Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *
Captcha *
Reload Captcha
Giovedì, 02 Maggio 2024

In città l'ultima tappa d…

Apr 30, 2024 Hits:164 Crotone

Convegno Nazionale per la…

Apr 23, 2024 Hits:380 Crotone

L'Associazione "Pass…

Apr 05, 2024 Hits:829 Crotone

Ritorna Calabria Movie Fi…

Apr 03, 2024 Hits:871 Crotone

La serie evento internazi…

Mar 27, 2024 Hits:1069 Crotone

L'I.C. Papanice investe i…

Mar 01, 2024 Hits:1548 Crotone

Presentato il Premio Nazi…

Feb 21, 2024 Hits:1652 Crotone

Prosegue la formazione BL…

Feb 20, 2024 Hits:1469 Crotone

"Se mi chiamano in tribunale - siccome non sarà un processo a un uomo, ma un processo a un'idea di un'Italia bella, sicura, libera - in tribunale aspetto anche voi". Così Matteo Salvini rivolto ai suoi sostenitori in chiusura di un comizio a Ozzano dell'Emilia (Bologna) riferendosi al caso Gregoretti.

"Sono il primo politico a essere felice se lo mandano a processo - ha detto il leader della Lega - perché devono avere paura quelli che hanno fatto qualcosa di sbagliato, non chi ha fatto qualcosa di giusto".

 Il voto favorevole della Giunta ha permesso di fissare il passaggio successivo. Il 17 febbraio la richiesta di processare Salvini sarà discussa dall’aula intera del Senato. Se non ci saranno ricorsi, verrà dato per buono il risultato del voto in Giunta: Salvini verrà quindi processato. L’articolo 135 ter del regolamento del Senato, però, prevede che un gruppo di almeno 20 senatori possa «formulare proposte in difformità dalle conclusioni della Giunta». Secondo l’interpretazione dei principali giornali, significa che a quel punto il Senato dovrà tenere un nuovo voto sulla richiesta di processare Salvini arrivata dal Tribunale dei Ministri di Catania ormai diverse settimane fa.

Al momento sia il PD sia il M5S sia la Lega – cioè i tre partiti con la delegazione parlamentare più ampia – si sono espressi a favore del processo contro Salvini. Dopo le elezioni in Emilia-Romagna, però, le cose potrebbero cambiare, almeno sulla carta.

La Lega potrebbe decidere di cambiare posizione e votare contro, per evitare a Salvini di essere processato. E lo stesso potrebbe fare il Movimento 5 Stelle per evitare guai più grossi: Salvini ha già fatto capire che in un eventuale processo tirerebbe in ballo sia il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, indicato a inizio legislatura proprio dal Movimento 5 Stelle, sia il capo politico del Movimento, Luigi Di Maio, con cui era al governo durante la vicenda Gregoretti.

Se anche il Senato dovesse approvare definitivamente l’autorizzazione per processare Salvini, non è detto che il processo vero e proprio si tenga davvero. Una volta ottenuta l’autorizzazione, il Tribunale dei ministri deve trasmettere tutti gli atti al tribunale ordinario del capoluogo competente per il territorio, che per il caso Gregoretti è quello di Catania.

A quel punto, come ha fatto notare Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera, «la procura di Catania dovrebbe quindi riproporre il capo d’imputazione formulato contro Salvini dal tribunale dei ministri e sottoporlo al giudice dell’udienza preliminare, che dovrà decidere sul rinvio a giudizio. Con una particolarità, che diventerebbe l’ennesimo paradosso di questa storia: la Procura etnea s’era già pronunciata per l’archiviazione del caso Gregoretti ritenendo (a differenza che nel caso Diciotti) che non esistano gli estremi del sequestro di persona».

La procura di Catania dovrà quindi portare avanti un’accusa – alla quale non crede – per poi sottoporla al giudice per le udienze preliminari, che a quel punto deciderà se rinviare a giudizio Salvini (cioè al processo vero e proprio) oppure proscioglierlo.

Alessandra Ghisleri, sondaggista e direttrice di Euromedia Research che intervistata da La Stampa ha fatto analizzato la situazione. ''Probabilmente Salvini ha valutato che, tanto, a giudizio sarebbe finito lo stesso, per cui non aveva nulla da perdere e soltanto da guadagnare trasformandolo in un tema di campagna elettorale''. Secondo la Ghisleri, infatti, ora l’ex ministro può far pesare ''due suoi cavalli di battaglia come l'immigrazione e il ruolo dell'Italia in Europa''. Temi, tra l’altro, molto sentiti dalla popolazione di ogni Regione.

Per la nota sondaggista, come riporta il Giornale i partiti di centro- sinistra hanno cercato di evitare lo scontro diretto con il leader leghista perché su quel terreno ''non si sentono altrettanto forti'' nonostante ciò possa trasmettere ai cittadini ''una certa sensazione di ambiguità''. Ma davvero può una vicenda giudiziaria spostare consensi? La Ghisleri spiega che ''l’attacco concentrico su un leader lo trasforma in vittima'' e questo crea intorno all’”obiettivo” una rete di solidarietà. La sondaggista, a sostegno della sua tesi, ricorda che ciò è accaduto in passato con Berlusconi e addirittura in questi giorni anche con Bettino Craxi, del quale si è celebrato il ventennale della scomparsa.

