Usa "sicuramente la relazione transatlantica diventerà più difficile". Schulz, intervistato dal primo canale pubblico tedesco Ard, ha fatto un parallelo con "le grandi paure" suscitate da Ronald Reagan e ha premesso che "il sistema degli Stati Uniti è forte abbastanza per reggere un presidente Donald Trump e integrarlo". Dopo l'ufficialità nel congratularsi con Donald Trump, il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz ha espresso la "speranza che rispetterà i diritti e le regole fondamentali". Questo è un momento difficile nelle relazioni Usa-Ue - ha ribadito - ma Trump merita pieno rispetto". "Le campagne elettorali sono cosa diversa dalla politica - ha aggiunto - spero che ora ci sia un ritorno alla razionalità e che Trump si attenga alla costituzione americana". "Noi - ha concluso - siamo pronti a collaborare".

MESSICO. "Ovviamente il Messico non pagherà per il suo maledetto muro": molto dura la prima reazione dell'ex presidente messicano Vicente Fox dopo l'elezioni alla Casa Bianca di Donald Trump, che ha fatto della costruzione di un muro sulla frontiera fra gli Usa e il suo vicino meridionale un leitmotiv della sua campagna elettorale. Fox, uno dei leader del Partito di Azione Nazionale (Pan, opposizione di destra), ha detto che Trump è "un uomo d'affari mediocre" che "non capisce la differenza fra condurre un'impresa e governare un paese come gli Stati Uniti". "Se gli venisse veramente in mente di costruire il suo muro, scoprirà che noi messicani siamo come i nostri peperoncini: piccoli, ma piccanti", ha sottolineato l'ex presidente.

FRANCIA. "Dopo il Brexit, dopo l'elezione di Trump, l'Europa non si deve piegare. L'Europa deve essere più solidale e più attiva e più offensiva. Non dobbiamo abbassare la testa, serve un'Europa piu solidale, non dobbiamo chiuderci su noi stessi. In questo mondo di incertezze la Francia e l'Europa hanno oggi il compito di rassicurare": lo ha detto il ministro degli Esteri francese, Jean Marc Ayrault, intervistato in diretta su France 2. "Gli USa - ha aggiunto .- sono i nostri alleati. Vogliamo continuare a lavorare con loro. Se i risultati saranno confermati ci congratuleremo con Donald Trump". "Questa elezione americana apre un periodo di incertezza. Va affrontata con lucidità e chiarezza": lo ha detto il presidente francese, Francois Hollande, commentando la vittoria di Donald Trump alla Casa Bianca. Bisogna essere "vigili e sinceri" con il partner Usa, ha precisato Hollande, congratulandosi "com'è naturale che sia" con il candidato repubblicano.

"Oggi gli Stati Uniti, domani la Francia": lo scrive in un tweet Jean-Marie Le Pen, commentando i primi risultati delle elezioni Usa. In un altro cinguettio il fondatore del Front National parla di "formidabile calcio nel sedere ai sistemi politico-mediatici mondiali e anche francesi". "I popoli hanno bisogno di verità e coraggio. Brava America!", conclude il fondatore dell'estrema destra francese, aggiungendo: "Viva Trump".

GERMANIA. Germania e gli Usa sono legati da "valori" comuni e la Germania offre a Donald Trump una "stretta collaborazione": lo ha detto a Berlino la cancelliera Angela Merkel congratulandosi per la sua elezione.

Il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier ha detto che sebbene le elezioni americane sono andate "diversamente" da quanto molti avrebbero desiderato "dobbiamo accettare" l'elezione di Donald Trump. Steinmeier, in una dichiarazione fatta a Berlino e trasmessa in diretta dalla tv N24, ha detto inoltre che ora "nulla e' piu' facile, molto diventa piu' difficile".

ISRAELE. Donald Trump "è un amico sincero dello stato di Israele. Agiremo insieme per portare avanti la sicurezza, la stabilità e la pace nella nostra regione". Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu che si è felicitato con il presidente eletto. "Il forte legame tra Usa e Israele - ha aggiunto - si basa su valori, interessi e destino comuni. Sono sicuro che Trump ed io - ha concluso - continueremo a rafforzare l'alleanza speciale tra i due paesi e la eleveremo a nuove vette

 EGITTO. Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi si è congratulato con Donald Trump per la vittoria alle elezioni presidenziali americane. Lo rende noto la presidenza del Cairo. Sisi ha "augurato a Trump successo nel suo lavoro e ha auspicato una nuova era nei rapporti tra i due Paesi con un rafforzamento delle relazioni di cooperazione a tutti i livelli tra l'Egitto e gli Stati Uniti" ma anche della "pace e della stabilità nella regione mediorientale alla luce delle grandi sfide che sta affrontando".

TURCHIA. "Il popolo americano ha fatto la sua scelta e con questa scelta negli Stati Uniti inizia una nuova stagione. Auguro un futuro felice agli Stati Uniti, interpretando favorevolmente la scelta del popolo americano". Così il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sull'elezione di Donald Trump alla presidenza Usa.

COREA DEL SUD. La presidente sudcoreana Park Geun-hye ha sollecitato un rapido avvio della cooperazione con la nuova amministrazione Usa rimarcando la necessità di lavorare a stretto contatto di fronte alla crescente minaccia nucleare e sui missili della Corea del Nord. Nella riunione del Consiglio sulla sicurezza nazionale, Park ha sollecitato tutto il governo a "fare il massimo" per assicurare che sotto l'amministrazione Trump Seul e Washington lavorino insieme in modo "deciso" perché Pyongyang rinunci ai suoi piani attraverso "pesanti sanzioni".

GRAN BRETAGNA. Gran Bretagna e Stati Uniti rimarranno "partner stretti e vicini". Lo ha detto la premier britannica Theresa May congratulandosi con Donald Trump per l'elezione alla presidenza degli Usa. May si augura di parlare della "relazione speciale" fra i due Paesi "nella prima occasione possibile".

IRAN. "Il risultato delle elezioni negli Stati Uniti non ha alcun effetto sulle politiche della Repubblica islamica dell'Iran". Lo ha detto il presidente iraniano, Hassan Rohani, nel corso di una riunione di gabinetto riportata nel sito ufficiale della presidenza. Per Rohani, "il risultato dell'elezione indica instabilità all'interno degli Usa e sarà necessario un lungo tempo per la rimozione di questi problemi e differenze interni".

TURCHIA. "Ci congratuliamo con Trump. Invito apertamente il nuovo presidente all'estradizione urgente di Fethullah Gulen, la mente, l'esecutore e l'autore dello scellerato tentativo di colpo di stato del 15 luglio" in Turchia. Così il premier di Ankara, Binali Yildirim, dopo l'elezione di Donald Trump alla presidenza Usa, sottolineando che la consegna di Gulen alle autorità turche potrebbe rappresentare un "nuovo inizio" nelle relazioni tra i due Paesi, già segnate da una "partnership strategica".

SERBIA. "Che magnifica notizia. La democrazia e' ancora viva". Cosi' il premier conservatore ungherese Viktor Orban ha commentato la vittoria di Donald Trump nelle presidenziali Usa, con un messaggio su Facebook riferito dai media serbi.

CINA. Il presidente cinese Xi Jinping ha inviato un messaggio di congratulazioni al neo presidente Usa Donald Trump affermando di voler lavorare con lui nel rispetto del "win-win principle", vale a dire di una collaborazione vantaggiosa per entrambe le parti. E' quanto riportano i media ufficiali, in merito alla prima reazione della massima leadership di Pechino alla vittoria di Trump alle presidenziali americane.

Sono bastate quattro ore: dall'80% di possibilità di vittoria, Hillary Clinton è crollata a un drammatico 6%. Un declino inesorabile che dalla chiusura dei primi seggi all'una italiana, ha visto Donald Trump avanzare inesorabilmente fino a ribaltare le previsioni: alle 5 del mattino le sue chances di conquistare la Casa Bianca, secondo il New York Times, sono pari al 94%. È sua la decisiva Florida, insieme ad altri due stati chiave come l'Ohio e il North Carolina. Smentiti i sondaggi che alla vigilia del voto davano Hillary in vantaggio sul tycoon, seppur con un margine che non lasciava niente di scontato.

«Speriamo che sia femmina, se fosse Trump il nuovo presidente sarebbe un disastro», aveva detto Renzi ancora lunedì. E adesso che gli americani, a dispetto di ogni previsione e anche del buonsenso, hanno scelto The Donald, il premier italiano è costretto a rivisitare la sua opinione. Anche se lo fa in punta di piedi. Così: «Abbiamo di fronte un mondo che vede dei cambiamenti inattesi. Chi avrebbe mai detto, un anno fa, che la campagna di Donald Trump, non solo per le elezioni ma anche per le primarie, avrebbe potuto ottenere consenso prima all'interno del partito repubblicano e poi nell'America profonda? E invece è accaduto, e noi oggi diciamo che abbiamo rispetto per il voto del popolo americano e che collaboreremo con la nuova presidenza degli Stati Uniti d'America

Per Matteo Renzi è il giorno del Grande Imbarazzo. Fino alla vigilia del voto americano, il premier ha fatto un tifo forsennato a favore di Hillary Clinton.

Bisognerà vedere quanto Trump vorrà collaborare con l'Italia e più in generale con l'Europa. La sua campagna elettorale è stata improntata a slogan isolazionisti e protezionisti. Tipo la minaccia di uscire dalla Nato e il disimpegno da tutti i teatri di crisi internazionali.

Il governo russo è pronto a "un dialogo costruttivo per la cooperazione" con il futuro presidente americano Donald Trump ma non sente "nessuna euforia": lo ha dichiarato il vice ministro degli Esteri russo Serghiei Riabkov.

"Non vorrei - ha detto Riabkov - che il nostro pubblico avesse l'impressione che siamo pieni di rosee speranze. Bisogna dire che le posizioni dichiarate dai rappresentanti della campagna di Trump e dalle persone che lo circondano nei confronti della Russia sono state abbastanza dure e noi non abbiamo visto nessun motivo per rivedere in qualche modo la nostra valutazione che negli Usa durante la campagna elettorale si è formato difatti un consenso dei due partiti su base antirussa". Riferendosi alle relazioni tra Usa e Russia con i vari presidenti americani, il vice ministro ha sottolineato che "ci sono stati dei periodi in cui si partiva bene, con buona comprensione, e poi la situazione si trasformava in crisi".  

Durante la campagna elettorale per le presidenziali americane, "ci sono stati dei contatti" tra la Russia e i membri del team di Donald Trump, ha aggiunto il vice ministro russo, secondo quanto riferisce Interfax. Rispondendo a un giornalista che gli chiedeva se questi contatti si intensificheranno dopo la vittoria di Trump, Riabkov ha risposto: "Si tratta di questioni di lavoro, e la successione delle azioni dipenderà dai temi che affronteremo. Naturalmente continuiamo questo lavoro anche dopo le elezioni".  

Intanto oggi Trump sarà ricevuto alla Casa Bianca da Barack Obama. Un incontro che servirà a cominciare quel passaggio di consegne che in America dura oltre un mese. Sarà un periodo di transizione in cui il nuovo presidente dovrà formare il nuovo governo e scegliere chi mettere nei posti chiave dell'amministrazione. Poi, concluso il processo elettorale con l'insediamento del nuovo Congresso e il voto dei grandi elettori, il giorno dell'ingresso di Donald Trump e della nuova first lady Melania alla Casa Bianca, il 20 gennaio prossimo. Ad attendere Trump ci sarà un Congresso 'amico'. Perché dalle urne dell'Election Day è uscita anche una schiacciante vittoria del Grand Old Party, che mantiene il controllo sia della Camera dei Rappresentanti che del Senato.

Il cosiddetto 'transition team' del nuovo presidente Usa Donald Trump avrebbe gia' elaborato una 'short list' di 41 nomi per riempire le varie caselle della futura amministrazione. Lo riportano alcuni media. Tra i nomi individuati ci sarebbero l'ex sindaco di New York Rudi Giuliani, in pole, come ministro della giustizia, e il deputato Duncan Hunter come possibile capo del Pentagono.

Decine di migliaia di persone al grido di 'Not My President' sono scese in strada in tutti gli Stati Uniti per protestare contro l'elezione di Trump. Le due manifestazioni piu' imponenti a New York e Chicago. Almeno 30 persone sono state arrestate a Manhattan dove si e' svolta una imponente manifestazione contro Donald Trump. In migliaia, nonostante la pioggia, si sono radunati a Union Square e hannno poi sfilato verso Midtown fino alla blindatissima Trump Tower sulla Fifth Avenue , dove si trova l'abitazione del nuovo presidente Usa. Paralizzato per ore il traffico nella zona. Tensione ed arresti anche a Columbus Circle, all'ingresso Nord di Central Park, dove si trova il grattacielo del Trump Hotel. Tutta l'area dove si trova la residenza del nuovo presidente, uno dei cuori pulsanti dello shopping e del turismo a Manhattan, e' blindatisssima. I voli sopra la zona sono stati vietati. L'isolato della Trump Tower e' circondato da camion 'anti-bomba' pieni di sabbia e da decine di agenti alcuni in tenuta antisommossa. Questi ultimi presidiano anche l'ingresso della residenza della famiglia Trump. 

Ci avevano detto che sarebbe stata l'apocalisse finanziaria. Ma così non è stato...L'agenzia internazionale Standard and Poor's conferma "Aa+" al rating degli Stati Uniti. L'outlook, in più, resta stabile. E l'orizzonte dei mercati si rasserena dopo lo choc per la vittoria di Trump alle elezioni americane. Non è certo un mistero che la finanza mondiale tifasse per Hillary Clinton. In più di un'occasione hanno reso pubblico il proprio endorsement. Tuttavia l' appello all' unità appena e stato eletto e la mano tesa della sua avversaria sembrano aver rassicurato i mercati. Se la vittoria dei "Leave" al referendum sulla Brexit si era risolta in qualche seduta volatile seguita da un ritorno alla normalità, non solo il trionfo di Trump non ha causato alcuna apocalisse sui mercati ma l'indomani le turbolenze hanno addirittura lasciato il passo ai guadagni. Il temuto "Trump Slump" non si è quindi verificato, anzi, è stato seguito da un "Trump Bump", con l'andamento rialzista di Wall Street che ha trainato le borse europee a una chiusura decisamente positiva.

Ci ha visto giusto anche stavolta. Come del resto ad ogni occasione da trentadue anni a questa parte. Nonostante il parere contrario dei sondaggisti e di gran parte dei media, pronti a scommettere sulla vittoria di Hillary Clinton, Allan Lichtman, sessantanovenne storico e docente dell’American University di Washington, aveva infatti  pronosticato il trionfo dell’outsider Donald Trump.

Un metodo denominato Keys to the White House e basato su tredici affermazioni/domande chiave per comprendere le dinamiche delle elezioni presidenziali americane: 

1. Mandato del partito: dopo le elezioni di metà mandato, il partito in carica ha guadagnato seggi alla Camera dei deputati rispetto alle precedenti elezioni di metà mandato 

2. Competizione: non c’è stata competizione per la nomination del partito in carica 

3. Incarico: il candidato del partito è anche il presidente in carica 

4. Terzo partito: non c’è un terzo partito significativo o una campagna elettorale indipendente  5. Economia a breve termine: l’economia non è in recessione durante la campagna elettorale 

6. Economia a lungo termine: la crescita economica pro capite durante l’ultimo mandato è stata uguale o maggiore a quella dei due mandati precedenti 

7. Cambio di linea politica: l’amministrazione in carica ha realizzato importanti cambiamenti nella politica nazionale 

8. Instabilità sociale: non c’è stata una prolungata instabilità sociale durante l’ultimo mandato 

9. Scandali: l’amministrazione in carica è incontaminata da importanti scandali 

10. Fallimenti militari e/o in politica estera: l’amministrazione in carica non ha subito rilevanti fallimenti militari o in politica estera 

11. Successi militari e/o in politica estera: l’amministrazione in carica ha ottenuto considerevoli successi militari o in politica estera 1

2. Carisma del candidato del partito in carica: il candidato del partito in carica è carismatico o è un eroe nazionale 

13. Carisma dello sfidante: il candidato del partito sfidante non è carismatico né un eroe nazionale

 

Le ragioni di questa indovinata predizione? Tanta esperienza e, soprattutto, un metodo matematico a quanto pare infallibile.

 

«Sulla base dei 13 tasti - aveva spiegato a settembre Lichtman in un’intervista al Washington Post - si potrebbe prevedere una vittoria di Donald Trump. In questo momento i democratici sono fuori - sicuro - di cinque. La chiave 1 è il mandato del partito: nelle elezioni di medio termine si sono schiacciati. Chiave 3: il candidato non è il presidente in carica. Chiave 7: nessun grande cambiamento di politica nel secondo mandato di Obama. Chiave 11: nessun grande successo di politica estera. E chiave 12, Hillary Clinton non è un Franklin Roosevelt. Ancora una chiave e i democratici sono in calo, e noi abbiamo Gary Johnson (candidato del Partito Libertariano n.d.r.). Se lui ottenesse il 5 per cento dei voti anche la chiave 4 sarebbe falsa: la sesta per i democratici. Quindi tutto sembra indicare una vittoria di Trump». Aveva proprio ragione lui.

 

Stando a questo sistema/questionario inventato nel 1860 e illustrato da Lichtman, che lo utilizza con successo dalle elezioni del 1984, nel libro Predicting the Next President, se ad almeno sei delle precedenti considerazioni si risponde con un “falso”, a esultare nelle Presidenziali non sarà il partito in carica bensì quello sfidante. Esattamente ciò che è capitato al partito Repubblicano di Donald Trump.

 

La stampa americana, sempre assai snob quando gli conviene, l'ha definita una «C-List», ossia una lista di serie C, nonostante il nome più grande tra i sostenitori Vip di The Donald fosse in realtà il più famoso oltre che il più blasonato di tutti: Clint Eastwood, che oltretutto ha incontrato più volte Trump nel corso del 2016. Tra gli altri supporter si contano Puff Diddy (vero nome Sean Combs), ex di Jennifer Lopez che invece ha tifato per Hillary, poi Mike Tyson, Chuck Norris, il leader dei Kiss Gene Simmons, il giocatore di football Tom Brady, l'eroe della chitarra rock Ted Nugent, la Tila Tequila famosa per il suo decollète, e uno dei personaggi cult della tv anni Settanta e Ottanta: Lou Ferrigno, celebre per L'incredibile Hulk nonché due volte Mister Universo. Due metri e 137 chilogrammi di peso che sono arrivati a dire: «Donald è il migliore». 

 

Naturalmente una frase accolta tra i sorrisi di sufficienza della grande stampa. Dopotutto, la «C-List» non spostava voti. Ma solo ieri si è confermato che non ne ha spostato neanche la roboante «A-List». E ora che Clinton ha perso e Clint ha vinto, si fanno i conti. Ovviamente è iniziato il cosiddetto «band wagoning», ossia quel fenomeno tipicamente italiano di salire sul carro del vincitore. 

 

Sulla poltrona che è stata di Obama si siederà il magnate colorato d'arancione e il Presidente emerito della Repubblica mastica amaro. Giorgio Napolitano non riesce a capacitarsene, ma la realtà è lì sotto gli occhi di tutti: Donald Trump è stato eletto 45esimo presidente degli Stati Uniti d'America. In un intervento pubblicato oggi sul quotidiano torinese La Stampa Napolitano prova ad analizzare "l'impensabile" trionfo del tycoon nella corsa per la Casa Bianca, contro "gli equilibri sociali ed elettorali, le basi di convivenza civile, la dialettica partitica" tradizionali della galassia a stelle e strisce.

PUBBLICITÀ

inRead invented by Teads

Il predecessore di Sergio Mattarella scrive di "un rigetto di istituzioni e regole tradizionali", intriso di "demagogia, irragionevolezza, carica distruttiva e disgregativa". In definitiva dal suo ragionmento emerge il ritratto della vittoria di chi è insoddisfatto di ogni tipo di establishment e colpito dalla globalizzazione. Dopo un rapido mea culpa per le politiche europee di austerity che "non sono valse dinnanzi alla crisi" (sic), Napolitano invita i democratici sconfitti a fare autocritica.

E conclude augurandosi che il moderato discorso della vittoria rifletta, "ci auguriamo", qualche consapevolezza delle responsabilità di un presidente

Negli Stati Uniti, Lady Gaga a parte, si mette in pratica per lo più con il silenzio, a meno di non essere come Susan Sarandon che, odiando pubblicamente Hillary Clinton, ha subito espresso il suo favore per l'altro candidato democratico Bernie Sanders e poi ha evitato altre dichiarazioni. Una situazione più o meno simile a quella verificatisi dopo l'elezione di George W. Bush, quando alcune rockstar (tra le altre anche Pearl Jam, Neil Young e REM) avevano addirittura organizzato un tour musicale negli Stati Uniti contro il candidato repubblicano. Centinaia di migliaia di biglietti venduti ma zero influenza alle urne. Idem adesso. Con una differenza. 

 

Si è creata una «Zero-List», ossia la lista delle celebrità come Madonna o Bruce Springsteen o Robert De Niro che risultano ininfluenti ai fini elettorali. Per loro probabilmente è stato l'ultimo endorsement presidenziale e, senza dubbio, l'ultimo apertamente invocato dai candidati. A conferma che, per restare credibile, il pop deve essere popular e trasversale. Se smette di esserlo e si schiera apertamente, dimostra di non avere più alcun peso specifico.

 

Nessuno, compresa la generosa Madonna che aveva promesso più sesso orale per tutti gli elettori di Clinton, fino a ieri sera ora italiana ha fiatato dopo lo sberlone elettorale della loro protegèe. E dire che in questi ultimi dodici mesi erano scesi in campagna elettorale manco fossero candidati. Molti in modo garbato, come negli ultimi giorni Beyoncé o Rihanna o Meryl Streep o Katy Perry. 

 

Altri in maniera molto meno civile come un insolitamente arrabbiato Robert De Niro che non ha usato giri di parole: «Trump è un maiale, lo prenderei a pugni, mi fa arrabbiare che questo paese sia al punto di consentire a quest'idiota di arrivare sin qui». Noblesse oblige. Nel complesso, la lista dei clintoniani è lunghissima: da Leonardo Di Caprio, Richard Gere, Jessica Alba, Ben Affleck fino a Jennifer Aniston, Justin Timberlake, Bruce Springsteen, Jon Bon Jovi e via dicendo. Uno spiegamento di grandi nomi che, secondo gli analisti, non ha spostato gli equilibri di voto. Né stavolta né nelle altre campagne elettorali. 

L'unica eccezione (e sono sempre gli analisti a confermarlo) è stato l'endorsement di Oprah Winfrey nel 2007 a Barack Obama. E lo conferma anche la schiera di vip che nel corso di questi ultimi mesi si è espressa a favore di Donald Trump

Non accenna a placarsi il livello della polemica sul filo Roma-Bruxelles dopo l'acceso scambio di vedute di ieri fra il premier Renzi ed il presidente della Commissione europea Juncker. Ancora oggi il capo del governo italiano è tornato a criticare l'Ue sottolineando che "il tempo dei diktat è finito" e rilanciando l'idea di un'Italia "forte, che non va in Europa a farsi spiegare quello che deve fare, ma porta in Europa le sue idee e i suoi valori". 

"Smettiamo di dirci 'ce lo chiede l'Europa' e cominciamo noi a dire cosa vogliamo - ha detto rivolto ad un gruppo di sindaci dell'Astigiano incontrati questa mattina - Non possiamo essere il salvadanaio di Paesi che reclamano solidarietà solo quando c'è da prendere e non da dare". 

In tour perenne per portare in giro per l'Italia le ragioni del Sì al referendum, Renzi fa spot a Hillary Clinton e si mostra tutto interessato al risultato delle presidenziali americane. In realtà, in cima ai suoi pensieri c'è soltanto la consultazione del 4 dicembre che darà il disco verde o rosso alle riforme costituzionali varate dalla "sua" maggioranza. Sul referendum, però, grava anche un inaudito scontro con l'Unione europea che in questi giorni sta vagliando il contenuto della legge di Bilancio. "C'è un Paese che ha bisogno di una forte spinta nella stessa direzione da parte di tutti - spiega Renzi - il mondo istituzionale va difeso un po' di più. Gli altri Paesi fanno squadra quando c'è da fare l'interesse nazionale. Noi invece siamo abituati a portare avanti le polemiche, i distinguo - continua - lavoriamo perché l'Italia sia più forte in Europa e nel mondo". Il punto, per Bruxelles, è che l'Italia starebbe barando stiracchiando i conti pubblici e abusando della flessibilità concessa dall'Unione europea.

Juncker, che ieri se l'era già presa con il Governo di Roma colpevole di accusare a "a torto" la Commissione di reiterare l'austerità del passato, dicendo di "fregarsene" delle posizioni di Renzi, anche oggi è tornato sull'argomento rimarcando che "non siamo una banda di tecnocrati e di burocrati", rivendicando la dimensione "politica" della Commissione europea da lui presieduta e sottolineando l'importanza di "guardare la realtà degli Stati membri" nell'interpretazione e applicazione del Patto di stabilità con la necessaria flessibilità, anche se non bisogna "tradire i principi del Patto, che comunque funziona".

Sulla sostanza del dibattito, ovvero la manovra, Renzi però aveva tenuto il punto: "Juncker dice che faccio polemica. Noi non facciamo polemica, non guardiamo in faccia nessuno. Perché una cosa è il rispetto delle regole, altro è che queste regole possano andare contro la stabilità delle scuole dei nostri figli. Si può discutere di investimenti per il futuro ma sull'edilizia scolastica non c'è possibilità di bloccarci: noi quei soldi li mettiamo fuori dal Patto di stabilità, vogliano o meno i funzionari di Bruxelles". Il premier è restato quindi fermo sui numeri inseriti nella bozza di legge di stabilità presentata a Bruxelles: 0,2% di spese per prevenzione e messa in sicurezza del territorio (tra cui il progetto 'Casa Italia') e 0,2% per l'accoglienza migranti. In totale uno 0,4% che, se venisse scontato dal deficit strutturale, lo porterebbe a 1,2%, soglia che non richiede alcuno sforzo. In precedenza lo stesso Juncker aveva accennato ad uno sforzo pari allo 0,1%, per poi precisare, tramite la sua portavoce, che quella cifra era "improvvisata" ed è stata "successivamente corretta".

Nel mezzo, il commissario Moscovici e il ministro dell'economia Padoan ieri hanno tentato, in un ennesimo bilaterale dopo l'Eurogruppo, di avvicinare le posizioni prima del giudizio europeo sulla stabilità 2017 in arrivo la prossima settimana. Moscovici ha cercato a fine giornata di sminare il terreno su cui si muove il confronto tra Roma e Bruxelles, spiegando che  non c'era alcun intento aggressivo di Juncker, solo una risposta diretta a commenti altrettanto diretti giunti dall'Italia.

Moscovici ha spiegato che la Commissione tiene in conto "la situazione particolare di un Paese in prima linea per conto dell'Ue nell'accoglienza dei migranti, e anche i fenomeni naturali, le catastrofi come il terremoto". Ma "prendendo tutto questo in considerazione, resta ancora del lavoro da fare", ha sottolineato, spiegando che "anche se prendiamo in considerazione tutta la flessibilità, anche se il Patto è
intelligente, ci sono delle regole che vanno rispettate da tutti. La Commissione è estremamente comprensiva, ma le regole vanno rispettate".

Nella discussione si è introdotto anche il ministro dello sviluppo Calenda da parte sua commenta: "Ho sentito il gabinetto Juncker e loro la battuta la riferiscono all'accusa di essere a favore dell'austerita' e quindi non verso l'Italia, ma resta infelice, anzi infelicissima. Quello che mi ha colpito di piu' rispetto al 'me ne frego' e' che Juncker abbia citato una serie di numeri sul deficit italiano assolutamente sbagliati e un portavoce dice che ha improvvisato, il che lascia qualche preoccupazione".

Per l'Italia, sottolineavano  ambienti del Mef, le spese per migranti e terremoto sono spazio di bilancio sottratto alla politica economica per cause di forza maggiore o, usando il linguaggio del Patto, per circostanze eccezionali. E' per questo che l'Italia insiste con Bruxelles per riaverlo indietro. Moscovici ha segnalato però che c'è ancora del lavoro da fare per avvicinare le posizioni, ed ha ricordato che, anche prendendo in considerazione tutta la flessibilità possibile, "ci sono delle regole che vanno rispettate da tutti".

Con l'Italia "resta ancora del lavoro da fare per avvicinare completamente punti di vista, cifre e misure", e per questo il commissario agli affari economici Pierre Moscovici vedrà oggi in bilaterale il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan per la "quindicesima o sedicesima volta nel 2016": lo ha detto il commissario entrando all'Eurogruppo.
"E' da tempo che lavoriamo con il Governo italiano in modo costruttivo, la Commissione è pronta a prendere in considerazione una certa quantità di flessibilità, prevista nella comunicazione", ha detto il commissario.

    

 

Pubblicità laterale

  1. Più visti
  2. Rilevanti
  3. Commenti

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI