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Lunedì, 11 Novembre 2024

Un contributo per la buona scuola

togliamodisturbo

Pare che il governo Renzi oltre a sistemare il Paese,intende sistemare, magari riformare finalmente la scuola. Così da qualche settimanail ministero della Pubblica Istruzione, tramite un blog in rete, (www.labuonascuola.gov.it) sta chiedendo agli italiani, quindi non solo a chi opera nella scuola, un contributo di idee su come dovrebbe essere la “buona scuola”. Sono andato sul sito ed ho visto le domande del questionario, ma non mi sono entusiasmato più di tanto. Piuttosto vorrei qui riproporre qualche riflessione ricorrendo alle mie letture dei mesi scorsi. Comincio dal testo di Mario Giordano, “5 in condotta. Tutto quello che bisogna sapere sul disastro della scuola”, (Mondadori 2008). Nell’inchiesta sulla scuola Giordano ci accompagna in un viaggio dai risvolti sorprendenti e inediti, dentro un disastro che non possiamo più sopportare, come il precariato, le scuole fatiscenti, gli insegnanti poco preparati, le classi da parco zoo, ma anche dentro quel “miracolo che si ripete ogni giorno”, grazie al quale la scuola “resta in piedi, nonostante tutto, contro tutto”. Essendo un insegnante, so benissimo quanto sia vero quello che ha scritto il giornalista.

Mario Giordano nel capitolo relativo alla professione degli insegnanti sottolinea alcune questioni, peraltro evidenziate anche da tanti altri. 1 Le donne in cattedra sono troppe. Alle elementari le maestre rappresentano il 95,4, forse anche di più. In nessun altro Paese la percentuale è così alta. “Un eccesso di femminilizzazione - scrive Giordano - non va bene, perché i ragazzi hanno bisogno di entrambi i riferimenti. Il modello maschile (spesso già assente in famiglia) non può mancare totalmente a scuola. Alle Medie, poi, il fenomeno diventa devastante: ragazzini in pieno sviluppo preadolescenziale si trovano in cattedra donne che sono troppo simili alle loro madri, hanno gli stessi toni, gli stessi nervosismi, e fanno le stesse raccomandazioni”. Il 2 problema. Gli insegnanti italiani sono troppo vecchi. Un insegnante su due ha oltre 50 anni, solo lo 0,8 per cento dei maestri elementari ha meno di 30 anni contro il 15, 9 per cento della media Ocse. Alle Medie è peggio, i professori con meno di 30 anni sono praticamente inesistenti, mentre quelli ultracinquantenni sono quasi il 70 per cento. Il 3 problema, è quello della distribuzione geografica degli insegnanti. Pare che gli insegnanti meridionali sono troppi. Infine c’è il problema dei problemi, scrive Giordano, ed è la questione dello stipendio troppo basso. Gli insegnanti non hanno una carriera. Certo parlarne in questi tempi di crisi, si fa un po’ fatica ad essere compresi. Attenzione però Giordano fa anche una analisi politica: “se gli insegnanti sono più numerosi che nel resto del mondo, se non c’è nessuna selezione e nessuna valutazione, se non si distingue chi lavora e chi no, se per anni si è privilegiato l’appiattimento egualitaristico a ogni principio meritocratico, se si è costruita una scuola che sembra un ammortizzatore sociale, un surrogato del sussidio di disoccupazione, un’alternativa ai lavori socialmente utili, il risultato quale poteva essere?” A proposito dell’egualitarismo folle, Giordano fa l’esempio dei prof di educazione fisicae di italiano, i primi al suono della campanella finiscono il suo lavoro, i secondi, i prof di italiano, tornando a casa passano la sera a correggere i compiti, eppure lo stipendio è uguale.

Sono interessanti le riflessioni sull’orario di lavoro e altro degli insegnanti, che fa Claudio Cremaschi, in “Malascuola”, dal sottotitolo abbastanza provocante, “Se io fossi il ministro dell’Istruzione raddoppierei lo stipendio agli insegnanti (e altri rimedi meno piacevoli), (Piemme, 2009). Il preside, professore Cremaschi cerca di rispondere al luogo comune dell’insegnante fannullone, lavoratore a mezzo servizio, e scrive: “il lavoro degli insegnanti è davvero sui generis, è difficile da definire, e ancor più da regolamentare. E’ un mix di diverse figure: un po’ libero professionista, un pò lavoratore dipendente, un po’ artista, un po’ animatore, un po’ ricercatore, un po’ psicologo, un po’ impiegato…” Inoltre sulla quantificazione del lavoro svolto, il preside bergamasco scrive: “Il lavoro del docente è più complesso, esistono una serie di attività e di impegni difficilmente standardizzabili, molto lavoro sommerso, impegnativo, non riconosciuto. Fa l’esempio delle gite scolastiche, ore, giornate non retribuite. Cremaschi accenna poi anche alla questione del lavoro usurante del docente, ma qui si apre un’altra questione a dir poco accidentata.

