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Adesso che il governo giallorosso è in panne, Beppe Grillo è tornato a giocare dal suo mazzo la carta Cina. Venerdì il fondatore del Movimento 5 Stelle era a Roma, dove ha avuto modo di cenare con l’ambasciatore cinese in Italia, Li Junhua; sabato la replica, con un altro incontro nel pomeriggio. In mezzo il faccia a faccia con Luigi Di Maio. Facciamo un passo indietro: secondo "inside over" Grillo ha sudato quattro camice, ma alla fine è riuscito a salvare il figliol prodigo Di Maio da una morte politica certa. Il deus ex machina del Movimento 5 Stelle ha benedetto una nuova alleanza Pd-M5s e rimesso Di Maio in carreggiata, proprio quando quest’ultimo sembrava ormai spacciato. Torniamo all’ambasciata cinese: qui Grillo e il signor Li hanno parlato per ore. Che cosa si saranno mai detti? Le cronache parlano di “svendita italiana” alla Cina. Fuori di metafora, Grillo cercava una garanzia sul piano internazionale, e l’unico che potesse gettargli un’ancora di salvezza era il gigante cinese.

Il nuovo binomio M5s-Pd è una scatola cinese che racchiude quattro messaggi a Pechino. Il primo: vi ricordate il memorandum sulla Nuova Via della Seta? Procediamo con la fase due, ovvero con una maggiore cooperazione in barba agli alleati europei e agli Stati Uniti di Donald Trump. Il secondo: per quanto riguarda l’ex Ilva di Taranto i grillini sondano il terreno per capire se qualche gruppo cinese possa sostituirsi ad ArcelorMittal. Il terzo: apertura sul 5G. Il quarto e più importante: Romano Prodi è pronto a tornare in campo, ma non nella bagarre tra partiti bensì nella corsa al Quirinale.

Prodi ha più volte speso parole al miele per il piano commerciale varato da Xi Jinping, e una sua ipotetica presenza al vertice delle istituzioni italiane garantirebbe alla Cina la fedeltà italiana su questioni spinose. Tra l’altro, lo stesso Prodi è stato recentemente nominato dal governo cinese “Advisor Council” del Belt and Road Forum. In altre parole, Grillo sta utilizzando la Cina per cementare l’alleanza di governa tra Movimento 5 Stelle e Partito democratico, un’operazione agevolata dalla piattezza dei democratici in ambito internazionale, molto più impegnati a mettere in ordine i cocci del proprio partito. La Cina è una superpotenza ed è necessario dialogare con il suo governo. Ma per farlo serve una maggiore esperienza, quella che i grillini hanno più volte mostrato di non possedere

Intanto continua la linea buonista del conduttore del tempo che fa e quella andata in onda ieri sera non è stata un'intervista. È stato un monologo di Carola Rackete. Fazio per tutta l'intervista non ha mai ricordato alla Rackete le conseguenze del suo gesto e anche i gui giudiziari che ha affrontato per la violazioni delle leggi dello Stato. L'entrata in porto a Lampedusa è diventata una sorta di "passeggiata" senza ricordare i rischi della sua manovra. Ma del tappeto rosso per la Rackete non bisogna certo stupirsi. difficilmente ci si aspettava una critica da parte di Fazio contro le gesta della Rackete. Il tutto è stato poi rafforzato dal racconto di un migrante che ha parlato del suo viaggio durante un anno per raggiungere l'Italia dall'Africa.

La clip che ha "narrato" le gesta della capitana della Sea Watch tre ha ovviamente calmierato tutte le infrazioni di quella notte in cui con una manovra spericolata ha speronato una motovedetta della Guardia di Finanza. Poi è iniziato il "peana" intonato da Fazio in onore della Rackete. La capitana ha ribadito le sue ricette per la gestione dei flussi che ovviamente hanno un comune denominatore: l'accoglienza dei migranti in Europa con l'aiuto delle ong.

Ma c'è un gesto che più di ogni altro ha stupito il pubblico da casa. O meglio quella parte di pubblico e non sono pochi che non la pensa come la Rackete o come la Linardi, la portavoce di Sea Watch Italia, presente (pure lei) in studio. Proprio quando l'intervista alla Rackete era conclusa, il conduttore ha deciso di alzarsi in piedi e di applaudire gli ospiti mentre si trovavano ancora accomodati sulle poltrone di Che tempo che fa.    

Un gesto questo che nello spettacolo e non solo ha il sapore di tributo, di standing ovation che si riserva ad esempio ai grandi artisti oppure a personalità che per il loro impegno civile hanno servito lo Stato. Ebbene nessuno degli ospiti presenti in studio avrebbe meritato certo un tributo del genere. Fazio, col suo gesto, ha poi trascinato anche una parte del pubblico in studio ad applaudire in piedi la capitana di una nave che ha speronato la Gdf. Sia chiaro, nel linguaggio televisivo gli applauso fanno parte della funzione scenica di uno spettacolo, ma in piedi forse è stato un po' troppo...

Il maltempo non dà tregua nemmeno al mare, la cui forza ha fatto rovesciare, ieri, un barcone carico di migranti. E proprio a loro pensava Laura Boldrini, deputata del Pd ed ex presidente della Camera, quando ha chiesto di "intensificare il monitoraggio in mare", per evitare la morte dei profughi in viaggio verso l'Italia. Sabato sera, infatti, un'imbarcazione è naufragata, al largo dell'isolda dei Conigli di Lampedusa. Immediato l'intervento della guardia costiera, avvisata da due pescatori che avevano notato le difficoltà in cui si trovava il barcone. Nonostante questo, però, quando le motovedette sono arrivate sul posto, il barcone si è ribaltato, a causa del maltempo, che ha reso il mare mosso e difficile da affrontare. Sette i corpi recuperati in mare o vicino alla riva, a poche ore dal naufragio, ma altre 13 persone risultano disperse. In tutto, la guardia costiera è riuscita a mettere in salvo 149 persone. I dispersi, secondo le testimonianze di chi si è salvato, sarebbero originari di Algeria, Tunisia e Pakistan.  

Un appello che suona come una richiesta a fare attenzione al maltempo e monitorare le previsioni meteo, per intervenire prima che il tempo peggiori e i migranti si ritrovino in condizioni difficili da affrontare, a causa del mare mosso.

La procura di Agrigento, intanto, ha aperto un'inchiesta, per accertare dinamiche ed responsabilità del naufragio. I reati ipotizzati sui fascicoli aperti riguardano il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, il naufragio e l'omicidio colposo plurimo.

In riferimento a questa vicenda, Laura Boldrini ha espresso "cordoglio per le vittime e condoglianze alle famiglie di chi ha perso la vita nel naufragio di fronte Lampedusa". Poi ha aggiunto: "Anche questa ultima tragedia dimostra che è necessario intensificare il monitoraggio in mare e intervenire prima che accada il peggio". Una dichiarazione che potrebbe essere interpretata come la necessità di monitorare le condizioni metereologiche, per intervenire prima che il maltempo metta in pericolo il viaggio dei migranti a bordo dei barconi.

