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La conversione di Silvia Romano all'Islam e come è stata liberata

Quando il 18 novembre 2018 Silvia viene catturata nel villaggio di Chakama in Kenya da tre uomini armati, si accredita la matrice dei criminali locali. E invece è stato tutto pianificato, sono i terroristi ad aver ordinato il sequestro. Fanno un primo tratto di strada in moto, si addentrano nella foresta. «Mi hanno dato dei vestiti, un paio di pantaloni, una maglietta e un maglione. Poi mi hanno tagliato i capelli. Dovevamo camminare tra i rovi, mi hanno detto che era meglio». Un mese dopo, mentre tutti la cercano in Kenya, Silvia è già in Somalia. Gli estremisti hanno già pronte le condizioni per ottenerne il rilascio. Soldi, molti soldi.

Da quel momento cominciano a giocare sulla paura, diffondono notizie facendo credere che Silvia sia morta. Prima viene detto che è stata coinvolta in una sparatoria, poi che potrebbe essere rimasta vittima di un’infezione a un piede che non si è riusciti a curare. In Kenya la cercano con i droni e con le battute nella foresta. Più volte la polizia locale annuncia che «la liberazione della cooperante italiana è imminente». Ma è soltanto un bluff. In realtà Silvia è lontana e ha cambiato almeno due covi. A maggio 2019, quando arriva il primo video per provare che è viva, l’intelligence si fa portavoce della risposta del governo italiano: trattiamo le condizioni.

Nulla sa della contropartita versata ai sequestratori, di quella triangolazione tra Italia, Turchia e Qatar che ha consentito di chiudere la partita con il gruppo fondamentalista che l’ha tenuta prigioniera per 18 mesi. Su quel quaderno trasformato nel diario del suo incubo Silvia annotava ogni dettaglio. E adesso sono proprio i dettagli a comporre il quadro di una trattativa giocata sempre sul rialzo del prezzo.

La “bomba” è stata sganciata oggi dall’agenzia turca Anadolu, che ha pubblicato una foto in cui si vede Silvia Romano mentre, subito dopo esser stata liberata, indossa un giubbotto antri proiettile con, attaccato, un patch raffigurante la bandiera turca. L’articolo, chiaramente una velina gentilmente offerta da Ankara, è molto scarno ed è confezionato solamente per celebrare il ruolo svolto dai servizi segreti turchi nell’operazione che ha portato alla liberazione della cooperante italiana. Servizi segreti che o hanno direttamente scattato la fotografia alla Romano oppure hanno provveduto a modificarla ad hoc, in modo tale da accentuare il lavoro svolto.

La versione di Ankara è stata ovviamente smentita dall’intelligence italiana: la cooperante italiana, infatti, sarebbe stata recuperata nella notte tra venerdì e sabato dai nostri 007 “con quello stesso giubbetto che si vede nella foto, che è dotazione rigorosamente italiana e che le è stato fornito nell’immediatezza senza alcun simbolo” e “quindi non è da escludersi che quella foto sia un fake”, fanno sapere i nostri servizi : “Gli uomini dell’intelligence italiana che hanno compiuto l’operazione di liberazione sono gli stessi che nel novembre 2018, 48h dopo il sequestro, sono immediatamente stati inviati in territorio keniota dove, in collaborazione con le forze locali, hanno iniziato le operazioni di ricerca anche con l’ausilio di sofisticati droni” e che, “dopo aver avuto contezza del trasferimento della rapita in Somalia, si sono trasferiti stabilmente in quel paese, senza mai interrompere le attività di ricerca, fino all’operazione dell’altra notte, quando, in silenzio e con professionalità, hanno recuperato Silvia Romano”.

Lo scorso 17 gennaio è arrivato un video in cui la ragazza diceva di stare bene. Il filmato in questione, di matrice jihadista, è stato fondamentale al fine della liberazione: era la prova lampante che Silvia era ancora viva e che si poteva giungere a un accordo, subito dopo l’arrivo dell’autorizzazione al pagamento del riscatto. Un continuo tira e molla con i rapitori che cercavano di ottenere il più possibile, rischiando anche di far cadere tutto. Un lavoro di intelligence e diplomazia per riportare a casa la giovane. Il punto non era solo il prezzo per la sua liberazione, ma soprattutto capire se coloro che stavano contrattando erano realmente gli aguzzini di Silvia.

Ad agosto il capo del gruppo le chiede di girare un altro video. È la seconda prova in vita chiesta dall’intelligence. Il 19 settembre Il Giornale pubblica la notizia che «Silvia è stata costretta al matrimonio islamico con uno dei suoi aguzzini, obbligata alla conversione». Dopo mesi di silenzio arriva la conferma che è nelle mani dei fondamentalisti. Sale l’angoscia. E anche il prezzo per la sua liberazione. I negoziatori fanno capire che si trova a sud della Somalia, in quell’area del Jubaland dove gli estremisti sono gli unici padroni. Gli 007 dell’Aise guidati dal generale Luciano Carta lavorano in collaborazione con i servizi segreti somali, ma è soprattutto sulla Turchia che si fa affidamento. Su quei contatti che certamente si sono rivelati decisivi per tenere aperto il canale e riportare Silvia a casa. L’ultimo video del 17 gennaio 2020 arriva in Italia a metà aprile. Ma non basta, in questi tre mesi di lockdown mondiale da coronavirus Silvia potrebbe essere morta.    

Venerdì notte però la svolta e la liberazione, avvenuta a una trentina di chilometri da Mogadiscio. Silvia Romano è arrivata indossando abiti tradizionali delle donne somali, una lunga tunica, e con la testa coperta. Immediatamente, come riportato dal Corriere, è stata trasferita all’ambasciata italiana in Somalia. Qui le è stato chiesto di cambiarsi i vestiti ma lei si è rifiutata di farlo, spiegando di essere convertita all’Islam e di volerne parlare prima con la madre, appena riuscirà a incontrarla.

La scelta di abbracciare la stessa religione dei suoi carcerieri, di quelli che hanno fatto irruzione nella sua vita strappandola alla libertà e agli affetti per 18 mesi, è una cosa che sfugge all'umana comprensione. Non esistono spiegazioni razionali che ci mettano al sicuro da ciò che non riusciamo a decifrare. E così ognuno ricorre alla sua suggestione.

Oggi, in un’intervista esclusiva a Repubblica, Ali Dehere, portavoce di Al Shabaab, fa sapere che Silvia Romano si è convertita senza alcune costrizioni, “perché ha sicuramente visto con i suoi occhi un mondo migliore di quello che conosceva in precedenza”. E ancora: “Da quanto mi risulta Silvia Romano ha scelto l’Islam perché ha capito il valore della nostra religione dopo aver letto il Corano e pregato”. Quello che è successo in questi 18 mesi nel cuore di Silvia è davvero quello che suggerisce Dehere? O forse, anche solo a causa della paura e dello smarrimento, la giovane è stata in qualche modo plagiata? La conversione è quanto di più intimo possibile e, ovviamente, solo la Romano sa quali siano i motivi che l’hanno portata ad abbracciare l’islam.

Anche l’imam di via Padova a Milano, intervistato da Repubblica, nutre forti dubbi sulla sincerità della conversione di Silvia: “Sono questioni personali che non credo sia ora il caso di sviscerare. Non sappiamo nulla di quel che le è successo, se non che ha vissuto un anno e mezzo in un Paese molto pericoloso, in mano a un gruppo di terroristi legati ad Al Qaeda che predicano cose che noi rifiutiamo. L’Islam è per la pace, ripudia la violenza, la guerra, i rapimenti, gli assassini. Come si può credere a una conversione sincera in quel contesto?”

Intanto anche se assisteremo alla più che plausibile negazione del pagamento di qualsiasi riscatto, è indubbio che esso sia avvenuto. Il rapimento di Silvia Romano, d’altronde, sin dall’inizio si presentava come a scopo di estorsione. Nulla quindi giustificherebbe, almeno al momento, la possibilità che siano state percorse strade alternative.

Di che cifre parliamo? Secondo il giornalista di guerra Fausto Biloslavo, che ne scrive oggi su Il Giornale, “solitamente gli ultimi “prezzi” dei nostri connazionali in mano a bande jihadiste variano fra i 3 e i 6 milioni di euro“. Scrivevamo all’epoca di Greta e Vanessa che “uno Stato serio salva i suoi concittadini“. A prescindere dal prezzo da pagare.

Intanto mentre gli Italiani secondo quanto registrato da Euromedia, il Covid-19 sta alimentando le loro paure ma e loro la paura principale, almeno da quando rilevato da un sondaggio, è quello delle tensioni sociali, concentrate soprattutto al Settentrione. "Dopo cento giorni di lockdown gli italiani iniziano ad avere paura: sette su dieci temono che la crisi economia possa far esplodere le rivolte sociali, soprattutto al Nord. Solo cinque (come dicevamo, ndr) su cento dichiarano di avere ancora fiducia nei politici".E cosi Il debito pubblico italiano è così pesante che l'unica possibilità per il Paese è ottenere aiuti dall'Unione europea. E' quanto afferma il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, che ancora una volta sbarra la strada all'ipotesi di una condivisione del debito a livello europeo. "Non saranno in grado di gestire la situazione senza l'aiuto della Ue e di Paesi come l'Austria", afferma Kurtz in un'intervista a Bloomberg Tv. "Ma non credo che l'idea di un debito condiviso sia la risposta giusta", aggiunge il cancelliere austriaco.

Secondo Kurz, la soluzione per Paesi come l'Italia o la Spagna è nel pacchetto di aiuti Ue da 500 miliardi di euro che, afferma, se necessario potrebbe essere ampliato. "E' chiaro che vogliamo sostenerli e mostrarci solidali", afferma ancora il cancelliere austriaco riguardo ai Paesi più colpiti dalla pandemia di coronavirus.

Cronicamente con indicatori economici insufficienti, l'Italia era già avviata sulla strada della recessione prima del duro colpo inflitto dalla pandemia di Covid-19. Con la previsione della Commissione Europea, secondo cui quest'anno il Pil italiano si ridurrà del 9,5%, il debito italiano dovrebbe crescere fino al 160% del Prodotto Interno Lordo.

Insieme a Francia e Spagna, l'Italia si batte in Europa per il via libera ad un'assistenza economica garantita da tutti gli Stati membri (coronabond - ndr), incontrando l'intransigente opposizione di Germania, Olanda, Austria e Paesi scandinavi.

Nel frattempo, sempre secondo Gentiloni, i Paesi della Ue possono già beneficiare del Mes senza condizionalità, ovvero di un prestito a tassi pressochè nulli da restituire in 10 anni per coprire le spese sanitarie necessarie per fronteggiare e superare l'emergenza Covid-19.  

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