Un altro testo interessante che ho letto a suo tempo è quello di Giovanni Floris, “La fabbrica degli ignoranti. La disfatta della scuola italiana (Rizzoli, 2008)

In Italia secondo Floris esiste un fallimento culturale che ha un colpevole: la scuola. Non si può pretendere di avere un futuro un Paese che non rispetta l’istituzione che forma i cittadini. A scuola si guadagna meno a insegnare che a pulire i pavimenti, dove gli insegnanti subiscono aggressioni verbali e talvolta anche fisiche.Il testo fa una interessante definizione di “ignorante”, per Floris, è ignorante, non solo quello che non studia, ma anche quello che studia e magari molto. “Una persona intelligente resterà quindi e comunque intelligente, anche se non andrà oltre la quinta elementare, e un ignorante resterà tale anche se si laurea”. Il libro di Floris, fa un ragionamento più complesso sul concetto di cultura. Quanto vale la cultura in Italia? Il giornalista risponde così: “In Italia. Attualmente, la conoscenza della propria storia, dei propri pensieri, delle proprie idee non è un valore tra i più riconosciuti(…)”. Del resto i “somari”, ci sono sempre stati in tutti i tempi, “ma il somaro classico tendeva quasi sempre a prendere atto della propria ignoranza”. Invece, “l’asinità contemporanea è lucidata, plastificata, arrogante, pretenziosa; ha perduto ogni rapporto con il solido fondo della materia; non ha complessi e per lo più non riconosce se stessa, immersa in un brodo che le fa apparire tutto facile, tutto indifferente, tutto alla sua portata”.

Tuttavia il libro che consiglio di leggere per tentare una vera riforma della scuola è quello della professoressa torinese Paola Mastrocola, “Togliamo il disturbo.Saggio sulla libertà di non studiare, (Ugo Guanda editore, 2011). Già dal titolo, il testo è una vera e propria provocazione. Infatti la Mastrocola, inizia con una preghiera personale ai giovani, li invita a “scegliere loro, in prima persona, la vita che vorranno ignorando ogni pressione, sociale e soprattutto famigliare”. In un mondo dove il giovane spesso passa per una vittima. Questi giovani dovrebbero fare un gesto coraggioso e rivoluzionario, riprendersi la libertà di scegliere se studiare o no, sovvertendo tutti gli insopportabili luoghi comuni che da almeno quarant’anni ci governano e ci opprimono”. Certamente i giovani, le loro famiglie, devono essere libere di scegliere: “tutti hanno il diritto di studiare, ma anche il diritto di non studiare, o di studiare in modo diverso”. Incalza la Mastrocola, “Oggi nessuno di noi potrebbe affermare con certezza che studiare in modo astratto sia ancora proficuo, e che fare per esempio il liceo classico sia il massimo. Ma nemmeno che non lo sia. Non è detto(…) Nessuno sa chi sarà vincente, se colui che studierà ancora latino e greco o chi avrà scelto informatica e cinese o chi avrà cominciato, magari nel giardino di casa sua, a coltivare incroci tra le rose e le querce. Magari per esportarle a New York o a Pechino, un giorno, chissà”.

Togliamo il disturbo, si divide in tre parti: una prima parte descrittiva, dei nostri giovani a scuola, per strada, al bar, la notte, i nonstudianti insomma. La 2 parte, una specie di ricostruzione storica di come è andata a partire dal Sessantotto. Infine lo studio come scelta, la "modesta proposta", quale scuola mi inventerei. In pratica il libro rappresenta, la conclusione organica di quello che la Mastrocola aveva scritto un po' disorganicamente, alcuni anni fa, ne La scuola raccontata al mio cane.

La professoressa nel libro raramente parla di questioni legate alle riforme, ma nelle prime pagine è abbastanza chiara, il problema della scuola di oggi, "non sono le riforme strabilianti, investimenti generosi che ricoprono di denaro le scuole. Il denaro non è il punto, purtroppo. Inutile anche pensare a rivoluzioni copernicane dei saperi e dei metodi d'insegnamento, a miracolosi corsi di formazione per insegnanti, a futuri maestri Superman, eroi di Supermotivazione, novelli Orfei capaci di motivare allo studio anche le pietre e le bestie feroci e le foglie degli alberi che si muovono al vento. Il vero problema è che i nostri giovani, almeno quelli che vanno al liceo, non hanno nessuna voglia di studiare".

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