Ma c’è di più. La direttrice di Euromedia un idea a Research sottolinea che agli occhi di molti Salvini è apparso come colui che si è impegnato per esercitare una pressione nei confronti di Bruxelles per ottenere ascolto rispetto a un problema reale, cioè l'immigrazione. E lo fatto assumendo posizioni euro critiche ma non ha mai messo in dubbio,a d esempio, una uscita dell’Italia dalla Ue. ''Dalle rilevazioni- racconta ancora la sondaggista - emerge che gli italiani non vogliono abbandonare l'Europa però praticamente tutti reclamano un rapporto diverso con le istituzioni comunitarie''. Un esempio lampante è quanto accaduto al presidente del Consiglio Giuseppe Conte che nell'ultima foto di gruppo dei leader Ue ha cercato un posto in prima fila vicino ai leader più importanti senza trovarlo.

La Ghisleri ha parlato anche del movimento delle Sardine, non risparmiando alcune critiche. È vero che la loro presenza in piazza conferma che esiste un popolo di sinistra ancora in grado di mobilitarsi e di riempire un vuoto ma il loro problema è legato alla mancanza di una precisa identità. ''Il difficile inizia proprio quando cominci a organizzarti e devi dare risposte su tanti temi che non puoi più scegliere a tuo piacimento. Si vedano- ha continuato la Ghisleri- i Cinque stelle, nati come lobby della gente, dal basso verso l'alto, che una volta proiettati al governo rischiano di essere vissuti come Casta se non danno seguito ai loro slogan''.

Infine una riflessione sulle elezioni in Emilia-Romagna. Per la direttrice di Euromedia Research, l'immagine di Stefano Bonaccini come bravo amministratore è importante così come il suo rapporto positivo col territorio. C’è un però che potrebbe cambiare le carte in tavola. Il candidato governatore del centro-sinistra ''incarna 50 anni di governi regionali sempre dello stesso colore; e ciò può diventare un handicap rispetto a quanti vogliono scalzare un sistema di potere da cui si sentono esclusi''.

Haftar prima della conferenza era volato ad Atene e ha aperto un nuovo fronte diplomatico. Il premier greco Kyriakos Mitsotakis è infuriato per il memorandum siglato da al Serraj con la Turchia sulle trivellazioni nel Mediterraneo e ha minacciato un veto su qualsiasi accordo di pace dovesse emergere dal processo di Berlino. Il ministro degli Esteri greco, Nikos Dendias, ha detto di ritenere "nullo" il memorandum e Mitsotakis ha annunciato che "la Grecia metterà il veto a ogni soluzione politica in Libia", se il memorandum tra Tripoli e Ankara "non viene revocato". Sembra chiaro però - secondo fonti vicine al dossier - che i memorandum firmati in queste ore verrebbero "superati" da un'eventuale processo di pace.

Sempre per favorire un risultato positivo della Conferenza, Angela Merkel prima della conferenza è volata a Istanbul per incontrare il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ma ha avuto un colloquio telefonico con Putin in vista di domenica e ha anche chiamato il premier greco Mitsotakis per raffreddare il fronte greco.
 
Erdogan, invece, continua a gettare benzina sul fuoco: in mattinata ha definito Haftar "un uomo inaffidabile" che starebbe continuando "a bombardare Tripoli". Sul fronte opposto dei sostenitori di Haftar, in una telefonata con il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio e il collega greco Dendias, il capo della diplomazia egiziana Sameh Shoukri avrebbe avvertito che l'invio delle truppe turche in Libia, a sostegno di Serraj, rappresentano "un rischio negativo per la Conferenza di Berlino e la situazione interna in Libia".

L'Alto rappresentante dell'Ue Josep Borrell dovrebbe presentare una proposta per una missione europea di salvaguardia del cessate il fuoco in Libia, sotto l'egida delle Nazioni Unite, in occasione del prossimo Consiglio Affari esteri di febbraio. In quella sede dovrebbe presentare anche una proposta per rilanciare il mandato dell'operazione Sophia, per il monitoraggio dell'embargo sulle armi. Si apprende da fonti diplomatiche europee, a margine del Consiglio Esteri Ue, ancora in corso. Tuttavia le stesse fonti sottolineano che ancora non si può parlare di un vero e proprio cessate il fuoco in Libia, ma solo di una tregua, perché le due parti in conflitto, il tripolino Fayez Serraj e l'uomo forte della Cirenaica Khalifa Haftar, non hanno sottoscritto la dichiarazione della Conferenza di Berlino.

E' arrivato il via libera alle conclusioni finali del summit, secondo la bozza circolata nelle ultime ore.

Al tavolo riuniti tutti i Paesi Ue ed extra Ue che hanno dato il loro ok alla dichiarazione finale mancano, tuttavia, i due leader libici Fayez Sarraj e Khalifa Haftar non hanno firmato il documento

"Tutti gli Stati sono d'accordo che abbiamo bisogno di una soluzione politica e che non ci sia alcuna chance per una soluzione militare", ha detto Angela Merkel al termine della conferenza. "Abbiamo messo a punto un piano molto ampio, tutti hanno collaborato in modo molto costruttivo, tutti sono d'accordo sul fatto che vogliamo rispettare l'embargo delle armi con maggiori controlli rispetto al passato". A Berlino "non abbiamo risolto tutti i problemi" sulla Libia ma "abbiamo creato lo spirito, la base per poter procedere sul percorso Onu designato da Salamé".

"Ci possiamo ritenere soddisfatti perché comunque abbiamo ottenuto passi avanti", ha detto il premier Giuseppe Conte parlando con Luigi Di Maio al punto stampa dopo la Conferenza di Berlino sulla Libia. "Ne abbiamo parlato e l'Italia è disponibile ad essere in prima fila per un impegno di responsabilità anche sul monitoraggio della pace. Ovviamente dovremo passare dal Consiglio di sicurezza dell'Onu". Alla base del documento "c'è un impegno di tutti gli stakeholders, comunità internazionale compresa, ad evitare ingerenze" in Libia. Lo dice il premier Giuseppe Conte parlando al punto stampa dopo la Conferenza di Berlino.

"Tutti si sono impegnati a ritirarsi dalle interferenze negli interessi libici. E' un principio che deve essere rispettato", ha sottolineato il segretario generale Onu, Antonio Guterres al termine della Conferenza di Berlino. Guterres ha espresso "profonda gratitudine per Merkel e l'iniziativa di questa conferenza, il suo impegno contribuirà alla stabilità della Libia", ha aggiunto ribadendo che "non c'é soluzione militare, lo hanno detto tutti i partecipanti. Tutti vogliamo negoziati sotto l'egida dell'Onu che portino ad una soluzione pacifica della crisi".

"Oggi è un giorno meraviglioso", ha detto l'inviato speciale dell'Onu per la Libia Ghassem Salamè auspicando che da domani si possa implementare tutto quello che è stato deciso oggi.

"La conferenza di Berlino ha raggiunto i risultati che si era data. Non sono stati risolti tutti i problemi, ma è stato compiuto il passo in avanti che aspettavamo. Tutti gli attori al tavolo, coinvolti nel conflitto in Libia, hanno infatti firmato una dichiarazione finale che contiene quanto richiesto dall'Italia in queste settimane": è quanto scrive su Facebook il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, secondo il quale "bisogna comunque essere cauti e continuare a lavorare ogni giorno".

Di Maio: 'Ue parli con una sola voce'. Conte: 'Lavoriamo per un efficace cessate il fuoco e per alimentare un processo politico in modo da rilanciare le funzioni del Consiglio presidenziale libico - ha scritto su Twitter il premier - e del Governo libico per una stagione di riforme che riguardino il piano politico-istituzionale, economico, di sicurezza'. E nel Palazzo della Cancelleria a Berlino, Conte e Di Maio incontrano il segretario di Stato americano Mike Pompeo.

"Stop alla vendita di armi, l'unica via è il dialogo, l'Ue deve parlare con una sola voce", dice intanto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio illustrando la linea italiana.

La conferenza di Berlino "è una tappa importante" per cementare il cessate il fuoco in Libia, dice il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

"Esortare le parti libiche a fermare tutte le ostilità contro le strutture petrolifere" del Paese. E' uno dei punti contenuti nella bozza della dichiarazione finale della Conferenza di Berlino, secondo le ultime anticipazioni riportate da Al Arabiya in un tweet. Ieri la National Oil Corporation libica è stata costretta su pressione del generale Khalifa Haftar a chiudere i terminal petroliferi della Cirenaica.

"Oggi si svolge a Berlino una conferenza volta a discutere della crisi in Libia. Auspico vivamente che questo vertice, così importante, sia l'avvio di un cammino verso la cessazione delle violenze e una soluzione negoziata che conduca alla pace e alla tanto desiderata stabilità del Paese", ha detto papa Francesco in Piazza San Pietro dopo la recita dell'Angelus.

Angela Merkel ha ricevuto tutti i leader internazionali invitati: soltanto la Tunisia ha rifiutato perché coinvolta tardivamente. Il premier Fayez Al Sarraj e il generale Khalifa Haftar hanno avuto colloqui separati con la cancelliera prima degli inizi dei lavori. In serata la cancelliera ha sentito separatamente i protagonisti libici riferendo poi le posizioni di entrambi in un nuovo tavolo dei lavori.

"L'Europa deve fare autocritica. Gli europei sono arrivati troppo tardi", dice il premier libico Fayez al Sarraj al Welt am Sonntag. Il primo ministro Sarraj si mostra deluso anche per le divergenze delle posizioni in Europa sulla questione libica, con la Francia più favorevole al rivale Haftar. "Ci saremmo aspettati che la Ue si schierasse in modo chiaro contro l'offensiva di Khalifa Haftar, e che aiutasse a risolvere la crisi attuale". "L'Europa purtroppo ha avuto finora un ruolo molto modesto. Anche se alcuni Paesi hanno un rapporto speciale con la Libia e sono nostri vicini con molti interessi in comune", ha aggiunto Sarraj.

La Germania ospiterà una seconda conferenza a Berlino, il prossimo mese, che avrà la funzione di monitorare la situazione in Libia. Lo ha annunciato questa mattina il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas. "Abbiamo deciso di organizzare una conferenza di monitoraggio all'inizio di febbraio a livello di ministri degli Esteri", ha spiegato il capo della diplomazia tedesca.La questione, dopo i progressi di ieri, è raggiungere una tregua completo e avviare un processo politico che apra la strada a una pace duratura, ha aggiunto Maas. 

Al termine del vertice di domenica i leader mondiali si sono impegnati a non interferire nel conflitto nel paese nordafricano e di sostenere l'embargo sulle armi.  Merkel: occorre soluzione politica "Tutti gli Stati sono d'accordo che abbiamo bisogno di una soluzione politica e che non ci sia alcuna chance per una soluzione militare". Così ieri Angela Merkel ha parlato alla stampa al termine della conferenza internazionale di Berlino sulla Libia. "Abbiamo messo a punto un piano molto ampio- dice-, tutti hanno collaborato in modo molto costruttivo, tutti sono d'accordo sul fatto che vogliamo rispettare l'embargo delle armi con maggiori controlli rispetto al passato". Ue Borrell: ora  bisogna capire come implementare "È stato un buon incontro, sono stati nominati i cinque componenti per il Comitato militare congiunto per la Libia". 

Così Josep Borrell, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, quando gli è stato chiesto degli esiti della Conferenza di Berlino tenutasi ieri. "Dobbiamo usare questa occasione per avanzare verso una soluzione" ha detto a margine del Consiglio affari esteri in programma oggi al Consiglio europeo a Bruxelles. Borrell ha continuato: "Il cessate il fuoco ha bisogno di qualcuno che se ne occupi, come la questione dell'embargo delle armi". "Ci sono mote cose ancora da discutere per capire come implementare l'incontro di ieri" ha concluso il rappresentante Ue. Oggi al Consiglio si parlerà di Libia, ma anche di clima, ha fatto sapere Borrell, riferendosi al vertice One Planet Summit della settimana scorsa a Parigi. 

Di Maio: l'Italia è pronta a svolgere "un ruolo di primo piano" L'Italia è pronta a svolgere "un ruolo di primo piano per il monitoraggio della pace in Libia", ha  il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, il quale dopo Berlino oggi è a Bruxelles per partecipare al Consiglio degli Affari Esteri, che deve dare una prima risposta ai passi decisi alla conferenza internazionale svoltasi domenica nella capitale tedesca sulla crisi libica. "Vi garantisco che lavoreremo in maniera serrata per raggiungere l'obiettivo comune: la fine delle ostilità", aggiunge Di Maio nel post su Facebook. 

Il capo della diplomazia italiana ricorda come, tra i punti concordati a Berlino, ci siano molte delle proposte su cui insisteva l'Italia: "Il rispetto dell'embargo delle armi con relative sanzioni per chi viola le regole, la necessita' di agire solo tramite azioni politiche escludendo quelle militari e il monitoraggio costante della situazione in Libia".  

Il Presidente turco Erdogan: a coordinare il processo di pace sia Onu e non Ue  "Visto che è coinvolta l'Onu, non è corretto che l'Ue intervenga come coordinatore del processo" di pace in Libia, ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, commentando l'esito della conferenza di Berlino con i giornalisti al seguito sul volo di ritorno dalla Germania. "I nostri passi nel processo libico hanno raggiunto un equilibrio politico. Se la tregua dovesse essere rispettata continueremo a sostenere questa pista sul campo e nelle discussioni", ha dichiarato il Erdogan citato dall'agenzia stampa turca, Anadolu.  

Torna la calma a Tripoli È tornata intanto la calma a Tripoli, dopo i nuovi, violenti scontri avvenuti nella serata di domenica a sud della capitale, lungo l'asse della strada che collega l'aeroporto all'altopiano meridionale. Gli scontri erano scoppiati poco dopo la conclusione della conferenza internazionale convocata a Berlino per cercare di riportare la pace in Libia. E i colpi di artiglieria, ha riferito una fonte al sito Libya Akhbar, sono stati uditi perfettamente in tutta la capitale.  

Ma stamani si registra anche una netta presa di posizione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che, commentando l'esito della conferenza di Berlino, ha detto: "Visto che è coinvolta l'Onu, non è corretto che l'Ue intervenga come coordinatore del processo" di pace in Libia. Lo ha detto.

Se il cessate il fuoco che abbiamo chiesto con Putin verrà rispettato, si aprirà anche un processo politico" in Libia, ha aggiunto Erdogan. "La presenza della Turchia in Libia ha aumentato le speranze di pace. I passi che abbiamo compiuto hanno portato un equilibrio al processo. Continueremo a supportare un processo politico sia sul terreno sia al tavolo delle trattative. La Turchia è la chiave per la pace", ha aggiunto il leader di Ankara.

Il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, ha fatto sapere che "l'Unione europea e è al lavoro per integrare l'accordo sul cessate il fuoco" raggiunto domenica a Berlino con il rispetto "dell'embargo sulle armi", per questo "a inizio febbraio si terrà a Berlino una nuova conferenza di aggiornamento" sulla situazione in Libia "a livello dei ministri degli Esteri". "Il nostro obiettivo - ha aggiunto Maas, arrivando al Consiglio degli Esteri Ue - è stato raggiunto ma era solo il punto di partenza. Ora il grande problema è un armistizio completo e un processo politico che apra la strada a una pace duratura".

"Penso che" la missione europea Sophia "dovrebbe essere fatta rivivere". Queste le parole dell'Alto rappresentante dell'Ue Josep Borrell, arrivando al consiglio Esteri dell'Ue. "E' troppo presto" per parlare della partecipazione della Svezia ad una missione in Libia ma se ci sarà una proposta in questo senso, la valuteremo e la discuteremo in Parlamento" ha commentato la ministra degli Esteri svedese Ann Linde. Dello stesso tono il commento del ministro degli Esteri austriaco Alexander Schallenberg: "Non siamo ancora arrivati al momento" per una missione di pace Ue in Libia, "ora è il momento di garantire il cessate il fuoco e il quadro politico adeguato". L'accordo raggiunto ieri a Berlino "è da accogliere come una svolta e una prima notizia positiva, ora bisogna garantire un processo politico sostenibile" al Paese nordafricano con l'aiuto di "Ue e Nazioni Unite insieme", ha aggiunto.

L'Unione Europea abbia rigettato l'intervento turco in Libia, in seguito all’incontro a Bruxelles, l'Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza comune e i ministri degli Affari Esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta con cui respinge l’intervento militare turco in Libia e qualsiasi azione unilaterale da parte di Paesi terzi. Alla luce della posizione netta della Fratellanza Musulmana contro l'Europa e il popolo libico sarebbe ora che la Comunità Internazionale ritiri il sostegno al Governo ad Al-Serraj e metta il popolo libico in condizione di esprimere la propria volontà.

In Libia i precedenti governi italiani hanno scelto di stare dalla parte sbagliata, quella di Fayez al-Serraj e degli islamisti. Come scrive Giovanni Giacalone, ricercatore ed analista presso l'Università Cattolica, la retorica del “supporto alla popolazione libica” e della “mediazione” più volte espressa dall’Italia è andata di pari passo con una predilezione per Tripoli in quanto governo supportato dall’Onu e “riconosciuto dalla comunità internazionale”, mentre nel frattempo Haftar si agganciava ad alleati come Egitto, Emirati, Arabia Saudita e Russia.

È plausibile che il sostegno di Roma all’esecutivo islamista di al-Sarraj, al di là degli interessi italiani in loco, non fosse altro che l’eredità di una strategia atlantista fallimentare che trova origine in quelle “Primavere Arabe” che di primaverile hanno tra l’altro mostrato ben poco. Scive Giacalone che aggiunge: "all’epoca, infatti, l’amministrazione Obama puntò su una serie di esecutivi guidati dai Fratelli Musulmani che dovevano andare a rimpiazzare i regimi in Tunisia, Egitto, Libia e Siria, ma di fatto poi le cose andarono diversamente". Era prevedibile che il sostegno all’islamismo politico in Libia non avrebbe portato a nulla di buono e le ragioni erano diverse: dalla presenza di milizie islamiste di varia estrazione e signori della guerra tenuti assieme prettamente da interessi particolari (oltre che dalla contrapposizione ad Haftar) all’arruolamento di personaggi improponibili legati a gruppi qaedisti tra le milizie fedeli a Tripoli, tra cui Mahmoud Ben Dardaf, terrorista ricercato dal governo della Libia orientale per l’assalto al consolato statunitense di Bengasi del settembre 2012. Bisognava inoltre chiedersi se fosse veramente al-Sarraj a controllare le milizie o se non fossero invece le milizie a controllare lui.

Il fatto che Tripoli e Misurata fossero legate a quell’area ideologico-religiosa vicina ai Fratelli Musulmani era noto, non a caso il principale sostegno ricevuto viene proprio da Qatar e Turchia, i due sponsor per eccellenza dell’organizzazione islamista. Non a caso al-Sarraj, appena se l’è vista brutta, ha aperto le porte a Erdogan, principe del terrorismo, che si è precipitato.  Erdogan non è certo esempio di democrazia e tolleranza. Era lo stesso Erdogan che durante il conflitto siriano inviava armi e rifornimenti ai jihadisti e li curava nei propri ospedali. Purtroppo però c’è chi a livello istituzionale è ancora convinto che bisogna dialogare con l’islamismo politico di quell’area e i risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti. Erdogan manda le truppe e l’Italia molto probabilmente resterà a guardare e a bocca asciutta. Erdogan potrà così utilizzare i porti della Libia per “aprire il rubinetto” e riversare migranti verso le coste europee, come già fatto da est. Un disastro su tutta la linea e una situazione che non permette più mezze misure e posizioni ambigue.

Il ministro della Difesa Nikos Panagiotopoulos ha dichiarato giovedì scorso, 9 gennaio 2020, che la Grecia è interessata ad acquisire, nei prossimi anni, uno squadrone di caccia Lockheed Martin F-35 fabbricati negli Stati Uniti come parte del suo piano per rivendicare la sua superiorità sulla Turchia nella difesa aerea. Parlando alla televisione, il ministro ha detto che l’upgrade degli F-16 della Hellenic Air Force inizierà nei prossimi giorni, aggiungendo che il processo richiederà circa sette-otto anni.

Panagiotopoulos ha anche affermato che la Grecia risponderà “in modo dinamico” a qualsiasi sfida alla sua sovranità e ha confermato che gli Stati Uniti hanno in programma di prendere iniziative per disinnescare le tensioni con Ankara in seguito alle riunioni del Primo Ministro Kyriakos Mitsotakis con la leadership, i senatori e i legislatori statunitensi a Washington.

Proprio sul tema della difesa aerea, la Grecia fronteggia quasi giornalmente i caccia turchi sul Mar Egeo. Negli ultimi giorni sono state 40 le violazioni dello spazio aereo greco da parte di sette aerei da combattimento turchi nell’Egeo nord e sud-orientale. Cinque di queste incursioni hanno portato al combattimento aereo “simulato” tra i jet greci e quelli turchi. 18 di queste violazioni sono state registrate sulle isole di Ro, Kastellorizo e Strongyli nell’Egeo sud-orientale, subito dopo una visita nell’area da parte del capo dello stato maggiore dell’esercito ellenico, il tenente generale Georgios Kambas.

Allo stesso tempo, il direttore generale ad interim del Ministero degli Esteri turco, Cagatay Erciyes, ha pubblicato un commento su Twitter sfidando i diritti sovrani della Grecia, con una foto allegata che indica Kastellorizo. “È ridicolo credere che una piccola isola di 10 km2 che si trova a 2 km dalla Turchia e 570 km di distanza dalla Grecia possa creare una zona marittima di 40.000 km2 nel Mediterraneo“.

Intanto Il Generale Haftar vola segretamente in Grecia per colloqui con Atene, risentita per la sua esclusione dalla Conferenza di Berlino di domenica prossima sulla Libia, e soprattutto irritata perché il governo di Sarraj, riconosciuto dall’ONU e dall’Italia, ha firmato un accordo di cooperazione energetica e militare con la Turchia, rivale della Grecia. L’accordo tra Tripoli ed Ankara dunque riguarda non solo gli aiuti militari, soldati turchi e cosiddetti Syrian fighters sono già in Libia, ma pure l’esplorazione delle risorse energetiche nel Mediterraneo. Ciò confligge con gli interessi di Grecia, Cipro ed Israele, ma anche dell’Italia vista la storica presenza dell’ENI in Libia ed il gasdotto EastMed project.

Durante il suo blitz romano, Haftar ha incontrato Victoria Coates, vice consigliere per la Sicurezza nazionale e Richard Norland, ambasciatore statunitense in Libia. A novembre, il generale aveva incontrato altri altissimi funzionari Usa (tra cui lo stesso Norland) in un Paese del Medio Oriente. Come rivelato dal Washington Post, Haftar in quell’occasione incontrò l’Ambasciatore Usa in Libia, il funzionario per l’Energia Matthew Zais e generale Steven deMilliano, vice direttore di Africom (il comando Usa per l’Africa). Se a questo si aggiungono gli incontri avvenuti al Congresso tra lobbisti pro Haftar e uomini del Partito repubblicano e del dipartimento dell’Energia, tutto assume un connotato diverso: la Libia non è per nulla un problema secondario per Washington.

Gli Stati Uniti non sono affatto fuori dai giochi in Libia. E l’ultima catena di episodi che coinvolge il Paese nordafricano è un insieme particolarmente importante di eventi, incontri, interventi militari e minacce che fa credere che a Washington il dossier libico sia entrato prepotentemente al Dipartimento di Stato. Gli Stati Uniti, per molto tempo, hanno “dimenticato” la Libia.

il Mediterraneo e allargato, che ogni giorno di più assume una valenza strategica fondamentale, non può essere considerato un problema minore per gli strateghi americani. Specialmente se a dividerlo sono Russia e Turchia: la prima un avversario di sempre, la seconda un alleato che da troppo tempo ammicca verso Mosca e Pechino.Le trattative sotterranee sono ben altre e a Washington, evidentemente, non si fidano totalmente del governo libico. Soprattutto perché il sostengo di Recep Tayyip Erdogan, del Qatar e la sua debolissima leadership fanno sì che gli Usa abbiano da tempo guardato altrove. E quell’altrove si chiama Khalifa Haftar, generale della Cirenaica che, oltre alla partnership con Russia, Emirati, Arabia Saudita ed Egitto, e diversi legami con parecchi alleati americani, è anche un vecchio amico della Cia. Proprio quella Cia di cui era direttore Mike Pompeo, oggi a capo della diplomazia statunitense.

Gli Stati Uniti hanno messo sul piatto alcune richieste per acconsentire a concedere ad Haftar un ruolo. E un uomo che è anche cittadino americano e che ha contatti con la Cia non può rimanerne sordo. Gli Stati Uniti vogliono garanzie soprattutto sotto due profili: la presenza dei mercenari russi della Wagner (e quindi sul legame tra Bengasi e Mosca) e la spartizione delle rendite del petrolio della Noc. Ottenute queste garanzie, si passa poi agli affari più pragmatici. E, come confermato anche da Startmag, questi si incentrano sul ruolo delle compagnie americane nel territorio libico, in particolare della Halliburton, la compagnia di sicurezza Guidry Group e la General Electric.

Insomma, l’interesse Usa per la Libia è tutt’altro che finito. E non è un caso Haftar abbia fatto saltare la tregua a Mosca mentre è pronto a firmarla a Berlino: città prescelta anche dai funzionari americani come luogo per l’approvazione dell’accordo. Per Putin, il meeting moscovita si è concluso con uno smacco che ha dimostrato l’inaffidabilità della Cirenaica. E questo nonostante i contractors della Wagner da tempo sostengano l’Esercito nazionale libico. Mentre adesso gli Stati Uniti possono comunque far capire al mondo che quella pace passa anhce dal loro ruolo che in questo momento è meno divisivo di quanto si possa immaginare: quasi a imitare quello che ha provato a fare fino ad ora la Russia.

Intanto la Turchia avvierà quest'anno "attività di esplorazione e perforazione" nel Mediterraneo nelle zone inquadrate dall'accordo sulla demarcazione dei confini marittimi con la Libia. Lo ha annunciato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, spiegando che "la nave Oruc Reis effettuerà inizialmente un'esplorazione sismica". "Non è più possibile per altri Paesi condurre attività di ricerca sismica e di perforazione senza il consenso della Turchia e della Libia nelle aree designate dall'accordo marittimo", ha aggiunto il leader di Ankara. Il memorandum d'intesa, siglato a fine novembre a Istanbul da Erdogan con il premier del Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli Fayez al-Sarraj, è stato condannato da gran parte della comunità internazionale, che non lo ritiene legittimo. In particolare, Grecia e Cipro denunciano violazioni delle rispettive frontiere.

L’Italia osserva molto attentamente scrive il giornale. Giuseppe Conte e Di Maio continuano a ripetere che il ruolo americano sarà essenziale per la pace in Libia. E questo serve anche per far comprendere a tutto il blocco che sostiene Haftar che, nei fatti, l’asse con Washington esiste. E che il sostegno a Serraj è in realtà parallelo ai contatti con Bengasi. A Tripoli c’è Sarraj: ma c’è soprattutto Erdogan, che da tempo dà spallate a Roma. Trump ha interesse a evitare una Libia spaccata che porti a un’ascesa del ruolo dei suoi rivali. E l’Italia sa che può soltanto sperare nell’asse con gli Stati Uniti per tentare non certo di riprendersi la Libia (ormai persa definitivamente): ma evitare di vedersi esclusa anche dal futuro consesso per la pace.

Il prossimo 19 gennaio del nuovo anno, cadrà il ventennale della morte di Bettino Craxi. C’è da augurarsi che ancora una volta non si scateni la solita trita polemica, volgare e violenta, come purtroppo è accaduto in questi anni e anche in tempi recenti.

Questo e un articolo di Gianpaolo Sodano che condivido per intero scritto per Moondo  :

È innegabile che esiste (non risolta) una questione Craxi e quindi sarà inevitabile una riflessione intorno all’operato di un leader che ha segnato con la sua presenza e le sue idee una intera stagione della politica italiana. Dovremo dare una risposta alla domanda se il socialista Bettino Craxi sia stato un grande statista oppure un latitante sfuggito ai rigori della legge, anche se per rispondere basterebbe riascoltare, con un po’ di attenzione, il Suo discorso alla Camera dei Deputati del luglio 1992: ci accorgeremmo che seguendo il filo della sua analisi si sarebbe potuto realizzare una riforma dei partiti e delle istituzioni e dare una soluzione politica alla questione morale, senza passare attraverso il buio della reazione populista e giustizialista che ha distrutto formazioni politiche e classi dirigenti lasciando il paese in mano alla “società civile”, una espressione usata per indicare una realtà sociale contrapposta al sistema politico-istituzionale e che è stata utilizzata da noti giornalisti della carta stampata e della televisione per denunciare le responsabilità di quel sistema.

Quei stessi giornalisti che ad esempio non hanno visto, non hanno sentito, o forse non c’erano, quando si progettava e poi si realizzava la svendita che è seguita a tangentopoli di tutti i “gioielli di famiglia” dall’IRI alla STET, alla MONTEDISON oppure si erano distratti quando a Bruxelles si consumava la subalternità italiana per un cambio lira-euro, frutto della pressione francese, che ci ha fatto improvvisamente trovare in tasca la metà del salario.

Craxi è stato l’espressione più alta di quella classe dirigente che si opponeva al disegno di smantellare la potenza industriale dell’Italia, dalla chimica alla comunicazione, e che ha cercato negli anni ‘80 di realizzare una riforma dello Stato e della politica per edificare un’architettura istituzionale che potesse far uscire il nostro Paese da quel consociativismo democristiano-comunista che ha condizionato la modernizzazione e lo sviluppo della comunità nazionale.  

Bettino Craxi

Tangentopoli è stata una gigantesca messa in scena sul palcoscenico della provincia Italia per favorire, dietro le quinte, quelle forze economiche e politiche interessate a nuovi equilibri dei poteri nel nostro paese. Forse è necessario ricordare che in una vicenda di corrotti e corruttori, a pagare furono soltanto i corrotti, cioè i politici, mentre i corruttori, dopo un rapido passaggio nei corridoi della Procura di Milano potevano tornare nei loro Consigli di amministrazione e da lì cercare di ritagliarsi uno spazio nella distruzione dell’industria di Stato: agirono con una visione corta del proprio futuro con il risultato di essere costretti a passare la mano agli investitori esteri e ai fondi di investimento.

Il recente accordo Peugeot-FCA, che significa in pratica l’acquisto da parte della casa automobilistica francese di ciò che restava della Fiat, è l’ultimo atto di questa corsa suicida. Le vittime più illustri di tangentopoli sono stati probabilmente Raul Gardini e Gabriele Cagliari, che ebbero il torto di credere di poter realizzare in Italia un grande progetto della chimica con la forza delle idee e del danaro senza contare che cosa era nel nostro paese quella razza padrona che un tempo aveva ottenuto da Mussolini di far fermare un treno in piena campagna per risolvere problemi familiari di un illustre suo appartenente… e così l’unica cosa da fare per la Procura di Milano fu quella di accusare Sergio Cusani, il professionista di fiducia della famiglia Ferruzzi, di reati collegati alla joint venture tra ENI e Montedison, chiamata Enimont:  il processo, in diretta televisiva, servì a mettere alla gogna tutti i leader dei partiti di governo. Il resto è noto. Nel processo emerse anche, che una valigia contenente denaro era pervenuta in via delle Botteghe Oscure, nella sede nazionale del PCI, ma le indagini si erano arenate, dato che non si erano trovati elementi penalmente rilevanti nei confronti di persone fisiche.

Ad assistere al tutto, Romano Prodi, presidente dell’Iri. Poi presidente del Consiglio. Poi Presidente della Commissione europea. Poi, di nuovo presidente del Consiglio. Poi, Nume tutelare, a disposizione. Il professor Prodi potrebbe raccontarci molte cose di quella vicenda ad iniziare dalla fine dell’IRI che fu liquidato alla chetichella, chiuso dalla sera alla mattina non per questioni di merito ma in base a pregiudiziali ideologiche, sull’onda della “rivoluzione di mani pulite”, per finire alle privatizzazioni delle industrie di Stato come per esempio la Cirio, cessata di esistere dopo la sua svendita e di cui è rimasto solo un marchio ballerino. Pietro Armani, consigliere di amministrazione dell’IRI, è morto senza aver visto affermate o negate le sue accuse su quell’ “affare”.

Ha scritto Augusto Minzolini: “L’avvento del Prodi “politico” fu progettato, programmato. Fu il tentativo di ricostituire un “ordine” dopo Tangentopoli. Ricordo un aneddoto: pochi mesi prima di essere costretto a lasciare l’Italia, a poche settimane dall’episodio delle monetine davanti al Raphael, Bettino Craxi, che io seguivo assiduamente come cronista politico de La Stampa, mi consegnò un documento, senza intestazioni, di 13 pagine. Dentro c’era un’analisi che individuava in Tangentopoli uno strumento per privatizzare i gioielli dell’economia italiana (era menzionata anche la famosa riunione sul Britannia, quella nella quale la grande finanza internazionale aveva immaginato un “dopo” per il mondo post-comunista e per il nostro Paese): ebbene nell’ultima pagina di quel documento, siamo nel 1993, si parlava di un possibile governo Prodi… Dopo qualche settimana mi fu detto – ma non ebbi mai una conferma ufficiale – che quel documento era un rapporto dei servizi segreti tedeschi sui piani della finanza anglosassone. Fantapolitica? Probabilmente, ma ho sempre pensato che Prodi fosse un predestinato. L’uomo su cui l’establishment italiano – quello che era venuto fuori dalla democrazia cristiana e dal partito comunista – aveva puntato per portare l’Italia nella seconda Repubblica.” (Augusto Minzolini “Quando il retroscena conquista la ribalta” in “Passi perduti” di Giorgio Giovannetti, 2018).

Sarà utile rileggere le cronache di Tangentopoli alla luce di quanto è accaduto dopo, con diverse leggi elettorali, per consentire la nascita di nuovi partiti o la rinascita di vecchi, oppure movimenti che uno dopo l’altro si sono candidati a governare senza averne cultura e capacità e soprattutto, salvo qualche eccezione, esprimendo una classe dirigente non in grado di restituire alla politica il prestigio perduto e alla democrazia liberale il necessario equilibrio dei poteri.

E così, periodicamente, la mattanza continua. Inseguito per un decennio da tutte le procure è tramontata la stella di Silvio Berlusconi, il tycon della tv commerciale che si era illuso di farla franca sposando il linguaggio dei populisti e mettendo al loro servizio le sue reti.

Al suo posto è salito sul palcoscenico Matteo Renzi, sicuramente il più “politico” dell’ultima generazione di politici. Si può essere d’accordo con lui o meno, ma aveva un progetto per il Paese: ricreare un soggetto politico in grado di governare l’Italia da una posizione di centro. Che sia una sinistra che guarda verso il centro, o viceversa, per Renzi poco importava. Non era una novità ma uno schema con cui la democrazia cristiana aveva governato nel secolo scorso, anche se bisogna dire che l’aggiunta di intenzioni rottamatrici e di riformismo anticorporazioni, dopo vent’anni di Seconda Repubblica, era apparso a molti del suo ex partito un progetto estraneo alla cultura cattocomunista del PD e da eliminare presto, e con ogni mezzo, dal dibattito politico.

Allo spegnersi dell’esperienza del leader fiorentino si accendeva il Movimento 5 Stelle: l’eredità della protesta delle monetine del Raphael la prende Beppe Grillo con i suoi “Vaffaday”, una nuova puntata del populismo made in Italy. Tuttavia è giusto riconoscere che i “grillini” hanno incanalato il malessere nel solco dell’antipolitica assolvendo ad una funzione positiva, evitare che il malumori vestissero i gilet gialli o addirittura la camicia nera dei nostalgici del fascio. Il problema è nato nel momento in cui, con le elezioni del 2018, il Movimento ha dovuto assumere i connotati di un nuovo ceto politico di governo. La mediocrità dei suoi rappresentanti è sotto gli occhi di tutti e il primo ad esserne consapevole è Beppe Grillo, l’apprendista stregone che non riesce a gestire la sua alchimia.

E poichè in politica non esistono vuoti di potere ecco che dalle quinte spunta il nuovo pretendente, Matteo Salvini, l’ultimo arrivato che si è preso la scena. Tutto lascia supporre che tra Di Maio da una parte e i magistrati dall’altra, con un Bossi non troppo soddisfatto di avergli ceduto il posto, lo spettacolo non durerà a lungo. Il povero Matteo ha alzato troppo la posta, tra comunismo padano e sovranismo rischia sempre più di perdere il filo del discorso politico, insidiato da una Giorgia Meloni ormai tutta protesa fuori della Garbatella, il popolare quartiere romano che un tempo costituiva tutto il suo feudo.

La morte di Bettino Craxi fuori dalla patria è stato il segno più evidente di un rigetto che una parte dell’opinione pubblica – ingannata dal circuito mediatico-giudiziario e dalla propaganda populista della televisione commerciale e dei pifferai del servizio pubblico RAI – ha nutrito verso il partito socialista che in Parlamento e al Governo ha saputo garantire, malgrado la tragedia del terrorismo, pace sociale e sviluppo economico, frenando, nello stesso tempo, le tentazioni assolutiste del partito di maggioranza relativa e la vocazione egemonica del partito comunista.

Non tutti i socialisti lo compresero fino in fondo: abbandonarono Craxi e la sua linea politica per il timore dei nuovi equilibri politici e istituzionali. Craxi restò solo: la responsabilità politica non va ricercata solo negli altri partiti, nei giudici di mani pulite e nei giornali legati alla grande industria che li sostennero. Alla fine pagarono coloro che si erano più esposti: ricordiamo i 34 suicidi che accompagnarono la fanfara di “mani pulite”.

Cogliamo l’occasione della commemorazione della morte di Bettino Craxi per aprire una fase nuova: dopo il tempo della abiura lasciamo il passo ad una riflessione più serena, alziamo lo sguardo oltre i confini del presente, ricostruiamo la memoria di un popolo umiliato e offeso dalla dittatura fascista, capace di conquistarsi un rinnovato prestigio e di realizzare nel giro di pochi anni, sulle macerie della guerra nazista, un vero miracolo economico.

Il ritrovarsi ad Hammamet il 19 gennaio 2020 può essere l’occasione per l’inizio di un esame di coscienza collettivo. Noi di Moondo ci saremo, consapevoli che l’epilogo è tutto da scrivere: uno di noi ha iniziato a farlo scrivendo un libro documentato che sarà in libreria dalla metà del prossimo mese in cui si tenta una riflessione su quanto accaduto 30 anni fa (Mario Pacelli, Ad Hammamet, edizioni Graphofeel, 2020) augurandoci che qualcuno non rovini tutto mettendo in scena una passerella per pentiti con il cappio o con le monetine. 

Pubblicità laterale

  1. Più visti
  2. Rilevanti
  3. Commenti

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI