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Il volume, in presentazione a Roma, costituisce un prezioso contributo di nuovi studi su Jean Sibelius, il grande compositore finlandese, con una messa a fuoco sulla statura dell'artista, sul suo contesto familiare e socio-culturale, attraverso nuove prospettive sul rapporto privilegiato e fruttuoso che il maestro ebbe con l'Italia, percepita come terra ideale, sorgente di natura e arte figurativa, di cui conservò per tutta la vita un'impressione straordinaria. Dall'amicizia con Ferruccio Busoni al confronto storico- artistico con compositori come Mascagni, Puccini, Respighi, ai viaggi tra Venezia, Firenze, Foligno, Rapallo, Napoli, Capri e Roma, della quale scrisse "Di tutte le città che ho visto Roma è la più bella e la più aristocratica". Dopo il primo concerto nel 1904 a Bologna, diretto da Arturo Toscanini, le sue musiche furono spesso eseguite in Italia; egli stesso, nominato nel 1916 accademico di Santa Cecilia, diresse nel 1923 all'Augusteo un concerto monografico di proprie composizioni e, nel luglio 1929, il Governo Italiano gli conferì l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce della Corona d'Italia. Un paese, il nostro, che ha influenzato profondamente l'orizzonte spirituale e lo stile di questo compositore, punto di riferimento di una giovane nazione, la Finlandia, che ha essa stessa verso l'Italia, Roma, la lingua latina e la nostra civiltà una particolare ammirazione, considerazione e devozione.

I saggi - quattro dei quali in lingua inglese - trattano argomenti interdisciplinari e anche inconsueti: il ‘paesaggio sonoro' dell'Italia conosciuta da Sibelius, attraverso incisioni discografiche d'epoca; le musiche di Sibelius nel cinema e nei media; lo stato di avanzamento della pubblicazione dell'edizione critica delle sue opere; il suo rapporto con la canzone napoletana e le frequenti visite all'isola di Capri; un confronto tra gli itinerari di viaggio in Italia degli artisti e degli architetti del Romanticismo nazionale finlandese con l'esperienza italiana di Jean Sibelius per indagare i riflessi della classicità e delle atmosfere mediterranee sulle scelte compositive e linguistiche del musicista; le scelte di repertorio e l'interpretazione da parte dei più affermati direttori d'orchestra italiani; la ricezione delle composizioni sibeliane da parte della critica coeva. Segno della pur lenta, ma progressiva maturazione degli studi sibeliani in Italia, il libro parla ai musicisti, agli studiosi, agli addetti ai lavori ma anche agli appassionati e al grande pubblico, e corona degnamente la serie di iniziative con cui l'Italia ha celebrato nel 2015 la nascita di Sibelius, le cui composizioni sono ovunque eseguite da importanti interpreti ma del quale è ancora necessario nel nostro paese diffondere e approfondire la conoscenza. Nella stessa serata del 24 ottobre, alle ore 19.30, all’ Auditorium Parco della Musica di Roma è prevista nel programma della serata  l’esecuzione del Concerto per violino di Sibelius con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Mikko Franck e la violinista Anna Tifu. Da segnalare al riguardo che attualmente nell’Accademia di Santa Cecilia, l’Orchestra e il Coro si avvalgono della presenza di un Direttore Ospite Principale: appunto il finlandese Mikko Franck, classe 1979, uno dei dirigenti più importanti della sua generazione, affermatosi a livello internazionale sui palcoscenici sinfonici e operistici. Nel suo incarico triennale a Roma, Mikko Franck dirigerà almeno tre produzioni in ogni stagione concertistica di Santa Cecilia e una tournée nazionale o internazionale.

Presentazione del libro del volume curato da Annalisa Bini, Flavio Colusso e Ferruccio Tammaro presso Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Museo degli Strumenti Musicali, Roma, Parco della Musica, viale Pietro de Coubertin, alle 17,30 del 24.10.2019, ingresso libero.

Lo stesso volume, sarà presentato il 19.12.2019 alle 11, a Bologna presso il Museo internazionale e biblioteca della musica tel 051 2757711,fax 051 2757728, ‘Sibelius e l'Italia’, Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, 2019, (L'Arte Armonica n.18, Serie III, Studi e testi), 584 pp. / Euro 35,00.

Operatrice culturale e della comunicazione, giornalista pubblicista esperta in marketing no profit e comunicazione sociale, Anna Montella è un’apprezzata scrittrice con all’attivo già diverse pubblicazioni editoriali e una naturale propensione per la scrittura in prosa, pur essendo affascinata  anche dalla poesia, dai testi teatrali e da tutto ciò possa far parte dell’infinito universo delle parole.
Ideatrice/curatrice del Caffè Letterario La Luna e il Drago, progetto culturale per la promozione del territorio e del Genius Loci nei cui ambiti organizza premi letterari ed eventi culturali con una progettualità di ampio respiro, è anche membro di Giuria e consulente tecnico in  più concorsi letterari di prestigio organizzati da altri organismi. 
Dall’ottobre 2017 è membro de La Camerata dei Poeti di Firenze, Sodalizio Culturale fondato nel 1930, con il ruolo di Responsabile della Segreteria, grafica e tecnologie applicate alla rete. Impegnata nel sociale da sempre, opera in ambiti associativi e del volontariato con una particolare attenzione al recupero della memoria storica.
Nell’ ottobre 2012 il Cenacolo Letterario Internazionale AltreVoci le conferisce il riconoscimento di “Operatore Culturale 2012”, mentre nell'ottobre 2014, dal Lions Club di Rho, riceve in dono il "Leone", simbolo Lions nel mondo, per la sua vicinanza ai valori lionistici. Nel 2016 le viene conferito il Premio Speciale Thesaurus quale "responsabile informatica, autrice e operatore culturale" e nel 2018 riceve il riconoscimento di Eccellenza del Territorio in ambiti culturali nella II  edizione del Premio Grottaglie Città delle Ceramiche intitolato al ceramista Nicola Fasano.
Per rimanere nell’ambito letterario, ad oggi ha curato anche le 15 antologie realizzate per il Caffè Letterario La Luna e il Drago, le antologie realizzate per il Lions Club Rho Host relative alle diverse edizioni del Premio letterario “Energia per la Vita” e quella per la Pro Loco Limbiate negli ambiti del Premio letterario “La girandola delle parole”, la pubblicazione del progetto culturale "Voci Mediterranee" promosso dal Caffè Letterario La Luna e il Drago e curato dalla stessa Anna Montella. Un progetto, articolato nell'arco di un biennio in più tappe itineranti, che ha dato vita successivamente al Premio Voci Mediterranee, un riconoscimento che viene assegnato con cadenza pluriennale ad "una voce mediterranea" che ha portato il Sud, con il suo fermento artistico/culturale, all'attenzione del mondo.
Sempre negli ambiti delle attività culturali del Caffè Letterario La Luna e il Drago, ha dato vita in tempi recenti al progetto “I grandi Autori del ‘900 raccontati dal Caffè in tre minuti”.
Si potrebbero aggiungere ancora molte notizie circa i suoi interessanti  trascorsi professionali  e le tante attività che attualmente  svolge con sincera passione, entusiasmo e professionalità; ma le sue risposte forniranno agevolmente le altre informazioni che la riguardano o alle curiosità, piccole ma significative tessere di un mosaico, che vanno a svelare alcune fra le molteplici sfaccettature della nostra ospite, che mi ha riferito di essere pigra; allora figuriamoci in cos’altro potrebbe sorprenderci se non lo fosse?! 

L’amore nei riguardi delle arti letterarie è palpabile attraverso le sue diverse pubblicazioni editoriali, dalle quali emerge una spiccata  propensione verso la prosa. Vorrebbe parlarmene?
Prima di cominciare a scrivere sono stata una lettrice appassionata  ed instancabile e lo sono tuttora. Preferisco occuparmi soprattutto di  narrativa anche se, qualche volta, mi diletto con la poesia,  ma resto un’autrice di narrativa. A tutt’oggi,  ho pubblicato il libro documento Noi, Le ragazze del convento dei Cappuccini, un excursus mediante il paesaggio strutturale, geografico e umano del Convento dei Cappuccini in Terra delle Grottaglie; Pausa Caffè, un libretto di drabble (racconti autoconclusivi in 100 parole) ed aforismi; due romanzi: La stagione di mezzo e Doppelgänger: l’anima allo specchio; una rivisitazione del mito di Ulisse in chiave umoristica: A me (Mi) sta antipatico Ulisse; un libro di racconti: E guardo il mondo da un oblò; due “quaderni” di saggistica per la serie Il fascino del meraviglioso; una silloge: Profumo di mandorle amare; alcune altre pubblicazioni minori e, nel tempo, svariati articoli per diverse testate.

E adesso viene dato alle stampe il nuovo libro dal titolo particolare: “Il mio coccodrillo lo scrivo da me” con una copertina evocativa che fa pensare ai  quaderni della scuola di una volta. Vogliamo dare qualche anticipazione?
Beh ho pensato che 60 anni potesse essere maturo il tempo per tirare un pò le somme e raccontarsi. Certamente, c’è ancora tanta strada da fare (me lo auguro) ma due terzi del cammino sono trascorsi e quindi c’è abbastanza materiale per confezionare quel famoso coccodrillo che, nel gergo giornalistico, come lei saprà meglio di me, è quel pezzo che viene preparato in anticipo per essere tempestivi in caso di dipartita di un personaggio famoso. Ritengo di non potermi annoverare tra i personaggi famosi, ma potrei esserlo in futuro. Chi lo sa.
A parte gli scherzi, mi è sembrato fosse giunto il tempo per raccontarmi (anche perché se si diventa troppo vecchi poi i ricordi diventano meno vividi, quando non scompaiono del tutto) e, al contempo, raccontare uno spaccato della mia generazione.

Il percorso del libro è rigorosamente autobiografico, oppure c’è anche spazio per la fantasia? 
Sicuramente l’impronta è autobiografica ma, come le dicevo, raccontarsi significa anche raccontare un tempo, una generazione che tanti altri hanno vissuto e in cui possono riconoscersi. Quindi, diciamo che nel raccontare il mio microscenario racconto  anche una parte di quel macroscenario in cui le mie vicende e quelle della mia famiglia vanno ad incastonarsi. Comunque si, c’è anche molta fantasia nel libro: racconti, poesie, rilfessioni, canzoni. E a proposito di canzoni uno dei leit motiv della seconda parte del libro è il Festival di Sanremo che potrà piacere o meno ma, in ogni caso, rappresenta un fenomeno di costume che accompagna l’Italia da una generazione all’altra ormai da quasi un secolo, fin dal 1950.

Quindi un excursus limitato in un arco temporale che va dagli anni ‘50 in poi?
Non proprio, diciamo che l’excursus va a comprendere tutto il ‘900 poiché se è vero che sono nata nel 1958, è pur vero che non sono nata sotto un cavolo e dunque alle mie spalle risiede un retroterra culturale e familiare che affonda le sue radici in tempi ben più remoti quindi, in corso d'opera, ho dato uno sguardo ai tempi di mia madre, dei miei nonni e dei miei bisnonni andando a sfiorare le vicende di fine ‘800 e della Grande Guerra e i tempi della Seconda Guerra mondiale. Per esempio, partendo da un’unica vecchia foto della mia nonna materna, di cui non conoscevo assolutamente nulla, attraverso delle ricerche storiche sono risalita a quel tempo in cui  “si stava come d’autunno sugli alberi le foglie” di ungarettiana memoria. Penso, a questo punto, che se si volesse dare una identità al libro, lo si potrebbe classificare tra quelli di taglio storico, oltre che biografico. Non a caso la prefazione è stata curata da Giuseppe Stea, che ringrazio, e che oltre ad essere uno scrittore è anche uno storico.

In copertina vedo l'immagine di una bella bambina sorridente con le treccine. Chi è?
Sono io a sette anni. Siamo nel 1965 in estate, lo si vede dall’abbigliamento, e probabilmente per il mio onomastico, che cade il 26 di luglio, mi avevano regalato quella borsettina che si intravede nella foto. Era di plastica in bianco e nero e mi faceva sentire come una piccola Greta Garbo anche se all’epoca non sapevo neppure che esistesse Greta Garbo. Quella foto mi trasmette la sensazione di felicità di quel giorno, una domenica come tante al rientro dalla Messa “quando la domenica era ancora domenica”.  Una felicità fatta di niente, una piccola borsetta di plastica: la felicità delle piccole cose.

Dopo aver sfiorato con questa nuova opera  l'universo della scrittrice Anna Montella, diamo un'occhiata anche alla operatrice e promotrice culturale.
Il progetto di video/didattica “I Grandi  Autori del ‘900 (in short videodi 3’ minuti ciascuno)” raccontati dal Caffè Letterario La Luna e il Drago”, che lei ha ideato e che cura in maniera mirabile,  a chi è rivolto e di cosa si tratta nello specifico?
Il progetto, indirizzato in primis alle scuole, matura  in una logica di micro-learnig basato sulla creazione di piccole unità di conoscenza per migliorare la comprensione dei macro scenari cercando, altresì, di stimolare l’interesse di coloro i quali, ormai fuori dai percorsi scolastici, non si avvicinano all’argomento non già per mancanza di interesse, ma per una oggettiva mancanza di tempo. Un’operazione non facile, pur nella sua apparente semplicità, perché condensare vite così straordinarie in tre minuti richiede uno sforzo assai maggiore rispetto ad un documentario di ampio respiro e durata.

Tra le sue attività  c’è anche quella di webmaster e di videomaker. Cosa rappresenta per lei il world wide web?
Un intero mondo, un pianeta da esplorare. Io sono innamorata del mezzo informatico e di quello che può offrire.  I ragazzi di oggi nascono con il computer tra le mani, io ci sono arrivata in età già adulta ed è stato amore a prima vista. Uno di quegli amori travolgenti che durano una vita intera. Lavorando al computer il tempo vola, avrei bisogno di giornate di 36 ore e, poiché le ore in una giornata sono solo 24, qualcuna la rubo alla notte.

Il pragmatismo e l’idealismo e, per dilatazione semantica l’utopia, possono contemperarsi e  camminare in parallelo, oppure l’uno esclude l’altro?
Si può essere idealisti restando pratici e coltivando una personale visione di utopia? Certamente si.  Io stessa mi ritengo una idealista (forse una delle poche ex-sessantottine rimaste in circolazione senza neppure averlo vissuto il ’68, considerato che all’epoca avevo solo dieci anni), sono sicuramente pragmatica e con i piedi per terra, nonostante sia nata sotto il segno dei pesci che, nell’immaginario collettivo, viene visto come il segno zodiacale di coloro che vivono sulle nuvole senza toccare terra e l’utopia… è come l’orizzonte, giusto? Non lo raggiungi mai, ma serve per continuare a camminare.  Ed io son qui… che cammino… 

Vorrebbe anticiparmi, se crede, qualche suo progetto per il futuro?
Non faccio mai progetti a lunga scadenza. Il passato non esiste più e il futuro è nel grembo degli dei. Per dirla parafrasando la grande Alda Merini "non esiste altro momento che questo meraviglioso istante". Ma, certamente continuerò a scrivere articoli, a pubblicare libri, ad occuparmi di volontariato, di marketing e comunicazione, ad organizzare e promuovere eventi, a scrivere recensioni, a far parte di giurie, a prestare la mia consulenza tecnica ai premi letterari di organismi altri, ad organizzare i premi letterari per il “Caffè Letterario la Luna e il Drago” curando le antologie legate a questi premi, a realizzare siti web e video etc.  

Se dovessi trovare degli aggettivi che possano delineare la sua personalità, direi sicuramente: poliedrica, raziocinante, curiosa, profonda. Riesce a riconoscersi?
Tutto sommato si. Manca, però, l’aggettivo “pigra”. Una pigrizia che tra me e me  definisco “criminale” (un crimine contro me stessa) e che va a sconfinare nell’accidia, uno dei sette vizi capitali. Spesso mi chiedo - ma pigramente, senza stress -  su quale olimpo sarei riuscita a salire se solo non fossi stata così… pigra. Ps. Alla luce di questa ultima affermazione temo che, alla lista, vada aggiunto un altro aggettivo ancora: egocentrica. Ma, del resto, egocentrici  non lo siamo un pò tutti noi che ci muoviamo su questo palcoscenico fatto di parole?

"Elogio della rabbia" è il titolo dell'ultima opera dello scrittore Salvatore La Porta, che anche stavolta affronta una tematica di forte impatto: la rabbia, sentimento contemperato alla naturale propensione al senso di giustizia insito nell'essere umano, ma controverso, a volte incontrollabile e, quindi, difficile da gestire.
Ne consegue un'ampia galleria di considerazioni circa l'elaborazione, sia distruttiva che positiva, della rabbia che, all'interno di un tessuto sociale caratterizzato da un sistema culturale di riferimento, costituito di valori, norme e tradizioni, ma  tendenzialmente orientatato verso un ipertrofico individualismo, pone il lettore dinanzi a precipue riflessioni, come del resto tutte le precedenti pubblicazioni editoriali dell'autore.

Viviamo un’epoca di crisi dell’universo valoriale e ciò si riflette nei rapporti sociali. Aristotele,
antesignano di quella che diversi secoli dopo è divenuta disciplina sociologica, sosteneva che
l’uomo è un “animale sociale” naturalmente incline alla comunicazione con i suoi simili, in un'ottica volta alla condivisione e alla solidarietà sociale, la cui antitesi è l'anomia, un fenomeno che ho avuto modo di approfondire negli assunti di Émile Durkheim. Vorrebbe parlarmi del livello di percezione dei valori nella società postmoderna?
Dipende di quali valori si parla: l’amore per i figli, per la propria cerchia di famigliari, per ciò che è considerato “cosa nostra” è un valore molto sentito. Se teniamo conto soltanto della sfera affettiva privata, non vedo una mancanza di valori. Anzi, quel che amiamo lo amiamo in maniera forsennata ed ossessiva, lo difendiamo da ogni possibile minaccia fino a renderlo inerte; lo proteggiamo anche quando è nel torto. A volte ci facciamo divorare, a volte divoriamo per lui. Non vedo un’anomia nella società: mi sembra piuttosto che le regole che la gestiscono riguardino sempre più i rapporti personali ed escludono spesso chi non fa parte del nostro micromondo. L’amore, inteso come unico sentimento degno di essere manifestato, ci ha portato ad una società di confini e odio: quel che amo dev’essere definito e separato dal resto, affinché io possa preservarlo. A tutti i costi.

Sentimenti quali, gelosia, rancore, invidia, in grado di assorbire gran parte delle nostre energie, sono veramente così incontrollabili?
La loro radice è incontrollabile, perché è una di quelle su cui germina l’animo umano: è il senso di giustizia che – degenerando – rende la nostra rabbia rancore, invidia e gelosia. Ma l’origine di questi sentimenti è nobile; la rabbia che li genera nasce sempre dalla percezione di un’ingiustizia, dalla reazione ad un torto. Il nostro mondo, però, ha reso la rabbia un sentimento privato e irrazionale: dovrebbe spingerci a proteggere chiunque sia maltrattato, ed invece la riserviamo soltanto per difendere chi amiamo o, addirittura, noi stessi. È il sentimento più altruista che abbiamo, ma se si ammala diventa egoismo e odio.

Nella sua recente opera editoriale “Elogio della rabbia”(2019, Il Saggiatore Editore) offre
l’opportunità al lettore di riflettere dentro se stesso ed imparare a trasformare la rabbia in uno strumento utile, liberandola da tutti quei vincoli che finiscono per relegarla ad un ruolo distruttivo. Qual è, invece, il suo pensiero nei riguardi di tale sentimento?
Come dicevo prima, la rabbia – quando è sana –  è un sentimento che unisce la gente: ci infuriamo quando un estraneo subisce un torto, corriamo in suo soccorso, o addirittura combattiamo al suo fianco. La storia è piena di esempi: moltissimi stranieri hanno combattuto durante la guerra civile spagnola, molti altri spendono la propria vita al fianco del popolo curdo – e non soltanto con le armi. Cosa ci porta a dedicare la nostra vita ad un estraneo, ad un paese straniero, se non la rabbia per quello che sono costretti a subire? È l’amore per ciò che è nostro, per i nostri confini, la nostra bandiera, il nostro campanile, che separa gli uomini.

Quali sono le cause scatenanti per cui le nostre esistenze sono divorate dalle contraddizioni?
Sinceramente non ho una risposta. Sembra che sia un destino ineludibile, un errore nella nostra programmazione. Siamo costretti a distinguere perché la nostra logica ci impedisce di amare o percepire contemporaneamente gli opposti: ma nel momento in cui scegliamo cosa avere, desideriamo quel che manca. È come se qualcosa ci spingesse a ricomporre la distinzione tra gli oggetti del mondo, senza avere gli strumenti per ricondurli all’unità. Siamo una specie strana, ma non c’è nulla di nuovo in questa idea. Ne scriveva Leopardi, e certamente non era il primo.

La rabbia, emozione di tipo primitivo, è uno stato multi-dimensionale la cui manifestazione è
fortemente influenzata dalla cultura e rappresenta la tipica reazione che consegue alla frustrazione ed alla costrizione. Quando diventa disfunzionale e, al contrario, in che misura è funzionale?
È disfunzionale quando non abbiamo le idee chiare. Credo che sia definibile anche e soprattutto come un sentimento nato dall’ingiustizia: la costrizione, ad esempio, è voler fare x e ritrovarsi a fare y. Se si pensa che x sia la cosa più giusta da fare (o più piacevole, se crediamo che il nostro piacere sia la cosa giusta), allora verrò preso dalla rabbia. Nessuno si arrabbia davanti a qualcosa che percepisce come giusto. Ma per capire quando un avvenimento è realmente un’ingiustizia, dobbiamo avere un quadro della situazione quanto più ampio è possibile. Altrimenti rischiamo di scambiare la vittima per carnefice, rivolgere la nostra rabbia contro i più deboli – ad esempio. E i più deboli non possono commettere un torto; non ne hanno il potere: è questo che li definisce come deboli.

Come è possibile trasformare la rabbia in un sentimento in grado di contrastare le ingiustizie
sociali?
Dobbiamo accettarla e educarla. Dobbiamo renderla imparziale, depurarla dall’amore e dall’egoismo: dobbiamo infuriarci anche con chi amiamo, se è nel torto. Dobbiamo riprendere a pensare in maniera critica, cercando di falsificare continuamente le nostre credenze per non rivolgere la nostra furia contro l’obiettivo sbagliato. Dobbiamo, soprattutto, utilizzarla per difendere i più deboli.

Lo psicologo James Averill ha individuato tre tipi di rabbia: la prima è la rabbia malevola, che induce al desiderio di vendetta; la seconda rappresenta uno scarico di tensione e spesso si sfoga su chi non ha colpa; infine, la terza è la cosiddetta rabbia costruttiva. Vorrebbe spiegare ai nostri lettori che cosa si intende per rabbia, quale sentimento utile all’economia della nostra esistenza?
Potremmo parlare di giustizia, piuttosto che di rabbia: è il cardine di questo sentimento. La rabbia è positiva ogni volta che ci permette di entrare in contatto con altre persone, che ci schiera al fianco di chi subisce un torto. La rabbia, quando non è deformata dall’amore e dall’egoismo, è ciò che distingue la civiltà dalla barbarie. Se, invece,  utilizziamo questo sentimento soltanto per proteggere chi amiamo e quel che sentiamo nostro, otterremo odio e divisione. Un mondo in cui la rabbia non sia coltivata, in cui questo sentimento sia degenerato, è un mondo di mafie e fascismi, di "famigghie", camerati e stranieri da tenere a distanza.

Progetti per il futuro?

Spero di scrivere dei libri che siano utili, fondamentalmente.

Filastroccheeee... Il nuovo libro di Silvana Palazzo ( Progetto Cultura, Roma) è pensato per i giovani ma è apprezzabile anche dagli adulti.

L'Autrice recupera un genere, appunto la Filastrocca, che ha una indubbia funzione didattica ed è didascalica in quanto attraverso la musicalitá che la fa diventare ballata rende possibile far defluire, nella mente dei giovani, valori e di natura etica e morale, non moralistica. La musica, mai come nelle filastrocche, è fondamentale perché il ritmo metrico si fonde con le parole creando un unicum che diverte e fa pensare nello stesso tempo. La Palazzo, secondo il prefatore Giorgio Linguaglossa, parte "dalle filastrocche palazzeschiane saltando l'iconografia di Palazzeschi". Guarda oltre; in una societá dove i media sovrastano gli insegnamenti, surclassando scuola e famiglia, allora una filastrocca consente, anche in fasce prescolastiche, tramite il divertissment linguistico, il calembour, il gioco, di avvicinare il lettore per proporgli il proprio pensiero divergente. Che a volte si fa umoristico, come in Filastrocca del telefonino/

Che non può stare in mano a un bambino/
Lui lo pigia e manovra perchè/
Crede sia un gioco solo per sè/
Pigia e ripigia schiaccia un bottone/
Chi ci disturba? risponde un vocione/
Quì è l'Arma, lo sa che è entrato/
Dentro un numero ch'ė riservato/
Proprio premendo con una mano/
Linea segreta del capitano? /
E fu così che il povero nonno /
Preso com'era da un colpo di sonno/
Fu ritenuto da incolpare/
Che la giustizia non è da intralciare /
Venne ripreso e diffidato/
Pur se il telefono non aveva toccato./
--------
Altre volte il tema è più legato alla attualità, ai temi scottanti del momento come l'ambiente, il clima, il mondo malato:
Filastrocca del mondo che muore/
Non vorrei mai vederlo soffrire/
Ma in tanti sono a fargli del male/
Sera e mattina è sempre uguale./
Se questa terra potesse parlare/
Senz'altro avrebbe tanto da dire/
" mi stai distruggendo e non sai che/
Se mi distruggi distruggi anche te"/
---------
Lo sguardo poetico può posarsi a volte sul quotidiano, su oggetti di uso comune, come un semplice libro:
Il libro si può amare /
se incominci nello sfogliare /
La copertina ad accarezzare /
Il libro è un contenitore/
Di cose che devi sapere/
Libri ce ne sono tanti/
Dovresti leggerli tutti quanti!/
Leggi e rileggi non ne puoi più/
Alla fine un libro lo scriverai tu./
------
E gli stessi affetti più cari, quelli familiari, possono diventare protagonisti di un "poemetto" breve in versi chiamato filastrocca:
La mamma non la puoi sostituire/
È lei che al mondo ti ha fatto venire/
È lei la prima a darti calore/
Quando sei venuto per qui restare/
È lei la prima a farti camminare/
La prima a dirti come devi parlare./
Le devi molto e sai perchè/
La mamma ê la persona migliore che c'è./
----
Uomini e miti, eroi del nostro tempo, affiorano nel verseggiare della Palazzo con la leggerezza che ha da sempre caratterizzato il suo modo di scrivere "in punta di pennino":
C'è un signore che si chiama papá/
Ma che non ha l'accento sulla a./
Lui governa sui cuori del mondo/
Perchè si uniscano in un girotondo/
Si preoccupa dei diseredati /
E anche quelli che sono ammalati./
Lui discute coi capi più grandi/
Ma fra di loro è il più importante./
Papa Francesco il suo nome è/
il papa più papà che c'è./
---
L'autrice inaugura anche un tipo di filastrocca su temi come la legalitá e le illegalitá diffuse nel pianeta. Versi di impegno civile e legalitario nei quali il messaggio verso una societá più giusta, e l'anatema verso il crimine, viene sviscerato in frasi pregne di contenuto e contenuti positivi:
La mafia cresce in un prato abbandonato/
Che il manutentore non ha mai curato/
La mafia nasce quindi per l'insipienza/
Sarebbe bene riuscire a starne senza./
Forte è il mafioso ma tu lo puoi annientare/
Basta un coraggio in più /
Per saperlo affrontare./
-----
Ed è forse quest'ultimo profilo dell'Autrice quello che la caratterizza in modo particolare. Non dunque un verseggiare e basta, tanto per rimeggiare, ma l'utilizzo di un canale letterario di particolare fruibilitá per far veicolare appelli ed inviti a riflettere sul bene e sul male:
La parola mafiositá /
Fa sempre rima con omertá/
Dove i silenzi /
Coprono le cose/
affari illeciti/
Ed atti delittuosi./
Se non ci fosse l'omertá /
La mafia forse /
Esisterebbe a metá /
Perchê la mafia /
Non è un concetto astratto /
È fatta di uomini con l'arma del ricatto./
----

Filastrocche dunque non come abbandono fiabesco nè escamotage sillabico avulsi dal reale semmai espediente creativo immerso nella realtá che ci circonda. Operette morali, eteree, sospese come le e eeee che ne compongono il titolo, fra il faceto e il serio, fra il monito e la descrizione originale, una sorpresa per quanti se ne accingessero alla lettura convinti di aver di fronte un lavoro che copia il linguaggio dei più giovani per attirarne l'attenzione.


A loro si rivolge, l'Autrice, ma con il proprio filo comunicativo più diretto: la Poesia.

La tragedia degli italiani profughi dalle terre giuliano dalmate nel primo dopoguerra è stata per troppi anni tenuta nascosta e viva solo nel ricordo dignitoso di chi aveva vissuto quegli anni. Caratteri schivi, riservati, non hanno mai fatto manifestazioni o proclami e c’è voluta la caduta del Muro di Berlino per far cadere anche questo nostro “muro” della memoria. È del 2004 la legge che stabilisce che il 10 febbraio è il “Giorno del ricordo delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale” e, quindi, la lettura di un giallo che parla di quelle storie incuriosisce. La vendetta di Oreste, appena pubblicato da Fazi editore, in maniera molto delicata, inserisce, in un racconto giallo, le vicende che hanno caratterizzato gli anni delle persecuzioni degli italiani fino all’esodo e anche oltre. Autore del giallo il professor Giovanni Ricciardi che insegna greco e latino in un liceo di Roma e che ha inventato la figura del commissario Ottavio Ponzetti, un Maigret all’italiana che con grande umanità risolve intrigate vicende. Sono già otto le storie che il commissario riesce a risolvere, per lo più ambientate a Roma e quest’ultima si tinge di venature storiche e ambientazioni nelle terre istriane. Il giallo si interseca con la storia di quegli orribili anni: il 1943, l’ingresso delle truppe titine a Trieste nel 1945, le foibe, le divisioni tra zona A e zona B, la consegna di Pola alla Jugoslavia (1947) con l’inizio dell’esodo massiccio, le storie degli operai comunisti di Monfalcone, la vicenda di Maria Pasquinelli fino a parlare dell’isola Calva, Goli Otok, il Gulag di Tito e delle sue atrocità.  Un modo veramente originale per far rivivere vicende dimenticate attraverso una trama avvincente. Sicuramente quanti hanno a cuore la storia e specialmente le storie dei vinti, anche se non amano il genere, apprezzeranno questo originale “giallo storico”.

Giovanni Ricciardi

La vendetta di Oreste

Fazi Editore, 2019

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