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Contro la crisi economica investire sulla persona umana

«Non ho che una passione ‒ scriveva Alexis de Tocqueville ‒ l’amore della libertà e della dignità umana, forse l’unica santa e legittima passione dell’uomo».

Se è vero che la storia è da sempre un intreccio drammatico di libertà e oppressione, allora dove trovare la certezza nel fatto che la storia abbia un fine e che questo fine sia la libertà? 

La letteratura distopica (cioè “anti-utopistica”) ci ha educati ad una certa confidenza con un “sistema di servitù generalizzata”. Come se la felicità umana possa derivare soltanto dal dominio di un ente sovraordinato all’uomo stesso. Del resto, il mondo nuovo che qualcuno vuole donarci ad ogni costo, nell’ambizione della perfezione storica, impone che la libertà sia schiacciata da consumismo e tecnocapitalismo. E allora, esiste un “destino per la libertà?”. È questo quello che si domandano Bauman, Giaccardi e Magatti, gli autori del volume “Il destino della libertà”, Città Nuova, pp. 100, €. 12,00. 

Ad interrogarsi su cosa sia la libertà, qual è l’uso che ne facciamo, e, soprattutto, a cosa serve, è in particolare Zygmunt Bauman. Il sociologo e filosofo polacco noto per la metafora sulla postmodernità, che ha reso la nostra “società liquida”. 

Tutte le considerazioni in cui ci si imbatte scorrendo le pagine del libro vertono intorno ai cambiamenti della società odierna, vittima e carnefice anche della crisi economica. Bauman, allora, introduce la sua riflessione citando una ricerca internazionale, svolta da un prestigioso gruppo di studiosi di diverse università europee, sui valori della società europea. Dallo studio è emersa la forte corrispondenza che esiste tra la percezione della propria felicità e la percezione del controllo sulla propria vita. Il che vorrebbe significare che una persona, per sentirsi veramente libera, deve avere la capacità di autodeterminazione, di produrre la propria identità. Sarebbe questo, pertanto, il concetto di libertà condiviso dalla maggioranza degli europei.

Il punto di vista di Bauman si articola nel tentativo di incorniciare la situazione attuale: quali sono le «tendenze visibili al momento nella società contemporanea, dove ci porteranno e quali sviluppi avranno?». E, da sociologo, analizza un mondo in cui le capacità di scelta, che sono nella disponibilità degli uomini, si stanno restringendo, in cui la responsabilità decisionale viene negata a molti e «la speranza, per tanti giovani, di poter realizzare e mettere in pratica ciò che è stato insegnato loro dalla scuola, dalla famiglia e dalla società sembra venir meno». Da qui ad un’analisi sullo stato del capitalismo il passo è breve. Ed è da quest’ultimo che proseguono le considerazioni di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti. 

Ci viene fotografato un Occidente saturo di idoli e che ha dimenticato Dio. Che si è stretto a vivere in contesti in cui le persone si trovano espropriate di ciò che consentiva di vivere insieme: «la saggezza dell’esperienza, la tradizione, la solidarietà, le culture comunitarie. Tutto ciò è stato sequestrato, sterilizzato e rivenduto come prodotto da consumare, facendo collassare libertà e ‘libera’ scelta: più possibilità di scelta abbiamo, più siamo liberi - è uno dei principali assunti della contemporaneità. Un problema di quantità, insomma. Ma dentro una gamma predefinita». 

La vita del ventunesimo secolo è ridotta a consumo, e non a caso Zygmunt Bauman parla di “homo consumens”. 

Più si avanza nella lettura e più ci si ritrova davanti un affresco della folle società in cui siamo immersi, e, in breve ci viene detto che stiamo sbagliando tutto, o quasi. Di certo abbiamo sbagliato a giocare le carte per reagire alla crisi economica, mancando di investire sull’unico obiettivo che vale sempre la pena perseguire, la persona umana. 

“Il destino della libertà” diventa, così, una facile finestra sulla nostra società: in cui tutti si dicono e si vogliono liberi, mentre si ostinano a correre nella stessa direzione in modo gregario, cioè come un gregge. 

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