In serata, poi, Laura Boldrini ha espresso vicinanza anche alle famiglie delle vittime del maltempo in Italia: "Ora va dato tutto il sotegno alle popolazioni colpite", scrive su Twitter.Intanto... nel'Aula Paolo VI, in Vaticano, le tavolate erano imbandite: il menù era composto da lasagnetta, bocconcini di pollo alla crema di funghi e patare, dolce, frutta e caffè. Un menù "accogliente", anche per chi deve rispettare alcuni dettami, tipici di altre fedi religiose: bandita, infatti, la carne di maiale, per andare incontro anche ai possibili musulmani presenti al pranzo con Bergoglio. Ma la carne di maiale non era l'unica grande assente.

Il vino è di importanza centrale nel Cristianesimo: è il primo miracolo compiuto da Gesù. Nel Vangelo di Giovanni, infatti, si racconta l'episodio delle nozze di Cana: Gesù e Maria sono stati invitati a un banchetto di nozze ma, ad un certo punto, il vino finisce; così Maria chiede al figlio di fare qualcosa e lui, per tutta risposta, fa riempire le giare con l'acqua e la trasforma nel vino migliore. Così, il banchetto può continuare. Il vino è visto così come un simbolo di gioia, che accompagna i momenti di festa e di allegria. Ma non solo. Per i credenti, durante la messa, il vino si trasforma nel sangue di Cristo.  

Secondo quanto riporta La Verità, infatti, anche il vino non sarebbe stato servito al pranzo coi poveri. Il motivo ?forse anche in questo caso, sarebbe da legare alla presenza di islamici, tra i bisognosi invitati dal Papa. Così, secondo il quotidiano, uno dei simboli cristiani per eccellenza sarebbe stato bandito dalle tavolate dei poveri, per non mettere a disagio gli ospiti islamici del Santo Padre.

Se, quindi, eliminare la carne di maiale dal banchetto dei poveri può essere visto come un segno di rispetto verso persone di altre religioni, togliere il vino potrebbe essere interpretato come una sconfessione dei valori cristiani fondamentali.

Dall'altra parte, però, la scelta della Chiesa in occasione della Giornata mondiale dei poveri, potrebbe essere vista come volontà di accoglienza, anche verso persone che hanno credenze diverse da quelle cristiane. "Inseguiamo le nuvole che passano e perdiamo di vista il cielo", aveva avvisato Bergoglio: un monito che può indicare come sia importante non il vino in sé, ma quello che rappresenta.

 

 

 

 

“Il mio obiettivo è quello di far uscire tutte le persone che non hanno niente da fare qui”: questa frase è stata pronunciata da un’importante personalità politica francese al settimanale Valeurs Actuelles, foglio noto per le sue posizioni di destra. Sembrerebbe dunque un’intervista fatta ad un dirigente di Rassemblement National o alla stessa Marine Le Pen. E invece quella frase è nientemeno che del presidente francese Emmanuel Macron. Proprio colui che per mesi ha bacchettato l’Italia a guida gialloverde per le posizioni sull’immigrazione, adesso ha iniziato a vestire i panni di chi vuol usare il pugno di ferro contro gli immigrati irregolari.

Sull’immigrazione pare che Macron abbia iniziato a sparigliare le carte. Lo scorso mese, alla vigilia della sua visita presidenziale presso il dipartimento d’oltremare di Mayotte, l’inquilino dell’Eliseo aveva promesso un grande giro di vite contro i migranti irregolari. Nell’arcipelago dell’oceano indiano, che ogni anno deve fronteggiare l’arrivo di migranti dalle vicine Comore e da altri paesi africani, il tema dell’immigrazione è molto sentito. Prima di mettere piede nel dipartimento d’oltremare, Macron ha promesso un piano per espellere almeno 25mila migranti irregolari...

Dopo il picco di immigrazione irregolare verso l’Europa tra il 2014 e il 2017, molti paesi dell’Europa occidentale hanno cominciato a restringere i diritti riservati ai richiedenti asilo. La Svezia ha dato un giro di vite già nel 2016. La Francia ha adottato provvedimenti restrittivi a inizio 2018. E settimana scorsa si è diffusa la notizia che la Danimarca starebbe valutando di relegare i richiedenti asilo la cui domanda è stata respinta ma che non possono essere rimpatriati in un’isola remota.

Ma cosa succede quando un governo riduce il livello di protezione riservato ai richiedenti asilo, pur non essendo capace di aumentare i rimpatri verso i paesi di origine? La risposta è semplice: aumentano gli stranieri senza permesso di soggiorno presenti sul territorio. Ed è esattamente ciò che succederà in Italia nei prossimi due anni.

In breve. Tra giugno 2018 e dicembre 2020, il numero degli irregolari in Italia aumenterà di almeno 140.000 unità. Parte di questo aumento (circa 25.000 unità) è già accaduta nei mesi passati. Ma l’aumento maggiore verrà registrato tra oggi e la fine del 2020.

Nello “scenario base”, quello in cui l’Italia avrebbe mantenuto tutti e tre i livelli di protezione internazionale (status di rifugiato, protezione sussidiaria e protezione umanitaria), gli irregolari in Italia sarebbero aumentati di circa 60.000 unità. Ma il decreto-legge dello scorso ottobre (da poco convertito in legge) potrebbe aggiungere al numero dei nuovi irregolari previsti dallo scenario base ulteriori 70.000 irregolari, più che raddoppiando i nuovi irregolari presenti in Italia. Ai ritmi attuali, i rimpatri dei migranti irregolari nei loro paesi di origine avranno un effetto solo marginale: per rimpatriarli tutti sarebbero necessari 90 anni, e solo a condizione che nel prossimo secolo non arrivi più nessun irregolare.

In totale, entro il 2020 il numero di migranti irregolari presenti in Italia potrebbe superare quota 670.000. Si tratta di un numero più che doppio rispetto ad appena cinque anni fa, quando i migranti irregolari stimati erano meno di 300.000. Sarebbe anche il record di sempre se si esclude il 2002, quando in Italia si stimavano presenti 750.000 irregolari.

Portare a terra gli immigrati clandestini, curarli, identificarli e poi alloggiarli – oltre che dare loro da mangiare – sono misure che hanno delle implicazioni di carattere economico poiché pesano in modo considerevole nel loro complesso sulla economia del paese ospitante. Inoltre, dopo essere stati assistiti a spese dello Stato, non viene loro richiesto nulla in cambio e quindi, sotto il profilo economico, contribuiscono a sviluppare una cultura del non lavoro. Senza dimenticare, oltretutto, che in alcuni casi per diversi anni ottengono anche alloggi, facilitazioni e privilegi negati paradossalmente alle popolazioni autoctone.

All’inizio dell’immigrazione incontrollata e, cioè a partire dal 2015, gran parte dei Paesi europei e fra questi Italia, Francia Germania Svezia allestirono campi profughi per ospitare gli immigrati nelle stazioni o nelle scuole. Per esempio nel solo 2015 la Germania spese circa 6 miliardi di euro mentre l’Italia 3 miliardi. Particolarmente significativo è il caso della prima che fu costretta a fare un calcolo preciso in base al quale i nuovi profughi costavano circa 670 euro al mese, escluso il vitto e l’alloggio, cioè circa 12 mila euro l’anno. Quanto alla Svezia, ogni rifugiato costava all’incirca 2300 euro l’anno e proprio per questo fu costretta a stanziare circa 860 milioni di euro. Proprio per le cifre rilevanti che l’accoglienza implicava la Svezia sarà costretta a espellere tutti quegli immigrati la cui domanda non veniva accolta. Ebbene le persone allontanate furono tra le 60 e 70 mila.

Intanto nell’ultima settimana, prima dell’atteso nuovo peggioramento previsto in questi week end, si può parlare di vero e proprio assalto: i gruppi criminali operanti in Tunisia e Libia sono riusciti a far partire dalle coste nordafricane circa 800 migranti.

Un flusso inarrestabile che ha caratterizzato anche le ultime ore. Tra persone soccorse da navi militari e navi delle Ong, ben ci si può rendere conto dell’attuale situazione vigente nel Mediterraneo.

Le organizzazioni non governative hanno a bordo dei loro mezzi attualmente 367 persone. Sono tre le organizzazioni impegnate attualmente tra la Libia e la Sicilia. La prima è la Sos Mediterranée, la quale è stata protagonista con la sua Ocean Viking di tre missioni di salvataggio in pochi giorni ed ha attualmente a bordo 215 migranti.

L’altra ong impegnata è invece la spagnola Open Arms, che ha caricato a bordo dell’omonima nave 73 persone, raccolte all’alba di ieri da un barchino in difficoltà non lontano dalla Libia. Infine, c’è un’altra ong, spagnola anch’essa, che ha iniziato ad operare proprio in questa settimana: si tratta della Aita Mari, impegnata con un omonimo mezzo nel Mediterraneo e che nelle ultime ore ha caricato a bordo 79 soggetti presi da un barcone in difficoltà.

Alarm Phone, il network telefonico che riceve e rilancia gli allarmi direttamente dai mezzi in difficoltà, dal proprio canale Twitter nelle ultime ore ha segnalato diverse situazioni di gommoni in avaria.

Il tribunale dei ministri,ha deciso di archiviare il procedimento sulla vicenda simile della Alan Kurdi, la nave della ong tedesca Sea Eye. La questione risale al 3 aprile scorso, quando l'imbarcazione soccorse 64 migranti a bordo di un gommone al largo della Libia e poi puntò verso l'Italia e in particolare verso le coste di Lampedusa. Dopo giorni di braccio di ferro con il governo italiano, gli attivisti alla fine si arresero e puntarono su Malta dove, il 13 aprile, i naufraghi poterono sbarcare per essere redistribuiti tra Germania, Francia, Lussemburgo e Portogallo grazie a un accordo con l'Unione europea.

Al rifiuto di Salvini ad aprire i porti, scattò - come al solito - l'indagine per abuso d'ufficio e rifiuto di atti d'ufficio. Un'inchiesta in cui finì indagato pure il prefetto Matteo Piantedosi, capo di gabinetto del Viminale. Ma ora il tribunale dei ministri ha archiviato tutto su richiesta della procura di Roma.

"Una buona notizia, ogni tanto...", ha commentato il leader della Lega, "un Tribunale finalmente riconosce che bloccare gli sbarchi non autorizzati di immigrati non è reato! Sono curioso di vedere a questo punto cosa decideranno le altre procure, e una volta tornato al governo rifarò esattamente le stesse cose".

Sull'ex ministro, infatti, pende il caso della Open Arms, la nave bloccata per 19 giorni al largo di Lampedusa con 164 migranti a bordo. Le ipotesi di reato formalizzate dalla procura di Agrigento sono di sequestro di persona e omissione d'atti d'ufficio. Proprio come accadde l'anno scorso per la Diciotti. In quel caso, però, il M5S fu determinante in Senato per negare l'autorizzazione a procedere. Il fascicolo è ora sul tavolo del procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, che farà le sue valutazione ed entro quindici giorni lo invierà al Tribunale dei ministri.

 

Secondo uno studio dell’UE prosegue declino generale della democrazia in Europa, soprattutto nei Paesi dell’est. “L’Europa ha un concetto strano di analisi della democrazia. Ritengono antidemocratica la Polonia perché a scuola fa educazione sessuale. L’UE non è un arbitro attendibile nelle sue analisi”.

Sul MES ricordate la Grecia : Il potere del MES è enorme e ha ucciso la democrazia in Europa. Il referendum greco del 2015 in grecia ha fatto capire il potere autoreferenziale è possibile e non si può mettere in discussione.


Le prerogative e le immunità autoreferenziali del MES ne fanno un sovrano assoluto sull’Europa. Poco importa che sia un “direttorio” e non una persona fisica. I suoi funzionari e il suo vertice sono la crema d’una nuova nobiltà al di sotto della quale, a vari gradi di lignaggio si collocano, le rimanenti frazioni della corte, coi burocrati della commissione e degli organismi UE. La Nomenklatura sovietica, al confronto, fu una confraternita di penitenti.


Aveva vince il No ad Atene no al Euro no alla austerita no al UE, ma la Grecia e stata messa in ginocchio. Non le e stata risparmiata alcuna misura che possa farle rimpiangere i bei tempi – si fa per dire – della sua appartenenza all’Unione.
Il combinato disposto di Commissione UE, Troika e MES può mettere in ginocchio qualunque paese UE, eccetto – chissà perché – la Germania e la Gran Bretagna.

Cosi “Pare che Conte abbia firmato un accordo per cambiare il fondo salva-Stati, di notte, di nascosto, un fondo ‘ammazza-Stati’, i giornalisti chiedano a Conte e Tria, se, senza l’autorizzazione del Parlamento, hanno dato l’okay dell’Italia, perché in quel caso sarebbe alto tradimento”. Matteo Salvini, via Facebook, lancia l’allarme sul nuovo accordo che il governo Conte avrebbe firmato in Ue “senza chiedere il via libera del Parlamento”.

“Se qualcuno ci infila in questa gabbia del Mes, i titoli di Stato rischiano di valere sempre meno”, aggiunge Salvini: “Se qualcuno ha firmato all’oscuro del popolo e del Parlamento lo dica adesso, altrimenti sarà alto tradimento e per i traditori in pace e guerra il posto giusto è la galera”. Sul tema si esprime anche Giorgia Meloni: “Conte ha dato ok a riforma Fondo salva stati (Mes) senza coinvolgere il Parlamento, che entro Dicembre sarà chiamato a ratificare questa nuova eurofollia: una super Troika onnipotente. Fdi farà barricate contro ennesimo tradimento verso il popolo. #StopMes”, twitta la leader di Fratelli d’Italia.

Sulla questione il 15 novembre è intervenuto il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, secondo cui la riforma del Mes deve essere gestita attentamente perché potenzialmente comporta “rischi enormi” . Parlando al seminario congiunto Official Monetary and financial institutions forum OMFIF-Banca d’Italia, il numero uno di Palazzo Koch ha spiegato che “i piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere ponderati rispetto all’enorme rischio che il mero annuncio di una sua introduzione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default”. Inoltre, secondo Visco, “dovremmo tutti tenere a mente le terribili conseguenze dell’annuncio del coinvolgimento del settore privato nella risoluzione della crisi greca dopo il vertice di Deauville a fine 2010”.  

Ciascuno Stato dell’Unione vi partecipa pro-quota e vi sottoscrive una garanzia. L’Italia ha versato sinora  quasi 15 miliardi di euro, cioè poco meno di quattro punti di Iva, il valore di quasi quattro Imu. Lo Stato che ne facesse richiesta (perché sotto attacco speculativo e quindi col pericolo di default del debito sovrano) deve offrire importanti garanzie: dalla ristrutturazione del debito pubblico all’ipoteca sugli asset pubblici, cioè dare in pegno i “gioielli di famiglia” (riserve auree, porti, aeroporti, beni culturali, etc). Gli accordi vengono presi a tavolino tra lo Stato richiedente, la Commissione europea e il MES, riunioni a cui partecipa anche l’Eurogruppo, cioè l’insieme dei ministri delle finanze dei Paesi dell’area euro. In pratica ciascuno Stato mette i soldi, ma se poi gli servono per calmierare i mercati deve prima fare “macelleria sociale”. E il ricorso al MES muta anche la giurisdizione sul debito sovrano, che – per la quota cui si fa ricorso – viene totalmente sottratta alla giurisdizione nazionale. Ma non è solo questo. La riforma del MES prevede anche un altro problema: la riduzione del valore nominale dei titoli del debito pubblico. Ci spieghiamo meglio. Se l’investiore ha acquistato un titolo di Stato del valore di 100, nel caso in cui lo Stato facesse ricorso al MES, questo potrà autonomamente provvedere alla riduzione del valore del titolo, con una perdita significativa per il risparmiatore. Insomma, un sistema di strozzinaggio legalizzato.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità, detto originariamente “fondo salva-Stati”, è una organizzazione intergovernativa similare al FMI (Fondo Monetario Internazionale). Nato nel 2010 per far fronte soprattutto alla crisi greca, ha poi visto una ristrutturazione normativa nel 2011, sfociata in un Trattato ratificato dal Parlamento italiano nel 2012 (maggioranza Pd-PdL-Udc, governo Monti).  

Giuseppe Conte e Giovanni Tria, scrivono Paolo Becchi e Giuseppe Palma sul Libero  all’epoca rispettivamente Presidente del Consiglio e Ministro dell’economia del governo giallo-verde, sia nel giugno 2018 che nel giugno 2019 hanno concordato in seno all’Eurogruppo la riforma del MES voluta da Francia e Germania. Il tutto senza informare i due partiti che componevano quel governo (M5s e Lega), ovvero senza dare spiegazioni in merito agli accordi specifici intrapresi. In parole semplici la riforma franco-tedesca, a cui l’Italia ha in linea di massima aderito, prevede il “pilota automatico”. Lo Stato metti i soldi, se poi gli servono perché in difficoltà non passerà più da una discussione “politica” con Commissione, MES ed Eurogruppo,  ma da un sistema automatico che prevede l’obbligo di ristrutturazione del debito pubblico nella misura di una riduzione fino al 60% del Pil, ovvero del 5% annuo (circa 40 miliardi di tagli alla spesa pubblica ogni anno!). Quello che, in sostanza, prevede il Fiscal Compact. L’Italia ha oggi un rapporto debito pubblico/Pil di circa il 134%. Si immagini cosa accadrebbe se facesse ricorso al MES dopo la riforma.  Salvo rinvii, a dicembre di quest’anno inizierà l’iter di ratifica del nuovo Trattato sul MES. L’augurio è quello di un sussulto di indipendenza e quindi di un arresto di questo percorso perverso.

Giuseppe Conte, che al momento si è difeso di non aver ancora firmato nulla, ha svenduto l’Italia per accreditarsi presso Bruxelles ed ottenere il via-libera al Conte bis? Probabile che sia andata così. Visto che si è sempre definito l’ “avvocato del popolo”, scrivono Paolo Becchi e Giuseppe Palma sul Libero, Conte dovrebbe sapere che il codice penale, all’art. 264 (rientrante nella rubrica dei delitti contro la personalità dello Stato), prevede che “chiunque, incaricato dal Governo italiano di trattare all’estero affari di Stato, si rende infedele al mandato è punito, se dal fatto possa derivare nocumento all’interesse nazionale, con la reclusione non inferiore a cinque anni”. Conte ha agito  in modo “infedele”, anche perché – quale elemento oggettivo del reato secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza e della dottrina – è sufficiente la sussistenza del “nocumento all’interesse nazionale”, che ci pare evidente. Giampaolo Galli, membro dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani presso Università Cattolica a Roma e deputato del Pd nella passata Legislatura, nell’audizione del 6 novembre 2019 presso le Commissioni riunite Va e XIVa della Camera dei deputati, ha definito la riforma del MES “un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in applicato a milioni di persone che hanno dato fiducia allo Stato comprando titoli del debito pubblico”. È proprio così.

La Magistratura al momento è impegnata a perseguitare Salvini  sul caso Savoini e i porti chiusi,  ma se il Parlamento, come auspicabile, alla fine respingesse la ratifica del nuovo Trattato,  la Magistratura dovrebbe aprire un fascicolo nei confronti di Giuseppe Conte e Giovanni Tria, iscrivendo  la notizia  di reato  per “infedeltà in affari di  Stato”. E subito dopo Conte dovrebbe dare le dimissioni.

Durissima replica di Palazzo Chigi alle accuse mosse da Matteo Salvini su una presunta revisione del Mes. “La Presidenza del Consiglio ha l’obbligo di chiarire le notizie infondate e false diffuse, anche oggi, dal senatore Matteo Salvini. Innanzitutto, la revisione del Trattato sul Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) non è stata ancora sottoscritta né dall’Italia né dagli altri Paesi e non c’è stato ancora nessun voto del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, o degli altri Capi di Stato e di governo europei sul pacchetto complessivo di questa riforma. In definitiva, nessuna firma né di giorno né di notte” puntualizzano, piccate, fonti di Palazzo Chigi.

“La sottoscrizione è calendarizzata per il prossimo mese di dicembre e il ministro dell’Economia Gualtieri ha già chiarito, per iscritto – viene inoltre precisato – la sua disponibilità a riferire alle Camere l’avanzamento dei lavori e a illustrare nel dettaglio i contenuti della riforma, anche con riguardo all’intero pacchetto. Si ricorda che, in ogni caso, il Parlamento ha un potere di veto sull’approvazione definitiva della revisione Trattato Mes e avrà modo di pronunciarsi in sede di ratifica, quindi prima di ogni determinazione finale in merito alla sua entrata in vigore”.

Secondo un esponente della Lega : “Non possiamo permetterci di dare altri 14 miliardi di Euro per questo fondo e non possiamo accettare una modifica del Mes che dice che, qualora dovessimo avere necessità di riprenderci i nostri soldi, ci troveremmo obbligati a politiche di rigore e a cedere gli asset strategici del Paese ad altri Paesi europei. Da un lato serve che Conte chiarisca tutto in Parlamento, dall’altro serve che sia chiaro che l’Italia non accetta nessuna modifica in questa direzione altrimenti ipotecheremmo il Paese.

L’Europa e la globalizzazione ci hanno già portato via molto, non vorremmo che ci portino via anche un altro patrimonio degli italiani, ovvero i nostri risparmi. Quando eravamo al governo il Mes è stato oggetto di discussione e l’indirizzo di lega e M5S era chiaro: non andare a peggiorare la situazione con la modifica del fondo salva stati. Portogallo ha usufruito del fondo? L’attuale condizione non obbliga loro a cedere gli asset strategici del Paese come invece prevede la nuova proposta. Inoltre non hanno un debito pubblico alto come quello italiano. E poi quando tocca all’Italia su questi meccanismi rischiamo di uscirne stritolati perché la finanza guarda con molto interesse ai risparmi delle famiglie italiane e noi dobbiamo difenderli”.

“Conte è stato portato nel ruolo di primo ministro dal popolo e lui stesso si era dichiarato avvocato del popolo. Oggi per salvare la sua poltrona ha fatto un patto col diavolo, diventando burattino di Berlino e Parigi. Fanno bene Lega e M5S a guardare con attenzione gli impegni, le firme e i comportamenti di Conte. Si corre il rischio che per prendere ordini da Francia e Germania Conte possa ipotecare il Paese.


 

 

Moscovici dice che il Mes salverebbe le banche? Sì, quelle francesi e tedesche... Il Mes metterebbe infatti in crisi le nostre banche e farebbe pagare a noi la crisi delle banche tedesche e francesi". Lo dice il leader della Lega Matteo Salvini.

"Non per niente il presidente dell'Abi e il governatore di Bankitalia sono preoccupati, hanno capito che col Mes rischiamo un bis del disastro del Bail In, anzi cento volte peggio - sottolinea il leader della Lega -. Questo attacco alla democrazia e al risparmio italiani non deve passare e, come sempre ha fatto, la Lega si opporrà, in ogni sede ed in ogni maniera. Conte e il governo di sinistra da che parte stanno?".

Questo attacco alla democrazia e al risparmio italiani non deve passare e, come sempre ha fatto, la Lega si opporrà, in ogni sede ed in ogni maniera. Conte e il governo di sinistra da che parte stanno?". Così Matteo Salvini

La trattativa sul Mes, ha ricordato Moscovici, è iniziata lo scorso giugno, quando fu trovato "un accordo per consolidare l'unione bancaria con il cosiddetto backstop, la rete di sicurezza del fondo di risoluzione delle banche. Serve se un Paese non riesce a far fronte da solo a una crisi dei suoi istituti, e fa parte del Mes". Nel negoziato, ha sottolineato ancora il commissario Ue, "alcuni volevano condizionare l'aiuto del Mes alla ristrutturazione del debito pubblico. Questo è stato evitato grazie alla resistenza della Commissione e di numerosi Paesi, fra cui l'Italia".

La rivelazione del nuovo trattato avallato in autonomia da Giuseppe Conte sul Fondo salva-Stati, senza coinvolgere il Parlamento, ha scoperchiato un autentico vaso di Pandora. Anche perché adesso stanno arrivando numerose reazioni che mettono nel mirino l’operato del premier e lo accusano, in alcuni casi, come ha fatto Matteo Salvini, addirittura di “alto tradimento”. L'”avvocato del popolo” ha respinto le accuse del leader leghista e anzi, ha rimarcato come il negoziato sulla riforma del Mes sia in corso da un anno, che la sua revisione non è stata votata in nessun vertice europeo e che lo stesso Salvini partecipava a quei tavoli. Ma oltre alla politica, il tema nuovo Mes ha toccato anche il mondo finanziario

La riforma del nuovo Mes prevede due possibili linee di credito. Una per i Paesi in regola con i vincoli di bilancio ovvero deficit sotto il 3% e un debito pubblico sotto il 60% del Pil. L’altra linea è per gli Stati che non rispettano questi criteri, tra cui l’Italia. Per questi Paesi, il prestito è subordinato all’approvazione di un percorso di riforme e di risanamento. In un’intervista a La Verità, per spiegare la situazione attuale Tremonti parte dal 2011. L’ex ministro spiega che la crisi del 2011 non fu causata dai bilanci pubblici ma dalle banche tedesche e francesi. “Cosa che poi, dopo aver straziato la Grecia, venne riconosciuta da due componenti della Troika: Fmi (Fondo monetario internazionale ndr) e Commissione - prosegue Tremonti -. Il terzo, la Bce, non si è ancora pronunciato. Eppure si trattava di banche…” L’ex senatore precisa che un aspetto poco considerato è che anche gli istituti di credito possono accedere al fondo e inoltre viene attribuito un grosso potere al direttore generale del Mes, un tedesco.

Tremonti evidenzia che i meccanismi per giudicare i debiti sovrani contenuti nella riforma sono “autocratici e imperscrutabili”. E aggiunge che la presidenza italiana “in vista del vertice di dicembre confida nello scambio tra ‘riforma’ e ‘pacchetto’. In realtà per noi il pacchetto è ancora più avvelenato del trattato - continua - perché produce automatici, devastanti effetti tanto sulle banche quanto sul debito”. La ‘logica del pacchetto’ era stata chiesta dal premier Giuseppe Conte a giugno all’Eurogruppo e prevede la creazione di uno strumento di bilancio per la competitività e la convergenza nell’Eurozona (Bicc) e un approfondimento dell’Unione bancaria con la garanzia dei depositi. “Entrare a Bruxelles, con quel “pacchetto” equivale a presentarsi alla Commissione come un kamikaze”, sottolinea Tremonti. L’ex ministro conclude affermando che approvare la riforma e rimettersi al voto in Aula vorrebbe dire per il governo assumersi il rischio che l’Aula dica no, devastando l’immagine del nostro Paese

Sulle pagine de La Stampa, sempre parlando del Mes, Carlo Cottarelli sottolinea i rischi di una “riforma insidiosa” che potrebbe scatenare diverse crisi. Certo, oggi il Mes può prestare soldi solo se il debito di un Paese è considerato sostenibile, proprio per evitare la richiesta di una ristrutturazione. Ma la riforma andrebbe a toccare un punto di frizione inerente alla divisione di responsabilità tra lo stesso Mes e la Commissione Ue nel giudizio sulla sostenibilità del debito, oltre a vari cambiamenti tecnici nelle caratteristiche dei titoli di Stato emessi. Cambiamenti e modifiche che, va da sé, “potrebbero indicare una maggiore propensione alla ristrutturazione del debito rispetto alla situazione attuale”. Se il percorso imboccato dovesse essere questo e se il messaggio che dovesse passare ai mercati finanziari dovesse essere quello di una probabile ristrutturazione del debito, attenzione a possibili scenari di crisi. Lo spread di un Paese, ad esempio, potrebbe crescere, gli investitori smettere di comprare titoli di Stato; e quel Paese ricorrere davvero al Mes e alla ristrutturazione del debito, una sorta di austerità sotto mentite spoglie.

Ma quando si parla della riforma del Mes, scrive inside Over di cosa stiamo parlando esattamente? Intanto il Meccanismo europeo di stabilità è un fondo europeo capace di prestare soldi a Paesi in crisi economica; negli ultimi anni lo ha fatto, tra gli altri, all’indirizzo di Grecia, Portogallo e Irlanda. In altre parole, il Meccanismo europeo di stabilità potrebbe essere definito una sorta di Fondo monetario internazionale ma attivo solo in campo europeo. Qual è, dunque, il problema? Il meccanismo stesso, perché il Mes è pronto a prestare i soldi ma li rivuole anche in cambio. Per assicurarsi che i governi debitori siano in grado di restituire i denari, il Mes chiede a questi ultimi di attuare misure economiche drastiche, tipo tagliare la spesa pubblica, incrementare le tasse e via dicendo. Ma tra queste azioni da mettere in atto c’è anche la ristrutturazione del debito pubblico? La domanda che si fanno gli istituti bancari è: il Mes può prestare soldi senza chiedere ai Paesi di ristrutturare il proprio debito pubblico? Anche perché la ristrutturazione del debito implica il pagamento solo in parte dei creditori. E, come abbiamo visto, in Italia una buona fetta del debito pubblico è nelle mani delle banche. Che adesso vogliono vederci chiaro.

Nel frattempo il ministero dell’Economia e delle Finanze ha diffuso una nota in cui difende l’operato del governo. Il ministro Roberto Gualtieri ha provato a spegnere l’incendio: “C’è molta confusione nel dibattito italiano. È bene chiarire come la riforma del Mes non introduca in nessun modo la necessità di ristrutturare preventivamente il debito”. In ogni caso, Conte riferirà in aula il prossimo 10 dicembre, tre giorni prima del Consiglio europeo in programma sull’argomento. Cioè quando ormai potrebbe essere troppo tardi per rimediare a eventuali errori.

Insomma, il presunto “fai da te” di Conte secondo inside over ha fatto infuriare il mondo bancario, che adesso minaccia l’ammutinamento. Patuelli, furioso con l’esecutivo, non ci sta: “I problemi diventeranno tutti nostri, e già ne abbiamo a sufficienza. Questo è un problema delle istituzioni della Repubblica e noi ne facciamo parte. Chiedete agli esponenti del governo perché non ci hanno consultati. I titoli di Stato italiani? Non li compreremo più, non abbiamo un vincolo di portafoglio che ci costringe a comprarne una certa quantità. Da investitore il mio problema è vedere cosa fa la Repubblica italiana per tutelare il debito pubblico sovrano, la maggior parte del quale sottoscritto da soggetti nazionali”.

Ma perché Patuelli e le banche sono spaventati dal nuovo Mes? Gli Stati che saranno costretti ad accedere al meccanismo dei prestiti del Meccanismo europeo di stabilità secondo il Giornale, dovranno fare i conti con condizioni più stringenti sulla riduzione del debito. Con il rischio di una possibile ristrutturazione. Ricordiamo che in Italia il debito pubblico è detenuto per il 70% dalle banche, le stesse che non sarebbero state informate riguardo la modifica del Mes. Modifica che, se dovesse passare, potrebbe lasciare un sesto dello stesso debito pubblico italiano senza più alcun acquirente. Il quotidiano La Verità aggiunge anche che i titoli pubblici nelle mani di istituti di credito del nostro Paese ammontano a circa 400 miliardi di euro sui 2400 miliardi totali.

Era il 1992, un anno decisivo per la recente storia italiana. All’improvviso un’intera classe politica dirigente crollava sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre quarant’anni era stata al potere. Gli italiani avevano sospettato a lungo che il sistema politico si basasse sulla corruzione e sul clientelismo. Ma nulla aveva potuto scalfirlo.

Mentre l’attenzione degli italiani era puntata sullo scandalo delle tangenti, il governo italiano stava prendendo decisioni importantissime per il futuro del paese. Con l’uragano di "Tangentopoli" gli italiani credettero che potesse iniziare un periodo migliore per l’Italia. Ma in segreto, il governo stava attuando politiche che avrebbero peggiorato il futuro del paese. Numerose aziende saranno svendute, persino la Banca d’Italia sarà messa in vendita. La svendita venne chiamata "privatizzazione".
 
E ancora. Nel maggio del 1992, Giovanni Falcone venne ucciso dalla mafia. Egli stava indagando sui flussi di denaro sporco, e la pista stava portando a risultati che potevano collegare la mafia ad importanti circuiti finanziari internazionali.

2 giugno del 1992, panfilo Britannia, in navigazione. A bordo c’erano alcuni appartenenti all’élite di potere anglo-americana, e i grandi banchieri a cui si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers).
 
In quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca d’Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, tra i quali Mario Draghi, allora direttore delegato del ministero del Tesoro, il dirigente dell’Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell’Iri Riccardo Galli.

Gli intrighi decisi sulla Britannia avrebbero permesso, di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane. La stampa martellava su "Mani pulite", facendo intendere che da quell’evento sarebbero derivati grandi cambiamenti.Un grande cambiamento in effetti ci fu. I banchieri angloamericani erano venuti a "fare la spesa", ossia a comprarsi i gioielli dell’industria pubblica italiana a buon mercato. In lire svalutate lorsignori comprarono i gioielli dell’industria italiana, IRI in testa.  Insomma: una strategia concertata.

Cominciò il  Fondo Monetario Internazionale (altro organismo che mette sul lastrico interi paesi) che, come aveva fatto da altre parti, voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare la nostra moneta, per agevolare il dominio economico-finanziario dell’élite. La Standard & Poor’s declassò il debito italiano.

L’incarico di far crollare l’economia italiana venne dato a George Soros, un cittadino americano che tramite informazioni ricevute dai Rothschild, con la complicità di alcune autorità italiane, riuscì a far crollare la nostra moneta e le azioni di molte aziende italiane. A causa di questi attacchi, la lira perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni. Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull’Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d’Italia. C’erano stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild. Ma anche numerosi altri membri dell’élite finanziaria anglo-americana, come Alfred Hartmann e Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione delle aziende e della Banca d’Italia.
Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo

Nei giorni in cui la crisi dell’Ilva fa sentire con sempre maggior forza i suoi effetti sul tessuto industriale italiano, scrive "inside over del Giornale", e sul Governo Conte emerge in maniera crescente l’ampiezza del vuoto politico che ha contribuito a produrre situazioni problematiche tanto difficili da gestire. Ferite aperte nell’economia e nella società nazionale dalla progressiva desertificazione di qualsiasi ragionamento serio sulla politica industriale post Prima Repubblica.

Industria, programmazione strategica, infrastrutture: la fine del sistema costruito nella Prima repubblica e lo smantellamento dell’architettura di economia mista incentrata sull’Istituto di ricostruzione industriale (Iri) ha portato con sé non il miglioramento dell’efficienza dei settori liberalizzati e privatizzati ma un deperimento della qualità dei servizi, della programmazione economica, del livello di investimenti. Con conseguenze produttive, occupazionali, ambientali e securitarie. E ricadute enormi sul posizionamento strategico dell’Italia in Europa e nel mondo. Con tutti i limiti progressivamente emersi, legati principalmente alla progressiva irreggimentazione politica, l’economia mista incentrata sull’Iri riusciva a complementare le esigenze pubbliche con quelle del settore privato.

Scrive inside over manager illuminati come Enrico Mattei, Oscar Sinigaglia e Adriano Olivetti capirono che i due mondi non dovevano essere conflittuali ma capaci di sovrapporsi attivamente. “L’economia privata era basata su un’imprenditoria diffusa, quella pubblica sostenuta dallo Stato aveva lo scopo di investire nel lungo periodo e creare concentrazioni di più grande dimensione”, ha dichiarato all’Osservatorio Globalizzazione lo storico dell’economia Giuseppe Berta.

E nel quarantennio di consolidamento dell’Italia repubblicana, c’è da dire che tale funzione è stata ampiamente assolta. Si è precedentemente citato Mattei: ma la parabola dell’Eni globale del manager marchigiano non è stata una storia a sé. Che cos’era fino a una ventina di anni fa l’Ilva di Taranto, la più grande acciaieria d’Europa, se non il frutto dell’opera della vecchia Finsider dell’Iri guidata da Sinigaglia? La Finsider fu capace di realizzare gli impianti in grado di permettere a tutti i Paesi europei la conquista dell’indipendenza nella produzione della materia più strategica per l’industria moderna. L’uscita dall’orbita pubblica dell’Ilva è stata fatale, perché ha fatto perdere la necessaria coordinazione tra impianti e la ratio di fondo della politica industriale.

Avevamo anche il visionario “impero romano” della Stet, “costruttrice di cavi e reti che hanno garantito all’Italia”, scrive il direttore del Quotidiano del Sud Roberto Napoletano, “il primato mondiale delle telecomunicazioni e i segreti dell’industria del futuro globale”, prima che Telecom-Tim venisse privatizzata. Così come Ilva, anche sulla società di telefonia si è scatenata una gara geoeconomica coinvolgente Paesi stranieri interessati ad aumentare la propria proiezione nell’economia italiana. La Francia, attraverso Vincent Bolloré e Vivendi, è in questo caso intenta in un braccio di ferro con gli Stati Uniti impegnati attraverso il Fondo Elliott. Nonostante tutto, attraverso Sparkle, la Telecom gestisce e costruisce ancora una rete significativa e strategica di cavi sottomarini di telecomunicazione. Ma senza il controllo nazionale questo risultato rischia di ridurre i dividendi positivi per il Paese. Risulta strano constatare il rifiuto del governo di appoggiare, recentemente, la proposta di Fabio Rampelli (Fdi) su una convergenza di Tim con OpenFiber per l’istituzione di un “golden power” pubblico sulle reti.

L’azione di politica economica e industriale è discontinua, spezzettata e confusa. Scrive il Giornale  la radice del problema sta nella scelta, compiuta negli anni Novanta, di smantellare il sistema di partecipazioni incentrato sull’Iri per venire incontro al nuovo vento della globalizzazione, della liberalizzazione e delle regole europee. Le privatizzazioni furono giustificate ideologicamente con l’obiettivo di modernizzare il Paese, ottenere valuta e risorse da utilizzare per conformarsi alle regole europee dei parametri di Maastricht e aprire il Paese agli investitori stranieri. Principale fautore dello smantellamento dell’Iri e del sistema dell’economia mista, dopo il 1992, fu il suo ultimo direttore e futuro presidente del Consiglio Romano Prodi. L’Iri, che ancora nel 1993 era il settimo conglomerato al mondo con un fatturato complessivo delle sue imprese superiore ai 67 miliardi di euro, fu smantellato nel decennio successivo e il suo patrimonio disperso.

Secondo il giornale alcune imprese (Fincantieri e Finmeccanica) non affondarono, altre (Autostrade) furono privatizzate attraverso manovre che dettero ai concessionari posizioni di rendita, altre ancora ebbero la storia travagliata che abbiamo narrato. A decenni di distanza possiamo solo rammaricarci di quanto questo capitale disperso avrebbe potuto contribuire alla crescita del Paese e di quanto lo smantellamento dell’economia mista abbia contribuito al depauperamento della cultura strategica in campo industriale. Un gioco sfacciato sulla pelle delle decine di migliaia di persone portate in difficoltà da queste dinamiche, ultime in linea temporale le maestranze di Ilva e del suo indotto, a cui ha contribuito anche una grande imprenditoria italiana scarsamente incisiva.

Di questo gap scrive inside over di capacità e programmazione il Paese ha avuto più volte di che dolersi..In una fase storica in cui la competizione economica internazionale si intensifica e l’omogeneità strategica dei sistemi-Paese è più che mai necessaria, l’Italia naviga priva di bussola. Incapace di determinare quali settori industriali siano davvero strategici o di rafforzare politicamente i suoi campioni nazionali. Terra di conquista per capitali stranieri. Uno stato di cose che contribuisce a renderci oggetto, e non soggetto, della partita dello sviluppo industriale, finanziario e tecnologico che deciderà gli equilibri del prossimo futuro

Il fatturato totale diminuisce infatti “in termini tendenziali” (ossia considerando un anno) del -7,3%, con un calo del -7,5% sul mercato interno e del -7,0% su quello estero. Una conferma, oltretutto di due condizioni strutturali entrambe negative: a) il mercato interno non è in grado di assorbire la produzione per via dei bassi salari e della elevata disoccupazione, b) i mercati stranieri non “trainano” più, e quindi paghiamo pesantemente l’aver accettato di trasformare buona parte della nostra attività industriale in “produzione conto terzi” per le filiere tedesche, tutte orientate all’esportazione. Filiere che oggi pagano anche loro l’austerità imposta tramite l’Unione Europea (tutto il mercato interno continentale soffre alla stessa maniera) e i primi danni della guerra commerciale di tutti contro tutti aperta con il passaggio – causato da una crisi ultradecennale – dalla “globalizzazione” alla competizione globale.

I dati Istat pubblicati stamattina dovrebbero costringere tutti a rivedere le proprie idee – pregiudizi indotti, in realtà – scrive inside over su come funziona l’economia sotto il segno dell’ordoliberismo mercantilista di matrice teutonica. Ma non avverrà. Più semplice prendersela con la coglionaggine del governo di turno (che in effetti non ci sta capendo molto) o, come in modo inaudito continua a fare Confindustria, con il “costo del lavoro troppo alto” (siamo già arrivati al lavoro gratuito, che cavolo voglio ancora?).

Più in dettaglio. A dicembre 2018 il fatturato dell’industria è diminuito “in termini congiunturali” (cioè rispetto al mese precedente) del 3,5%. Nel quarto trimestre l’indice complessivo ha registrato un calo dell’1,6% rispetto al trimestre precedente.

Ma la situazione non è affatto passeggera. Se guardiamo infatti agli ordinativi – la produzione dei prossimi mesi – si registra una diminuzione sia rispetto al mese precedente (-1,8%), sia nel complesso del quarto trimestre rispetto al precedente (-2,0%).

Anche qui, il calo mensile del fatturato riguarda sia il mercato interno (-2,7%) sia, in misura più accentuata, quello estero (-4,7%). Peggio ancora per l’immediato futuro: la flessione degli ordinativi è infatti la sintesi di un incremento delle commesse provenienti dal mercato interno (+2,5%) e di una fortissima contrazione di quelle provenienti dall’estero (-7,4%). Chi aveva untato solo sulle esportazioni (tutto il sistema industriale italiano) si trova oggi sull’orlo dell’abisso.

Non c’è peraltro un solo settore in controtendenza. A dicembre tutti i raggruppamenti principali di industrie segnano una variazione mensile negativa: -1,8% i beni di consumo, -5,5% i beni strumentali, -1,7% i beni intermedi e addirittura -9,7% l’energia.

Sempre con riferimento al fatturato annuale, tutti i principali settori di attività economica registrano cali tendenziali drammatici. I più giganteschi riguardano i mezzi di trasporto (-23,6%), l’industria farmaceutica (-13,0%) e l’industria chimica (-8,5%). Una strage, diciamo pure…

E secondo il giornale il peggio ancora va se si guarda agli ordinativi: qui il calo su base annua è del 5,3%, derivante da diminuzioni per il mercato interno (-3,6%) e ancora più per quello estero (-7,6%). Solo il comparto dei macchinari e attrezzature segna una tendenza positiva (+5,4%), mentre la diminuzione più marcata si rileva per l’industria delle apparecchiature elettriche (-21,4%). Avete voluto giocare a fare i contoterzisti dei tedeschi, con salari da fame e tutte le speranze legate alle esportazioni? Ecco il risultato. Spazzare via questa “classe dirigente” (sia imprenditoriale che politica, sia italiana che “europea”) è ormai questione di sopravvivenza.

Secondo  Il Fatto Quotidiano all’indomani della svalutazione del 1992 iniziano i nuovi saldi del patrimonio pubblico. Multinazionali angloamericane, ma anche francesi, arrivano in Italia per “fare shopping”: vanno in cerca di società, specialmente agroalimentari e di meccanica di precisione. Italgel, per esempio, viene aggiudicata alla Nestlè a 680 miliardi di lire contro una valutazione di 750. Ma anche i giganti italiani guadagnano dallo smembramento del patrimonio nazionale: il gruppo Benetton si aggiudica per 470 miliardi GS Autogrill che poi rivende ai francesi di Carrefour GS per 10 volte tanto. Poi fagocita la rete autostradale usando la leva finanziaria, si indebita per acquistarla e poi scarica il debito sulle autostrade, naturalmente si guarda bene dal vendere l’impresa perché genera proficui profitti, specialmente mantenendo la manutenzione a livelli bassissimi.

Vengono privatizzate totalmente Telecom, parzialmente Enel ed Eni. Continua il Fatto molte di queste aziende, fino ad allora considerate all’estero concorrenti temibili, subito dopo l’acquisizione vengono smembrate o comunque messe in condizione di non nuocere. Dal 1992 al 2002 il Tesoro ha “effettuato direttamente operazioni di privatizzazione per un controvalore di circa 66,6 miliardi di euro. A questa cifra vanno però aggiunte le privatizzazioni gestite dall’Iri (sempre sotto il coordinamento del Tesoro), per un controvalore di circa 56,4 miliardi di euro, le dismissioni realizzate dall’Eni (5,4 miliardi di euro) e la liquidazione dell’Efim (440 milioni di euro). Si tratta di cifre molto consistenti, da cui è facile intuire il valore e l’importanza dei beni venduti, o per meglio dire “svenduti“.

Per capire quanto valgono questi stessi beni che non ci appartengono più possiamo comparare gli incassi delle privatizzazioni con i valori attuali. Nel 1992 la cessione del 58% del Credito Italiano produce ricavi lordi per 930 milioni di euro, nel 2002 Unicredito Italiano capitalizza 26.593 milioni di euro. Tra il 1994 e il 1996 la cessione del 36,5% dell’Imi rese 1125 milioni di euro, le successive tre tranche, pari al 19% e al 6,9%, rispettivamente 619 e 258 milioni di euro, nel 2002 Imi-Sanpaolo capitalizza 16.941 milioni di euro. Un caso a parte è poi rappresentato dal Banco di Napoli: quel 60% che lo Stato vende alla Bnl per 32 milioni di euro (una volta ripulito delle perdite e dei crediti inesigibili con 6200 milioni di euro di denaro pubblico), è rivenduto dalla Bnl, a distanza di pochi anni, per 1000 milioni di euro. È anche vero che la BNL lo ha risanato completamente, ma la differenza tra i due valori è enorme.

Secondo il Fatto questi ultimi viene virtualmente ceduta una fetta della nostra sovranità nazionale. Chi produce il denaro è una casta di banchieri, anche stranieri, che ce lo presta a un tasso d’interesse variabile, a seconda della fiducia che il mercato ripone nei nostri confronti. E questo denaro viene creato dal nulla. Non c’è qualcosa di assurdo nel fatto che questa situazione sia considerata migliore e più moderna del vecchio modello dove Tesoro e Bankitalia appartenevano allo Stato? Com’è possibile che ci si fidi più di forze commerciali di mercato straniere che del nostro governo?

Completate le privatizzazioni comincia il gioco delle sedie: alcuni personaggi chiave lasciano il settore pubblico e vanno a lavorare per le grandi banche che hanno guidato la vendita del patrimonio nazionale sul mercato. Mario Draghi diventa vicepresidente della Goldman Sachs e Vittorio Grilli – ai tempi vicedirettore generale del Tesoro con delega alle privatizzazioni, viene assunto al Credit Suisse. Ma se costoro erano tanto bravi da essere chiamati dalle più grandi banche d’affari mondiali “i maghi della ristrutturazione delle imprese pubbliche”, allora perché non si sono rimboccati le maniche e queste metamorfosi le hanno fatte in casa, con gli stipendi dello Stato  ?

 

 

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